giovedì 30 dicembre 2010

POLITICA - FINE VITA/ Binetti (Udc): subito la legge, la Lega non segua Obama Paola Binetti - giovedì 30 dicembre 2010 – ilsussidiario.net

In questi giorni in Italia si è improvvisamente riacceso il dibattito sul testamento biologico: sembrava caduto in una sorta di letargo invernale o se si preferisce in uno stato comatoso, da cui non si riusciva a tirarlo fuori! Eppure all’improvviso il dibattito si è di nuovo attivato… e il disegno di legge sul Consenso informato, sull’alleanza terapeutica e sulle dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT) è riapparso in televisione e sulla stampa con il vecchio nome.

Come se dopo tutto il dibattito dei mesi scorsi il rapporto tra il disegno di legge sulle DAT e il rapporto con la morte fosse inevitabile. Tutti sanno infatti che “Testamento biologico” non è il vero nome del disegno di legge che attende di essere approvato alla Camera ormai da molti mesi. Ma il termine è ormai entrato a far parte della cultura generale e non sarà facile ricondurlo al suo reale significato: una dichiarazione che esprime un desiderio, un orientamento sul tipo di cure che si vorrebbero ricevere nel momento in cui non si fosse più in condizione di esprimersi con chiarezza. Non è solo una questione linguistica o una fissazione ideologica, è questione di rispetto per la verità.

È questione di rispetto per le persone, di tutela della loro vita, soprattutto nei momenti in cui sono più fragili e non sono in condizione di prendere delle decisioni in modo autonomo. Nello stesso tempo è espressione di quel realismo psicologico che coglie con chiarezza e profondità come sia diverso prendere una decisione che potrebbe attualizzarsi in un momento di grave o gravissima disabilità, godendo invece di buone o eccellenti condizioni di salute

Il termine testamento nel linguaggio giuridico e nell’uso quotidiano riguarda la volontà di disporre delle proprie cose dopo la propria morte. Non ha nulla a che vedere quindi con un disegno di legge che invece riguarda la volontà di disporre di se stessi mentre si è ancora in vita. Cambia l’oggetto e cambiano i tempi, il che significa che cambia anche il senso delle decisioni che si stanno per prendere o il valore delle dichiarazioni che si stanno per rilasciare.

Nel concetto di testamento la morte ha un impatto fortissimo che determina l’attualizzarsi di una volontà che si è espressa in precedenza e diventa irreversibile proprio nel momento della morte. Viceversa nel disegno di legge in questione l’attenzione è tutta concentrata non solo e non tanto sulla fase finale della vita, quanto sul lungo itinerario che una persona può trovarsi a percorrere dal momento in cui entra in uno stato cosiddetto vegetativo e il termine della sua vita. Sappiamo che è un tempo che può andare da pochi anni fino ai 17 anni di Eluana Englaro e oltre. Un periodo di tempo in cui le persone potrebbero anche trovarsi in uno stato di minima coscienza di cui ignoriamo fino in fondo la portata e che più che essere considerate delle malate vanno considerate come gravi o gravissimi disabili.

Il dibattito sulle DAT in questi giorni si è riacceso anche perché sono giunte dall’America notizie inquietanti sulle scelte fatte dal Presidente Obama, proprio in merito al fine vita, una scelta provocatoria che arriva nel giorno di Natale... Non si capisce bene se per farne uno strano dono agli americani anziani, malati, oppure alle Assicurazioni che dovrebbero prendersi cura di loro. Una decisione ambigua e preoccupante che speriamo produca in Italia una decisa inversione di tendenza…

Quello che è accaduto negli USA sembra una semplice modifica nel regolamento del Medicare, il programma federale di assicurazioni che copre gli over 65, eppure da oggi in America si potrà morire chiedendo semplicemente di sospendere le cure, tutte, non solo quelle salvavita, ma anche quel famoso sostegno di base che assicura per tutti noi un filo diretto con la vita, e che proprio per questo cura non è.

L’equivoco si gioca ancora una volta sul rapporto tra le cure, che il paziente può rifiutare nel momento in cui le sue decisioni sono attuali e consapevoli, e le modalità più o meno sofisticate con cui gli viene assicurata la necessaria nutrizione e l’indispensabile idratazione. L’equivoco si basa sulla semplificazione per cui si attribuisce valenza terapeutica alle tecnologie con cui si garantisce al malato il livello nutrizionale di base.

Il malato potrà rifiutare nutrizione e idratazione, e qualcuno gli spiegherà come e perché questo è un suo pieno diritto, senza tener conto che nessuno potrebbe sopravvivere a lungo senza cibo e senza acqua. È inevitabile chiedersi se chi sarà incaricato di illustrare al malato - probabilmente in una fase della sua vita in cui è perfettamente sano - il nuovo modello di testamento biologico americano, gli dirà anche che nessuno può vivere senza l’uno e senza l’altra.

Non sappiamo se gli spiegherà anche come si muore per disatrazione, se gli descriverà la sofferenza delle mucose inaridite, il rischio altissimo delle piaghe da decubito… Perché l’inganno potrebbe essere anche solo nella parzialità dell’informazione: un'informazione che si ferma all’atto della decisione, rappresentandola come un gesto di libertà, e non parla affatto delle conseguenze di quella decisione. O magari parla di morte, ma non di come si muore, parla di fine dei disagi, ma non dell’impennata che questi disagi possono avere proprio prima della morte, che arriverà rapidamente, ma non così rapidamente da non creare ulteriori sofferenze a lui e alla sua famiglia.

Strano giorno per questo annuncio di morte, nel giorno in cui tutti i cristiani hanno ricordato la Vita per eccellenza, Dio che sceglie di nascere come uomo tra gli uomini, per portare loro gioia e serenità. Eppure è stato scelto proprio il giorno di Natale, quando tutte le famiglie sono unite per festeggiare la nascita del Signore, magari nel tipico clima familiare che lega la festa ad una tavola imbandita con maggiore abbondanza e ricercatezza. In questo giorno, che per i cristiani segue alla Notte Santa, qualcuno parla di morte e di morte per sospensione di nutrizione e idratazione...

Uno strano Natale che ha senso solo per chi non crede, non crede nel Dio che si fa uomo, ma non crede neppure nella possibilità dell’uomo di farsi incontro a Dio. In Italia la reazione è stata abbastanza debole: il Corriere ne ha dato notizia, anticipando come spesso fa gli altri giornali. Avvenire ha raccolto le reazioni di un gruppo di parlamentari bipartisan, di quelli che da sempre si riconoscono nella comune appartenenza alla fede cattolica, ma poi un nuovo torpore si è steso sull’opinione pubblica, in attesa di una nuova provocazione che cerchi di scardinare ancora una volta il comune sentire dei fedeli.

Ci ha provato la trasmissione di Fazio e Saviano, con un ostentato disprezzo verso il diritto a esprimersi di quanti nonostante tutto amano la vita e vogliono continuare a vivere. Ci hanno ripetutamente provato i radicali, che hanno mandato in onda il loro spot sull’eutanasia, in barba a qualsiasi indicazione del nostro codice penale che punisce sia l’istigazione al suicidio che l’omicidio del consenziente. Ci hanno provato appellandosi alla libertà: libertà di informazione, libertà di occupare spazi televisivi in autogestione, libertà di esercitare come sempre il loro diritto alla disobbedienza civile, come se per loro le regole non valessero mai, mentre sono pignoli custodi di leggi e regolamenti quando si tratta di difendere le loro posizioni.

Una provocazione continua, che ha chiesto di portare in aula non il disegno di legge sulle DAT, ma proprio il tema dell’eutanasia, immaginando anche qui in modo assolutamente contraddittorio che se questa fosse legalizzata non ci sarebbero più suicidi… Così ha sostenuto la capogruppo dei radicali subito dopo il suicidio di Mario Monicelli, chiedendo appunto di aprire il dibattito in aula sulla eutanasia. In realtà con tutta probabilità passeremmo dal suicidio al suicido assistito e qualcuno potrebbe perfino pensare e far pensare che così si umanizzerebbe il suicidio. Strana cultura che mentre chiede l’abolizione della pena di morte apre alla morte in mille altri modi.

Sono i paradossi del nostro tempo! Far passare per libertà individuale quella che appare come una sorta di congiura sociale. In tempi oggettivamente ancora molto difficili per la ripresa economica negli Stati Uniti, con un tasso di disoccupazione sempre più elevato, le assicurazioni mediche americane hanno trovato un modo efficace per contenere la spesa sanitaria. Basta convincere le persone anziane, sole, malate e senza altri punti di riferimento che non vale la pena vivere in questo modo. Possono morire rendendosi ancora utili alla società, evitando di essere di peso e di assorbire risorse non solo di tipo economico o magari attraverso la donazione di organi.

