martedì 30 novembre 2010

Giulietta e Romeo e il diritto alla morte – di Marco Luscia del 29/11/2010, in Attualità da http://www.libertaepersona.org

In questi giorni sui giornali e alla televisione si riflette riguardo alla trasmissione di Fabio Fazio dove si è affrontato il tema dell'eutanasia. Ho già avuto modo di osservare sul blog come si sia trattato di un programma a tema, che ha esposto una sola tesi e questo a dire degli autori per un problema di chiarezza e di scelta di campo. Mettiamo da parte la chiarezza, visto che la richiesta della associazioni pro-life, cattoliche e non, di partecipare ad una puntata del programma per presentare “l'altro punto di vista” è stata rigettata.

L'unica chiarezza che interessa Fazio e soci -la scelta di campo- è quella che la tesi pro autodeterminazione risulti la sola da promuovere, in quanto più civile e al passo con l'Europa. I testimonial qualificati c'erano, essi hanno proclamato “il verbo della presunta pietà” in una “stanza” dalla quale erano assenti le migliaia di malati e dei loro parenti che quotidianamente testimoniano la dedizione e l'amore per l'uomo, in qualsiasi stato si trovi. In tal modo nove milioni di italiani hanno sentito una campana suonata da un eroe della lotta alla camorra, probabilmente convincendosi che le parole dette da un eroe valgono di per se.

La tecnica di manipolazione delle coscienze è sempre la stessa; il mondo dello spettacolo si offre per plasmare pazientemente l'opinione pubblica. E “l'Europa evoluta” delle lobby eutanasiche, pro aborto, pro suicidio assistito, sottraendosi ad ogni reale dibattito garantisce l'autorevolezza di questi “programmi”. Il fatto che l'intera Europa promuova idee che minano la dignità umana non significa che l'Italia debba aggiornarsi, per mettersi al passo.

 E' evoluta una società che esalta come un valore il divorzio rapido, che estende la possibilità d'aborto oltre ogni limite temporale, che considera la famiglia un residuo del passato, che esalta l'amore multiplo cioè la poligamia, perché la fedeltà costa ed è un retaggio del cattolicesimo più becero, che disintegra l'idea dei sessi, sostituendola con il concetto sfumato di genere, che avvalla il superamento di termini come padre e madre, in nome del più politicamente corretto, progenitore a e progenitore b?! Ascoltando le argomentazione di alcuni miei alunni relativamente al problema del diritto alla morte ho avvertito che il vento gelido dei programmi for death, soffia sempre più forte.

Sono disinformati, cinici, disprezzano i malati, fanno coincidere la vita degna di essere vissuta con il modello imposto, del corpo sano, della piena autodeterminazione, dell'efficienza. Arrivano a dire che l'infelicità nega un diritto fondamentale, quello alla felicità, e perciò comprendono l'infelice che pone fine alla propria vita. Concepiscono l'uomo come un atomo, senza relazioni, come un assoluto senza alcun vincolo e tutto questo lo fanno perché non pensano, perché nessuno li fa più pensare. “Se la prendono con me” in quanto oso contestare il loro dogmatismo, perché li invito a difendere i più deboli; poi, magari sono così diligenti nel risolvere equazioni e integrali, dimostrando come la ragione ridotta al puro calcolo possa dar luogo a dei mostri analfabeti della vita. Ma il terreno è stato arato e i semi sono caduti, in attesa del raccolto, in attesa di un referendum che prima o poi arriverà, un democratico pronunciamento popolare che consacrerà l'ennesimo regresso di civiltà. Sono pessimista? E' un punto di vista, ma vedrete.

Su di una cosa voglio però ancora soffermarmi, un punticino rispetto al quale i saccenti ragazzotti vacillano assieme ai loro cattivi maestri: l'idea di libertà; il fatto che una scelta possa dirsi libera soltanto se esercitata consapevolmente e non determinata dall'urgenza, dalla paura, dall'angoscia.

Ricordate Giulietta e Romeo? Lei, la fanciulla innamorata si determinò liberamente per la morte perché convinta il suo Romeo fosse morto. Ma fu la scelta giusta quella compiuta dall'infelice fanciulla? Certo, lei decise, affermo il proprio diritto di morire. Ma lo avrebbe fatto se avesse saputo?...Oh se Giulietta avesse atteso, solo qualche minuto, se la disperazione non l'avesse subitaneamente trascinata nel baratro. Se le famiglie in lotta avessero per un attimo riposto le armi, se i messi avessero portato il messaggio della morte apparente di Romeo in tempo. Se... in una parola, le informazioni fossero state disponibili... tutte! Non avremmo la tragedia, non rifletteremmo su questo amore infelice. Eppure ogni volta che rivediamo o rileggiamo questa storia vorremmo le cose andassero diversamente, vorremmo entrare per un attimo nella trama e dire a Giulietta: Romeo sta solo dormendo, aspetta! Questa storia dice chiaramente che la libertà di Giulietta fu una falsa libertà, un principio, che perciò, la condusse alla rovina.

Ma nella finzione, nella creazione artistica, sul singolo caso, possiamo meditare, cogliendo perfettamente come le cose dovessero andare, come il finale “atteso dal cuore” esigesse un diverso epilogo. E' giocando su questo che il grande drammaturgo Inglese dipinge la trama alla ricerca del phatos. Ma questa è un'opera letteraria in cui volutamente gli indizi e le informazioni che avrebbero salvato l'amore di Giulietta e Romeo, mancano. Nella vita reale, “la libertà” vuole invece ogni dettaglio, vuole e deve conoscere tutto per potersi esercitare, vuole gli ostacoli umani, economici, psicologici, culturali siano rimossi. Se ciò non accade il diritto all'autodeterminazione è solo un beffa, una scorciatoia individualistica che non ha a cuore l'uomo reale e il suo destino. La conferma di quanto asserisco da tempo.

La nostra è una società feroce, individualistica, totalmente estranea ai più deboli, in una parola, materialistica. Mi si potrebbe a questo punto accusare di astrattismo o di utilizzare abili sofismi per sfuggire un problema reale. E' lecito di fronte a qualche caso di persone che non vogliono più vivere perché troppo sofferenti o perchè in coma irreversibile prevedere una legge che regolamenti questi casi? Credo che regolamentare con una legge anche un solo caso apra la via ad una serie infinita di casi che in breve tempo allargherebbero le maglie della nostra sensibilità rispetto ai malati, in modo irreversibile, diverremmo cioè incapaci di accettare il limite e il dolore e cercheremmo pertanto di eliminarlo.

 Vi sono costi occulti che non possiamo prevedere, ma possiamo star certi che in breve, l'idea di vita degna di essere vissuta muterebbe, creando tutta una serie di persone che considererebbero la malattia, anche psichica, una ragione sufficiente per morire, persone malate che si avvertirebbero come un peso, come qualche cosa che la società non può mantenere. Allo stato attuale invece i casi di rivendicazione del diritto alla morte in Italia sono pochissimi, proprio perché non esiste una legge.

 Dare la morte, credo debba restare “un problema”, che passi attraverso una riflessione vissuta caso per caso, una battaglia di singoli che si assumono l'onere del loro gesto e la fatica di realizzarlo. Lo stato non può e non deve avvallare l'ambiguità di una scelta personale, che se normata, in breve diventerebbe “banale”, prevista, anticipata- nel caso del testamento biologico-. La civiltà che affonda le proprie radici nel cristianesimo non può, senza morirne, cancellare un tabù che millenni di cultura hanno piantato in noi.

L'origine e l'inizio non ci appartengono, sono sacri. Non vogliamo vedere i nostri malati i nostri vecchi andarsene lontano a morire, per non disturbare il mondo dei vivi come fanno i cani. Ci sono molti modi per accelerare la morte, modi che la sapienza medica e umana da sempre pratica: si evita l'accanimento terapeutico, si seda eccessivamente un malato sofferente, si sospendono le cure, sono modi sufficienti, essi contemplano la stragrande maggioranza dei casi. Per il resto, quel poco che per alcuni è tutto, nessuna legge può e deve stabilire come e quando accelerare la morte. Questo è un abisso in cui possono entrare solo i singoli assumendosene tutta la responsabilità. E' uno spazio privato che non può diventare pubblico.
LE REGOLE MINIME DEL BENE COMUNE - ROMA, lunedì, 29 novembre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'articolo a firma di mons. Bruno Forte, Arcivescovo di Chieti-Vasto, apparso su Il Sole 24 Ore di domenica 28 novembre scorso.

