sabato 30 luglio 2011

L’aborto ha ucciso solo negli USA 300'000 donne Di Giovanni Corbelli - 28/07/2011 - Vi propongo questo articolo che è stato pubblicato originariamente in inglese sul sito LifeNews.com. Alcune ulteriori considerazioni in fondo all'articolo stesso. di Steven Ertelt, da http://www.libertaepersona.org

Un importante studioso di cancro al seno afferma che l'aborto ha causato almeno 300’000 casi di cancro al seno con conseguente morte della donna da quando la Corte Suprema degli Stati Uniti ha legalizzato l’aborto praticamente senza limiti nel 1973 [con la famigerata sentenza Roe v. Wade, ndT].

Con decine di milioni di aborti dalla decisione della Corte ‒ e la ricerca conferma che l’aborto aumenta il rischio di contrarre il cancro al seno ‒ senza dubbio si è verificato un gran numero di casi di cancro al seno provocati dall’aborto negli ultimi 38 anni.

Il professor Joel Brind, endocrinologo del Baruch College di New York, ha lavorato con diversi scienziati a un articolo del 1996, pubblicato sul Journal of Epidemiol Community Health, che mostra un “aumento del 30% di probabilità di sviluppare cancro al seno” per le donne che hanno avuto aborti procurati. Recentemente egli ha commentato sul numero di donne che ne sono rimaste vittime:

Se consideriamo attorno al 10% il rischio complessivo di cancro al seno (non considerando l’aborto), e lo aumentiamo del 30%, otteniamo un rischio del 13% complessivo riferito a tutta la vita. Considerando i 50 milioni di aborti dalla sentenza Roe v. Wade, otteniamo un eccesso di 1,5 milioni di casi di cancro al seno. Ad una mortalità media del 20% dal 1973, questo implica che l'aborto legale ha provocato circa 300’000 morti in più a causa di cancro al seno dalla sentenza Roe v. Wade.

Brind ha detto che la sua stima esclude le morti dovute all’utilizzo dell’aborto per ritardare la prima gravidanza portata a termine, un fattore di rischio riconosciuto per il cancro al seno.

Karin Malec, a capo di Coalition on Abortion/Breast Cancer, un gruppo per sensibilizzare l'opinione pubblica, dice che il numero di studi che mostra il legame tra aborto e cancro al seno continua a crescere negli anni dopo l'analisi innovativa fatta da Brind nel 1996 sui principali studi dell’epoca:

Negli ultimi 21 mesi, quattro studi epidemiologici e una recensione hanno riportato un legame tra aborto e cancro al seno. Uno studio includeva come coautrice Louise Brinton, direttrice di del settore nel National Cancer Institute. Abbiamo circa 50 studi epidemiologici pubblicati dal 1957 a oggi che riportano un legame. Vi sono anche studi biologici e sperimentali a sostenere questo legame. Gli esperti hanno dimostrato nelle riviste mediche che quasi tutti i circa 20 studi che negano il legame tra aborto e cancro al senso sono gravemente difettosi (fraudolenti). Come nel caso dell’occultamento del legame tra tabacco e cancro, essi sono usati per imbrogliare le donne e far loro credere che l’aborto sia sicuro.

Chirurghi come la dottoressa Angela Lanfranchi, Clinical Assistant Professor di Chirurgia presso la Robert Wood Johnson Medical School del New Jersey, che ha ampiamente spiegato come l’aborto aumenti il rischio di cancro al seno, hanno visto in prima persona come l’aborto faccia male alle donne.

Nel 2002 Angela Lanfranchi ha testimoniato sotto giuramento in una causa contro Planned Parenthood in California di aver avuto conversazioni private con importanti esperti che concordavano sul fatto che l’aborto aumenti il rischio di cancro al seno, ma si rifiutavano di discuterne pubblicamente dicendo che era una questione “troppo politica”.

Come co-direttore del Programma di Sanofi-Aventis Breast Care presso il Steeplechase Cancer Center, la Lanfranchi ha curato innumerevoli donne con una diagnosi di cancro al seno. La Lanfranchi è stata nominata “Top Doc” 2010 in chirurgia del seno per l'area metropolitana di New York dalla Castle Connolly.

In un articolo che ha scritto per la rivista medica Linacre Quarterly, la Lanfranchi spiega perché l’aborto comporta dei problemi per le donne e aumenta il rischio di cancro al seno:

L’aborto indotto aumenta notevolmente il rischio di cancro al seno perché interrompe i normali cambiamenti fisiologici al seno che avvengono durante una gravidanza a termine, e che abbassano il rischio di cancro al seno per la madre. Una donna che porta a termine una gravidanza a 20 anni ha una diminuzione del rischio di cancro al seno del 90% rispetto ad una donna che aspetta fino a 30 anni.

