sabato 30 ottobre 2010

I mali della sanità e il bene nell’ombra - La vera malasanità è l’incapacità di concepire la salute al di fuori di un rapporto contrattualistico che svilisce il medico e delude il malato di CARLO BELLIENI – Avvenire, 30 ottobre 2010

Non c’è giorno che i quotidiani non parlino di malasanità, e in questo calderone senza fondo finisce di tutto: dal chirurgo che dimentica la garza durante l’operazione all’addome, al furto di materiale negli ospedali, dai vetri rotti di una Usl, alla medicina difensiva. L’unica cosa che questi fatti hanno in comune è la rabbia della gente, ma sono eventi ben diversi fra loro e mascherano il vero cancro della sanità, la malasanità vera, che non consiste nella ruberia (quello si chiama reato e non c’entra solo con la medicina) né nell’errore umano (chi è senza peccato…), ma nella burocratizzazione che la società occidentale impone al medico, mentre la gente vive il paradosso di averlo assurto inconsciamente a novello sacerdote in una società che ha perso il senso reale del sacro. E che quando viene colpita per un suo errore non lo sente solo come un reato o un errore da risarcire, ma come il crollo dell’ultimo mito: il medico non può sbagliare, altrimenti perdiamo l’ultima (fatua in verità) certezza.

D’altronde, come stupirsi? Nessuno insegna al medico a fare il medico, cioè ad avere un rapporto empatico col paziente, di stima e fiducia, di rinuncia e affetto; e tante denunce sarebbero evitate se ci fosse una capacità non solo di facciata di dialogare, di confrontarsi. Ma dove imparare, se per entrare nelle facoltà di medicina tutto si richiede tranne che la prova di avere un 'buon cuore'? A questo non collabora l’aver ridotto da qualche decennio gli ospedali ad 'aziende', il malato a 'utente', la cura a 'prestazione di un servizio', cioè la burocratizzazione di un rapporto che invece doveva essere dinamico e quasi poetico.

Esiste allora la malasanità? Certo. Ma non è quella che appare sui giornali. Perché se il cancro della sanità è la burocratizzazione, il metro per decidere una prestazione diventa solo la paura della denuncia. E di qui un eccesso di esami per non rischiare guai, ma anche una loro carenza quando si è certi che non si rischia nulla se si evita un trattamento. Un esempio in questo senso è la cura del dolore, soprattutto dei bambini piccoli e dei disabili mentali, che anche se si lamentano per dolori che non riescono ad esprimere a parole, riscuotono poco credito e attenzione medica, secondo una recente relazione fatta al Parlamento inglese.

La malasanità vera allora è l’incapacità di concepire la salute e il suo mondo al di fuori di un rapporto contrattualistico, che svilisce il medico e delude il malato.

La domanda che nessuno fa è: perché tanta malasanità 'farlocca' sui media? Forse proprio per coprire il cancro della burocratizzazione, perché riconoscerlo significa svelare che la società – di cui i medici sono solo una parte – si basa non sulle persone, ma sul mercato. E sulla solitudine in cui si vive per colpa di un nuovo mito che sta soppiantando il mito scientista: quello dell’autodeterminazione solitaria assoluta e antiscientifica, che vuole tutti avversari di tutti. Non c’è infatti tanta buona sanità di cui parlare e che subisce invece un’orrenda censura, in confronto alla quale quella degli anni della guerra è acqua fresca?

Chi ricorda di aver visto in tv valorizzare il lavoro di ignoti ricercatori che si affannano su malattie rare, o chi vede mai le lacrime di un’infermiera o lo stress del medico che vorrebbe guarire l’ennesimo tumore e non ci riesce? Nessuno ne parla. Perché è parola d’ordine sopire ogni speranza, dare solo illusioni o sogni, ma non far vedere il bello e il bene. E nella sanità italiana, se guardiamo attentamente, di bene ce n’è davvero molto.




BRASILE: PAPA A VESCOVI, VOTARE POLITICI ANTI-ABORTO A VIGILIA ELEZIONI – A tre giorni dal ballottaggio delle elezioni presidenziali in Brasile, tra la favorita Dilma Rousseff, 'delfina' del popolare presidente uscente Lula, e il socialdemocratico Jose' Serra, in rimonta dopo che la sua avversaria e' finita sotto attacco per la sua posizione sull'aborto. Nella contesa, che ha gia' diviso profondamente la Chiesa brasiliana, con un organismo della Conferenza episcopale che ha smentito platealmente i colleghi del Sud del Paese, e' sembrato oggi intervenire in maniera non troppo velata papa Benedetto XVI – si riportano il discorso del Papa ai Vescovi brasiliani,  diverse agenzie e articoli sul tema



BRASILE: PAPA A VESCOVI, VOTARE POLITICI ANTI-ABORTO A VIGILIA ELEZIONI

(ASCA) - Citta' del Vaticano, 28 ott - Mancano tre giorni al ballottaggio delle elezioni presidenziali in Brasile, tra la favorita Dilma Rousseff, 'delfina' del popolare presidente uscente Lula, e il socialdemocratico Jose' Serra, in rimonta dopo che la sua avversaria e' finita sotto attacco per la sua posizione sull'aborto. Nella contesa, che ha gia' diviso profondamente la Chiesa brasiliana, con un organismo della Conferenza episcopale che ha smentito platealmente i colleghi del Sud del Paese, e' sembrato oggi intervenire in maniera non troppo velata papa Benedetto XVI: ''Quando i diritti fondamentali della persona o la salvezza delle anime lo esiga, i pastori hanno il grave dovere di emettere un giudizio morale, anche in questioni politiche'', ha detto il pontefice ricevendo stamane in udienza per la visita 'ad limina' un gruppo di presuli brasiliani della regione Nord-Est 5. ''I pastori dovrebbero ricordare a tutti i cittadini il diritto, che e' anche un dovere, di usare liberamente il loro voto a promuovere il bene comune'', ha aggiunto. In particolare, ''quando i progetti politici includono, apertamente o in velatamente, la depenalizzazione dell'aborto o dell'eutanasia, l'ideale democratico - che e' davvero tale quando riconosce e tutela la dignita' di ogni persona umana - e' tradito alla sua base. Percio', cari Fratelli Vescovi, per difendere la vita 'non dobbiamo temere l'ostilita' e l'impopolarita', rifiutando ogni compromesso ed ambiguita', che ci conformerebbero alla mentalita' di questo mondo'''. In questo senso, ha concluso, ''sarebbe del tutto illusorio e falso qualsiasi diritto umano, politico, economico e sociale che non comprendesse l'energica difesa del diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale. Sempre nell'ambito degli sforzi in favore dei piu' deboli e indifesi, chi e' piu' indifeso di un bambino non ancora nato o un malato in stato vegetativo o terminale'?''. Il mancato successo al primo turno di Rousseff, che ha preso il 47% dei voti, e' dovuto anche alla sua posizione in passatto favorevole alla depenalizzazione dell'aborto. Pur avendo in seguito ritrattato e essersi dichiarata ''personalmente'' contraria, l'ex-capo di gabinetto di Lula non e' riuscita a convincere gli evangelici. Appena 12 giorni fa, era gia' venuta alla luce la spaccatura dei vescovi in vista del ballottaggio: la Commissione Giustizia e Pace della Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile (Cnbb) aveva pubblicato una dichiarazione che condanna la presa di posizione della Regione Sud 1 della Cnbb che aveva consigliato ai fedeli di non votare Rousseff.
La direzione nazionale dei vescovi brasiliani aveva criticato il testo pubblicato dalla regione e aveva sottolineato che esso non rappresenta il pensiero della Conferenza Episcopale. Anzi, la stessa presidenza della Cnbb aveva ribadito di non suggerire ''nessun candidato, e ricorda che la scelta e' un atto libero e consapevole di ogni cittadino''.
asp/sam/bra
Fonte: http://www.asca.it


Il Papa benedice la linea dura dell’episcopato alla vigilia del voto. La delfina di Lula criticata per la sue posizioni femministe. Brasile, la Chiesa contro Dilma “No ai candidati pro -aborto”

A pochi giorni dal ballottaggio per le presidenziali in Brasile il Papa chiede con forza ai vescovi e all’elettorato cattolico un voto a difesa della vita contro aborto ed eutanasia. Una pressione contro Dilma, la candidata di Lula.
Un no fermo e intransigente alla depenalizzazione dell’aborto e all’eutanasia. Lo ha espresso ieri Papa Benedetto XVI ricevendo in udienza “ad limina” in Vaticano i vescovi del Nord-est del Brasile. Non a caso la notizia si è conquistata l’apertura dei siti on line brasiliani. Il monito del pontefice arriva alla vigilia delle elezioni presidenziali. Domenica si terrà il ballottaggio tra la candidata del presidente uscente Lula, Dilma Rousseff e l’ex governatore di San Paolo, José Serra. Il Papa si rivolge all’episcopato, ma in realtà il suo messaggio è rivolto ai milioni di elettori del Paese “cattolico” per eccellenza. Ed anche alla politica. A chi è in corsa per la guida del Paese. Sulla difesa della vita la Chiesa fa muro.