* * *
È possibile parlare ancora oggi del “bene comune” come principio ispirativo fondamentale dell’agire politico? Se si guarda agli scenari e ai protagonisti della politica italiana di questi ultimi tempi, si sarebbe tentati di dire di no. La gente comune sente distante il dibattito politico, non concentrato sui problemi reali delle famiglie: lavoro, salute, casa, giovani, scuola, sanità, anziani. Intere aree del Paese aspettano dal potere centrale un’attenzione che non c’è, non solo le aree tradizionalmente segnate da problemi irrisolti, come il Mezzogiorno, ma anche quelle provate da recenti traumi, come le alluvioni in Veneto, restate ai margini dell’agenda politica. C’è chi - per sostenere l’inattualità del tema “bene comune” - invoca la “società liquida” postmoderna, dove tutti hanno il proprio modo di comprendere il bene, spesso in antitesi ad altre visioni: è questo che renderebbe impossibile individuare mete condivise, per cui ci si dovrebbe accontentare di regole minime per garantire la reciproca tolleranza, rinunciando a ogni interesse per il “bene comune”. C’è chi, constatando la sproporzione fra le energie spese a proporre e sostenere leggi che riguardano pochi e quelle destinate ai problemi che riguardano tutti, conclude che siamo ormai nel tempo in cui la legge del più forte ha soppiantato la forza della legge, lasciando libero campo al potente di turno perché tuteli e promuova i propri interessi, anche a scapito di quelli dei più. La coincidenza di questa stagione politica con il centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia non sembra aver gran che risvegliato la passione per il “bene comune”, nonostante i pur alti e ripetuti richiami del massimo garante dell’unità nazionale, il Presidente della Repubblica. Alcuni comportamenti privati di uomini politici, poi, segnati da un’impressionante decadenza etica, confermano la lontananza vistosa fra agire politico e tensione morale. Il “bene comune” appare disatteso, irrilevante: ne deriva una diffusa sensazione di disgusto verso gli scenari della politica, che in alcuni diventa tentazione di disimpegno e di qualunquismo, in altri perfino di rivolta. Una considerazione fatta molti anni fa da Corrado Alvaro può essere utile per reagire a un simile quadro: “La tentazione più sottile che possa impadronirsi di una società è quella di pensare che vivere rettamente sia inutile”.
Per ritrovare il senso e la passione del “vivere rettamente” mi sembra necessario tornare alla forza ispiratrice e critica del “bene comune”: è questo lo stimolo che la Chiesa ha il dovere di offrire. Il Concilio Vaticano II aveva definito il “bene comune” come “l’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono, sia alle collettività che ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente” (Gaudium et spes, n. 26). Il servizio del “bene comune” implica, dunque, la responsabilità e l’impegno per la realizzazione piena di tutti e di ciascuno come condizione fondamentale dell’agire politico. Questo è possibile solo se il “bene comune” non è la semplice risultante della spartizione dei beni disponibili, ma una meta che trascende ciascuno con la sua esigenza morale e proprio così ci accomuna. Aver a cuore la promozione e la tutela della vita di tutti; servire la crescita di tutto l’uomo in ogni uomo, mettendo al centro la dignità di ogni persona umana, quale che sia la sua condizione, la sua storia, la sua provenienza e la sua cultura; obbedire alla verità, sempre: questo è impegnarsi per il “bene comune”. Sarebbe, però, sbagliata l’idea che il “bene comune” sia definito nelle sue forme concrete una volta per tutte, senza discernere il senso che esso assume nella complessità delle situazioni storiche: “La costruzione di un giusto ordinamento sociale e statale, mediante il quale a ciascuno venga dato ciò che gli spetta, è un compito fondamentale che ogni generazione deve nuovamente affrontare” (Benedetto XVI, Deus Caritas est, n. 28). L’impegno per il “bene comune” è allora piuttosto uno stile di vita, un agire caratterizzato da alcune scelte di fondo, da richiedere a chi sia impegnato o voglia impegnarsi in politica, augurandoci che la riforma dell’attuale sistema elettorale torni a dare ai cittadini la facoltà di scegliere le persone di cui fidarsi. Riassumerei queste scelte in cinque indicazioni, che mi sembrano indispensabili per chi voglia servire il “bene comune”.
In primo luogo, l’impegno per l’etica pubblica e la morale sociale deve essere indissociabile dall’impegno etico sul piano personale: va rifiutata la logica della maschera, che coniughi “vizi privati e pubbliche virtù”. Questo comporta il riconoscimento del primato della coscienza nell’agire politico e il diritto di ciascun rappresentante del popolo all’obiezione di coscienza su questioni eticamente rilevanti, ma vuol dire anche che la credibilità del politico andrà misurata sulla sobrietà del suo stile di vita, sulla generosità e costanza nell’impegno, sulla fedeltà effettiva ai valori proclamati (ad esempio a proposito dell’istituto familiare). In secondo luogo, nel rapporto con i cittadini il politico dovrà seguire la massima formulata così da don Lorenzo Milani e dai ragazzi della sua scuola di Barbiana: “Appartenere alla massa e possedere la parola”. Il politico dovrà essere vicino alla gente, ascoltarne i problemi, farsi voce delle istanze di giustizia di chi non ha voce e sostenerle. I politici non siano al servizio del padrone di turno, ma del popolo. Nell’impegno in vista del “bene comune” i poveri, i senza parola, i socialmente deboli siano considerati come riferimenti cui è dovuto ascolto e rispetto: lo “stato sociale”, l’istruzione e la tutela della salute per tutti, non sono una conquista opinabile, ma valori irrinunciabili, da tutelare e migliorare liberandoli da sprechi e assistenzialismi che non servono ai poveri. In terzo luogo, la dialettica politica andrà sempre subordinata alla ricerca delle convergenze possibili per lavorare insieme al servizio del “bene comune”: corresponsabilità, dialogo e partecipazione vanno anteposti a contrapposizioni preconcette o a logiche ispirate a interessi personali o di gruppo. Il “bene comune” va sempre preferito al proprio guadagno o a quello della propria parte politica. In quarto luogo, nel servizio al “bene comune” occorrerà saper accettare la gradualità necessaria al conseguimento delle mete: la logica populista del “tutto e subito” ha spesso motivato promesse non mantenute, quando non la violenza e l’insuccesso di cause anche giuste. Occorre puntare al fine con perseveranza e rigore, senza cedere a compromessi morali e ritardi ingiustificati e senza mai ricorrere a mezzi iniqui.
Ogni scelta fatta in vista del “bene comune” non va misurata sulla sola efficacia immediata, ma soprattutto sulla sua valenza e il ruolo educativo al servizio di tutti. Così, in particolare, l’impegno per i valori fondamentali della tutela della vita umana in tutte le sue fasi, della promozione della famiglia, della giustizia per tutti, del rifiuto della guerra e della violenza in ogni forma e dell’impegno per la pace. Infine, chi intenda operare per il “bene comune” deve considerare come scopo del suo servizio il bene di tutti, anche degli avversari politici, che perciò non vanno mai considerati come nemici o concorrenti da eliminare, ma come garanzia di confronto critico in vista del discernimento delle vie migliori per giungere alla realizzazione della dignità personale di ciascuno. Questo insieme di regole minime si riassume in un appello ai protagonisti della politica, particolarmente urgente in questa fase di crisi: occorre un sussulto morale, che dia a tutti, specialmente ai giovani, ragioni di vita e di speranza! La scelta è fra una deriva egoistica e lesionista e, appunto, il “bene comune”, il bene che - superando ciascun appetito individuale - libera e unisce tutti. La posta in gioco non è il guadagno di alcuni, ma il futuro che costruiremo insieme. Ci saranno politici pronti a rispondere oggi all’appello per un simile ritorno al primato del “bene comune”?

domenica 28 novembre 2010

Biotestamento, lo strappo dell’Anci: «Legittimi i registri» - «Si tratta di una competenza dei Comuni». I giuristi Gambino e Marini: documenti senza fondamento di legge di Domenico Montalto – Avvenire, 28 novembre 2010

MILANO. I registri comunali di biotestamento sono legittimi. Lo sostiene l’Anci – l’Associazione dei comuni italiani – che in una nota tecnica pubblicata sul suo sito (www.anci.it) ribadisce «i presupposti della legittimità della istituzione e tenuta» degli elenchi per la raccolta delle dichiarazioni anticipate di trattamento che ciascun cittadino intenda ricevere o rifiutare nelle situazioni in cui perda la capacità di esprimere una propria volontà sul fine vita. Secondo l’Anci, presieduta dal sindaco di Torino Sergio Chiamparino, «la questione di fondo è se, fermo restando che i Comuni non hanno certamente competenza in materia di 'fine vita', essi possano o meno istituire registri per raccogliere eventuali dichiarazioni relative alla fine vita e se si secondo quali modalità e limiti». La conclusione è che l’esistenza di tali registri può essere ricondotta allo svolgimento delle funzioni amministrative del Comune riguardanti «la popolazione e il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità».