Possono morire non per abbandono, ma perché si riappropriano del loro destino e decidono di lasciarsi in dono agli altri proprio come prevede il testamento. È la tesi paradossale che già 30 anni fa R. Widmark sosteneva nel suo romanzo: "La morte moderna", (edizione Iperborea), di una attualità sconcertante proprio alla luce di questi ultimi fatti. La sua tesi riguardava il fallimento dell’eutanasia individuale e la necessità di doverla sostituire con un tipo di eutanasia sociale, che creasse solidarietà ed emulazione tra gli stessi anziani, rendendoli felici di morire mentre continuavano ad essere utili agli altri.

E il giorno di Natale scelto da Obama per il suo sconcertate annuncio ha avuto un fortissimo valore simbolico, per far percepire in modo stridente la solitudine e l’abbandono.È come se la morte fosse stata messa in offerta speciale. Si è detto agli anziani soli e malati, ai pazienti immobilizzati da gravissime forme di disabilità: cari signori, basta chiedere e la vostra vita può arrivare rapidamente al capolinea, con tutte le certificazioni di Stato. Ma nonostante ciò ben sapendo che non sarebbe stato facile far accettare tutto ciò a una gran parte di gente semplice, con valori forti e solidamente ancorati all’esperienza della vita e della famiglia, si è tentato il solito maquillage linguistico. Parole vecchie, scelte tra le più care ed accattivanti, a cui si è attribuito un significato nuovo, una chiave applicativa inattesa ed imprevedibile.

Le parole chiave per far accettare questo regolamento, che sarà poi applicato dai cosiddetti burocrati della morte, come i repubblicani hanno chiamato i medici certificatori previsti dalla legge e pagati dalla legge, sono accattivanti e persuasive. Mettono l’accento sulla libertà personale, sul principio di autodeterminazione, sul rifiuto dell’accanimento terapeutico e sulla fatica del vivere in certe condizioni. Una lunga sequenza di parole che in realtà nascondono problemi di ben diversa portata.

Per esempio il costo elevato dell’assistenza alle persone spesso anziane e malate, un costo che grava soprattutto sulle famiglie e che lo Stato, e tanto meno le assicurazioni, non intendono condividere o alleviare. Un costo considerato inutile, data la mancata produttività di queste persone, la cui vita appare ai loro occhi del tutto inutile.

Il vero problema è la fatica dei familiari, destinati a farsi carico in perfetta solitudine dell’assistenza alle persone care malate. Anche a loro il regolamento di questa legge parla con linguaggio suadente, offrendo una diversa, ma non per questo meno cinica, forma di liberazione. Dopo averli lasciati soli nella loro fatica, si mette in gioco perfidamente il capovolgimento delle categorie affettive, per cui chi cura ed assiste viene accusato di accanimento terapeutico, mentre chi decide che ormai anche lui ha diritto di dire basta e di ricominciare a occuparsi di sé e delle proprie cose, viene considerato un liberatore e un salvatore.

La pietà non è più quella di chi assiste, ma quella di chi smette di assistere, il valore della famiglia non è più nella relazione di cura, ma nella interruzione delle cure. La loro fatica è stata completamente ribaltata, considerandola non più come un atto d’amore, ma solo come una forma di egoistico accanimento sociale. Chi più ama meno assiste, chi più assiste in realtà ama solo se stesso e non vuole liberare la persona amata, lasciandola sopravvivere in un tunnel privo di senso.
Dagli Stati Uniti proprio il giorno di Natale è arrivato quindi un altro passo avanti di quella cultura che fa della morte, solo in apparenza liberamente accettata, la nuova proposta sociale di avanguardia. Quasi uno status symbol di chi è padrone di sé e del suo destino, mentre in realtà è solo vittima dell’indifferenza delle istituzioni e dello spaesamento delle famiglie. Una vittima fortemente condizionata da un circuito mediatico che rifiuta valori come la solidarietà, il sacrificio, la fede.È questo il pericolo che presenta una cultura improntata ad un relativismo etico strisciante, sempre più capace di condizionare le nostre scelte e i nostri comportamenti, chiuso nel culto dell’individualismo autoreferenziale, capace di tollerare tutto e il contrario di tutto, ma non l’amore alla vita, la solidarietà generosa e disinteressata, la capacità di dare senso al dolore e al sacrificio.

Dopo questo ennesimo attacco che dagli USA viene alla vita e alla sua dignità, ci auguriamo però che in Italia l’iter della legge sulle dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT), centrata su valori quali l’alleanza terapeutica e l’attualità del consenso informato riprenda il suo passo rapido verso una compiuta applicazione, che metta al riparo dai rigurgiti eutanasici a cui abbiamo assistito in questi giorni e dal rischio di regolamenti ostili e aggressivi proprio nei confronti delle persone più sole e più fragili. Su questo punto concreto aspettiamo il Governo per passare dalle parole ai fatti, dalle promesse alla loro piena realizzazione.

Questa maggioranza in Senato ha saputo difendere la legge sulle DAT con appassionata determinazione, sfidando una opposizione a volte dialogante, almeno a parole, ma spesso aggressiva e violenta, facendo muro contro una cultura che ha costantemente utilizzato una sola parola chiave per negare diritto di asilo ad una legge sostanzialmente equilibrata: la parola autodeterminazione. Ora si tratta di ripartire proprio da questo concetto, per mostrarne le insidie che contiene, quando all’autodeterminazione si sostituisce una sorta di persuasione occulta che vuole convincere le persone che morire è meglio. Ce lo sentiamo dire attraverso gli articoli di una certa stampa, ma ce lo ha detto e ridetto in modo insinuante proprio lo spot sull’eutanasia mandato in onda dai radicali e l’ultimo regolamento americano.

È come se a un certo punto fosse esploso quanto da tempo molti di noi intuivano: non c’è nulla di autodeterminato in un’operazione di marketing che vende l’idea della morte come liberazione per se e per la propria famiglia; che nega il valore dei legami familiari e che dubita dell’amore che accompagna la cura dei malati. La premessa antropologica di questa cultura è tanto semplice quanto dura ed aspra: si può voler morire, si deve voler morire, perché ne le istituzioni, né la famiglia hanno voglia di prendersi cura di chi sembra non aver più nulla da dare, anche se per tutta la vita ha dato tanto, tantissimo, tutto se stesso, proprio alla famiglia e alla società.

C’è una cultura del sospetto che insinua nella mente dell’anziano: e non te ne vai liberamente, quando e come vuoi tu, ti abbandoneranno, perché è troppo faticoso accudirti, costi troppo, sei un peso. Vattene prima che ti caccino e ti cacceranno in tanti modi se non decidi di togliere da solo l’incomodo che ormai rapprsenti.

La legge che noi vogliamo far arrivare in Aula, alla Camera perché concluda il suo iter al più presto, dice no proprio a questa cultura. Una cultura di morte in cui le categorie economiche dettano legge, suggerendo che una persona che non è più in grado di produrre, ha ormai terminato il suo ciclo vitale. Una cultura in cui la famiglia non sembra più in grado di svolgere il suo compito e rinuncia ad esercitare quell’etica della cura che affonda le sue radici nei vincoli affettivi che legano le persone tra di loro. Una cultura in cui la sanità può permettersi sprechi e cattiva gestione senza suscitare eccessive reazioni nel sistema sociale, ma non può permettersi di accudire a lungo pazienti disabili, che siano o meno in stato vegetativo.

La nuova legge deve tornare a parlare di un modello di sanità in cui medico e paziente sono legati da una profonda alleanza, che conserva da sempre una sua intrinseca valenza terapeutica; un modello di buona sanità in cui la principale forma di umanizzazione passa proprio attraverso il dialogo personale tra medico, paziente e familiari, senza fretta e senza strumentalizzazioni.

Una legge in cui il consenso informato non ha nulla di burocratico, ma è invece il modo naturale con cui ci si scambia informazioni, si condividono speranze e desideri, si affrontano insieme paure e sofferenze, per giungere ad una decisione consensuale. Una legge che restituisca al Paese la speranza in una medicina migliore, la consapevolezza che in Italia i buoni medici sono di gran lunga di più dei medici disposti a convertirsi in certificatori del desiderio di morte, e subito dopo in dispensatori di morte.