IL DOVERE DI OPPORSI

Non lascia, infatti, margini alle interpretazioni il pontefice. “Quando i diritti fondamentali della persona o la salvezza delle anime lo esiga afferma -, i pastori hanno il grave dovere di emettere un giudizio morale, anche in questioni politiche”. È chiarissimo: “Quando i progetti politici includono, apertamente o velatamente, la depenalizzazione dell’aborto o dell’eutanasia, l’ideale democratico - che è davvero tale quando riconosce e tutela la dignità di ogni persona umana - è tradito nei suoi fondamenti”. Questo è lo spartiacque, il discrimine assoluto. Quando è in gioco la difesa della vita si chiudono anche i margini di autonomia e di mediazione per il laicato cattolico. “I pastori dovrebbero ricordare a tutti i cittadini il diritto, che è anche un dovere, di usare liberamente il loro voto a promuovere il bene comune”. È questa un’indicazione precisa per l’episcopato, da assumere “senza temere l’ostilità o l’impopolarità” e soprattutto “rifiutando ogni compromesso ed ambiguità”, senza conformarsi “alla mentalità di questo mondo”. Sono concetti non nuovi per Benedetto XVI. Ieri, però, li ha ribaditi al- zando i toni. Forse per orientare quei settori del mondo cattolico schierati apertamente con Dilma Rousseff, la candidata favorita dai pronostici. Vi è un “Manifesto di cristiani cattolici ed evangelici” elaborato dal teologo Marcelos Barros, sottoscritto anche da vescovi, a suo favore. Forse rivolto anche a quegli ambienti, il Papa ha aggiunto che “sarebbe totalmente falsa e illusoria qualsiasi difesa dei diritti umani politici, economici e sociali che non comprendesse l’energica difesa del diritto alla vita dal concepimento fino alla morte naturale”. Un’invito alla coerenza. Una presa di posizione che potrebbe condizionare l’esito delle votazioni. Già le polemiche dell’episcopato brasiliano contro la Rousseff - accusata più che per il suo passato radicale, per la sua militanza femminista, per avere avuto posizioni abortiste e favorevoli ai matrimoni gay - pare abbia avuto un peso sull’esito del voto dello scorso 3 ottobre, facendo mancare alla candidata voti che le avrebbero consentito di passare le elezioni al primo turno, malgrado il successo della “verde” Marina Silva. Il fatto che Rousseff abbia precisato che non intende modificare l’attuale normativa non ha rassicurato l’episcopato. La Chiesa fa azione preventiva.

Venerdì, 29 ottobre, 2010 - 10:45

 Fonte: http://www.lucacoscioni.it


PAPA CONTRO ABORTO NEL DISCORSO AI VESCOVI BRASILIANI
PAPA CONTRO ABORTO NEL DISCORSO AI VESCOVI BRASILIANI – “Sarebbe totalmente falso e illusorio qualsiasi difesa dei diritti umani politici, economici e sociali che non comprendesse un’energica difesa del diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale”. Ad affermarlo Benedetto XVI nel suo discorso ai vescovi brasiliani della Regione Nordeste V, ricevuti in Vaticano per la visita ad limina. Secondo il Papa “quando i progetti politici contemplano, apertamente o velatamente, la depenalizzazione dell’aborto o dell’eutanasia, allora l’ideale democratico, che e’ davvero tale quando riconosce e tutela la dignita’ di ogni persona umana, viene tradito nelle sue fondamenta”. “Cari fratelli nell’episcopato – raccomanda Ratzinger ai presuli – nella difesa della vita, non dobbiamo temere l’ostilita’??? e l’impopolarita’???, rifiutando ogni compromesso ed ambiguita’, che ci conformerebbero alla mentalita’??? di questo mondo”.

Luca Bagaglini

Fonte: http://www.direttanews.it


VATICANO - “Vi compete contribuire alla purificazione della ragione e al risveglio delle forze morali necessarie per la costruzione di una società giusta e fraterna” ricorda Benedetto XVI ad un gruppo di Vescovi del Brasile
Città del Vaticano (Agenzia Fides) – “Oggi vorrei parlarvi di come la Chiesa, nella sua missione di fecondare e di fermentare la società umana con il Vangelo, insegna all'uomo la sua dignità di figlio di Dio e la sua vocazione all'unione con tutti gli uomini, dalle quali derivano le esigenze della giustizia e della pace sociale, conformemente alla sapienza divina” ha detto il Santo Padre Benedetto XVI all’inizio del suo discorso rivolto ai Vescovi brasiliani della regione Nordeste 5, ricevuti il 28 ottobre, in occasione della visita Ad Limina. “Vi compete contribuire alla purificazione della ragione e al risveglio delle forze morali necessarie per la costruzione di una società giusta e fraterna – ha proseguito il Papa -. Quando però i diritti fondamentali della persona o la salvezza delle anime lo esigono, i pastori hanno il grave dovere di emettere un giudizio morale, persino in materia politica”. Tuttavia “sarebbe totalmente falsa e illusoria qualsiasi difesa dei diritti umani politici, economici e sociali che non comprendesse l'energica difesa del diritto alla vita dal concepimento fino alla morte naturale” ha sottolineato ancora il Santo Padre, ribadendo che “quando i progetti politici contemplano, in modo aperto o velato, la decriminalizzazione dell'aborto o dell'eutanasia, l'ideale democratico — che è solo veramente tale quando riconosce e tutela la dignità di ogni persona umana — è tradito nei suoi fondamenti”. Quindi ha esortato i Vescovi a non temere l'ostilità e l'impopolarità nella difesa della vita.
Ricordando quanto già affermato ad Aparecida, Benedetto XVI ha sottolineato la necessità di “una catechesi sociale e di un'adeguata formazione nella dottrina sociale della Chiesa” per i laici impegnati nell’ambito socio-politico. “Ciò significa anche che, in determinate occasioni, i pastori devono pure ricordare a tutti i cittadini il diritto, che è anche un dovere, di usare liberamente il proprio voto per la promozione del bene comune”. Infine il Santo Padre ha unito la sua voce a quella dei Vescovi brasiliani “in un vivo appello a favore dell'educazione religiosa, e più concretamente dell'insegnamento confessionale e diversificato della religione, nella scuola pubblica statale”, ricordando poi che “la presenza di simboli religiosi nella vita pubblica è allo stesso tempo memoria della trascendenza dell'uomo e garanzia del suo rispetto. Essi hanno un valore particolare nel caso del Brasile, dove la religione cattolica è parte integrante della sua storia”. (SL) (Agenzia Fides 29/10/2010)
2010-10-29


Papa contro l'aborto terapeutico si schiera con il vescovo di Recife
Il Santo Padre ha confermato le ragioni di monsignor Sobrinho

Il Pontefice ribadisce il suo no all’aborto terapeutico, sia in caso di pericolo per la salute materna che per interrompere una gravidanza frutto di uno stupro. Benedetto XVI, nel suo discorso in Angola pronunciato davanti al presidente della Repubblica del Paese africano, si è schierato apertamente contro l’aborto terapeutico e ha citato nel discorso il Protocollo di Maputo, documento nel quale si fa riferimento all’interruzione di gravidanza in caso di violenza sessuale o di pericolo di vita per il feto o per la madre.
In questo modo il Santo Padre ha confermato in modo esplicito le ragioni del vescovo di Recife, monsignor José Sobrinho, che ha scomunicato la madre e i medici di una bambina brasiliana di 9 anni violentata dal patrigno e rimasta incinta di due gemelli. A causa dei rischi per la sua vita la bambina è stata indotta ad abortire. Sobrinho ha fatto poi esplicito riferimento alla legge della Chiesa. E il Papa ieri, nel suo discorso ha affermato: «Devo anche riferire un’ulteriore area di grave preoccupazione: le politiche di coloro che, col miraggio di far avanzare "l'edificio sociale", minacciano le sue stesse fondamenta. Quanto amara è l’ironia di coloro che promuovono l’aborto tra le cure della salute "materna"! Quanto sconcertante la tesi di coloro secondo i quali la soppressione della vita sarebbe una questione di salute riproduttiva».
Nel testo ufficiale diffuso alla stampa vi era a questo punto un riferimento all’articolo 14 del Protocollo di Maputo. Questo documento, adottato dall’Unione Africana nel 2003, afferma all’articolo 14 dedicato ai «diritti in materia di salute e salute riproduttiva», la necessità di «proteggere i diritti riproduttivi delle donne autorizzando l’aborto terapeutico nei casi di violenza sessuale, stupro, incesto e quando portare avanti la gravidanza comporterebbe la salute mentale e fisica della donna o la vita della donna o del feto». E la vicenda della bambina brasiliana rientra in questo contesto, anche perché in Brasile l’aborto è permesso solo in caso di stupro. Con le sue affermazioni dunque Benedetto XVI dà ragione al vescovo di Recife che ha ricordato come l’aborto sia comunque condannato dalla legge della Chiesa.
Monsignor Sobrinho in una intervista al settimanale brasiliano Veja aveva a sua volta ricordato: «Voglio chiarire bene una cosa: non sono stato io a scomunicare i medici che hanno praticato l’aborto e la madre della bambina. Questo è falso, io non ho scomunicato nessuno. Ho semplicemente menzionato ciò che sta scritto nella legge della Chiesa nel canone 1398 del Codice di diritto canonico che chiunque può leggere. Per questa legge - ha aggiunto - qualunque persona che fa un aborto è scomunicata, attraverso una pena che si chiama latae sententiae, un termine tecnico che significa "automatica". Io - ha aggiunto - Sobrinho, ho semplicemente detto a tutti: "Abbiamo coscienza di questo. Qualunque persona che pratica un aborto nel mondo incorre in questa pena, anche se nessuno dice niente"».

21/3/2009 (11:38) - VIAGGIO IN AFRICA


VATICANO - Il Papa: «Non temere l'ostilità nella difesa della vita» - http://www.portaledibioetica.it

Lo ha detto Benedetto XVI ai vescovi brasiliani in visita ad limina: «Quando i diritti fondamentali delle persone o la salvezza delle anime lo richiedono, i pastori devono emettere un giudizio morale anche in materia politica». Il Papa ha anche ricevuto i membri della Pontificia Accademia delle Scienze (il testo del discorso), ai quali ha espresso la sua «gratitudine per la continua ricerca scientifica».