Si tratta di un parere «tecnico» senza alcun valore cogente, ma anche di un evidente e netto schiaffo politico al governo, che nei giorni scorsi – con una circolare emessa da ben tre ministeri,Welfare, Interno e Salute – aveva dichiarato «nulli» i registri, reputando che gli enti locali, stando alle norme del diritto pubblico, non possono arrogarsi una materia di «esclusiva competenza statale» e parlamentare. Chiaro il commento in merito del sottosegretario alla Salute Eugenia Rocella, che conferma il giudizio del governo: «Questi elenchi non sono affatto un servizio al cittadino, ma solo documenti che – in base alle nostre attuali leggi – non hanno alcuna efficacia. Siamo di fronte, perciò, a pura ideologia che si traduce in una presa in giro del cittadino, del quale questi registri violano, tra l’altro, i diritti di privacy e di consenso informato».

Secondo i costituzionalisti l’uscita dell’Anci è fuori luogo. Per Alberto Gambino, giurista e docente all’Università Europea di Roma, «l’attività delle amministrazioni locali deve seguire i principi di correttezza.

Tecnicamente, i municipi hanno facoltà di raccogliere atti notori, ma in questo caso tali atti non possono avere effetto perché manca una legislazione sul fine vita. Si tratta qui, dal punto di vista della finalità, di documenti inutili». Anche per Francesco Saverio Marini, docente all’Università di Tor Vergata, la posizione dell’Anci «è assolutamente criticabile perché fonda la propria competenza su un presupposto errato, ovvero che il Comune sia l’ente a competenza universale, cosa che non è vera. Questa competenza infatti non esiste, e quindi non può essere esercitata dai Comuni, che non a caso fanno qui appello ad appigli generici. Si tratta insomma di un’impostazione sbagliata, perché mancante del necessario passaggio normativo». «Inoltre – conclude Marini – con la tenuta di tali elenchi, i Comuni impiegano risorse pubbliche per competenze che non hanno, configurando quindi una palese violazione del principio di legalità». 
Scienza&Vita: il Dna non detta un destino - il convegno - A dieci anni dal sequenziamento del genoma, speranze e rischi Contro ogni determinismo, Dellapiccola evidenzia l’effetto di ambiente e stili di vita. Romano: «Le persone non sono cose» - DA ROMA - PIER LUIGI FORNARI – Avvenire, 28 novembre 2010

La seconda giornata dell’incontro della associazione Scienza&Vita, dedicata al convegno '10 anni dopo il sequenziamento del genoma umano', mette in guardia dall’«assurdità» di qualsiasi tentativo di fondare un «determinismo » o un «riduzionismo » sulla base di quella importante scoperta scientifica. In questa linea il co­presidente di Scienza&Vita, Lucio Romano, conclude il convegno con l’allarme lanciato da Junger Habermas sul rischio della scomparsa, a causa della manipolazione degli embrioni, della «distinzione tra 'persone' e 'cose'». Ai lavori del conve gno è stato presente il segre tario generale della Cei, il ve scovo Mariano Crociata.

«L’analisi delle criticità e merse in questo convegno – ha detto Romano – dimostra come sono stati curati nei minimi particolari quegli a spetti che Scienza&Vita co­niuga sempre nella sua azio ne: la dimensione della fede e quella della ragione. Sono le due ali, come ha afferma to la 'Fides et ratio', che ci permettono di riconoscere la verità». Così bisogna por tare avanti il compito della associazione: «Cultura, for mazione, informazione, educazione in uno spazio pre politico che poi confluisce naturalmente nella biopolitica ». Il genetista Bruno Dallapiccola, l’altro copresidente di Scienza&Vita, ha confutato qualsiasi determinismo genomico, per cui per dirla con una copertina di Time: 'Il nostro Dna non è il nostro destino', perché grande peso resta all’impatto dell’ambiente e degli stili di vita. Le promesse suscitate da questa grande scoperta scienti fica, ha sostenuto Dallapiccola in una lezione magi strale, saranno verificabili solo in un arco di tempo molto lungo di ricerca, mentre i rischi sono ora le speculazioni che promettono, ad esempio, l’individuazione del cromosoma x dell’autismo (inesistente), o il matrimonio felice su base genomica. C’è il rischio che la genomica predittiva crei mala ti immaginari, mentre lunga e difficile è la strada della farmacologica.

L’igiene sanitaria si è trasformata in medicina di sanità pubblica, ha spiegato Gualtiero Walter Ricciardi, do cente di questa disciplina al la Cattolica, anche per evita re che si ripetano casi, come quello di una giovane, suici da per aver saputo della sua suscettibilità al tumore alla mammella.

«Si sta tentando di scipparci e mistificare la dimensione degli affetti – ha ammonito Paola Binetti – per dipinger ci come coloro che in nome dei principi si servono di scoperte biologiche per riaffermare il potere della tecnica. Ma per noi difendere la vita è una battaglia d’amore».

La docente di bioetica della Cattolica, Maria Luisa Di Pietro ha analizzato con gran de attenzione le ambivalenze di una mentalità utilitaristica e riduttiva, con le sue nuove forme pervasive di eugenetica. «Mai può considerasi terminata la missione di creare cultura, con una ben precisa antropologia di riferimento – ha asserito –. Si deve tener il lume sempre ben acceso sulle nuove forme di rifiuto delle vite considerate non degne di essere vissute». «I genitori che amano i loro figli allettati, sanno che quel l’amore è la forza della vita», ha osservato Renza Barbon Galluppi, presidente della federazione malattie rare, narrando la sua esperienza dal la sofferenza della figlia al l’impegno organizzativo per sensibilizzare istituzioni e medici. «Serve coraggio per le battaglia giuste – ha affermato il direttore de 'Il Messaggero', Roberto Napoletano –: scuola, ricerca, informazione e divulgazione corrette ». 
«La famiglia che cura? Per i media non esiste» - Belletti: «Umiliati tutti, non solo i parenti dei disabili» - Dall’assemblea di Roma il Forum delle associazioni familiari esce con un duro documento sulla scelta di Fazio e Saviano: «Inaccettabile la violenza della non-parola» - DA MILANO VIVIANA DALOISO – Avvenire, 28 novembre 2010

L a malattia, la sofferenza, non sono mai fatti individuali. Colpiscono fisica mente una sola persona, ma quella persona è anche un padre, oppure una mo glie, o una sorella, un figlio, un nipote: sta in relazione con altri. In una parola, è parte di una famiglia. Ecco perché oltre il volto dei malati, oltre le loro disabilità o menomazioni fisiche, c’è sempre qualcun altro. Che si fa carico di questa sofferenza, che la sostiene, che fa sacrifici e combatte per alleviarla. «Si pensa che queste situazioni siano rare, in I talia – spiega Francesco Belletti, presidente del Forum delle associazioni familiari –, le si considera come 'casi limite'. E invece si sbaglia.

La dimensione del la sofferenza e quella della cura sono proprie di ogni famiglia, sono la normalità. Per questo il non dare loro voce, il far finta che non esistano, ferisce così tanto».

Questo è un punto interessante: le famiglie con carichi assistenziali sono la normalità.