Per questo vogliamo presto la legge sulla DAT, perché si sappia che in Italia il malato può fidarsi dei suoi medici, perché si interrompa questa persecuzione virtuale, ma non per questo meno perniciosa, in cui si insinua che i medici staccano al spina ai malati senza neppure consultarli. Non è così. In Italia i pazienti non chiedono l’eutanasia e i medici non la praticano, qualsiasi cosa si dica. I pazienti chiedono terapie contro il dolore, chiedono cure palliative, e i medici desiderano solo poter assistere i propri malati in scienza e coscienza, con umanità e con il retto uso delle moderne tecnologie.

Questo è quanto dice questa legge e questo è quanto vogliamo che il Parlamento approvi… e c’è un’ampia maggioranza in Parlamento, una maggioranza trasversale, disposta a votare questa legge e determinata ad ottenerla con la stessa insistenza con cui la Lega vuole il federalismo fiscale…. Prima di staccare la spina al governo. Ma non avrà il federalismo fiscale se prima non avremo ottenuto questa legge, che da sola vale una legislatura, proprio per amore della vita e per rispetto di quanti oggi appaiono come gli ultimi tra gli ultimi…
In questo senso vanno i nostri sforzi, a questo sollecitiamo il Governo, in questo ci impegniamo in Parlamento…


Per approfondimenti sul tema si veda l’ultimo libro da me pubblicato:
P. Binetti, Il Consenso informato, Tra umanizzazione della medicina e nuove tecnologie
Ed. Magi , Roma, 2010

mercoledì 29 dicembre 2010

Fecondazione in vitro, i rischi che nessuno dice di Carlo Bellieni 29-12-2010 – da http://www.labussolaquotidiana.it


Esce sull’ultimo numero di Human Reproduction uno studio dal significativo titolo: “Conseguenze ostetriche della fecondazione in vitro dopo trasferimento di un solo embrione o di due embrioni”. Lo studio è stato fatto da un’equipe svedese che ha studiato oltre 13.000 bambini nati da fecondazione in vitro.

Le conclusioni sono preoccupanti: «I bambini nati da FIV hanno conseguenze ostetriche peggiori rispetto alla popolazione generale. I nati singoli, indipendentemente se nati dopo trasferimento di un solo embrione o di due embrioni, hanno anch’essi conseguenze ostetriche peggiori, con tassi maggiori di prematurità e di basso peso alla nascita». Questo articolo non è il primo a trarre queste conclusioni: il Lancet di recente ha fatto un’analisi della letteratura scientifica e ha notato dati simili, con in più dati riguardanti le malformazioni e alcune malattie genetiche rare.

Quello che è importante sottolineare è che la fecondazione in vitro comporta dei rischi per il bambino, perché nascere sottopeso o prematuro non è indifferente per la salute successiva; certo, non è automatico – fortunatamente - che chi ha queste condizioni abbia poi problemi, ma il rischio è maggiore rispetto a chi nasce a 40 settimane di gravidanza e con un peso adeguato. Questo dovrebbe essere fatto conoscere, perché le coppie che hanno problemi di sterilità prendano delle decisioni consapevoli. E soprattutto bisognerebbe far capire che evidentemente non è solo il fatto di nascere “gemelli” che genera rischi. Certo, in tutto il mondo da FIV nascono più gemelli che nella popolazione normale. In Italia si dà la colpa alla “cattiva” legge 40, che in realtà non impone a nessuno di impiantare 3 embrioni, ma anzi mette dei limiti per non arrivare ad eccessi. Certamente nella FIV la raccomandazione generale è di non generare gemellarità, ma evidentemente il problema, eliminata la gemellarità, sussiste: nascono prematuri e sottopeso in misura maggiore anche se si impianta un solo embrione.

La riflessione etica allora si impone: è un rischio che si può correre, considerato che, prima che i genitori, il rischio lo corre il bimbo stesso? Per molti evidentemente la risposta è positiva. Ma resta da capire perché sui mass media la fecondazione in vitro venga banalizzata, i rischi quasi sottaciuti o perlomeno espressi con molta meno enfasi rispetto alle lodi, tanto da dare l’impressione di poter rimandare la gravidanza a data indefinita, senza soppesare i rischi genetici che aumentano con l’età, e anche l’efficacia della FIV stessa che con l’età invece diminuisce.

Ci piacerebbe che a tanto sforzo per diffondere e magnificare la fecondazione in vitro corrispondesse altrettanto impegno per sconfiggere davvero la sterilità, mettendo in atto quelle norme di salute pubblica, di rispetto della lavoratrice e del lavoratore che la prevengono, e soprattutto spiegando chiaramente che esiste un’età fisiologica per far figli che non è data da una rivelazione soprannaturale ma dalla fisiologia delle ovaie, e che lo stato deve aiutare a rispettarla, e la pubblicità e i media non devono irriderla. Pena la sofferenza di migliaia di persone.
«La ricetta Usa fa cadere gli alibi in Italia» - Il sottosegretario Roccella: «Dietro le misure assunte da Obama e spacciate per diritti civili c’è la volontà di risolvere problemi come la spesa sanitaria» - DA ROMA  Gianni Santamaria, Avvenire, 29 dicembre 2010

Eugenia Roccella, sottose­gretario alla Salute con delega sui temi etici, va in vacanza a New York. E si trova anche lì lavoro da sbrigare. Col­pa di Barack Obama e della sua modifica ai regolamenti sanita­ri, con i quali si dà ai medici mandato di promuovere il living will tra i pazienti ultrasessanta­cinquenni. Una scelta che non piace all’esponente del governo italiano.

Quale elemento negativo si in­troduce con questa misura?

È la prova che la tanto sbandie­rata autodeterminazione altro non è che eterodeterminazio­ne. Difatti nei Paesi dove l’euta­nasia è regolata per legge, come l’Olanda, è emerso che statisti­camente il 70% delle decisioni non viene dal malato. È eviden­te che dietro queste misure c’è una volontà di risolvere in mo­do improprio altri problemi, co­me quello della sostenibilità dei sistemi di welfare sanitario. Pen­siamo a quanto accadde con l’e­pidemia di influenza. Venne e­manata una direttiva secondo la quale determinate categorie di pazienti venivano dopo altre. Non a caso in fondo c’era chi a­veva fatto dichiarazioni antici­pate di trattamento.

E a casa nostra?

Da noi il dibattito portato avan­ti da certa cultura laica è anco­rato a paradigmi vecchi. Si ar­gomenta in termini di diritti ci­vili. Invece, la questione di oggi, su cui non ci si dovrebbe divi­dere, è come preservare la di­gnità dell’umano.

Cosa rispondete, dalla maggio­ranza, ai finiani?

Rivendicano un’interpretazio­ne dell’identità nazionale anco­rata ai valori cattolici. Bene, il primo banco di prova sarà pro­prio la legge sul fine vita, a par­tire dalla calendarizzazione in aula. E lì che si misurerà la ca­pacità di tutte le forze politiche di affrontare quei nuovi rischi per l’integrità dell’umano di cui parlavo. Con un approccio non ideologico e improntato a una laicità adulta. Senza chiarezza sui temi della vita non è possi­bile costruire vera solidarietà, né rendere concreto e attuale il richiamo alle radici cristiane dell’Italia e dell’Europa.

Da noi si dibatte anche sull’in­troduzione di registri per le di­chiarazioni anticipate nei mu­nicipi. Ultimo caso a Livorno. Cosa ne pensa?

Su questo siamo intervenuti co­me ministeri del Welfare, della Salute e degli Interni, al quale e­rano arrivate richieste di chia­rezza in proposito da parte dei Comuni. Si tratta, va ribadito, di dichiarazioni senza alcun valo­re. Questo supera anche la preoccupazione di alcuni espo­nenti politici, per i quali la leg­ge sul fine vita può servire a e­vitare disomogeneità nelle va­rie regioni. Situazione che non si può verificare.
Controlli Inps, cessato pericolo ma solo per le persone Down - Dall’Istituto una parziale marcia indietro sulle verifiche - Il documento applica il decreto del 2007 che esclude dalle visite mediche di verifica i disabili gravi, ma gran parte di questi restano fuori dalla decisione E da mesi attendono ancora una risposta all’invio dei certificati -   DA ROMA ANTONIO MARIA MIRA – Avvenire, 29 dicembre 2010

C ontrolli Inps...cessato pericolo. Ma solo per le persone con sindrome di Down. Per gli altri disabili gravi tutto come prima. Anzi con tante paure in più. Perché migliaia di disabili, e le lo­ro famiglie, stanno aspettando da molti mesi una risposta dall’Inps all’invio del­la documentazione richiesta per dimo­strare la disabilità. Aspettavano per capi­re se fosse sufficiente. Invece... silenzio.