- Il testo del discorso ai vescovi brasiliani

«Oggi voglio parlarvi di come la Chiesa nella sua missione di fecondare e fermentare la società umana con il Vangelo, insegna all’uomo la sua dignità di figlio di Dio e la sua vocazione alla comunione con tutti gli uomini, da cui risulta l'esigenza della giustizia e della pace sociale, secondo la sapienza divina». Lo ha detto stamattina Benedetto XVI, ricevendo un gruppo dei vescovi della Conferenza episcopale del Brasile (Regione Nordeste V), in visita ad limina. «Tuttavia – ha aggiunto –, il dovere di operare per un giusto ordine sociale è proprio dei fedeli laici, che, come cittadini liberi e responsabili, si sforzano di contribuire a una giusta configurazione della vita sociale, rispettandone la legittima autonomia e l’ordine morale naturale». Ai vescovi tocca «contribuire alla purificazione della ragione e risvegliare le forze morali necessarie alla costruzione di una società giusta e fraterna». Per il Papa, «quando, tuttavia, i diritti fondamentali della persona o la salvezza delle anime lo richiedono, i pastori hanno il grave dovere di emettere un giudizio morale anche in materia politica». Nel formulare questi giudizi, i pastori devono prendere in considerazione il valore assoluto dei precetti morali negativi, «moralmente inaccettabili» alla base di una particolare azione «intrinsecamente cattiva e incompatibile con la dignità della persona».
La scelta di azioni cattive, ha chiarito il Pontefice, «non può essere riscattata dalla bontà di qualsiasi ordine, scopo, conseguenza o circostanza». Pertanto, «sarebbe totalmente falsa e illusoria qualsiasi difesa dei diritti umani politici, economici e sociali che non comprendesse un’energica difesa del diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale». Perciò, «quando i progetti politici contemplano, apertamente o velatamente, la depenalizzazione dell’aborto o dell’eutanasia, l’ideale democratico – che è davvero tale quando riconosce e tutela la dignità di ogni persona umana – è tradito nelle sue fondamenta».
«Cari fratelli nell’episcopato – ha chiarito il Santo Padre – nella difesa della vita, non dobbiamo temere l'ostilità e l'impopolarità, rifiutando ogni compromesso ed ambiguità, che ci conformerebbero alla mentalità di questo mondo”. Per “aiutare meglio i laici a vivere il loro impegno cristiano e socio-politico in modo unitario e coerente, è necessaria una catechesi sociale e un’adeguata formazione alla Dottrina sociale della Chiesa». «I Pastori – ha concluso - devono ricordare a ogni cittadino il diritto, che è anche un dovere, di usare liberamente il proprio voto per promuovere il bene comune».

IL PAPA ALLA PONTIFICIA ACCADEMIA DELLE SCIENZE
La “stima della Chiesa” e “la sua gratitudine” per “la continua ricerca scientifica”. Ad esprimerla è Papa Benedetto XVI ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze riuniti in sessione plenaria e ricevuti oggi dal Santo Padre. “I progressi compiuti nelle conoscenze scientifiche nel XX secolo, in tutte le sue varie discipline – ha detto il Papa – ha portato a una consapevolezza molto maggiore del posto che l'uomo e il pianeta occupano nell'universo”.
Il Papa ha osservato come nell’ultimo secolo, l’uomo ha compiuto più progressi che “in tutta la storia precedente dell'umanità”. Da qui la gratitudine della Chiesa per i risultati raggiunti. Allo stesso tempo il Papa ha sottolineato come gli scienziati stessi comincino ad apprezzare “sempre più la necessità di aprirsi alla filosofia”, riconoscendo che il mondo “esiste indipendentemente da noi”. Ed ha aggiunto: L'esperienza dello scienziato “è quindi quella di percepire una costante, una legge, un logos che lo scienziato non ha creato ma che può solo osservare”. La ricerca infatti conduce “ad ammettere l'esistenza di una ragione onnipotente, che è diverso da quello dell'uomo, e che sostiene il mondo. Questo è il punto di incontro tra le scienze naturali e la religione. La scienza pertanto diventa un luogo di dialogo, un incontro tra uomo e natura e, potenzialmente, anche tra l'uomo e il suo Creatore”.

28 OTTOBRE 2010


28 ottobre 2010 – Benedetto XVI AI VESCOVI BRASILIANI DELLA REGIONE NORDESTE - «Non temere l'ostilità nella difesa della vita» - Avvenire.it

Amati Fratelli nell'Episcopato,
«Grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo» (2 Cor 1, 2). Desidero innanzitutto ringraziare Dio per il vostro zelo e per la vostra dedizione a Cristo e alla sua Chiesa che cresce nel regionale Nordeste 5. Leggendo le vostre relazioni, mi sono potuto rendere conto dei problemi di carattere religioso e pastorale, oltre che umano e sociale, con i quali vi dovete misurare ogni giorno. Il quadro generale ha le sue ombre, ma ha anche segnali di speranza, come monsignor Xavier Gilles mi ha appena riferito nel saluto che mi ha rivolto, esprimendo i sentimenti di tutti voi e del vostro popolo.

Come sapete, negli incontri che si sono succeduti con i diversi regionali della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile, ho sottolineato i diversi ambiti e i rispettivi fattori del multiforme servizio evangelizzatore e pastorale della Chiesa nella vostra grande nazione; oggi vorrei parlarvi di come la Chiesa, nella sua missione di fecondare e di fermentare la società umana con il Vangelo, insegna all'uomo la sua dignità di figlio di Dio e la sua vocazione all'unione con tutti gli uomini, dalle quali derivano le esigenze della giustizia e della pace sociale, conformemente alla sapienza divina.
Intanto il dovere immediato di lavorare per un ordine sociale giusto è proprio dei fedeli laici che, come cittadini liberi e responsabili, s'impegnano a contribuire alla retta configurazione della vita sociale, nel rispetto della sua legittima autonomia e dell'ordine morale naturale (cfr. Deus caritas est, n. 29).

Il vostro dovere come vescovi, insieme al vostro clero, è mediato, in quanto vi compete contribuire alla purificazione della ragione e al risveglio delle forze morali necessarie per la costruzione di una società giusta e fraterna. Quando però i diritti fondamentali della persona o la salvezza delle anime lo esigono, i pastori hanno il grave dovere di emettere un giudizio morale,  persino in materia politica (cfr. Gaudium et spes, n. 76). Nel formulare tali giudizi, i pastori devono tener conto del valore assoluto di quei precetti morali negativi che dichiarano moralmente inaccettabile la scelta di una determinata azione intrinsecamente cattiva e incompatibile con la dignità della persona; tale scelta non può essere riscattata dalla bontà di nessun fine, intenzione, conseguenza o circostanza. Pertanto, sarebbe totalmente falsa e illusoria qualsiasi difesa dei diritti umani politici, economici e sociali che non comprendesse l'energica difesa del diritto alla vita dal concepimento fino alla morte naturale (cfr. Christifideles laici, n. 38). Inoltre, nel quadro dell'impegno a favore dei più deboli e dei più indifesi, chi è più inerme di un nascituro o di un malato in stato vegetativo o terminale? Quando i progetti politici contemplano, in modo aperto o velato, la decriminalizzazione dell'aborto o dell'eutanasia, l'ideale democratico — che è solo veramente tale quando riconosce e tutela la dignità di ogni persona umana — è tradito nei suoi fondamenti (cfr. Evangelium vitae, n. 74).

Pertanto, cari Fratelli nell'episcopato, nel difendere la vita «non dobbiamo temere l'ostilità e l'impopolarità, rifiutando ogni compromesso ed ambiguità, che ci conformerebbero alla mentalità di questo mondo» (Ibidem, n. 82). Inoltre, per aiutare meglio i laici a vivere il loro impegno cristiano e socio-politico in modo unitario e coerente,  come vi ho detto ad Aparecida, è «necessaria una catechesi sociale ed un'adeguata formazione nella dottrina sociale della Chiesa, essendo molto utile per ciò il Compendio della dottrina sociale della Chiesa». (Discorso inaugurale della V Conferenza generale dell'Episcopato dell'America Latina e dei Caraibi, n. 3). Ciò significa anche che, in determinate occasioni, i pastori devono pure ricordare a tutti i cittadini il diritto, che è anche un dovere, di usare liberamente il proprio voto per la promozione del bene comune (cfr. Gaudium et spes, n. 75). Su questo punto politica e fede s'incontrano. La fede ha, senza dubbio, la natura specifica di incontro con il Dio vivo che apre nuovi orizzonti ben al di là dell'ambito proprio della ragione. «Senza il correttivo fornito dalla religione, infatti, anche la ragione può cadere preda di distorsioni, come avviene quando essa è manipolata dall'ideologia, o applicata in un modo parziale, che non tiene conto pienamente della dignità della persona umana» (Viaggio apostolico nel Regno Unito, Incontro con le autorità civili, 17- ix- 2010). Una società può essere costruita solo rispettando, promuovendo e insegnando instancabilmente la natura trascendente della persona umana.