Il tessuto del seno dopo la pubertà, e prima di una gravidanza a termine, è immaturo e vulnerabile al cancro. Il 75% di questo tessuto è di lobuli di tipo 1 dove inizia il cancro duttale e del 25% di lobuli del tipo 2 dove inizia il cancro lobulare. Il cancro duttale costituisce l’85% di tutti i tumori al seno mentre il cancro lobulare ne costituisce il 12-15%.

Nonappena una donna concepisce, l’embrione secerne gonadotropina corionica umana (hCG), l’ormone la cui presenza viene rilevata nei test di gravidanza.

L’hCG fa sì che le ovaie della madre aumentino i livelli di estrogeno e di progesterone nel suo corpo, provocando un raddoppiamento della quantità di tessuto mammario. In effetti, ha più lobuli di tipo 1 e 2, dove il cancro inizia.

A metà gravidanza, a 20 settimane, il feto e la placenta producono hPL, un altro ormone, che comincia a far maturare il tessuto mammario in modo che possa produrre latte. È solo dopo 32 settimane che la madre ha abbastanza lobuli del tipo 4, maturo, che sono resistenti al cancro, così che il rischio di cancro al seno diminuisce.

L’aborto procurato prima delle 32 settimane lascia il seno materno con più tessuto vulnerabile per l’inizio del cancro. Questo è anche il perché ogni nascita prematura prima delle 32 settimane, non solo l’aborto procurato, aumenta o duplica il rischio di cancro al seno.

Aborti spontanei nel primo trimestre d'altra parte non aumentano il rischio di cancro al seno perché c'è qualcosa che non va con l'embrione, cosicché i livelli di hCG sono bassi. Un'altra possibilità è che ci sia qualcosa che non vada con le ovaie della madre e i livelli di estrogeno e progesterone siano bassi. Quando questi ormoni sono bassi il seno della madre non cresce e non cambia.

Al termine della gravidanza, l’85% del suo tessuto mammario è resistente al cancro. Ogni gravidanza successiva diminuisce il rischio di un ulteriore 10%.

Se una donna decide di abortire per qualunque ragione, dovrebbe cominciare a fare test preventivi a partire da 8-10 anni dopo l'aborto, in modo che, se si sviluppa un cancro, esso possa essere rilevato e curato precocemente per una prognosi migliore.

Due considerazioni:

1) È abbastanza evidente che, come è esistita una lobby del tabacco che ha cercato di negare e occultare il legame tra fumo e cancro ai polmoni, esiste parimenti una lobby dell'aborto che cerca di negare e occultare i legami tra aborto e diverse patologie fisiche e psichiche che esso può comportare per la madre (come mostra la storia della ricerca effettuata dal dottor Fergusson sulle conseguenze psichiatriche dell'aborto)

2) Rapportando i numeri americani all'Italia, dal 1978 l'aborto legale ha causato in Italia la morte di 30'000 donne per cancro al seno. Anche considerando il fatto che una parte degli aborti avvenuti avrebbero avuto luogo anche se l'aborto fosse stato illegale (possiamo stimare attorno alla metà), arriviamo a un surplus di 15'000 morti dovute alla sola legalizzazione dell'aborto. Le morti per aborto clandestino erano stimate (approssimativamente) attorno a 10-30 l'anno. Arriviamo così alla conclusione che la legge 194, da una parte ha 'salvato' un numero di donne che si aggira attorno al migliaio, dall'altra parte ne ha uccise molte, ma molte di più. Senza ovviamente contare il dolore morale, le conseguenze psicologiche e i suicidi, la mattanza degli innocenti, e l'aver reso nelle coscienze di molti l'aborto un fatto 'moralmente indifferente'.
LA RIVOLUZIONE NATURALE NELLA SALUTE DELLA DONNA - Thomas Hilgers guida alla comprensione della fertilità di Traci Osuna - OMAHA (Nebraska, Stati Uniti), venerdì, 29 luglio 2011 (ZENIT.org)