È proprio così. Dai più banali infortuni sportivi, alle influenze fino alla presa in carico di un genitore anziano e poi, nei casi più gravi, dei disabili, la famiglia è il luogo della cura. Prendersi cura dell’altro, sostenerlo nel bisogno, affiancarlo nella sfida alla sofferenza – piccola o grande che sia – è la sostanza stessa del fare famiglia. E prima o poi la sperimentiamo tutti.

Fa specie che questa fotografia della realtà sia così distorta a livello mediatico...

Sempre più spesso assi stiamo alla tendenza dei mezzi di comunicazione a nascondere la sofferenza o addirittura a pro porre come alternativa alla cura la “liberazione” dalla malattia. Questo atteggiamento, purtrop po, contribuisce ad ag gravare la dimensione dell’isolamento in cui si trovano le famiglie: sole nell’affrontare problemi e compiti, si sento no ancora più sole di fronte all’indifferenza dei media. Che soffrono dell’incapacità to tale di racconto se al di fuori di una dimensione emergenziale o drammatica.

L’associazionismo e il fare rete sul territorio, però, aiuta?

È fondamentale, ed è la risorsa che le famiglie hanno immediatamente trovato, nel caso di quelle con disabili o malati a carico già negli anni Cinquanta. Non chiuder­si, fare tesoro dell’esperienza dell’altro, poter parlare senza vergogna: questo è un aiu to concreto.

Nella vicenda Fazio-Saviano cosa ha infastidito maggiormente le famiglie?

La totale indifferenza, anzi quasi lo spregio, nei confronti della fatica quotidiana. Il fatto che questa fatica non sia stata e non voglia essere ri conosciuta. Queste fa­miglie sanno bene che la cura dei propri familiari, fragili e inermi, mentre custodisce la dignità delle vite più fragili esprime come dignitosa proprio la vita di chi cura. E vogliono poterlo raccontare.

Qualcuno ha persino a vanzato l’ipotesi che queste famiglie siano quelle 'forti': hanno tutti i privilegi e nessuna legge impedisce loro di tenere in vita e assistere i loro cari. Altri, invece, hanno detto che sarebbero solo alla ricerca di «soldi pubblici per associazioni private».

Rimanderei al mittente entrambe le ipotesi, del tutto prive di fondamento. Non hanno al cun potere e non lo ri vendicano, queste fami glie. Non chiedono nul la e non devono dimo strare nulla. Vogliono potersi raccontare, però. Eppure su di loro viene esercitata la violenza della non parola: solo questo dovrebbe dire di quanto “potere” godono.

Come si sta muovendo il Forum rispetto alla vicenda?

Abbiamo immediatamente aderito all’appello di Avvenire. Ieri, poi, al termine del l’assemblea abbiamo approvato un documento in cui ribadiamo con forza la richiesta che le famiglie dei disabili gravi abbiano diritto di replica e che le posizioni sul tema del fine vita siano ribilanciate. Il servizio pubblico lo deve all’intera società civile.
POSSO PARLARVI DELL’AMORE VERO? - Cari benpensanti noi siamo vivi e degni - Si dovrebbe guardare alla vita umana come mistero non riducibile al suo livello biologico È una questione radicalmente 'laica' di MARIO MELAZZINI – Avvenire, 28 novembre 2010

« L a ragione specifica: concedere un cosiddetto diritto di replica alle associazioni pro vita, significherebbe avallare l’idea, inaccettabile, che la nostra trasmissione sia stata 'pro-morte', mentre abbiamo raccontato due storie di vita... La Rai dispone di spazi adatti per dare voce alle posizioni del movimento pro-vita, che del resto già ne usufruisce ampiamente». (nota sottoscritta da Fazio, Saviano e dagli autori di 'Vieni via con me'). Ma siete proprio sicuri delle vostre affermazioni, signori Fazio, Saviano, Serra, eccetera? Non ne sono convinto.

A svolgersi è sempre quello che io chiamo 'il tema del benpensante', secondo cui in determinate situazioni di fragilità o di malattia la vita non è più degna di essere vissuta. I benpensanti perdono di vista il nucleo del problema: la vita umana, l’essere umano, la persona. Si dovrebbe guardare alla vita umana come mistero non riducibile al suo livello biologico. È una questione totalmente e radicalmente 'laica', che ha riguardato e riguarda ognuno di noi. Non si vuole accettare che la vita possa essere degna di essere vissuta comunque, anche in condizioni di fragilità, disabilità, di malattia anche fin dalla nascita. Non si considera che, se adeguatamente assistite, tutte queste persone possono mettere comunque a disposizione della comunità la loro sensibilità, le loro capacità intellettive, i loro sentimenti, le loro emozioni. Tutti, ma dico tutti.

Dobbiamo essere Liberi di Vivere, e di poter vivere. Si deve però arrivare a un riconoscimento concreto, tramite investimenti di tipo economico e di promozione culturale, della dignità dell’esistenza di ogni essere umano. Basta nascondersi dietro a falsi ideologismi pregiudiziali sulla definizioni di dignità della vita. La dignità della vita, di ogni vita, è un carattere ontologico che non può dipendere dal concetto di qualità di vita 'misurata' in base a un concetto utilitaristico. Non si può chiedere a nessuno di uccidere, di ucciderci.

Una civiltà non si può costruire su un simile falso presupposto. Perché l’amore vero non uccide e non chiede di morire. È necessario aprire una concreta discussione su cosa si stia facendo per evitare l’emarginazione delle persone con gravi patologie invalidanti e su quanto realmente, al momento attuale, si sta investendo nel percorso medico, di continuità assistenziale domiciliare e di cultura della salute e delle problematiche legate alle patologie disabilitanti e alla disabilità in senso lato, chiedendosi con molta sincerità se proprio dalla mancanza sempre più evidente di strumenti qualificati, di supporto adeguato alla famiglia, reti di servizi sociali e sanitari organizzati, solidarietà, coinvolgimento e sensibilità da parte dell’opinione pubblica scaturiscano quelle condizioni di sofferenza e di abbandono e di rinuncia alla vita.

Può sembrare paradossale, ma un corpo nudo, spogliato della sua esuberanza, mortificato nella sua esteriorità, fa brillare maggiormente l’anima, ovvero il luogo in cui sono presenti le chiavi che possono aprire, in qualunque momento, la via per completare nel modo migliore il proprio percorso di vita. 

sabato 27 novembre 2010

«Etica e Medicina in dialogo sui valori» - Sgreccia: rimettere al centro i temi della vita - DA ROMA GIANNI SANTAMARIA – Avvenire, 27 novembre 2010

Prevenzione, educazione, assistenza ai malati, tutela della salute della donna e della vita nascente. Sono i cardini di un’alleanza possibile. Quella che Scienza & Vita, il sodalizio nato dal referendum sulla legge 40, propone alle società scientifiche e che è stata al centro ieri di una tavola rotonda dal titolo «Alleati per un’antropologia positiva», che ha caratterizzato la giornata d’apertura dell’VIII in contro nazionale che vede riunite a Roma le articolazioni locali dell’associazione. Ospite d’onore, a dare un quadro dell’attività pastorale della Chiesa nell’educare alla vita, il neo cardinale Elio Sgreccia, presidente e merito della Pontificia Accademia per la vita, al suo primo intervento pubblico dopo il Concistoro.