Comunque la parziale marcia indietro dell’Inps è già una buona notizia, la di­mostrazione che si possono evitare nuo­ve sofferenze a chi, i disabili e le loro fa­miglie, già conduce una vita difficile. La nuova decisione dell’istituto previden­ziale è contenuta nel «messaggio» della Dire­zione generale n. 31125 e porta la data del 9 di­cembre, cinque giorni dopo la denuncia di Av­venire

sul rischio di nuovi tagli per i veri di­sabili, attraverso l’an­nunciato piano di con­trolli. Il contenuto del documento, pur se li­mitato alle persone con sindrome di Down, va proprio nella direzione richiesta da famiglie e associazioni. «Con rife­rimento alle Linee guida operative predi­sposte dal Coordinamento Generale Me­dico Legale in materia di invalidità civile – si legge nel documento interno dell’In­ps –, si precisa che, nei confronti dei sog­getti affetti da sindrome di Down, inte­ressati da accertamenti sanitari per inva­lidità civile, deve essere riconosciuto il di­ritto all’indennità di accompagnamento e deve essere applicato, ove possibile, il DM 2 agosto 2007, sia in fase di verifica or­dinaria, sia in fase di verifica sulla per­manenza dei requisiti sanitari». La con­seguenza immediata di questa decisone, si legge ancora nel messaggio, è che «an­che su base meramente documentale, gli interessati devono essere esclusi da qual­siasi visita di controllo sulla permanenza dello stato invalidante». Una sorta di au­tomatismo.

Tirano un sospiro di sollievo migliaia di fa­miglie. Niente più umilianti visite di con­trollo. Niente più interminabili file per di­mostrare il già dimostrato da anni. Nien­te più il sospetto di essere dei truffatori. E chi in questi mesi si era visto revocata l’indennità di accompagnamento, pro­prio in base all’applicazione delle Linee guida, può chiederne ora il reintegro (ve­di intervista a parte). In realtà la nuova posizione presa dal­l’Inps non è altro che l’applicazione, pur se tardiva, di norme che già avrebbero do­vuto escludere le persone con sindrome di Down, ma anche tanti altri disabili gra­vi, da controlli e verifiche successive al ri­conoscimento dell’invalidità. Lo preve­deva proprio il decreto del 2 agosto 2007, quello ora citato nel messaggio. Le Linee guida, come denunciammo venticinque giorni fa, introducevano norme molto se­vere per l’accertamento dell’autonomia dei disabili e quindi per il mantenimen­to dell’indennità di accompagnamento. «In pratica – scrivevamo – se un disabile è capace di condurre autonomamente gli atti di vita quotidiana in casa (come ve­stirsi, mangiare, andare al bagno) corre il rischio di perdere tale indennità, anche se poi, uscito di casa, non è capace di tor­narvi». A rischio soprattutto disabili men­tali come persone con sindrome di Down, autistici, cerebrolesi o anche anziani af­fetti da demenza senile o Alzheimer.

Con la decisione presa cinque giorni do­po la nostra denuncia, le persone con sin­drome di Down non corrono più questo pericolo. Basterà la documentazione ori­ginaria, quella che aveva dichiarato e cer­tificato l’invalidità. Proprio come previ­sto dal decreto del 2007. Ma sotto la scu­re delle visite mediche e dell’applicazio­ne severa delle Linee guida restano, pur­troppo, gli altri disabili gravi. Anche per­ché in migliaia, malgrado l’invio della do­cumentazione richiesta dall’Inps, non hanno ancora ricevuto una risposta. Al­cuni attendono ormai da cinque mesi. Ep­pure nelle lettere invia­te (molte addirittura a luglio), l’Inps imponeva appena 15 giorni di tempo per l’invio di ta­le documentazione. Molta fretta. La mano­vra economica di giu­gno ha previsto, infatti, 100mila controlli entro l’anno. E le richieste, coi termini perentori, sono partite. Ma per la risposta, invece, i tem­pi si stanno misteriosa­mente allungando.

Il timore, dunque, è che si voglia saltare il controllo documentale (ricordiamo che si tratta di documenti uf­ficiali, frutto delle commissioni delle U­sl) per passare direttamente alle visite me­diche, con tutto il corollario di umiliazio­ni e sofferenze. Attese, file, ostacoli psi­cologici e materiali (vedi il caso di Napo­li a fianco). Proprio quello che il decreto del 2007 intendeva escludere per le disa­bilità più gravi. Ora arriva la buona noti­zia per le persone con sindrome di Down. Possono essere degli «apripista» affinché anche per gli altri si escludano inutili con­trolli. Si può e si deve fare. Per evitare do­lorose e assurde discriminazioni. Non ci possono essere figli e figliastri. Bastereb­be solo applicare alla lettera la legge. Lo si è fatto il 9 dicembre, lo si continui a fa­re anche per tutti gli altri.
Avvenire.it, 29 dicembre 2010 - La gemella nata 11 anni dopo - I «migliori» e il gelo di Assuntina Morresi

Bethany e Megan sanno che la loro terza gemella, Ryleigh – appena qualche settimana di vita –, è stata concepita undici anni fa, insieme a loro, e che per tutto questo tempo è stata un embrione "sospeso" in un congelatore: i genitori glielo hanno spiegato. Probabilmente anche la terza sorella, da grande, saprà tutto della sua nascita, vista la risonanza del caso sui media. È pur sempre la prima volta di una gemella nata così tanto tempo dopo le altre, anche se non è una novità in assoluto: molti sono i bambini nati da embrioni sottratti dopo tanti anni al loro destino di ghiaccio.

Non sappiamo, invece, se i genitori delle gemelle inglesi hanno detto loro che altri undici possibili fratellini o sorelline sono ancora conservati a quasi duecento gradi sotto zero, e che forse non nasceranno mai. In Gran Bretagna, infatti, dopo un certo numero di anni gli embrioni "sovrannumerari" vengono distrutti (e nessun laboratorio di ricerca protesta, o li richiede: tanto per chiarire ancora una volta che degli embrioni umani crioconservati la scienza "non sa che farsene").
Forse si chiederanno, le tre ragazzine, come sarebbero stati gli altri fratelli se fosse stata concessa loro la possibilità di nascere. Domanderanno ai loro genitori: come mi hanno scelto, quand’ero ancora un embrione? Perché noi sì, e gli altri no? E di quelli rimasti, che ne sarà? Davanti a domande del genere bisogna avere l’onestà intellettuale di ammettere che di risposte non ce ne sono. O meglio, non ne esistono di accettabili: perché l’unica, vera, possibile risposta è che di solito si scelgono gli embrioni "migliori", quelli che, sotto l’obiettivo del microscopio, promettono di svilupparsi meglio. Oppure, in mancanza di altro, si procede a caso: e chissà com’è stata scelta Ryleigh...
Domani bisognerà anche spiegare alle tre sorelle concepite in provetta che degli embrioni "di riserva", quelli in più, non se n’è fatto nulla, che sono ancora crioconservati, e che magari verranno distrutti. E chissà se Bethany e Megan hanno capito che la loro gemellina, proprio quella che abbracciano felici insieme ai genitori nella foto pubblicata dai giornali, poteva ancora essere un embrione immerso in azoto liquido, e rimanere congelata fino a quando ne fosse stata possibile la distruzione a norma di legge.

Se le tre bimbe inglesi, e tutti i ragazzi nati in modo analogo – e sono tanti, nel mondo –, facessero queste domande si sentirebbero rispondere che sono nati perché erano "migliori" in base alle qualità biologiche: dunque alcuni loro possibili fratelli erano più scarsi, meglio escluderli in partenza secondo un’opzione eugenetica che pensavamo aver bandito per sempre e che invece si ripresenta in una forma sofisticata. Ma la scelta dentro il freezer potrebbe anche essere il frutto di una casualità, del tutto estranea al mistero della nascita che accompagna da sempre la nostra umanità e che assomiglia piuttosto all’estrazione di una lotteria amara: la nascita di uno significa la sconfitta di tutti gli altri.