Così Dio deve trovare «un posto anche nella sfera pubblica, con specifico  riferimento  alle dimensioni  culturale, sociale, economica e, in particolare, politica» (Caritas in veritate, n. 56). Per questo, amati Fratelli, unisco la mia voce alla vostra in un vivo appello a favore dell'educazione religiosa, e più concretamente dell'insegnamento confessionale e diversificato della religione, nella scuola pubblica statale.Desidero anche ricordare che la presenza di simboli religiosi nella vita pubblica è allo stesso tempo memoria della trascendenza dell'uomo e garanzia del suo rispetto. Essi hanno un valore particolare nel caso del Brasile, dove la religione cattolica è parte integrante della sua storia. Come non pensare in questo momento all'immagine di Gesù Cristo con le braccia tese sulla baia di Guanabara che rappresenta l'ospitalità e l'amore con cui il Brasile ha sempre saputo aprire le sue braccia a uomini e donne perseguitati e bisognosi provenienti da tutto il mondo? Fu in questa presenza di Gesù nella vita brasiliana che essi s'integrarono armoniosamente nella società, contribuendo all'arricchimento della cultura, alla crescita economica e allo spirito di solidarietà e di libertà.Amati Fratelli, affido alla Madre di Dio e Nostra Madre,  invocata in Brasile con il titolo di Nossa Senhora Aparecida, questi auspici della Chiesa cattolica nella Terra della Santa Croce e di tutti gli uomini di buona volontà in difesa dei valori della vita umana e della sua trascendenza, insieme con le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini e delle donne della provincia ecclesiastica del Maranhão. Affido tutti alla Sua materna protezione e a voi e al vostro popolo imparto la mia benedizione apostolica.
Benedetto XVI



venerdì 29 ottobre 2010

Etica (filosofica) della sessualità - Pubblichiamo un lungo articolo di Giacomo Samek Lodovici tratto, con alcune alcune aggiunte successive fatte dall'autore, da R. Cammilleri (a cura di), Piccolo manuale di apologetica, Piemme 2004, pp. 127-144. – dal sito http://www.libertaepersona.org

0. È possibile valutare moralmente la sessualità umana con la sola ragione senza ricorrere alla fede?

È possibile ed è quello che stiamo per fare: le argomentazioni che svolgeremo fino al punto 37 possono essere condivise da qualsiasi uomo, perché non richiedono in alcun modo la fede, bensì solo il ragionamento filosofico.

Si noti: faremo delle considerazioni etiche e l’etica non è un apparato di vincoli che rendono infelici gli uomini, bensì l’indicazione del modo in cui conseguire la vera felicità (è un tema decisivo, ma non possiamo qui dimostrarlo, perciò siamo costretti a rinviare a Samek Lodovici 2002, cfr. bibliografia). Ad esempio (cfr. punti 5, 32 e 35), chi vive la sessualità secondo le indicazioni che esamineremo è molto più felice – ci sono dati sociologici al riguardo – di chi la vive in modo contrario.

Un’altra premessa è molto importante: giudicheremo negativamente certi atti e certi comportamenti, ma le persone che li praticano vanno trattate, perlomeno, con rispetto ed affetto.

1. Che cos’è l’atto sessuale?

La struttura corporea e psicologica dell’uomo indica che la sessualità differenziata e complementare degli esseri umani è orientata all’unione eterosessuale. È una complementarità che è segno ad un tempo di povertà che chiede completamento, e di dono che offre completamento. Questa complementarità si attua completamente nell’unione fisica, psichica e spirituale con il sesso opposto. Se l’atto sessuale è libero, interessa la totalità della persona.

2. L’atto sessuale è buono?

L’atto sessuale è buono quando è un’espressione di amore vero, quando è una forma della donazione di sé. Quando avviene in questo modo esso instaura la comunione, l’unione tra i soggetti che lo esercitano perché si vogliono bene e se lo esprimono nell’atto sessuale anche perseguendo il piacere reciproco.

3. L’atto sessuale è sempre moralmente buono?

Nei casi in cui l’atto sessuale ha come fine solo (e non anche) quello di ottenere il proprio piacere, esso realizza una strumentalizzazione dell’altro, dunque è egoistico e perciò ingiusto. Infatti, il piacere di per sé è buono, ma, come dice per esempio Kant, nessun uomo può mai essere reso strumento di un altro, cioè bisogna sempre rispettare la dignità umana, in quanto l’uomo non è una cosa, bensì ha un valore inestimabile.

4. Ma se due persone sono d’accordo a strumentalizzarsi a vicenda che male c’è?

Anche se due persone sono d’accordo a strumentalizzarsi a vicenda il loro rapporto resta connotato dall’egoismo, la loro relazione è una coincidenza di egoismi, cioè pur sempre di egoismo si tratta.

5. Se ci si vuole bene che male c’è ad avere rapporti sessuali fuori dal matrimonio?

L’atto sessuale (esercitato al modo del punto n. 2; non se esercitato al modo del n. 3) per sua natura unisce ed instaura un legame psichico (e non solo) duraturo. È un dato di fatto: chi ha avuto relazioni sessuali con varie persone, essendosi unito profondamente con esse, trova nelle successive relazioni più difficoltà ad instaurare rapporti profondi: se io ho avuto un rapporto con x resto legato a x. È un po’ come se una “parte” (psichica e spirituale) di me fosse rimasta presso x e una “parte” di x fosse rimasta presso di me. Parte di me rimane con lui e parte di lui rimane con me, anche se forse non ci rivedremo mai più, perché nell’atto sessuale siamo coinvolti fisicamente, psicologicamente e spiritualmente.
1) Pertanto, ogni legame con x, y, ecc., indebolisce il mio attuale rapporto con z, cioè, in qualche modo, il rapporto con x, y, ecc. incide negativamente sul rapporto con z.
2) Inoltre, proprio perché il partner precedente rimane in noi, il suo ricordo rimane in noi e suggerisce continui confronti con il nuovo; ma i confronti e le esperienze precedenti danneggiano il rapporto attuale poiché:
a) inducono insicurezza, perché si teme di non essere all’altezza del/dei precedenti partner sessuali;
b) distraggono dall’amato ed indeboliscono la comunione durante l’atto sessuale.
Perciò, di nuovo, ogni legame precedente indebolisce un mio nuovo rapporto, incidendo negativamente su di esso.

3) Oltre a ciò, sia il giorno delle nozze, sia la vita matrimoniale in generale, sono qualitativamente diversi per chi ha già avuto esperienze sessuali e per chi non le ha avute: se sposo chi ha già avuto tali rapporti mi sento privato dell’esclusività di un aspetto del mio coniuge molto intimo, quello della sfera sessuale, che è già stato condiviso con altri. E se sono io ad aver avuto rapporti, con ciò ho privato il mio coniuge di una dimensione molto intima di me, che è stata condivisa con altri.
Anche questo indebolisce il nostro attuale rapporto.

Per queste tre ragioni ogni atto sessuale intrattenuto con chi non è il compagno/compagna della mia vita rende meno profondo, indebolisce e rende meno stabile il rapporto con chi diventa il compagno/compagna della mia vita.

È vero che anche un fidanzamento casto instaura un legame, e non è detto che esso si concluda con il matrimonio, ma:
1) tale legame è molto meno forte di quello sessuale;
2) se non si incontra subito la persona giusta è inevitabile instaurare legami psicologici precedenti, mentre dall’atto sessuale ci si può astenere.

6. Ma l’atto sessuale non è almeno un modo di conoscersi e capire se due persone sono fatte l’una per l’altra?

No, perché l’atto sessuale ha un effetto deformante.
a) A volte esso fa provare un piacere intenso che porta ad attribuire all’altra persona delle caratteristiche positive, porta ad idealizzarla in modo entusiastico ed induce a minimizzare le differenze esistenti, facendo credere e sperare che le divergenze (riguardanti il carattere, gli interessi, la visione della vita) siano facilmente superabili. Talvolta diventa il tema dominante del rapporto, cioè l’unione fisica diventa quasi la soppressione di ogni altro discorso e finisce per mettere in secondo piano tutta l’opera di reciproca conoscenza, doverosa tra due persone che si frequentano per verificare se il loro rapporto potrà approdare al matrimonio.
Ma, quando l’iniziale entusiasmo si affievolisce, le divergenze e le incompatibilità necessariamente emergono e, tuttavia, il legame creatosi rende più arduo lasciarsi anche quando ci si rende conto che non si è fatti l’uno per l’altro.
Perciò l’atto sessuale prematrimoniale impedisce una vera e profonda conoscenza, porta persone incompatibili a continuare a frequentarsi e magari a sposarsi e dunque aumenta le probabilità di rottura dell’unione matrimoniale. Insomma, l’atto sessuale può cementare il rapporto tra un uomo e una donna, ma deve giungere al termine di un lungo percorso di conoscenza reciproca e di elaborazione di un progetto, altrimenti può a volte (non necessariamente, non sempre) avere un effetto contrario, cioè può portare a far poggiare il rapporto su qualcosa di fragile. Se faccio una colata di cemento sui muri in mattone di una casa in costruzione irrobustisco la casa stessa, ma se faccio la colata di cemento sui muri di paglia di una capanna distruggo la capanna.
Così, per esempio, da uno studio condotto su 6.577 donne americane risulta che: se una donna ha avuto rapporti sessuali prematrimoniali con uomini diversi da colui che è poi diventato suo marito, il rischio di fallimento del matrimonio aumenta fino al 114 % (J. Teachman, Premarital Sex, Premarital Cohabitation, and the Risk of Subsequent Marital Dissolution among Women, «Journal of Marriage and Family», 65 [2003], p. 452).
b) A volte esso delude e lascia un senso di tristezza (specialmente se non è espressione di un affetto autentico e di un amore pienamente maturato) e, in tal caso, conduce facilmente a premature ed erronee ipotesi di incompatibilità mentre, invece, le due persone potrebbe essere predisposte per sposarsi e, attraverso una più matura e profonda conoscenza reciproca, potrebbero conseguire un affiatamento i cui riscontri positivi si riprodurrebbero anche sull’atto sessuale.