Ad alternarsi nella disamina delle possibili convergenze sono stati quattro autorevoli rappresentanti di società scientifiche: Liberato Berrino (Farmacologia), Aldo Isidori (che è stato negli anni Ottanta il primo presidente di quella per la Fisiopatologia della riproduzione), Paolo Marchetti (Oncologia medica), Nicola Natale (Federazione delle società medico-scientifiche italiane), Giorgio Vittori (presidente di Ginecologia e O stetricia). «La nostra mission è l’apertura al la ricerca e al confronto sui temi per i quali si registra una sintonia, ferma restando la nostra antropologia di riferimento», spiega in apertura il copresidente di Scienza & Vita Lucio Romano, che evoca l’immagine del 'cortile dei gentili' cara a Benedetto XVI. Gli ambiti della «sperimentazione dei farmaci, degli aspetti bioetici legati alle terapie cel­lulari e genetiche, della farmacologia di genere e e del dolore» sono quelli individuati da Berrino per un dialogo proficuo. Isidori ha chiesto di tenere in conto il Carneade del la medicina oggi, la sterilità maschile, di cui poco ci si occupa. Ma che interessa il 15% de gli uomini in età fertile (oltre due milioni di persone) e oltre il 50% della 80mila pro creazioni medicalmente assistite. Una pre venzione che va attuata nelle scuole con l’e ducazione a una sessualità matura e con la formazione dei medici sportivi, militari e dei consultori per diagnosi precoci. «A volte ho avuto dei pazienti che mi chiedevano di por re fine alla loro sofferenza infinita. Ma se questa non c’è, nessuno lo chiede. Ciò suc cede quando il malato è disperato, non si riescono a controllare i sintomi. Ma questi sono errori di chi li segue», ha detto Marchetti a partire dalla sua esperienza. Le ri chieste di eutanasia piuttosto vengono dai familiari, quando quella che si chiama 'fa mily fatigue' ha allentato e distrutto i vincoli di affetto e il malato è vissuto solo come un peso. La vera risposta è «una presa in carico totale del paziente», con il quale il medico si deve mettere in gioco in una relazione. An che le dichiarazioni anticipate per Marchetti rischiano di essere una «tentazione dei sa ni ». Vittori ha insistito sul «valore della salu te della donna e della riproduzione, oggi marginalizzato» e sul «tasso di fecondità co me un valore per il Paese». Insomma, ha in vitato a vedere la maternità come un «patri monio nazionale» per il quale non si può an dare al di sotto di certi standard. Il federali smo rischia, invece, di creare sistemi diver si. Natale, infine ha invitato a «collegare con prudenza ciò che appartiene alla Chiesa e ciò che appartiene al mondo».

Un crinale difficile su cui ha detto la sua il cardinale Sgreccia, che il 21 maggio 2011 ri ceverà il premio internazionale Scienza & Vita, alla sua prima edizione. Il neo porpo rato ha invitato ad andare oltre il ping-pong della polemiche contingenti, pur a volte giu stificate, per una prospettiva di ampio re spiro. La Chiesa oggi, in tempo di emergen za educativa, è chiamata a «rivedere dentro di sé le attività pastorali e a centrarle sulla vi ta umana» secondo le polarità di Cristo, del l’occasione salvifica (kairòs) e della prassi. E «se la pastorale funziona ne traggono gio vamento anche le attività politiche e cultu rali », ha concluso. Come quelle che portano avanti sul territorio le associazioni locali. Che in serata hanno fatto il punto con il coor dinatore Edoardo Patriarca. «Innanzitutto a partecipare non sono i 'soliti noti', chi non fa parte del nostro mondo, poi stiamo por tando avanti una bella esperienza educati va, che va nel senso delle recenti indicazio ni dei vescovi. Infine, cresce la consapevo­lezza che oggi la questione sociale è intrec ciata con i temi bioetici». Oggi i lavori proseguono con il convegno na zionale Dieci anni dopo il sequenziamento del genoma, che vedrà la lectio magistralis del genetista Bruno Dallapiccola, copresi dente di Scienza & Vita.
La ricerca «Poche le cure palliative in casa» - Il 60% degli italiani non dispone di questi trattamenti a domicilio e arriva a spendere fino a 3mila euro al mese per garantirsi l’assistenza DA MILANO - FRANCESCA LOZITO – Avvenire, 27 novembre 2010

Le cure palliative domiciliari so no ancora una conquista per più della metà del Paese. È questo il dato che emerge dalla ricerca «Le cure palliative domiciliari in Italia», realizzata da Società italiana di cure palliative (Sicp), Società italiana di Me dicina generale (Simg) e Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas). Presentata a Firenze, nel l’ambito del congresso dei medici di famiglia, è la prima rilevazione di que sto genere in Italia. Dalla ricerca e merge che il 60% degli italiani non ha servizi dedicati per le cure palliative a casa. E questo vuol dire, inoltre, che le famiglie sono costrette a provve dere a proprie spese a infermieri e al tre figure necessarie, con un costo che può raggiungere i 3mila euro mensi li in assenza di organizzazione e supporti. E il paradosso è che sarebbero sufficienti 8 euro della quota capita ria che lo Stato destina a ogni cittadi no (1.700 euro l’anno) per assicurare figure professionali specializzate per assistere il malato a casa fino agli ul timi giorni. «Attenendosi ai dati – afferma Gio vanni Zaninetta, presidente Sicp – risulterebbe che nel 59% delle Asl è at tiva una rete di cure palliative ma, pur troppo, sappiamo che la realtà italiana non è ancora a un livello così alto. Dunque occorre fa re chiarezza definendo nei fatti che cosa si intenda con questo termine. Questa ri­cerca è un ottimo punto di partenza per riuscirci». Sulla stessa lunghezza d’onda il di rettore dell’Agenas, Fulvio Moirano: «Questo rapporto mi sembra particolarmente utile in questo momento, in cui è in fase avanzata la discussione sul provvedimento di de finizione dei Livelli essenziali di assi stenza (Lea), che tratta anche delle cure palliative domiciliari alle perso ne in fase terminale della vita».

Andando a guardare quanto è già pre sente sul territorio, il 53% dell’assistenza domiciliare in cure palliative garantisce una continuità assistenziale sulle 24 ore e il 45% una pronta disponibilità medico-infermieristica. «Il problema è organizzativo – afferma Pierangelo Lora Aprile, responsabile Simg dell’area cure palliative – e richiede il potenziamento immediato dei servizi di assistenza domicilia re già esistenti e funzionanti con per sonale infermieristico e medico specializzato ». «Noi siamo di fatto – aggiunge Lora Aprile –, in alcune realtà del Paese, l’unico baluardo che sta affrontando il problema dell’assistenza ai malati in fase terminale a livello ca pillare sul territorio».

«Lo scorso anno – spiega Gian Lo renzo Scaccabarozzi, primario del Di partimento della Fragilità dell’ospedale di Lecco e curatore della ricerca – palliativisti, infermieri e medici di medicina generale hanno firmato un documento di consenso. Dieci punti che affermano, tra l’altro, il valore e l’importanza dell’équipe multidisci­plinare e multiprofessionale, riconoscendo la necessità che la responsabilità clinica sia definita dal piano assistenziale individuale. Questa collaborazione, ormai una realtà concreta in molte Regioni, si rafforzerà di certo grazie ai decreti relativi alla legge 38 che ha come punto di riferimento la centralità del malato e del la sua famiglia». Una collaborazione quella tra palliativisti e medici di fa miglia che continua a rinsaldarsi: «Il 93% dei medici di famiglia è pronto a gestire il paziente in fase terminale a casa, ma chiede di poter essere aiutato da un’équipe formata» ha affer mato il presidente della Simg Clau dio Cricelli.

venerdì 26 novembre 2010

Un nuovo libro di Umberto Fasol di Libertà e Persona del 26/11/2010 @, in Darwinismo, dal sito http://www.libertaepersona.org

Passato il tempo delle celebrazione per il bicentenario darwiniano si è affievolita la pubblicistica intorno ai temi legati all’evoluzione delle specie e dell’uomo in particolare. Il 2010 ha visto comunque la pubblicazione del testo di J. Fodor e M. Piattelli Palmarini (Feltrinelli ed.) che si sono soffermati sulla critica all’idea darwiniana che la selezione naturale sia il principale motore dell’evoluzione.

Questo è bastato per riaccendere le polemiche da parte delle vestali dell’evoluzione che non vogliono mai sentire parlare di critiche. Figuriamoci quando si metta in discussione la selezione naturale che, col caso, reggono l’impianto evoluzionista.

 La fine del 2010 vede la pubblicazione di un’agile testo del prof. Umberto Fasol, biologo, docente di Scienze Naturali nel Liceo Alle Stimate di Verona, di cui è Preside, non nuovo a pubblicazioni su questi temi; infatti, nel 2007 per le edizioni Fede & Cultura pubblicò La creazione della vita, andato subito esaurito nel giro di pochi mesi; ecco che Fede & Cultura in questi giorni ci propone Evoluzione o Complessita? La nuova sfida della scienza moderna (pagg.90, € 7,00).