Quella di centinaia di migliaia di vite sospese in un gelo senza fine è una delle conseguenze negative delle tecniche di fecondazione in vitro. La nostra legge 40, anche dopo la sentenza della Corte Costituzionale che ha abolito il limite massimo di tre embrioni da generare e trasferire in utero, vieta la produzione di embrioni "sovrannumerari", consentendo esclusivamente quella di un numero «strettamente necessario» alla procreazione. Solo un’applicazione corretta della legge da parte degli operatori consentirà all’Italia almeno di non aumentare il numero degli embrioni crioconservati prima che la 40 entrasse in vigore. E di limitare la portata di un problema che comunque resta drammaticamente irrisolvibile.
Case protette. Ma non dall'eutanasia di Andrea Zambrano 29-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it

Le case sono protette, ma sono i loro ospiti che evidentemente non sono protetti dall’aggressività di certi messaggi che invitano esplicitamente all’eutanasia. Nelle strutture per anziani della “Asp Rete” di Reggio Emilia circola un volantino del Comune che pubblicizza la recente istituzione del registro dei testamenti biologici. Registri che sono già stati sconfessati da una circolare dei ministri Sacconi, Fazio e Maroni perché illegittimi e incostituzionali. Il Comune di Reggio non se n’è curato e ha proseguito nella campagna informativa con tanto di volantini stampati e pagati dalla collettività.

Va da sé che quella che era una provocazione di alcune istituzioni che presentano i testamenti biologici come un dato di fatto già recepito dal Parlamento, e che invece, per dirla con le parole del sottosegretario Eugenia Roccella sono «una presa in giro dei cittadini», da ieri sono anche uno sfregio ai tanti sofferenti che nelle case protette cercano riparo e conforto nell’ultimo tratto delle loro esistenza terrena.

Sul bancone informativo di una dei sette ricoveri del Comune compare il volantino del Comune che informa e invita i cittadini ad iscriversi al registro appena istituito. Ci sono tutte le informazioni necessarie per l’iscrizione, con tanto di orari dell’urp incaricato di ricevere le adesioni e di numeri di telefono. Il fatto è che il quartino del Comune ovviamente non dice che l’iniziativa è puramente propagandistica e non ha alcun valore legale.

Ma la cosa più grave è che pubblicizzare la cosa all’interno di una casa protetta pubblica, la dice lunga sulla mission di quelli che una volta erano gli ospizi dove suore premurose accompagnavano serenamente sofferenti e moribondi all’altra vita, esercitando quella pietas millenaria che non ha mai avuto bisogno di patenti di costituzionalità per essere accreditata presso la gente.
Un familiare di una degente, irritato per il trattamento riservato alla parente, ha informato i giornali locali e si è chiesto che servizio pubblico possa essere quello che dà assistenza ai malati e poi strizza loro l’occhio facendo capire che ci può essere anche un’altra strada. E noi in aggiunta, ci chiediamo da che cosa sono protette oggigiorno le case protette? Dalla cultura della vita? O dal buon senso?

Se i ricoveri per anziani smettono di essere tali per diventare parcheggi dove invece di tutelarla, la vita umana viene aggredita con la panacea dell’eutanasia, perchè allora non cambiare la loro ragione sociale: da case protette a case della dolce morte. Chissà che i bilanci dei Comuni non ne abbiano giovamento...

martedì 28 dicembre 2010

Eutanasia strisciante - Dopo il no delle misure nella riforma, Obama punta sui decreti ministeriali - Fine vita, Obama ripropone il piano - Il tema è la rinuncia anticipata a cure aggressive per il mantenimento in vita in caso di malattia o incidente – una serie di articoli da http://www.portaledibioetica.it

Dal prossimo 1° gennaio negli Stati Uniti i medici del programma Medicare (che copre l'assicurazione medica e ospedaliera di 45 milioni di americani con più di 65 anni di età, grazie ai contributi federali) riceveranno soldi dal governo se avvertiranno i pazienti sulle opzioni terapeutiche di fine vita, che potrebbero includere anche «direttive anticipate» per la rinuncia a cure aggressive per il loro mantenimento in vita in caso di malattia o incidente.
CASO ENGLARO - In Italia, dopo il caso di Eluana Englaro nel febbraio 2009, la maggioranza parlamentare aveva assicurato che nel giro di poche settimane sarebbe stata approvata una legge sul cosiddetto «testamento biologico», cioè la fissazione di regole per le direttive anticipate di trattamento di fine vita. Anzi sul caso Englaro c'era stato un duro scontro istituzionale tra il premier Silvio Berlusconi e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, con il primo che voleva che il capo dello Stato firmasse un decreto di urgenza. Ma, come spesso avviene in Italia, una volta passata l'emergenza, del «testamento biologico» si è persa traccia nel dibattito parlamentare.
PIANIFICAZIONE - La versione finale della nuova legge americana sulla sanità, firmata dal presidente Barack Obama lo scorso marzo, autorizza la copertura finanziaria nel programma Medicare di esami medici annuali o controlli sullo stato di salute. Le nuove regole affermano che Medicare coprirà anche i costi della «volontaria anticipata pianificazione delle cure», per discutere i trattamenti di fine vita come parte della visita annuale. I medici, quindi, possono dare informazioni su come preparare «direttive anticipate» per stabilire i limiti entro i quali le persone intendono essere curate se si trovassero in una situazione in cui non fossero in grado di prendere autonomamente decisioni inerenti le proprie cure.
STRATEGIA - Quella adottata da Obama in realtà è una strategia per far entrare dalla finestra ciò che non era potuto entrare dalla porta, come scrive il 26 dicembre il New York Times. Infatti quando il presidente cercò di inserire il tema delle opzioni terapeutiche di fine vita nella nuova legge sulla sanità Usa, i repubblicani - spalleggiati dalla Chiesa cattolica e altre congregazioni religiose, e dai gruppi più conservatori - sollevarono un vespaio su quelle che chiamarono «le liste della morte». La leader dei Tea Party, Sarah Palin, e John Boehner, che a gennaio diventerà il nuovo presidente della Camera a maggioranza repubblicana, dissero che «le liste della morte di Obama» (il termine venne coniato proprio dalla Palin) erano fatte per decidere a chi fornire le cure e a chi invece non darle, in pratica aprendo all'eutanasia. Obama, messo alle strette, disse che la legge «non avrebbe staccato la spina alla nonna». Il presidente rinunciò a inserire lo scottante tema nella legge, ma ora ha trovato una scappatoia: quelli che in Italia chiamiamo «decreti attuativi ministeriali».
DECRETI APPLICATIVI - Sono proprio questi che entreranno in vigore il 1° gennaio 2011. E, come tutti i decreti applicativi, passano quasi sempre sotto silenzio in quanto dei documenti amministrativi non si accorge (quasi) mai nessuno. I democratici Usa in Parlamento hanno cercato, infatti, di dare la minor possibilità possibile alla vicenda. Anzi, anche coloro che l'hanno proposta, in comunicazioni riservate riportate dal quotidiano newyorchese, confessano di parlarne poco proprio per non dare un appiglio ai repubblicani per rinfocolare la polemica sulle «liste delle morte», solo per motivi politici e non per il bene dei cittadini. Infatti, un sondaggio dello scorso settembre indicava che il 30% degli americani sopra i 65 anni è convinto che la nuova legge sulla sanità contenga norme che consentono a comitati di funzionari governativi e di medici di prendere decisioni tramite Medicare sui trattamenti di fine vita. Fatto inesistente, ma la propaganda spesso è più forte della realtà.

Redazione online
26 dicembre 2010(ultima modifica: 27 dicembre 2010)

Fonte: http://www.corriere.it


Sacconi incalza Fini: «Bisogna fare presto sul testamento biologico»
Il ministro del Lavoro sollecita il presidente della Camera sull'approvazione del ddl che giace da un anno e mezzo a Montecitorio.