7. Tutto questo cosa significa circa la moralità degli atti sessuali?

Significa che ogni atto extramatrimoniale, che sia prematrimoniale o adulterino non conta, è ingiusto, perché è lesivo della stabilità e della coesione matrimoniale e ciò è un male per tutte le sofferenze che lo sfascio di un matrimonio comporta. Esso aumenta le possibilità di sfacelo delle unioni matrimoniali, con tutte le sofferenze che la rottura di un matrimonio comporta, per gli eventuali figli e per gli stessi coniugi (cfr. punto 32).

8. Ma se due persone sono spinte dai loro sentimenti verso l’unione fisica e sentono ciò come qualcosa di buono, come è possibile che l’atto sessuale verso cui sono spinte sia un male?

Riflettiamo sulle emozioni. Due donne mi suscitano emozioni identiche di attrazione, della stessa intensità (almeno per qualche tempo), e mi chiedono entrambe di intrattenere con loro una relazione esclusiva. In questa situazione ciò che importa notare è la presenza in me di due emozioni contraddittorie, che hanno la stessa intensità: essa dimostra che l’emozione non è una guida infallibile della condotta umana e quindi ciò che sentiamo positivo e che (a volte) perciò riteniamo buono, può anche non esserlo.
Inoltre, a volte, a posteriori, noi giudichiamo fuorvianti i giudizi che le emozioni passate avevano suscitato in noi e che ci erano parsi indefettibili, cioè comprendiamo che esse hanno offuscato il nostro giudizio sul modo di agire verso una certa persona. Per esempio, diciamo di esserci sbagliati su una persona per cui provavamo sentimenti di simpatia e di fiducia, che invece già allora era cinica, sleale, scorretta, malintenzionata nei nostri confronti, ecc.

9. Come bisogna valutare moralmente la contraccezione?

Anzitutto bisogna precisare che la contraccezione concerne gli atti sessuali esercitati liberamente, perciò, per esempio, una donna può lecitamente ricorrere ad una misura anticoncezionale in relazione ad uno stupro (cfr. Rhonheimer 2001, pp. 451-452), che non è un atto sessuale libero.
A parte ciò, abbiamo già detto che un atto sessuale è buono se non è egoistico, cioè se è espressione di donazione, di comunione e di promozione dell’altro, quando consiste nel darsi all’altro e nell’accogliere l’altro, non nella propria esteriorità, bensì nella propria interiorità ed identità irripetibili.
Ma questo significa che la contraccezione non è una forma di donazione, dunque è ingiusta, perché sovente vi si ricorre perché ciò che si cerca nel rapporto sessuale è solo il piacere proprio e dunque si strumentalizza l’altro, annullando la fecondità per evitare di procreare.

10. Ma c’è anche chi ricorre alla contraccezione solo perché in quel momento non è in grado di crescere ed allevare dei figli.

Anche in questo caso la valutazione morale della contraccezione resta negativa. Infatti, evitare la generazione equivale pur sempre ad escludere sia l’accoglienza della fecondità altrui sia la donazione della fecondità propria. È un po’ come dare ad un amico un libro strappando prima alcune parti centrali: il mio gesto non è di donazione; allo stesso modo, quando ricevo un libro da un mio amico, se strappo alcune parti centrali il mio gesto non è di accoglienza, bensì di rifiuto. Similmente, se incontro un amico che mi fa il gesto di abbracciarmi e mi metto la giacca a vento prima di abbracciarlo, o mi infilo un guanto prima di stringergli la mano, il mio gesto è di distacco-difesa.

Tra l’altro, i contraccettivi hanno un tasso di inefficacia alto: la probabilità di gravidanza è del 13-15 % (cfr. Lelkens 1994, Harlap 1991 Jejeebhoy 1991) e quando un figlio viene dunque concepito, ciò può portare alla decisione gravissima di ricorrere all’aborto, può sconvolgere la vita a chi non è preparato, o alla scelta di abbandonare il bambino, o all’abbandono della madre da parte del padre del bambino, ed è chiaro che tutte queste situazioni sono molto dannose per la madre e per un bambino che nasce.

10.1. E per evitare l’aids?

Anche se nessuno lo dice e può sembrare sorprendente, i contraccettivi, che già non impediscono con certezza le gravidanze, sono anche molto meno efficaci nei confronti dell’Aids! Chi intrattiene rapporti sessuali con una persona infetta ha un alto rischio, del 10-20 % di contrarre questa malattia (cfr. per es. http://www.zenit.org/article-17816?l=italian; i dati degli studi divergono: secondo alcuni di essi è del 30 %! cfr. Weller 1993; Lelkens 1994). Perciò propagandare i contraccettivi è gravissimo e significa favorire l’aumento del contagio, perché significa promuovere il libertinismo sessuale spacciando un’inesistente sicurezza del contraccettivo, è un po’ come dire “non preoccupatevi, fate tutte le esperienze sessuali che volete, tanto non c’è da temere nulla”.
Solo promuovendo l’astinenza e la fedeltà si può diminuire il contagio: simili programmi educativi sono stati adottati con successo in vari Paesi. Per esempio negli Stati Uniti: nei luoghi dove sono stati applicati, il numero delle gravidanze precoci è calato del 38 % e quello degli aborti è sceso del 50 %. O in Uganda, dove il tasso di infezione dell’Aids è sceso dal 21 % al 6 % e dove ultimamente sta risalendo, proprio perché la maggiore disponibilità di antivirali e preservativi ha fatto calare fedeltà è astinenza.

E, allora, se veramente voglio bene a qualcuno non devo minimamente rischiare di trasmettergli un virus letale o comunque terribile come quello dell’Aids. E non devo nemmeno rischiare io di prendere questa malattia, perché il dovere di preservare la mia salute.

11. Ma allora quali sono le condizioni propizie per la nascita e la crescita di una nuova vita umana?

È chiaro che un atto aperto alla generazione della vita deve svolgersi nel contesto più propizio per la nascita, la crescita e l’educazione di un nuovo essere umano, vale a dire deve svolgersi nel contesto di una relazione interpersonale costituita da un legame solido e stabile come è il legame matrimoniale.

12. Ma nemmeno il matrimonio offre una garanzia totale: alcuni matrimoni falliscono.

È vero, ma è quanto più vicino ad una garanzia che la società abbia saputo inventare. Una tale cerimonia è senz’altro più degna di fede di qualunque promessa privata sussurrata in segreto. Una promessa privata non è sufficiente quando si acquista una casa o si entra nell’esercito; in questi casi occorre firmare ed impegnarsi pubblicamente. È fondamentale chiedere altrettanto a chi sta prendendo l’impegno più importante della sua vita: si deve impegnare davanti alla società e davanti a Dio a rispettare il patto sancito con il coniuge.

Inoltre l'antropologia culturale ci dice che ogni ritualizzazione di un impegno assunto (in questo caso la celebrazione delle nozze), riconosciuta dalla società, aumentala percezione dell’importanza di un impegno e quindi il desiderio di onorarlo.

13. Questo significa che ogni atto sessuale infecondo è ingiusto?

Ogni figlio è un bene, ma ci possono essere dei validi motivi (lavorativi, di salute, psicologici, economici, ecc.) che legittimano l’esercizio di rapporti sessuali infecondi nei periodi non fertili della donna, cioè che legittimano il ricorso ai cosiddetti “metodi naturali”, vale a dire alla continenza periodica.

14. Qual è la differenza tra l’atto sessuale esercitato quando la donna non è feconda e l’atto sessuale in cui si ricorre alla contraccezione?

Dal punto di vista degli effetti nessuno, perché si tratta in entrambe i casi di atti che hanno come effetto evitare la generazione. Del resto, dal punto di vista degli effetti non c’è nessuna differenza tra rubare un libro in libreria o acquistarlo. Ma dal punto di vista degli atti che producono questo effetto c’è una profonda differenza, come, appunto, tra il furto e l’acquisto del libro.
a) Infatti, come abbiamo detto, la contraccezione non è una donazione/accoglienza propria e dell’altro: se io incontro una persona, è estate, e questa persona mi vuole abbracciare e io mi metto una giacca a vento o mi infilo un guanto prima di stringerle la mano, il mio gesto non è di amicizia, bensì di rifiuto/distacco/difesa; invece l’atto sessuale esercitato quando la donna non è fertile comporta l’accoglienza/donazione della persona propria e dell’altro, persona che in quel momento è infeconda: se io incontro una persona ed ho già indossato la giacca a vento o il guanto, oppure se la giacca a vento o il guanto in quel momento sono saldati alle mie mani (per es. pensiamo a chi ha rapporti quando la donna è in menopausa) e fanno parte in quel momento della mia natura, il gesto resta un gesto di amicizia.

È vero che il momento dell’infecondità viene calcolato, ma in ciò non c’è niente di male, come non c’è niente di male, per avere un libro, ad aspettare che una libreria faccia una promozione regalando dei libri.

b) Inoltre nella contraccezione si abdica all’impulso sessuale, limitandosi a eliminare la dimensione generativa degli atti sessuali; invece con la continenza periodica si esercita una solida padronanza di sé in uno degli ambiti dell’esistenza umana più difficili da padroneggiare, perché bisogna saper esercitare la continenza (che è come pazientare per avere il libro aspettando la promozione) verso impulsi sessuali che capitano in periodi fecondi, e si esplica una conoscenza di sé, perché bisogna conoscere i ritmi biologici del proprio corpo.