OMAHA (Nebraska, Stati Uniti), venerdì, 29 luglio 2011 (ZENIT.org).- Come giovane specializzando in medicina, nel 1968, il dr. Thomas Hilgers si occupava dei suoi pazienti e si teneva aggiornato sugli ultimi sviluppi della medicina. Come cattolico era anche attento al fatto che uno degli sviluppi più significativi di quegli ultimi anni nel campo della salute riproduttiva era stata l’invenzione della pillola contraccettiva nel 1960.
Hilgers, ora ginecologo e specializzato in medicina riproduttiva e chirurgia, è autore del libro “The NaProTechnology Revolution: Unleashing the Power in a Woman's Cycle”. L’opera richiama gli elementi che lo hanno ispirato a fondare il Pope Paul VI Institute for the Study of Human Reproduction e a sviluppare metodi per trattare un'ampia gamma di questioni ginecologiche in linea con gli insegnamenti della Chiesa cattolica.
Alla fine degli anni Sessanta, scrive Hilgers, molti si chiedevano se Chiesa avrebbe modificato la propria posizione sulla contraccezione. “Ho seguito la questione da vicino, pensando addirittura che la Chiesa fosse in procinto di cambiare la sua nota posizione di contrarietà alla contraccezione”. Poi, il 25 luglio 1968, Papa Paolo VI ha posto fine alla polemica presentando la posizione definitiva della Chiesa nella lettera enciclica “Humanae vitae”.
In questo documento, il Papa ha ribadito il valore della vita umana e la piena opposizione della Chiesa alla contraccezione. Un messaggio che secondo Hilgers è stato accolto da molti, anche dentro la Chiesa, con rabbia e frustrazione.
Nell’ambito della polemica e dei servizi tendenziosi della stampa, Hilgers decise di leggere egli stesso la “Humanae vitae”. Questa lettura ha finito per incidere profondamente sulla sua vita personale e professionale, indirizzando il corso della sua vita lavorativa in favore della salute della donna.
Collaborazione nella riproduzione
Nel corso degli anni Settanta e nei primi anni Ottanta, Hilgers e la sua équipe hanno effettuato ricerche sui diversi metodi di regolazione della fertilità e di pianificazione familiare naturale approvati dalla Chiesa. Nello stesso periodo nasceva il primo “test-tube baby” (bambino provetta) e la fecondazione in vitro diventava il nuovo “grande” progresso della medicina.
La sua équipe ha proseguito la sua missione, e dal suo lavoro è poi nato il Creighton Model Fertility Care System, un modo naturale per regolare la fertilità.
Nel 1985 Hilgers ha fondato il Pope Paul VI Institute for the Study of Human Reproduction, con sede a Omaha, nel Nebraska. La struttura ospita anche il National Center for Women's Health.
In un'intervista rilasciata a ZENIT, Hilgers ha spiegato come il Creighton Model Fertility Care System rappresenti un “sistema originale e che per questo ha avuto un’applicazione particolare nell’ambito della salute riproduttiva della donna”.
“Negli ultimi 30 o 35 anni”, ha aggiunto, “abbiamo continuato a fare ricerca su tutto questo, e da ciò è nata la Natural Procreative Technology (NaPro Technology)”.
Secondo Hilgers, la NaPro Technology è molto più di una forma avanzata di pianificazione naturale che agisce in sintonia con il ciclo femminile. “Diventa, in effetti, tutta una nuova scienza della salute femminile”, afferma. La scienza della NaPro Technology assume tre forme: quella medica, quella perinatale e quella chirurgica.
Piuttosto che affrontare semplicemente la questione della fertilità, la NaPro Technology prende in considerazione le molteplici questioni ginecologiche della donna. “Si pone in direzione diametralmente opposta rispetto alle tecniche artificiali di riproduzione”, che – spiega Hilgers – sono o soppressive o distruttive e non collaborative rispetto al potenziale della vita umana.
Per il medico, la NaPro Technology aiuta anche le donne a superare diverse sofferenze, tra cui, ma non solo, la depressione post parto, le cisti ovariche, l’endometriosi e l’irregolarità dei cicli. Può anche aiutare a prevenire i parti prematuri che spesso sono conseguenza delle tecniche di riproduzione artificiale.
“Abbiamo sviluppato un’intera branca chirurgica degli interventi quasi privi di aderenze”, afferma. “Possiamo operare e ricostruire i tessuti riproduttivi della donna in un modo mai visto prima d’ora”. Secondo Hilgers, molte donne temono che la chirurgia possa produrre gravi cicatrici con maggiori danni che benefici. “Noi ora siamo in grado di operare senza lasciare cicatrici”.