ROMA - Discutere al più presto in Aula alla Camera il disegno di legge sul testamento biologico. L'appello arriva, anche se per ragioni diverse, da tutte le forze politiche, nel giorno in cui il dibattito sul fine vita è riacceso dalle nuove disposizioni in merito alla scelta delle cure volute negli Stati Uniti dall'amministrazione Obama.
Anche in Italia torna così l'urgenza di avere una legge sul fine vita, messa a punto in fretta subito dopo la morte di Eluana Englaro e approvata al Senato oltre un anno e mezzo fa. La volontà del governo c'è, come sottolinea il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, secondo il quale «è ora di mettere all'ordine del giorno della Camera» il testo. E c'è, anche quella della commissione Affari sociali, che è «pronta a dare mandato al relatore per portare in Aula il testo», come spiega il presidente della commissione, Giuseppe Palumbo. Per farlo, però, dopo che la commissione aveva licenziato il testo il 12 maggio scorso, mancano ancora i pareri delle commissioni Giustizia, Affari Costituzionali e Bilancio. L'impasse, insomma, è tecnico, ma «anche politico». Bisognerà comunque vedere il «clima» che ci sarà alla riapertura delle Camere. Anche perchè il presidente, Gianfranco Fini, esprimendo la sua opinione sui temi bioetici qualche settimana fa, aveva sottolineato che «non tutto può essere codificato per legge».
Ma le spinte a rompere gli indugi e ad arrivare al dibattito in Aula arrivano da maggioranza e opposizione, con le Udc Paola Binetti e Dorina Bianchi che invitano il governo «a passare dalle parole ai fatti» tenendo alta la bandiera della «difesa della vita». Anche perchè nel frattempo, nonostante una circolare ministeriale li abbia definiti illegittimi, continuano a essere istituiti registri nei comuni di tutta Italia (ultima Livorno che lo attiverà dal prossimo tre gennaio), creando, come sottolinea Bianchi «disparità tra Regioni in materia di dichiarazioni anticipate di trattamento». Appello alla rapida calendarizzazione che arriva anche dal Pd, con Ignazio Marino che si augura l'approvazione di un testo «non oscurantista» e i cattolici Baio e Bosone che invitano a «considerare vita anche la fase terminale della stessa e trattarla quindi con la massima dignità e attenzione possibile senza cadere in battaglie ideologiche».

martedì 28 dicembre 2010, 10:38

Fonte: http://www.ilgiornale.it


FINE VITA
Usa: incentivi ai medici
che promuovono il "testamento biologico"

Nonostante l'opposizione nei mesi scorsi dei repubblicani, che avevano denunciato l'avanzare di un  "panel della morte" e l'apertura a possibili pratiche eutanasiche su larhissima scala, l'Amministrazione del presidente degli Stati Uniti Barack Obama è riuscita a mettere a punto nuove regole per finanziare una serie di politiche destinate ai medici per preparare la morte dei malati incurabili.
Come ha scritto ieri con ampio rilievo il New York Times, le regole erano state stralciate dalla riforma sanitaria per evitare troppe polemiche, ma entreranno in vigore all'inizio dell'anno prossimo.
In pratica dal 1 gennaio 2011, i medici del programma Medicare, che dovrebbe riuscire a garantire l’assicurazione medica agli americani con un’età superiore ai 65 anni, riceveranno soldi dal governo se avviseranno i pazienti sulle scelte terapeutiche di fine vita, inclusa la possibile rinuncia alle cure per rimanere in vita nei casi di gravi incidenti o malattie.
Insorge il mondo pro-life e non solo. Contando che quasi l'80% della spesa sanitaria va ogni anno per i malati cronici e gli anziani vicini al termine della  propria vita, la tentazione di voler risparmiare sulla pelle dei più deboli diventa una prospettiva inquietante ma niente affatto irrealistica.

27 dicembre 2010


Fonte: http://www.avvenire.it


Barack Obama: riproposto il piano Fine vita, la rinuncia alle cure aggressive

Barack Obama torna a riproporre il suo piano Fine Vita. Di cosa si tratta? In pratica dal 1 gennaio 2011, i medici del programma Medicare negli Usa (è il programma fortemente voluto da Obama che riesce a coprire l’assicurazione medica agli americani con un’età superiore ai 65 anni) avranno dei soldi dal governo se avviseranno i pazienti sulle scelte terapeutiche di fine vita: questo include anche la rinuncia alle cure aggressive per rimanere in vita nei casi di gravi incidenti o malattie. Si tratta di una proposta che di sicuro scatenerà forti polemiche.
Secondo la nuova legge americana sulla sanità, Medicare copre anche i costi della “volontaria anticipata pianificazione delle cure”. In pratica, nella visita annuale prevista da Medicare, i dottori potranno fornire informazioni relative ai limiti da stabilire per le cure mediche, nel caso in cui i pazienti non fossero più in grado di prendere queste decisioni da soli.
 In realtà Barack Obama cercò di far entrare questo progetto già durante l’approvazione della legge sanitaria, ma trovò una forte opposizione da parte dei repubblicani, della Chiesa cattolica, dei gruppi conservatori: Sarah Palin chiamò questa riforma “le liste della morte di Obama”, sostenendo che in questo modo si apriva la porta all’eutanasia. Adesso, il presidente americano, ha deciso di far passare questa proposta usando la formula dei “decreti attuativi ministeriali”, documenti amministrativi di cui, di solito, nessuno si accorge.
Anche in Italia si erano fatte delle proposte in tal senso. Dopo il caso di Eluana Englaro, il governo aveva parlato di approvare la legge sul “testamento biologico”, ossia creare delle regole per le “direttive anticipate” sul trattamento di fine vita. Ma, ovviamente, essendo passato il clamore mediatico suscitato dal caso Englaro, del testamento biologico si sono perse le tracce nei meandri del Parlamento.

Pubblicato da arcadia in Barack Obama, Esteri, Primo Piano, Salute, USA.
Lunedì, 27 Dicembre 2010.

Fonte: http://www.haisentito.it


Trattamento di fine vita, Obama non demorde

Si chiama Programma Medicare e negli Stati Uniti è l'unica assicurazione medica, per persone dai 65 anni in su (o che rientrano in rigidi criteri burocratici), interamente finanziata dai contributi federali ed amministrata dal governo degli Stati Uniti. Medicare rappresenta per 45 milioni di cittadini statunitensi l'unico accesso alla sanità ed alle cure mediche di base. Dal prossimo 1 gennaio Medicare verrà ampliato con la riforma sanitaria targata Obama, le cui disposizioni introducono importanti cambiamenti in termine di "fine vita": molto probabilmente verranno introdotte direttive per la rinuncia a cure aggressive (quello che da noi definiamo "accanimento terapeutico") per il mantenimento in vita dei pazienti in caso di malattia o incidente. Non solo, i medici che lavorano nel Programma riceveranno fondi per informare i loro pazienti, durante le visite annuali, proprio in tal senso.
Tale programma, ratificato nel 1965 dal Presidente Johnson ed ampliato lo scorso marzo da una importante riforma del sistema sanitario operata dall'amministrazione Obama, autorizza la copertura finanziaria federale di esami medici annuali (il classico check-up) introducendone di nuovi e più approfonditi (e costosi), ed amplia il numero di cittadini americani che avranno accesso a Medicare.
La riforma sanitaria, uno dei punti cardine della campagna elettorale del Presidente Barack Obama, è stata osteggiata in ogni modo dal Partito Repubblicano, che senza mezzi termini ha accusato l'amministrazione democratica di "socialismo assistenziale", termine che negli USA rievoca ancora storiche battaglie propagandistiche dei tempi della Guerra Fredda, in perfetto stile Nixon.
La riforma, in vigore dal 1 gennaio 2011, contiene anche importanti disposizioni sul trattamento di "fine vita" per stabilire chiari limiti entro i quali le persone intendono essere curate se si trovassero in una situazione in cui non fossero in grado di prendere una decisione relativa alle cure.
L'amministrazione Obama faticò non poco al Congresso, a causa del fuoco incrociato repubblicano, Tea Party, Chiesa e oltranzismo conservatore; proprio sul fine vita venne alzato un polverone per quelle che Sarah Palin definì le "liste della morte di Obama": elenchi di assistiti in tema di fine vita, che i conservatori americani vedono come una chiara apertura all'eutanasia. Il Presidente Obama, per ottenere il si del Congresso, dovette rinunciare ad inserire questo tema nella riforma.
Ma la riforma pare prenderà un'altra direzione, grazie al "trucco" legislativo di quelli che in Italia chiamiamo "decreti attuativi ministeriali"; tali direttive passano quasi sempre sotto silenzio, quasi nessuno si accorge di tali documenti amministrativi (in Italia come negli USA). Obama sta dunque tentando questo escamotage per introdurre nella riforma un'importante parte, relativa alla personalizzazione del trattamento di "fine vita", considerato dal Presidente un diritto fondamentale di ogni cittadino americano.
Ciò che accade, con lentezza e fatica, negli Stati Uniti, ci si aspettava accadesse tempo fa in Italia. Più o meno nel febbraio 2009, all'epoca del caso Englaro: la maggioranza di governo aveva assicurato l'approvazione di una legge sul "testamento biologico" entro poche settimane. Il caso di Eluana fece scalpore, purtroppo, anche e soprattutto per lo scontro istituzionale tra Presidenza della Repubblica e Presidenza del Consiglio; le successive promesse da marinaio, relative alla fissazione di regole per le direttive anticipate di trattamento fine vita, si sono dimostrate figlie di uno scontro politico-istituzionale, e non della reale intenzione legislativa in materia.