C’era proprio bisogno di un altro volume sull’evoluzione e l’evoluzionismo? Non ne sappiamo già abbastanza? No. Qualche settimana fa sull’inserto domenicale de Il Sole 24 Ore un illustre collaboratore invitava i medici a riflettere sulla prova dell’evoluzione data dai batteri che diventano resistenti agli antibiotici! Ora basta poco per comprendere che i batteri acquisiscono una resistenza, ma batteri rimangono, più aggressivi, ma sempre batteri. Altro che prova dell’evoluzione!

Quindi il breve saggio di Fasol è utile e si rivolge a quanti sono interessati ad aggiornare e approfondire le loro conoscenze privilegiando l’analisi e la riflessione critica che, solitamente, è assente. La brevità dei paragrafi con altrettanto brevi interrogativi e risposte, lo fanno un testo utile per gli studenti, ma anche per gli educatori. La semplicità è, in questo caso, sinonimo di chiarezza, non troverete le frasi fumose, incomprensibili che fanno molto “scienziato”, ma lasciano senza risposta le domande fondamentali e poi, quando non ci sono risposte si lascia aperto il campo alla ricerca e all’approfondimento scientifico che verrà. Non è vero che è tutto chiaro e dimostrato scientificamente e Fasol riporta alla realtà dei fatti che è complessità sia dell’informazione che delle finalità.

E come l’informazione sia complessa lo si deduce leggendo le parti che riguardano il Dna e il mistero che ancora lo avvolge: “è una molecola semantica, ovvero dotata di significato”, ma come è nata e come è nato questo significato. Questa è la sfida della biologia moderna. Il volume si chiude con una riflessione, a cura del dott. Andrea Bartelloni dell’Osservatorio Permanente sull’Editoria e i Libri di Testo, su come il dibattito scientifico sull’evoluzione sia assente nella manualistica scolastica anche la più aggiornata, a seguire un’appendice teologica sulla posizione della Chiesa Cattolica sulla creazione del mondo e la comparsa dell’uomo. Andrea Bartelloni.
Una serie di articoli sul no di Fazio e Saviano ai comitati pro life:
a)     "Inaccettabile richiesta cda su Pro-Vita" -  Il consiglio di amministrazione della Rai ha richiesto di ospitare "le 'associazioni pro-vita' per replicare al racconto di Roberto Saviano, dedicato a Piergiorgio e Mina Welby, e all'elenco letto da Beppino Englaro e Fabio Fazio
b)    LA DIFESA DELLA VITA - Il Cda Rai: parlino i malati - Fazio & Saviano si rifiutano
c)     Fazio-Saviano:no a puntata pro-vita "Inaccettabile richiesta del Cda Rai"
d)    Fazio e Saviano: no a gruppi pro-life – Politica - «Richiesta inaccettabile del Cda»
e)     IL CASO - Fazio e Saviano contro Il Cda - "Non ospitiamo il gruppo pro-Vita"

"Inaccettabile richiesta cda su Pro-Vita" -  Il consiglio di amministrazione della Rai ha richiesto di ospitare "le 'associazioni pro-vita' per replicare al racconto di Roberto Saviano, dedicato a Piergiorgio e Mina Welby, e all'elenco letto da Beppino Englaro e Fabio Fazio

ROMA  - Fabio Fazio, Roberto Saviano e gli autori di Vieni via con me ritengono "inaccettabile" la richiesta del consiglio di amministrazione della Rai di ospitare, nell'ultima puntata della trasmissione, "le 'associazioni pro-vita' per replicare al racconto di Roberto Saviano nella seconda puntata, dedicato a Piergiorgio e Mina Welby, e all'elenco letto da Beppino Englaro e Fabio Fazio".
Il no alla richiesta del cda, spiegano Fazio, Saviano e gli autori di Vieni via con me, è motivato da "una ragione specifica" e da "una ragione di principio". "La ragione specifica: concedere un cosiddetto diritto di replica - spiegano - alle associazioni pro-vita, significherebbe avallare l'idea, inaccettabile, che la nostra trasmissione sia stata 'pro-morte', mentre abbiamo raccontato due storie di vita, sottolineando la pari dignità, di fronte alla prosecuzione artificiale della vita, di chi sceglie di accettarla e di chi sceglie di rifiutarla. Per la precisione, è stata letta da Beppino Englaro questa pronuncia del 2007 della Corte di Cassazione: 'Accanto a chi ritiene che sia nel proprio migliore interesse essere tenuto in vita artificialmente il piu' a lungo possibile, anche privo di coscienza, c'é chi, legando la propria dignità alla vita di esperienza e questa alla coscienza, ritiene che sia assolutamente contrario ai propri convincimenti sopravvivere indefinitamente in una condizione di vita priva di percezione del mondo esternò. Sono parole della Corte di Cassazione della Repubblica italiana: rappresentano tutti, nessuno escluso". "La ragione di principio: un programma di racconti, come il nostro, non ha la pretesa - sottolineano ancora - né il dovere né la presunzione di rappresentare tutte le opinioni. Non siamo un talk-show, non siamo una tribuna politica. Se ogni associazione o movimento che non si sente rappresentato da quanto viene detto in trasmissione chiedesse di dire la sua, non basterebbero mille puntate di Vieni via con me. La Rai dispone di spazi adatti per dare voce alle posizioni del movimento pro-vita, che del resto già ne usufruisce ampiamente. L'idea che ogni opinione, ogni racconto, ogni punto di vista, ogni storia umana debba essere sottoposta a un obbligo di replica ci pare lesiva della libertà autorale, della libertà di scelta del pubblico, e soprattutto della libertà di espressione".
DOMANI MASI VEDE RUFFINI - Il direttore generale della Rai, Mauro Masi, vedrà domani - a quanto si apprende - il direttore di Raitre Paolo Ruffini per concordare il da farsi, dopo il no di Fabio Fazio e Roberto Saviano ad ospitare nell'ultima puntata di Vieni via con me il punto di vista delle associazioni pro-vita come chiedeva un ordine del giorno approvato oggi a maggioranza dal consiglio di amministrazione della tv pubblica.

25 novembre, 19:46

Fonte: http://www.ansa.it


LA DIFESA DELLA VITA - Il Cda Rai: parlino i malati - Fazio & Saviano si rifiutano

Sul documento 7 sì e 2 no. Oggi incontro tra Masi e Ruffini. Il Consiglio, col voto a favore anche del presidente Paolo Garimberti, ha formalmente invitato a dare spazio nella trasmissione alle famiglie e alle associazioni di malati e disabili che hanno scelto di vivere. I conduttori hanno definito «inaccettabile» la richiesta: «Non abbiamo fatto una trasmissione "pro-morte" e non siamo né un talk-show né una tribuna politica».

- Quelli che non ammettono, quelli che non sono ammessi INACCETTABILI
di Marco Tarquinio