In ogni caso, chi non accetta che ci sia differenza tra la contraccezione e la continenza periodica, non può concludere che la contraccezione diventa giusta quando ci sono gravi motivi per evitare la generazione (perché la contraccezione resta ingiusta per tutti i motivi che abbiamo detto ai punti 9 e 10), bensì dovrebbe solo dire che anche la continenza periodica è ingiusta e che l’unico modo per evitare la generazione sarebbe la castità.

15. Ma se due persone hanno già deciso di sposarsi e non usano mezzi contraccettivi che male c’è se intrattengono rapporti sessuali?

Il problema è che qualsiasi fidanzamento, anche quello più solido, può sciogliersi anche il giorno stesso del matrimonio, come talvolta succede. Due persone che intrattengono rapporti prematrimoniali possono anche essere fermamente risolute e convinte a sposarsi, ma non ne hanno la certezza, non possono sapere se la loro decisione non muterà, come di fatto talvolta avviene. Perciò se nascono dei figli valgono i punti 10 e 11; e se ci sono stati rapporti sessuali è molto più doloroso porre fine ad un rapporto anche se si vede bene che non può funzionare; inoltre, come abbiamo detto (cfr. punto 5) i rapporti successivi saranno più vulnerabili e fragili.

16. Ma se due fidanzati che intendono sposarsi hanno rapporti solo nei periodi infecondi il discorso non cambia?

No, perché, come abbiamo già detto, è sempre possibile che essi alla fine non si sposino, e dunque i rapporti che hanno avuto ostacoleranno quelli futuri: la comunione fisica crea legame, perciò indebolisce i rapporti futuri (cfr. punto 5) e nessuno ha la certezza che sposerà la persona con cui intrattiene rapporti (cfr. punto 15).
Per tutto ciò che si è fin qui considerato, dunque, non è detto che i rapporti pre-matrimoniali preludano realmente al matrimonio; anzi, il più delle volte sono anti-matrimoniali.

17. Che valore ha la procreazione?

Oggi i paesi industrializzati tendono a dare un significato molto riduttivo ai figli, spesso visti come un impedimento, oppure come una forma di gratificazione per i genitori. Ma l’amore tra l’uomo e la donna è dilatato dalla nascita dei figli, perché essa incrementa la comunione come donazione di sé. Pensiamo al legame profondissimo che si crea nella coppia alla nascita di un figlio; al diverso modo di donarsi che è chiesto al padre e alla madre; al contributo unico che le relazioni filiali e fraterne danno alla vita di relazione nella famiglia; al richiamo alla responsabilità che ogni figlio rivolge al genitori, che spesso abbandonano comportamenti pericolosi o poco salutari, per amore dei figli; al fatto che i figli obblighino ad interrogarsi sulle questioni più profonde.

18. Ricapitolando quanto detto fin qui, perché un rapporto prematrimoniale è ingiusto?

1) È ingiusto tutte le volte che tramite esso si cerca solo il piacere personale e si strumentalizza l’altro (cfr. punto 3).

 2) È ingiusto perché esso produce comunione e crea legame, dunque, mancando la garanzia che il mio partner attuale sarà il compagno/a per tutta la vita, incide negativamente sul rapporto con chi poi diventa realmente il compagno/a per tutta la vita (cfr. punto 5).

3) È ingiusto perché mi priva dell’esclusività di un aspetto molto intimo del mio coniuge, che è stato condiviso con altri (punto 5) il che è un male.

4) È ingiusto perché ostacola la vera conoscenza reciproca (cfr. punto 6). In questi tre casi 2), 3) e 4) esso rischia di provocare lo sfascio della mia famiglia (con tutte le sofferenze e il dolore che ciò comporta),

5) È ingiusto tutte le volte che si ricorre alla contraccezione (cfr. punti 9 e 10).

6) È ingiusto anche se non si ricorre alla contraccezione, perché esso non dà garanzie che il potenziale nascituro possa nascere, crescere ed essere educato da suo padre e da sua madre (cfr. punti 10, 11 e 16).

Etica (filosofica) dell'affettività [parte 2]
Di Rassegna Stampa (del 29/10/2010 @ 17:27:01, in Bioetica, linkato 23 volte)
Pubblichiamo la seconda parte di un lungo articolo di Giacomo Samek Lodovici tratto, con alcune alcune aggiunte successive fatte dall'autore, da R. Cammilleri (a cura di), Piccolo manuale di apologetica, Piemme 2004, pp. 127-144.

18. Ricapitolando quanto detto fin qui, perché un rapporto prematrimoniale è ingiusto?

1) È ingiusto tutte le volte che tramite esso si cerca solo il piacere personale e si strumentalizza l’altro (cfr. punto 3).

2) È ingiusto perché esso produce comunione e crea legame, dunque, mancando la garanzia che il mio partner attuale sarà il compagno/a per tutta la vita, incide negativamente sul rapporto con chi poi diventa realmente il compagno/a per tutta la vita (cfr. punto 5).

3) È ingiusto perché mi priva dell’esclusività di un aspetto molto intimo del mio coniuge, che è stato condiviso con altri (punto 5) il che è un male.

4) È ingiusto perché ostacola la vera conoscenza reciproca (cfr. punto 6). In questi tre casi 2), 3) e 4) esso rischia di provocare lo sfascio della mia famiglia (con tutte le sofferenze e il dolore che ciò comporta),

5) È ingiusto tutte le volte che si ricorre alla contraccezione (cfr. punti 9 e 10).

6) È ingiusto anche se non si ricorre alla contraccezione, perché esso non dà garanzie che il potenziale nascituro possa nascere, crescere ed essere educato da suo padre e da sua madre (cfr. punti 10, 11 e 16).

19. Come bisogna valutare la convivenza prematrimoniale?

Essa è biasimabile tutte le volte che costituisce una forma di rifiuto dell’impegno, cioè quando è motivata dal rifiuto di donarsi all’altra persona, perché allora è una forma di egoismo di chi vuole strumentalizzare l’altra persona per ricavarne la propria gratificazione, senza assumersi impegni e responsabilità nei suoi riguardi. È un vivere come marito e moglie, in cui però si cercano gli aspetti gratificanti di questa relazione, evitando molti dei doveri che questa relazione richiede.

20. Ma ci sono anche persone che convivono e si vogliono realmente bene e che vogliono fare un test molto significativo, circa l’opportunità di sposarsi, per conoscere il proprio affiatamento.

È vero, ma anche se due soggetti la praticano come forma di donazione, in essa si praticano atti sessuali e dunque resta ingiusta perché:

a) gli atti sessuali creano comunione e non detto che i due soggetti poi restino insieme, dunque vale il punto 5.

b) Gli atti sessuali intrattenuti in precedenza dal mio coniuge mi privano dell’esclusività di un suo aspetto molto intimo (punto 5)

 c) gli atti sessuali hanno effetto deformante (punto 6), quindi la convivenza è un pessimo test per provare l’affinità di due soggetti.

d) Inoltre, chi convive ricorre poi più facilmente al divorzio, perché con questa sorta di «matrimonio in prova», ci si abitua all'idea che i rapporti e le relazioni tra uomo e donna siano esperienze «a termine», con «clausola di rescissione» e che quindi possono cessare.

e) Ancora, abbiamo già detto che l'antropologia culturale ci dice che ogni ritualizzazione di un impegno assunto (in questo caso la celebrazione delle nozze), riconosciuta dalla società, aumenta la percezione dell’importanza di un impegno e quindi il desiderio di onorarlo. Di questa inimicizia tra convivenza e matrimonio si trovano ormai diverse conferme in varie ricerche sociologiche: per esempio, uno studio di due ricercatori della Bowling State University (USA) ha documentato che il rischio di naufragio del matrimonio aumenta del 46 % quando i coniugi hanno precedentemente convissuto (cfr. A. De Maris – K. Vaninadha Rao, Premarital Cohabitation and Subsequent Marital Instability in the United States, «Journal of Marriage and the Family», 54 (1992), pp. 178-190; da notare che questo studio ne passa in rassegna diversi altri, che hanno dato risultati simili).

f) se si ricorre alla contraccezione cfr. punti 9 e 10.

g) se non si ricorre alla contraccezione vale il punto 11.

h) se si ricorre alla continenza periodica vale il punto 16.

21. Ma perché chi si sposa deve restare unito per tutta la vita? Questa è una convinzione dei cristiani.

Nel dibattito sul divorzio che si svolse nel 1974 all’epoca del referendum, e nei discorsi su questo tema che si fanno tutt’oggi, si deve rilevare un cospicuo equivoco, cioè l’erronea convinzione secondo cui solo i credenti, mediante la fede, possono sostenere l’indissolubilità del matrimonio. Quest’opinione è un errore cospicuo, perché l’indissolubilità del matrimonio religioso non è solo una verità di fede, bensì anche una verità che qualunque uomo può comprendere, anche se non è cristiano, anche se è ateo, mediante la sola ragione. Sembra paradossale, ma possiamo dimostrare che non lo è.

22. Come è possibile? Amarsi significa provare dei sentimenti di trasporto verso un altro, dunque quando questi sentimenti non ci sono più il legame, su cui è fondato un matrimonio, viene meno.

Per comprenderlo bisogna riflettere sul contenuto del consenso che gli sposi esprimono nel momento del matrimonio. Infatti, il matrimonio nasce dal consenso libero degli sposi che si promettono: a) l’amore esclusivo, la donazione per tutta la vita, qualsiasi cosa accada, cioè anche se l’altro mi picchierà, mi tradirà, diventerà pazzo, ecc.; b) l’apertura alla generazione/educazione dei figli.