 lunedì 27 dicembre 2010
di ANDREA SPINELLI BARRILE

La strage degli innocenti sono i tanti bimbi mai nati, aborto un crimine. La vita va difesa sul lavoro, nella giustizia sociale, assurdo morire per lavoro. Basta con le persecuzioni ai cristiani di Bruno Volpe da da http://www.pontifex.roma.it

La Chiesa celebra la festa dei Santi Innocenti, ossia quei poveri bimbi che il re Erode volle mettere a morte per uccidere anche Cristo . Una mattanza da fare invidia a quelle staliniane o di Hitler. Ne parliamo con Monsignor Francesco Cosmo Ruppi, Arcivescovo Emerito di Lecce. Eccellenza, chi sono le vittime di Erode di oggi? "credo che le più innocenti siano i tanti bimbi che non hanno avuto la possibilità di venire al mondo non per loro volontà, ma solo per egoismo e scelte infelici dei genitori. Insomma, l'aborto oggi é la cosa che maggiormente colpisce di più per la mancanza di rispetto del senso della vita". Che fare per combatterlo? "fare capire con attenzione e amore che la vita non é una nostra proprietà, che é un dono, che ne siamo amministratori e dunque la dobbiamo amministrare con la diligenza che si chiede ad un buon servitore. Sopprimere un esserino é un atto barbarico". Oggi vige comunque una cultura della morte: "questo è vero, la vita non riceve grandi attenzioni, ma a tutti i livelli e accanto all'aborto, va considerata la eutanasia che rispecchia la stessa mentalità autosufficiente ed arrogante di chi si arroga appunto compiti che toccano a Dio".

Tra i morti innocenti anche i tanti cristiani perseguitati nel mondo: "ha fatto bene il Papa ad alzare la voce. Oggi i cristiani, per la loro mitezza e la loro pace, sono uccisi in molte parti del mondo e non sembra che questo importi molto agli organismi internazionali. E'ora di dire basta a questa indegna carneficina".

Altre vittime di Erode di oggi? "chi muore di droga, per i mercanti della morte, speculatori delle altrui debolezze, i poveri, coloro che non possono permettersi una casa, una vita degna, chi non ha lavoro, chi lo ha perso e non trova solidarietà, i senza dimora e quei poveretti che in una società che si pregia di definirsi progredita, muoiono assiderati e per la strada sotto gli occhi indifferenti di chi parte magari per la vacanze. Questo é uno scandalo".

Come lo é morire sul lavoro: "il lavoro, degno e sicuro, é un diritto ed uno stato che voglia dirsi civile deve assicurarlo, ma secondo standard di sicurezza. L'imprenditore non ha alcun diritto a lesinare sulla sicurezza e le condizioni di lavoro, tanto meno sul salario giusto. Non é decente speculare sui lavoratori, ma questo accade perché molti imprenditori eticamente poco seri, non si attivano e fidano in sistemi ispettivi vecchi e poco penetranti".
Mons. Olmsted "sbattezza" l'ospedale abortista di Marco Respinti 28-12-2010 da http://www.labussolaquotidiana.it

Si chiama American Civil Liberties Union (ACLU), si presenta come un “sindacato” a favore degli “ultimi” e degli “esclusi”, ma tutti sanno che si tratta di uno dei bracci più intransigenti del laicismo statunitense. Settimana scorsa ha spedito una lettera ai funzionari del ministero della Sanità per chiedere che il governo federale costringa ? così scrive su National Review Online Michelle Malkin, la popolarissima star del blogging conservatore statunitense ? gli ospedali cattolici del Paese a violare il proprio impegno di coscienza a favore della vita nascente. L’ACLU chiede infatti che vengano avviate indagini ufficiali sulle istituzioni sanitarie cattoliche americane che “ancora” si rifiutano di fornire contraccettivi e di praticare aborti nei casi di “emergenza”. Ovvero tutti, visto che per chi li richiede contraccezione e aborto sono comunque sempre, in un mondo o nell’altro, di “emergenza”.

A scatenare la reazione dell’ACLU è stato il vescovo cattolico di Phoenix, in Arizona, monsignor Thomas J. Olmsted, ben noto per avere pubblicamente condannato, il 10 marzo 2009, la decisione del presidente Barack Obama di eliminare le restrizioni di legge poste da George W. Bush jr. al finanziamento con denaro statale delle ricerche (definite «omicide» dal presule) sulle cellule staminali embrionali.

Il 21 dicembre mons. Olmsted ha revocato lo status di “cattolico”, rescindendo ogni legame fra la struttura e la sua diocesi, a un ospedale il cui personale ha praticato diverse interruzioni volontarie di gravidanze, ha distribuito pillole anticoncezionali e ha fornito interventi di sterilizzazione, ovvero ha operato con modalità palesemente incompatibili con il riferimento positivo a quella Chiesa Cattolica a cui detta struttura pur si richiamava.

La legge che negli Stati Uniti impone agli ospedali di praticare obbligatoriamente interventi abortivi in casi di emergenza data dal 1986, ma sin da allora non vi è mai stata amministrazione alcuna, né di destra né di sinistra, che abbia preteso di scavalcare le norme che garantiscono al personale medico e paramedico la possibilità dell’obiezione di coscienza, altrettanto tutelata dalla legge federale.

Di passaggio è del resto opportuno ricordare ? come fa la Malkin ? che, in base ai dati raccolti dalla Catholic Health Association, con 540mila impiegati a tempo pieno e 240mila part-time, le strutture cattoliche di assistenza medica americane costituiscono oggi il capitolo più vasto nel settore dei servizi sanitari non-profit di tutto il Paese, prendendosi in carico un paziente su sei e coprendo il 15% del fabbisogno nazionale dei letti ospedalieri. È per questo che una iniziativa come quella dell’ACLU risulta davvero pericolosa.

Il rasoio ideologico che delle strutture mediche cattoliche prevede infatti l’omologazione, con conseguente cancellazione di quelle specificità che avvantaggiano la popolazione tutta, o magari persino la chiusura dei loro battenti, sottrarrebbe al Paese una risorsa enorme di gratuità e di servizi autentici alla persona, manderebbe in fumo un numero inverosimile di posti di lavoro in un momento storico assai delicato sul piano economico e comporterebbe una impennata senza pari del numero dei già troppi aborti americani. Insomma, sarebbe una vera e propria follia che il Paese non può permettersi.
Avvenire.it, 28 dicembre 2010 - Per contenere la spesa sanitalia - Se il «care» di Obama scarica i malati più cari di Francesco Ognibene

Si chiama Medicare – l’assistenza sanitaria a carico del governo federale americano – e suona bene. Tutto ciò che ha a che fare con il care, il prendersi cura, soprattutto quando troppo a lungo da questa possibilità sono rimasti esclusi milioni di cittadini, è un provvedimento atteso e necessario.
Barack Obama lo sa, e ha investito molto del suo carisma nella battaglia parlamentare per introdurre il diritto di vedersi assistiti quando se ne ha bisogno anche se non si dispone del denaro necessario per curarsi. Ma il concetto che il presidente ha del care inciampa in talune vistose contraddizioni, e proprio nei terreni della vulnerabilità estrema: dopo essersi battuto per far passare l’inclusione dell’aborto nelle prestazioni sanitarie a carico dello Stato, Obama ha mostrato una volta ancora di avere un’idea individualista e disinvolta del diritto all’assistenza, con una scelta sostanziale e procedurale che lascia esterrefatti.

Dal 1° gennaio, infatti, entrerà in vigore il regolamento col quale la Casa Bianca include la consulenza sulle scelte di fine vita nel colloquio annuale con un medico pagato dai contribuenti al quale hanno diritto gli ultra-65enni. Nella visita di controllo – come spiegava il New York Times nell’edizione natalizia – il paziente potrà «stabilire quanto aggressivamente desidera essere curato nel caso si trovasse malato al punto da non poter assumere decisioni sanitarie su se stesso». Un testamento biologico federale in piena regola, probabilmente destinato a suscitare un contenzioso senza fine con le normative dei singoli Stati, non sempre attestate sulla linea dell’autodeterminazione assoluta scelta da Washington.