- VAI ALLO SPECIALE

Resistere, resistere, resistere. A Fabio Fazio e Roberto Saviano non interessa neppure il parere – ufficiale – del Consiglio d’amministrazione dell’azienda (pubblica) che permette loro di andare in onda, rispedito al mittente con uno sdegnato «inaccettabile». Sarebbe a dire che il grande spot per l’eutanasia non necessita contraddittori, perché «un programma di racconti come il nostro non ha la pretesa, né il dovere, né la presunzione di rappresentare tutte le opinioni». E la faziosità è anche autocertificata.
Adesso? Per oggi è convocato un incontro urgente tra il direttore generale della Rai Mauro Masi e il direttore di Raitre Paolo Ruffini, così da capire cosa fare dopo il gran rifiuto di Fazio e Saviano. Sebbene Ruffini terrà duro anche lui, come ha fatto capire ieri sera: «Vieni via con me non è un programma a favore della morte» e «sbaglia chi contrappone una storia a un’altra. O equipara un’esperienza a una tesi politica e costruisce uno scontro ideologico fra dolori».
Ma facciamo un passo indietro. «Fateli parlare» nel tardo pomeriggio di ieri l’avevano ormai chiesto davvero tutti, dopo che il Cda Rai, quasi all’unanimità (7 consiglieri su 9) – col voto a favore anche del presidente Paolo Garimberti – aveva formalmente invitato a dare spazio nella trasmissione a famiglie e associazioni di stati vegetativi e disabili gravissimi che hanno scelto di vivere.
Era insomma andata come previsto, a parte un altro sdegno, quello di due dei consiglieri di opposizione (Nino Rizzo Nervo e Giorgio Van Straten) che se n’erano andati prima del voto: il Consiglio di amministrazione della Rai aveva approvato l’ordine del giorno firmato dal consigliere (di opposizione) Rodolfo De Laurentiis e sostenuto dalla maggioranza, per far replicare – nell’ultima puntata di Vieni via con me – alle Associazioni per la vita, dopo quanto detto in trasmissione da Beppino Englaro, Mina Welby e dai due stessi conduttori. Secondo Van Straten e Rizzo Nervo sono state «spinte esterne (pro-vita, ndr)» a influenzare le decisioni del Cda e «a prevalere», per quanto ai due consiglieri «sorprende» e «dispiace fortemente» soprattutto la posizione assunta dal presidente Garimberti».
Se è noto che il Cda della tivù di Stato non può imporre alcunché, lo è altrettanto che un invito di questo genere era di quelli difficili da ignorare: a meno che, invece, Fazio e Saviano si sentano tanto forti da portare allo strappo il tiro alla fune ingaggiato – a questo punto – con la loro azienda (pubblica), con un bel pezzo di Parlamento e una larghissima parte della società civile. E se il consigliere Rai Antonio Verro resta ottimista, «sono certo – dice – che gli autori accoglieranno un invito che non nasce da logiche politiche, ma solo dal fatto che il servizio pubblico, per sua missione, deve considerare tutte le diverse sensibilità», il presidente della Vigilanza Rai, Sergio Zavoli, resta super partes: «Se il Cda si manifesta in un certo modo, ne prendo atto».
Il precedente, freschissimo, del resto era a disposizione: il ministro dell’Interno Maroni aveva chiesto – e subito ottenuto – di replicare a Saviano. Famiglie e associazioni invece no. A proposito: le spiegazioni di Fazio e Saviano sono due e suonano sconcertanti. «Una ragione specifica» e una «di principio». La prima è che «concedere un cosiddetto diritto di replica alle associazioni pro-vita, significherebbe avallare l’idea, inaccettabile, che la nostra trasmissione sia stata "pro-morte"», mentre «abbiamo raccontato due storie di vita, sottolineando la pari dignità, di fronte alla prosecuzione artificiale della vita, di chi sceglie di accettarla e chi sceglie di rifiutarla». Una confusione persino ostentata: dove, come e quando sarebbe stata "artificiale" la prosecuzione della vita di Eluana? Se quelle di Eluana e Welby sono "di vita", come vanno definite le storie di migliaia di stati vegetativi e gravissimi disabili curati per anni dai loro cari?
La seconda "ragione" di Fazio e Saviano è quella accennata: il loro programma non deve rispettare il pluralismo. «Non siamo un talk-show, non siamo una tribuna politica», sottolineano, fingendo di dimenticare contenuti e ospiti che hanno proposto... Morale dei due conduttori, condita da un filo di sottile disprezzo? «La Rai dispone di spazi adatti per dare voce alle posizioni del movimento pro-vita, che del resto già ne usufruisce ampiamente» (queste ultime parole come si conciliano con l’«inaccettabile idea che la nostra trasmissione sia stata "pro-morte"»?).
Le reazioni politiche sono durissime, specie dal centrodestra. Per Gaetano Quagliariello, vicecapogruppo vicario del Pdl al Senato, «le argomentazioni di Fazio e Saviano sono ipocrite e contraddittorie». Stessa posizione per Daniele Capezzone, portavoce del Pdl: «Sono laico e liberale convinto, notoriamente vicino alle sensibilità di Englaro e Welby. A maggior ragione, trovo assurdo il "no" di Fazio e Saviano». Annotazione sintetica ed efficace dal sottosegretario alla Salute, Eugenia Roccella: «Fazio e Saviano sono stati chiari: dobbiamo essere liberi di fare propaganda per l’eutanasia, i disabili gravi, se proprio vogliono parlare, vadano altrove».

27 novembre 2010
Pino Ciociola
© riproduzione riservata

Fonte: http://www.avvenire.it


Fazio-Saviano:no a puntata pro-vita "Inaccettabile richiesta del Cda Rai"

Fabio Fazio, Roberto Saviano e gli autori di Vieni via con me ritengono "inaccettabile" la richiesta del cda Rai di ospitare, nell'ultima puntata, "le associazioni pro-vita per replicare al racconto di Roberto Saviano su Piergiorgio e Mina Welby, e all'elenco letto da Beppino Englaro e Fazio nella 2° puntata". Ciò significherebbe definire come "pro-morte" una trasmissione che "non ha né il dovere né la presunzione di rappresentare tutte le opinioni".
Inaccettabile. Così Fabio Fazio e Roberto Saviano e il gruppo di autori di 'Vieniviaconme', il programma di Raitre  in onda il lunedì in prima serata, bolla la decisione - adottata a maggioranza - del Consiglio di amministrazione della Rai di chiedere ospitalità, nella quarta e ultima puntata della trasmissione, per le associazioni pro-vita per replicare al racconto di Roberto Saviano nella seconda puntata, quella del 15 novembre, dedicato a Piergiorgio e Mina Welby, e all'elenco letto da Beppino Englaro e dallo stesso Fazio.
Richiesta inaccettabile "per una ragione specifica e per una ragione di principio", dicono i conduttori e gli autori in una nota arrivata a stretto giro di posta come risposta al Cda di viale Mazzini. La ragione specifica: "concedere un cosiddetto diritto di replica alle associazioni pro-vita, significherebbe avallare l'idea, inaccettabile, che la nostra trasmissione sia stata "pro-morte", mentre abbiamo raccontato due storie di vita, sottolineando la pari dignita', di fronte alla prosecuzione artificiale della vita, di chi sceglie di accettarla e di chi sceglie di rifiutarla".
Per la precisione - sottolinea la risposta -, è stata letta da Beppino Englaro questa pronuncia del 2007 della Corte di Cassazione: "Accanto a chi ritiene che sia nel proprio migliore interesse essere tenuto in vita artificialmente il più a lungo possibile, anche privo di coscienza, c'è chi, legando la propria dignità alla vita di esperienza e questa alla coscienza, ritiene che sia assolutamente contrario ai propri convincimenti sopravvivere indefinitamente in una condizione di vita priva di percezione del mondo esterno".
Fazio, Saviano e il gruppo di autori del programma ricordano che queste "sono parole della Corte di Cassazione della Repubblica italiana: rappresentano tutti, nessuno escluso". Quanto alla ragione di principio, "un programma di racconti, come il nostro, non ha la pretesa ne' il dovere ne' la presunzione di rappresentare tutte le opinioni. Non siamo un talk-show, non siamo una tribuna politica. Se ogni associazione o movimento che non si sente rappresentato da quanto viene detto in trasmissione chiedesse di dire la sua, non basterebbero mille puntate di "Vieniviaconme'. La Rai dispone di spazi adatti per dare voce alle posizioni del movimento pro-vita, che del resto gia' ne usufruisce ampiamente". L'idea che "ogni opinione, ogni racconto, ogni punto di vista, ogni storia umana debba essere sottoposta a un obbligo di replica ci pare lesiva della libertà autorale, della libertà di scelta del Pubblico, e soprattutto della libertà di espressione".