Chi non promette queste due cose o le promette senza essere sincero (o nasconde qualcosa all’altro prima del matrimonio), non è mai stato sposato. Perciò in casi simili è improprio dire che il matrimonio tra due persone è annullato, perché più propriamente esso è nullo fin dal principio, vale a dire non c’è mai stato. Quindi in questi casi non si verifica una rescissione del legame matrimoniale e dunque non c’è divorzio, bensì solo la presa di consapevolezza che tale legame non è mai sussistito.

23. Due coniugi promettono di amarsi, ma che cosa significa amare? Che cos’è l’amore a cui si impegnano vicendevolmente? Non è appunto provare dei sentimenti?

Amare una persona non significa, almeno non primariamente, provare trasporto verso di essa, avvertirne il fascino, esserne emotivamente attratti, «stare bene insieme». L’amore è accompagnato sovente dal sentimento, dal fascino, dallo stare bene insieme, ma non coincide con il sentimento (che pure è importante), col fascino e con lo stare bene insieme. Il greco e non cristiano Aristotele già nel IV sec. a.C. ha spiegato che l’amore è un atto della volontà, che amare significa volere il bene dell’altro (cfr. Retorica 2,4). Dire «ti voglio bene» significa «io voglio il tuo bene», cioè cerco di realizzare il tuo bene, di procurarlo, di favorirlo. Per es., anche se mio figlio mi disgusta per il suo comportamento, al punto che ne sono emotivamente respinto, io lo amo se cerco di favorire lo stesso il suo bene, la sua crescita, ecc.

Non solo: amare una persona significa amarla nella sua identità, cioè amare il suo io, che è unico e irripetibile, amarla per ciò che essa è in modo irripetibile, non per delle caratteristiche che anche altre persone possono avere, come la simpatia, la bellezza, la ricchezza, la gradevolezza, la gentilezza, ecc. Amare veramente una persona non significa amare la sua simpatia, bellezza, ricchezza, ecc., cioè quelle sue prerogative che ci risultano utili o gradevoli; chi ama la simpatia, bellezza, ricchezza di una persona, in realtà non sta amando quella persona, ma sta amando se stesso perché, consapevolmente o inconsapevolmente, sta usando l’altra persona per il proprio vantaggio e per la propria gratificazione. È sempre il greco e non cristiano Aristotele (Etica Nicomachea 1156a 14-24) a dirlo.

Ciò significa che due persone sposate, avendo promesso di amarsi per tutta la vita, hanno promesso di cercare il bene del coniuge, di amarlo nella sua identità irripetibile ed unica. Se il contenuto della loro promessa non era questo, essi non sono mai stati sposati.

24. Ricapitolando, allora, perché il matrimonio è indissolubile?

Possiamo comprenderlo con la sola ragione, senza ricorrere alla fede, se consideriamo che nel momento del consenso due sposi si sono impegnati liberamente e consapevolmente: a) ad amarsi (cioè a volere e cercare il bene dell’altro) in modo esclusivo per tutta la vita, qualsiasi cosa accada (anche se l’altro mi picchierà, mi tradirà, diventerà pazzo, se cambierà e diventerà completamente diverso, ecc); b) ad essere aperti alla vita. Infatti, i coniugi si sono presi l’impegno di volersi reciprocamente bene qualsiasi cosa accada, di donarsi all’altro, al suo io unico e irripetibile, alla sua identità personale per tutta la vita: dunque il loro impegno è indissolubile.

25. Chiedere o subire il divorzio: è lo stesso?

A volte può avvenire che uno dei coniugi sia vittima del divorzio, che non lo abbia affatto voluto e lo abbia invece subito: è chiaro che in questo caso la sua condizione di divorziato non comporta colpa. Questo, naturalmente, non lo autorizza a formare una nuova unione con un’altra persona.

Ci sono, poi, dei rari casi in cui è moralmente possibile chiedere il divorzio, quando il divorzio civile risulta essere l’unico modo possibile per assicurare certi diritti legittimi, quali la cura dei figli o la tutela del patrimonio (è così anche per la Chiesa, cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2383). Colui che chiede il divorzio in questi casi deve però, di fatto, considerare perdurante il vincolo coniugale e non formare una nuova unione.

26. Però quando tra due coniugi non c’è più il sentimento iniziale il matrimonio non sussiste più, perché il sentimento non si può produrre.

A parte il fatto che il sentimento lo si può in parte favorire, per esempio cercando di vivere tutta la vita come dei fidanzati che si fanno sorprese e regali, che escono alla sera, che coltivano interessi comuni, ecc., comunque, come abbiamo già detto, nel consenso gli sposi non promettono di restare insieme finché provano uno slancio emotivo nei confronti del proprio sposo, bensì promettono di cercare il suo bene per tutta la vita.

27. Ma il divorzio serve a fare esperienza, dagli insuccessi si impara e i secondi matrimoni vanno meglio dei primi.

Il tasso di divorzio nei secondi matrimoni è in realtà molto più elevato che nei primi. Quando viene meno la convinzione dell'indissolubilità si apre la diga delle «prove a ripetizione» alla ricerca del legame giusto.

28. Qual è la differenza tra il divorzio e la separazione? La separazione è moralmente ammissibile?

Quando si giunge ad una situazione in cui la stessa convivenza è diventata veramente insostenibile, la separazione è ammissibile perché i coniugi non hanno promesso di vivere insieme per tutta la vita, bensì hanno promesso di volere il bene dell’altro per tutta la vita, quindi possono separarsi se la convivenza provoca realmente del male all’altro; ma ciascuno dovrà continuare a cercare il bene dell’altro, perciò dovrà sempre mantenere la disponibilità a tornare a vivere insieme, dovrà cercare di restaurare il rapporto, cioè cercare di ripristinare le condizioni della convivenza, in quanto dalla convivenza sortisce per ciascuno degli sposi quel bene che è il mutuo aiuto, il sostegno e la collaborazione reciproca. L’esperienza insegna che con questa disposizione la ricomposizione non è un’utopia, ed esistono dei casi di ricongiungimento. È difficile, ma non impossibile.

29. Esistono altre ragioni per difendere razionalmente l’indissolubilità del matrimonio?

L’argomentazione che abbiamo esposto vale per giustificare l’indissolubilità di qualsiasi matrimonio, ma se ne può indicare una seconda, che vale nel caso in cui dal matrimonio siano nati dei figli. Abbiamo visto (cfr. punto 11) che il contesto propizio per la nascita, la crescita e l’educazione di un figlio è quello di una famiglia stabile e solida. Ebbene, il divorzio è una grave ingiustizia nei riguardi dei figli, li fa sempre soffrire molto, li ferisce psicologicamente e affettivamente.

Questi discorsi possono essere suffragati da diversi studi e noi ci limitiamo solo a qualche dato, attingendo dalle ricerche condotte nei paesi anglofoni, dove è ormai chiara e ampiamente monitorata la profonda negatività del divorzio sui figli.

In Gran Bretagna i bambini con un solo genitore, rispetto a quelli che vivono con entrambi, hanno un rischio doppio di patire per malattie psicosomatiche o per la depressione e di manifestare comportamenti antisociali (cfr. O’Neill, 2002). Negli Usa l’11 % dei figli dei divorziati ha trascorso un periodo in carcere prima di compiere 32 anni, contro il 5 % dei figli con famiglie intatte (cfr. McLanahan – Sandefur, 1994). Inoltre, ricerche degli anni novanta (su cui cfr. Fiorin, 2008) rilevano che i figli i cui padri erano assenti determinavano il 71 % degli abbandoni scolastici, il 75 % dei casi di adolescenti tossicodipendenti, il 70 % dei minorenni in istituti di recupero ed il 63% dei suicidi giovanili; ed a New Orleans, una ricerca degli anni ottanta sui bambini del reparto di psichiatria dell’ospedale, ha mostrato che nell’80 % dei casi la patologia era connessa all’assenza del padre. Si obbietta che questi fenomeni sono causati non solo dal divorzio, bensì anche dal conflitto che lo precede. Ma (cfr. Amato – Booth, 1997) ciò è vero solo in alcuni casi, perché il 66 % dei divorzi avviene in situazioni di bassa conflittualità tra i coniugi.

Purtroppo le ferite del divorzio si rimarginano difficilmente.

Infatti (cfr. Marchesini, 2007), anche quando diventano adulti, i figli dei separati e dei divorziati, rispetto ai bambini i cui genitori restano uniti, hanno: risultati economici inferiori; problemi comportamentali (come aggressività, atti delinquenziali ed altri comportamenti antisociali); maggiori problemi di salute; più frequenti sintomi depressivi; un maggior uso di alcolici, di fumo e di droghe. Si dirà che questi problemi riguardano solo i figli che restano a vivere con un genitore che dopo il divorzio resta solo, mentre non sussistono quando una nuova figura entra in casa. Tuttavia, nelle famiglie allargate – contrariamente a quello che si potrebbe credere – la situazione per i figli non migliora; anzi, almeno in certi casi, peggiora. Per esempio (cfr. Fagan – Johnson – Butcher, 1996), negli Stati Uniti i figli degli sposati sono coinvolti in risse o tafferugli nel 28,8 % dei casi, rispetto al 39,5 % dei figli di divorziati che rimangono a vivere con un solo genitore ed al 42 % di quelli la cui madre vive con un nuovo uomo, che non è il padre del ragazzo/a. Il 13 % dei figli degli sposati ha commesso un furto del valore di 50 dollari o più, contro il 19 % dei figli di divorziati che rimangono a vivere con un solo genitore ed il 22,6 % di quelli la cui madre vive con un nuovo uomo, che non è il padre del ragazzo/a. Ancora, il 20,3 % dei figli degli sposati è stato sospeso da scuola, rispetto al 37 % dei figli di divorziati che rimangono a vivere con un solo genitore e al 40,8 % di quelli la cui madre vive con un nuovo uomo, che non è il padre del ragazzo/a.