Ma Obama intende portare a casa a ogni costo un progetto che – conti alla mano – potrebbe risultare decisivo per garantire la sostenibilità dell’intera riforma sanitaria. Lo dimostra il fatto che, ancora scottato dall’estenuante (e perdente) braccio di ferro sull’aborto con i repubblicani e una parte del suo stesso partito, ha preferito aggirare il Congresso scegliendo la scorciatoia (vile, diciamolo) del regolamento, ben consapevole del fatto che da inizio anno la maggioranza parlamentare uscita dalle elezioni di novembre muterà gli equilibri complicando il percorso dei provvedimenti a lui cari da far passare in aula. E dunque, che importa della democrazia se si devono far quadrare i conti? Nel pragmatico sistema di pensiero obamiano una norma sul «fine vita» può essere sottratta al libero voto del Parlamento se in gioco ci sono miliardi di dollari: quelli che sarebbero necessari a garantire cure adeguate agli anziani colpiti da disabilità gravi, malati terminali, vegetativi, o con patologie neurodegenerative.

Le malattie croniche e i pazienti nell’ultimo tratto della loro vita pesano infatti per l’80% della spesa sanitaria. E dunque per risparmiare cifre più che cospicue basterebbe un bel colpo di forbice su quello che una cultura tutta impostata sull’efficienza – del corpo come nella gestione dei costi – considera senza vergogna uno 'spreco'. È sufficiente che il medico informi l’anziano su come potrebbe diventare la sua vita nel caso di infermità gravi, e non è difficile immaginare quale potrebbe essere la scelta di molti americani in condizione di fragilità messi sotto pressione da un camice bianco pagato dal governo. Sapendo che i repubblicani, i movimenti pro-life e il mondo cattolico sono pronti a opporsi a una scelta così brutale, Obama ha stralciato dal Medicare il capitolo sul «fine vita», mettendo la sordina alla sua decisione fino alla vigilia dell’entrata in vigore.

Ora che finalmente si gioca a carte scoperte, suonano agghiaccianti le domande suggerite ai medici da una docente dell’Università del Michigan per i colloqui con anziani già provati da travagli di salute: «Se lei avesse un altro infarto e il suo cuore si fermasse, vorrebbe che lo si facesse ripartire? Come malato di enfisema, vorrebbe passare il resto della sua vita attaccato a una macchina per respirare? Quando verrà il momento, vorrebbe usare la tecnologia per provare e ritardare la sua morte?». La chiamano care, ma assomiglia maledettamente all’eutanasia.
IL CASO/ Gaggi: Obama "incoraggia" i pazienti a staccare la spina per risparmiare - INT. Massimo Gaggi - martedì 28 dicembre 2010 – il sussidiario.net

«Il piano sul fine vita di Obama è un modo con cui il governo americano dal primo gennaio taglierà la spesa pubblica per la sanità rendendo difficile l’accesso alle cure per i malati terminali. E se non ci potranno essere costrizioni in termini assoluti, il decreto apre le porte a campagne pubblicitarie dell’amministrazione Usa per convincere i pazienti a staccare la spina». Ad affermarlo è Massimo Gaggi, corrispondente da New York del Corriere della Sera, intervistato in esclusiva da Ilsussidiario.net. L’amministrazione Obama ha approvato un decreto che ripristina la possibilità di rinunciare a terapie invasive ed esprimere preferenze sui trattamenti di fine vita. Un provvedimento che ha fatto discutere, anche perché passato senza il consenso del Congresso e approvato dal governo Usa in gran segreto, almeno finché il New York Times ha svelato la notizia sollevando il caso.

Massimo Gaggi, quali sono gli aspetti più controversi del decreto di Obama?

Le critiche più incisive sono arrivate da quanti hanno osservato che il provvedimento ha una precisa motivazione economica. Alla luce della dinamica della spesa pubblica sanitaria Usa nei prossimi decenni, si calcola che nel 2050 raggiungerà la metà del Pil. E la parte più considerevole di questa cifra è quella relativa agli ultimi tre anni di vita dei pazienti. C’è stata quindi la volontà di fissare, attraverso il decreto di Obama, dei parametri oltre i quali diventa più difficile, anche se non impossibile, ma comunque disincentivata la cura delle malattie particolarmente gravi. Mi rendo conto che per chi vive in Italia il decreto di Obama ha degli aspetti mostruosi. Ma li ha anche il fatto che nel sistema sanitario Usa le assicurazioni possono rifiutarsi di pagare la chemioterapia a un paziente malato di tumore oltre a un certo livello di spesa.

Esiste quindi il rischio che il governo Usa per risparmiare cerchi di convincere i pazienti a staccare la spina?


Sì. Il rischio ci sarà sempre e per qualunque malattia. Una campagna pubblicitaria di questo tipo potrà essere realizzata da un’assicurazione sanitaria, ma anche dal governo o da parte di chiunque altro. Anche se sarà impossibile costringere le persone a staccare la spina, perché la decisione è affidata alla volontà individuale dei singoli. Ma a parte questo, se già oggi negli Usa le aziende farmaceutiche fanno campagne televisive in tv per prodotti anche molto delicati, che dovrebbero essere di competenza esclusiva del medico, come quelli antitumorali, contro la fragilità ossea o per la pressione arteriosa, è molto probabile che presto vedremo messaggi video contro l’opportunità di somministrare le cure terminali a pazienti con elevati livelli di sofferenza.

Sarah Palin ha denunciato il rischio che si creino anche dei «panel della morte», commissioni con l’incarico di stabilire di curare e chi no…

Il panel della morte è chiaramente uno slogan politico. Il decreto è stato concepito in modo da lasciare pienamente la scelta ai pazienti in modo da evitare, come già successo, di ricevere accuse di questo tipo dai Repubblicani. L’opposizione Usa aveva ipotizzato che Obama volesse creare un comitato di persone che si prendono la responsabilità di stabilire quali sono le condizioni oltre le quali una cura non è più somministrata. In realtà la soluzione adottata da Obama fa sì che a scegliere sia il futuro paziente, finché è ancora sano, quale tipo di trattamento vorrà avere se si troverà in condizioni estreme e privo di coscienza.

Ma esiste il pericolo che i pazienti non siano più in grado di controllare quali trattamenti ricevere?


No, mi sembra chiara la volontà di lasciare un margine di discrezionalità alle singole persone. E poi bisogna tenere conto del fatto che gli Usa sono molto diversi dall’Italia. Mentre inoltre nel sistema italiano si chiude sempre un occhio su molte cose, dai limiti di velocità all’acquisto di medicinali senza ricetta, in America tutto questo è impossibile perché c’è molta più rigidità. Quando negli Usa un paziente va a farsi l’ecografia, l’addetto che gliela fa non gli comunica i risultati, ma aspetta che sia il suo medico a farlo. In Italia quindi c’è sempre stato, anche negli ospedali di impostazione cattolica, la tendenza a evitare l’accanimento terapeutico. Mentre negli Usa se non c’è una norma precisa che lo consente, il paziente è curato a oltranza, se non altro per la paura di essere denunciati dai parenti. E quindi Obama ha voluto regolamentare anche questo campo. E poi è chiaro che stiamo parlando di un Paese che ha un sistema sanitario completamente diverso dal nostro, non solo dal punto di vista dell’organizzazione ma anche del concetto di salute, che negli Usa non è un diritto ma una responsabilità.

In che senso?

Il motivo è che non esiste un’assistenza sanitaria pubblica, ma tutto è affidato ad associazioni private o a società quotate in Borsa. Le persone in buona salute non sono obbligate ad assicurarsi, e sono loro che potrebbero riequilibrare i conti della sanità con redditi più elevati e minori necessità di cure. Non essendoci quindi un livello di solidarietà come in Italia, gli equilibri finanziari del sistema sanitario Usa non tiene. Quindi le assicurazioni si ritengono autorizzate a staccare la spina dei pazienti. E dal loro punto di vista non significa «basta non ti curo più», ma «da questo momento tu diventi responsabile della tua salute. Io ti ho aiutato finché potevo, ma arrivato a un certo livello ci devi pensare da solo, o con l’aiuto di un ente di beneficenza».

Ma come valuta il fatto che Obama abbia aggirato il Congresso, ricorrendo a un decreto?

E’ quello che da questo momento farà sempre più spesso. A gennaio infatti entreranno in carica i rappresentanti del Congresso eletti nelle elezioni di Midterm, e metà di loro sono Repubblicani. Le leggi quindi dovranno essere approvate di volta in volta con accordi bipartisan molto complicati. E a ogni concessione che Obama farà all’opposizione, i Democratici avranno da ridire. E’ chiaro quindi che lo strumento dei regolamenti d’attuazione d’ora in poi sarà quello più agevole.

(Pietro Vernizzi)