25/11/2010
Ultimo aggiornamento ore 19:37

Fonte: http://www.tgcom.mediaset.it

  
Fazio e Saviano: no a gruppi pro-life – Politica - «Richiesta inaccettabile del Cda»

ROMA- Fabio Fazio, Roberto Saviano e gli autori di "Vieni via con me" ritengono «inaccettabile» la richiesta del consiglio di amministrazione della Rai di ospitare, nell'ultima puntata della trasmissione, «le "associazioni pro-vita" per replicare al racconto di Roberto Saviano nella seconda puntata, dedicato a Piergiorgio e Mina Welby, e all'elenco letto da Beppino Englaro e Fabio Fazio». Si apre così un nuovo caso, con lo scontro aperto tra gli autori e il Cda della Rai per la replica delle associazioni a difesa della vita richiesta dai vertici - contrari i consiglieri Rizzo Nervo e Van Straten - per l'ultima puntata, lunedì. Tema che sarà affrontato domani dal Dg Mauro Masi e dal direttore di Raitre Paolo Ruffini.
Una replica richiesta da giorni dal mondo cattolico - è di ieri l'editoriale di Avvenire e l'incontro tra una delegazione dell'Udc e di 32 associazioni pro-life, con Masi (presente anche Garimberti)-. Di una replica dopo la seconda puntata del programma che aveva ospitato Beppino Englaro e Mina Welby, Masi aveva già discusso con Ruffini, e a centristi e associazioni aveva garantito l'impegno, anche se non una garanzia assoluta, vista l'autonomia dei direttori di rete. Oggi poi il via libera, in Cda, dell'ordine del giorno presentato dal consigliere De Laurentiis, con il quale si invita Masi ad individuare, con Ruffini, le modalità per consentire a testimonianze che hanno scelto percorsi diversi a favore della vita di rappresentare la propria esperienza nella stessa trasmissione. Richiesta «inaccettabile» dichiarano Fazio, Saviano e gli autori del programma, perché nella seconda puntata di Vieniviaconme non si è parlato di morte e perché «non siamo una tribuna politica», non c'è il dovere di «rappresentare tutte le opinioni». L'ordine del giorno passa in Cda con i voti della maggioranza, di De Laurentiis e del presidente Garimberti.
L'opposizione si spacca: Nino Rizzo Nervo e Giorgio Van Straten per protesta non partecipano al voto dichiarandosi contrari a ordini del giorno che «finiscono per invadere campi e competenze che gli sono estranei», convinti che «l'unica strada percorribile» fosse quella adottata con Maroni, «cioè lasciare ogni valutazione alla direzione generale, alla direzione di rete», «sorpresi e dispiaciuti» per il sì del Presidente. L'ideale, dice Van Straten, «sarebbe stato non votare alcun ordine del giorno ma lavorare tutti, come è avvenuto con Maroni, per trovare una soluzione ragionevole. Se però si doveva proprio votare noi ne avevamo uno dove non si parlava di eutanasia, come se le posizioni di Peppino Englaro e Mina Welby parlassero di morte. Mi sconvolge che situazioni dolorose e difficili siano usate per posizioni ideologiche. Si poteva dire di raccontare posizioni diverse ma il contraddittorio non c'entra, nessuno, nella scorsa puntata, ha detto cose non vere».
Per dirla con Fazio, Saviano e gli autori del programma la richiesta del Cda è «inaccettabile» per una ragione «specifica e una di principio»: la prima è che «concedere un cosiddetto diritto di replica alle associazioni pro-vita, significherebbe avallare l'idea, inaccettabile, che la nostra trasmissione sia stata "pro-morte", mentre abbiamo raccontato due storie di vita, sottolineando la pari dignità, di fronte alla prosecuzione artificiale della vita, di chi sceglie di accettarla e di chi sceglie di rifiutarla»; la seconda è che " Vieni via con me "è «un programma di racconti» e in quanto tale «non ha la pretesa né il dovere né la presunzione di rappresentare tutte le opinioni. Non siamo un talk-show, non siamo una tribuna politica». Da vedere come si muoverà domani Ruffini nell'incontro con Masi. E stasera precisa che a "Vieni via con me" sono state dette parole che «non esprimono affatto un'unica posizione. Sono semmai rispettose di tutte le opinioni e della legge». Quello di Fazio e Saviano, aggiunge, «non è un programma a favore della morte» e «credo che sbagli» chi «equipara una esperienza a una tesi politica e costruisce uno scontro ideologico fra dolori». Domani sul tavolo ci sarà però un ordine del giorno del Cda di cui tener conto, seppure non vincolante.

25/11/2010 - UN NUOVO CASO IN RAI

Fonte: http://www3.lastampa.it


IL CASO - Fazio e Saviano contro Il Cda - "Non ospitiamo il gruppo pro-Vita"

Passa un odg dei consiglieri di maggioranza su un altro "diritto di replica". Vota a favore anche il presidente Garimberti, protestano i consiglieri dell'opposizione. Ruffini: "Il programma non è a favore della morte"
ROMA - Ancora polemiche in Rai per "Vieni via con me". Il Cda si è spaccato ed ha approvato un odg in cui si dà parere positivo a una replica delle associazioni pro-vita, dopo la partecipazione alla seconda trasmissione 1 del padre di Eluana Englaro e di Mina Welby. I consiglieri dell'opposizione sono usciti per protesta. Fabio Fazio, Roberto Saviano e gli autori di Vieni via con me ritengono "inaccettabile" la richiesta del Cda. L'odg, firmato dal consigliere di maggioranza De Laurentiis, è stato votato anche dal presidente di Viale Mazzini, Paolo Garimberti.
"Sbaglia chi contrappone una storia a un'altra, una esperienza a un'altra. O equipara una esperienza a una tesi politica e costruisce uno scontro ideologico fra dolori": afferma il direttore di Raitre Paolo Ruffini. "Vieni via con me non è un programma a favore della morte. Anche se ha sfidato in tv il tabu della morte. Vieni via con me racconta esperienze di vita. E' stato capace di portare in prima serata temi difficili ed angosciosi. Ha dato voce a persone che di rado l'hanno in televisione, non per costruire attraverso di loro contrapposizioni ideologiche nè per usarle come armi da brandire in mano ai diversi schieramenti".
Beppino Englaro, il papà di Eluana, e Mina Welby, vedova di Piergiorgio sono stati al centro di un caso mediatico e legale contro l'accanimento terapeutico.
Englaro aveva letto in trasmissione  l'elenco delle "cose di Eluana che i suoi genitori hanno sempre saputo di lei". Dal suo "desiderio di libertà rispetto a quello che lei avvertiva come violenza" al fatto che "mai avrebbe voluto vivere priva di coscienza e mai avrebbe tollerato la continua profanazione del suo corpo": "Noi genitori le abbiamo dato solo voce, se avesse potuto esprimersi lo avrebbe fatto lei".
Mina Welby lesse l'elenco delle cose dette dal marito "nel giorno più bello della sua vita", quello della morte. Welby, ha ricordato Saviano, non ebbe le esequie in chiesa, "a differenza di boss e criminali come Enrico de Pedis, Francisco Franco, Augusto Pinochet". E lei ricordò le parole più dolorose e belle. "Lui mi chiese 'sono stato bene con te, e tu?'. Io risposi: sono stata felice".
Si tratta del secondo caso del genere a "Vieni via con me". Dopo le parole di Roberto Saviano sulla mafia al Nord, il ministro Maroni 2 ha ottenuto il diritto di replica, e ha parlato, nella trasmissione successiva, dei successi del governo 3 contro la criminalità.
Polemici i consiglieri Nino Rizzo Nervo e Giorgio Van Straten: "Avevamo insistito sul fatto che i rapporti con gli autori di una trasmissione non possono essere basati su ordini del giorno che inevitabilmente finiscono per invadere campi e competenze. Ritenevamo - dichiarano - che quanto era avvenuto la settimana scorsa, cioè lasciare ogni valutazione alla direzione generale, alla direzione di rete e agli autori sarebbe dovuta essere anche oggi l'unica strada da seguire.
Pur di non spaccare il Cda e ritenendo legittime le richieste avanzate da più parti sulla possibilità di veder rappresentate a "Vieni via con me" esperienze diverse da quelle raccontate da Mina Welby e dal papà della Englaro, avevamo proposto un altro ordine del giorno  secondo noi  ancor più rispettoso delle sofferenze private di quelle famiglie che compiono altre scelte rispetto a situazioni così dolorose e drammatiche. Riteniamo che sia profondamente sbagliato utilizzare situazioni così delicate e difficili, come il tema della malattia, della vita e della morte, per costruire contrapposizioni ideologiche. E' per questo che non abbiamo neppure voluto partecipare alla votazione e ci sorprende e ci dispiace fortemente la posizione assunta dal presidente Garimberti".

(25 novembre 2010) © Riproduzione riservata
Fonte: http://www.repubblica.it