Infine, non è solo l’aumento della povertà prodotto dal divorzio a causare queste conseguenze negative per i figli (cfr. Fagan, 1995), bensì anche e soprattutto il non poter vivere e crescere con i loro genitori biologici uniti.

30. Ma se i genitori non vanno d'accordo, per i figli non è meglio che divorzino?

Non è vero. Secondo studi americani (cfr. AA.VV. 1998, pp. 239-249; Amato – Booth 1997; Wallestein – Lewis – Blakeslee 2000), solo il bambino che si trova in famiglie altamente conflittuali trae beneficio dalla rimozione del conflitto che il divorzio «potrebbe» portare. In realtà, nei due terzi di matrimoni che si concludono con il divorzio, il conflitto è medio-basso, e quindi la soluzione migliore è che i genitori, invece di divorziare, continuino a rimanere insieme, affrontando i loro problemi per cercare di risolverli.

31. Però i figli dei divorziati, avendo sofferto per la divisione dei loro genitori, sono molto più cauti nella scelta del coniuge ed evitano di divorziare a loro volta, per non infliggere le stesse sofferenze ai propri figli.

Anche questo è falso. I figli dei divorziati, quando diventano adulti, hanno un tasso di divorzio nettamente maggiore dei figli di famiglie unite. Infatti i bambini imparano da quello che vedono: se i genitori divorziano, la capacità poi di mantenere per tutta la vita un matrimonio unito è stata indebolita (cfr. Amato 2001; Wolfinger 2000, pp. 1061-1086).

32. Ma se due persone sono infelici, perché non possono risposarsi e farsi una nuova vita?

Il divorzio viene difeso come toccasana per riportare la felicità alle persone infelicemente sposate.

Ma, in primo luogo, un fine buono (essere felici) non giustifica mezzi ingiusti (il divorzio).

In secondo luogo, in realtà ricerche sociologiche americane (cfr. Waite – Gallagher 2000) mostrano che tra le persone che, pur considerando infelice il loro matrimonio, erano rimaste insieme, cinque anni più tardi il 64% ha dichiarato che il loro rapporto era poi diventato molto felice, mentre si dichiaravano felici solo il 19% di coloro che avevano divorziato e si erano risposati. Anche coloro che consideravano il proprio matrimonio molto infelice, in 86 casi su 100 si dichiaravano felici cinque anni dopo, se erano rimasti insieme.

Del resto già l’Associazione ex ha documentato che il divorzio non è una prassi indolore: in Italia, dall’aprile 1993 al giugno del 2004 su 49.883 casi di divorzi, separazioni e cessazioni di convivenza, l’86,7% ha avuto implicazioni penali come calunnia, minacce, sottrazione di minore, percosse, maltrattamenti, lesioni, sequestro di persona, violenza privata, violenza sessuale.

E, sempre in questo periodo, in seguito a divorzi, separazioni o cessazioni di convivenze sono maturati 712 fatti di sangue e sono morte 1015 persone.

Per non parlare dei costi sociali del divorzio per lo Stato. Per esempio in Georgia le cause concernenti disgregazioni familiari costituiscono il 65 % di tutti i processi a livello di Corte d’appello (Flynn 2007). E in Gran Bretagna (www.avvenireonline.it/Famiglia/Documenti+e+Rapporti/20060112.htm), il crollo della famiglia rappresenta un peso economico notevole lo Stato: supera ampiamente i 20 miliardi di sterline l’anno, la maggior parte dei quali vengono spesi per le sovvenzioni ai genitori single. Se ci fossero meno separazioni familiari e meno nuclei monoparentali, ci sarebbero meno bambini da prendere in carico, meno persone senza casa, meno dipendenza dalla droga, meno criminalità, meno domande per i servizi sanitari, meno bisogno di insegnanti di sostegno nelle scuole, migliori risultati medi nell’ambito educativo e meno disoccupazione. Tutto ciò farebbe risparmiare denaro ai contribuenti e alcuni degli aspetti sopraelencati contribuirebbero addirittura a una migliore performance economica dello stato in generale.

33. Ma l’esistenza del divorzio non favorisce la tenuta di matrimonio, visto che i mariti amano di più le mogli nel timore di perderle?

No, perché chi sa di essere unito indissolubilmente cerca in tutti i modi di far andar bene il matrimonio; chi invece sa che il matrimonio si può sciogliere, si impegnerà di meno per assicurarne la riuscita (per esempio, avrà meno scrupoli a tradire il coniuge), perché sa che tanto esso non è definitivo (uno studente che studia in una scuola esigente si impegna di meno se sa che i suoi genitori, nel caso in cui egli vada male, lo trasferiranno in una scuola facile per evitargli la bocciatura).

34. Ma al giorno d’oggi la tenuta di un matrimonio per tutta la vita non è un’utopia?

Poiché il matrimonio è una scelta per tutta la vita è fondamentale un cammino accurato di preparazione ad esso, ma non bisogna farsi scoraggiare dalla rappresentazione offerta dai media circa il matrimonio: non è vero che è impossibile restare insieme tutta la vita e che i matrimoni si sfasciano inesorabilmente. Ci sono moltissimi casi di matrimoni riusciti ed inossidabili, che non vengono però mai rappresentati, dove i problemi che sorgono vengono superati. Un matrimonio di questo genere, che si è conservato e anzi alimentato fino in tarda età, è quello descritto da Montale:

 Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale / e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. / Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio. / Il mio dura tuttora, […] / Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio / non già perché con quattr'occhi forse si vede di più. / Con te le ho scese perché sapevo che di noi due / le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, / erano le tue. (E. Montale, Tutte le poesie, Meridiani Mondadori, p. 309).

35. Ma il matrimonio per tutta la vita non è noioso?

No, perché l’amore davvero fedele genera un rapporto molto ricco e fecondo, è un cammino nel quale ciascuno sostiene l’altro nelle difficoltà della vita, gode di più delle gioie perché le può condividere, cresce personalmente nello sforzo per essere amabile e smussare gli spigoli che rendono difficile la convivenza. La fedeltà non è rigidità, perché l’amore ricomincia ogni giorno, e può essere creativamente inventato ogni giorno. Perciò il matrimonio non è la tomba dell’amore, bensì la sua scuola, in cui continuamente si scopre l’inesauribile ricchezza dello sposo: come dice Plutarco, l’amore “non solo non va mai soggetto all’autunno, ma fiorisce anche tra i capelli bianchi e le rughe, e si prolunga fino alla morte e alla tomba”.

Anzi, esistono studi sociologici (cfr. Waite – Gallagher, cit.) che indicano che sposarsi è meglio: Il matrimonio aumenta la sicurezza e l'incolumità personale. Le nozze diminuiscono le probabilità che la donna, e anche l'uomo, diventino vittime di violenza, inclusa la violenza domestica.

Gli sposati vivono più a lungo e in modo più sano. Lo si vede chiaramente nella mezza età: 9 su 10 uomini e donne sposati arrivano a 65 anni, contro 6 su 10 uomini non sposati e 8 su 10 donne.

Il matrimonio aiuta i figli. Nel matrimonio i bambini crescono più sani, vivono più a lungo e tendono a rimanere fuori dai guai se i genitori, oltre che essere sposati, rimangono uniti.

Chi è sposato è più fedele. Gli uomini che hanno scelto la convivenza rispetto alle nozze sono quattro volte più infedeli dei mariti, e le donne conviventi tradiscono otto volte più che le mogli.

Il matrimonio fa bene alla salute mentale. Uomini e donne sposati sono meno depressi, meno ansiosi e meno psicologicamente stressati dei non sposati, divorziati o vedovi.

Si vive meglio. Nell'insieme, il 40 % delle coppie sposate si dichiara «molto felice della vita», affermazione sottoscritta solo dal 25 % dei non sposati o dei conviventi.

I figli sono più legati ai genitori. I figli adulti di matrimoni stabili sfuggiti alla tentazione del divorzio mantengono con i loro genitori contatti più regolari di quanto facciano i figli dei divorziati (o di coppie conviventi), che spesso sono letteralmente abbandonati e dimenticati, soprattutto se i loro genitori convolano a nuove nozze ed hanno altri figli. Ed è più probabile che i figli di coppie stabili a loro volta realizzino nozze stabili.

La sessualità è migliore e più frequente. Sia i mariti che le mogli che vivono un'unione duratura affermano di avere una vita sessuale soddisfacente, più di quanto dichiarino coloro che non sono sposati o convivono. Lo confermano le considerazioni di due sostenitori del sesso libero come Sartre e Moravia, che hanno definito l’esistenza come «nausea» e come «noia».

36. Perché la Chiesa difende l’etica sessuale che è stata fin qui esposta? Perché è sessuofoba?

Al contrario, la Chiesa difende un modo preciso di esercitare la sessualità perché è sessuofila, cioè vuole che il sesso sia esercitato secondo il suo vero e autentico significato, cioè come espressione di vero amore, e in modo rispettoso della dignità umana.

37. Ma Gesù non ha mai detto niente di simile sul sesso.

Al contrario, non soltanto egli ha proibito il divorzio: «l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola […]. Quello che dunque Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi» (Mt 19, 5-6); ma ha inoltre detto: «Avete inteso che fu detto: “Non commettere adulterio”; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso un adulterio nel suo cuore» (Mt 5, 27-29).

38. Ma la Chiesa non potrebbe modificare queste sue posizioni per rendersi più popolare?

 No, perché la Chiesa non ha come scopo quello di conquistare il consenso in quanto tale, bensì di custodire l’insegnamento di Dio e difendere la dignità umana, a costo di subire delle persecuzioni.

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