Le cure possono variare da un’iniezione di progesterone per aiutare nella depressione post parto all’osservazione e tabellarizzazione dei mutamenti nel ciclo mestruale per monitorare la fertilità, alla chirurgia, sia in laparoscopia che tradizionale.
Abusi nella fertilità
Sin dagli anni Sessanta e Settanta, quando si sono diffusi nella società la rivoluzione sessuale e l’amore libero, la medicina ci ha fornito “la pillola” e i bambini in provetta, oltre ad altri “progressi” di cui però al mondo secolare non piace parlare, afferma Hilgers.
Il suo libro tratta della diffusione di problemi sociologici e medici come aborto, nascite extramatrimoniali, malattie sessualmente trasmesse, diverse forme di cancro, casi di stupro, aumenti nei tassi di divorzio, di suicidio di adolescenti, nascite sottopeso, morti neonatali e aumento nell’uso di droghe. Tutto questo è aumentato drasticamente negli ultimi 45-50 anni.
“Viviamo sostanzialmente in una cultura di abuso della fertilità”, afferma Hilgers. “La gente dà per scontata la propria fertilità e non esita a sopprimerla [con la pillola] o a distruggerla [con] diverse forme di contraccezione. E nel corso degli anni della cosiddetta rivoluzione sessuale una delle cose che è stata sempre rivendicata è che non vi fossero vittime. Ma io credo [che vi sia stato] troppo silenzio in relazione alla soverchiante distruzione dei rapporti nella famiglia e all'epidemia delle malattie sessualmente trasmesse che è avvenuta in conseguenza di tutto questo”.
Hilgers spiega che sin dalla sua introduzione, nel 1960, la pillola contraccettiva ha assunto una nuova identità. “I medici si sono accorti subito di poter trattare tutta una sere di affezioni, come l’irregolarità del ciclo, la ricorrenza delle cisti ovariche, e l’elenco potrebbe continuare”. Oggi i medici prescrivono regolarmente la pillola per trattare la sindrome premestruale, l’osteoporosi e l’acne.
“Parlano dei benefici in termini di salute, ma non parlano molto dei rischi per la salute, salvo per ciò che dispone la Food and Drug Administration, e poi la gente non ascolta”, afferma. L’uso della pillola contribuisce alle embolie polmonari, alle trombosi e agli infarti. Le donne sono esposte a un maggior rischio di tumore al seno a causa della pillola, oltre a un maggior rischio di tumore alla cervice spesso provocato dalla trasmissione del Papilloma virus (HPV).
“[Questi sono] tutti rischi associati alla pillola, ma loro tendono a minimizzare tutto questo con conseguenze veramente tragiche per le donne”, afferma.
Salto di crescita
Quando Hilgers e la sua équipe hanno iniziato, nei primi anni Ottanta, a formare i medici secondo i loro metodi, la risposta ottenuta dal mondo della medicina non è stata come se l’aspettavano. “Per 10 anni abbiamo avuto forse un medico l’anno e di solito alla fine [del programma] ne usciva sconvolto”, ricorda. “Quindi c’è voluto del tempo”.
Nel 1991 ha pubblicato un testo medico dal titolo “The Medical Application of Natural Family Planning: A Physician's Guide to NaPro Technology”, e l’idea si è diffusa. “D’improvviso avevamo quattro o cinque medici nella classe, poi 10, poi 30”. Lo scorso aprile, il Pope Paul VI Institute ha organizzato un seminario di una settimana per 90 studenti, la metà dei quali medici e l’altra metà istruttori di NaPro Technology e specialisti della fertilità.
“Abbiamo avuto medici provenienti da Polonia, Irlanda, Inghilterra, Australia, Canada, Stati Uniti; è stato incredibile!”. Ora hanno più di 230 centri per la fertilità sparsi negli Stati Uniti e programmi in Paesi di tutto il mondo, tra cui Giappone, Singapore, Australia, Africa, Messico e Europa.
“Ho detto a molte persone che non avrei mai pensato di vedere nella mia vita ciò che sto vedendo oggi, e questo è molto gratificante”, afferma Hilgers. Con questa ampia diffusione della contraccezione e dei metodi artificiali di riproduzione la strada è ancora lunga e c’è ancora molto da fare, riconosce. “Siamo come i ragazzi del quartiere”.
Il medico è comunque ottimista sul fatto che la società inizierà ad apprezzare la vita umana e vedrà la sacralità dei doni che Dio ci fa. “Nei prossimi 10 anni vedremo un cambiamento, credo. Se si guarda bene, il cambiamento è già in atto. Non è evidente, non è così grande, ma io credo che il potenziale sia presente”, afferma Hilgers con un senso di speranza. “È bello pensarci”.
SANTA SEDE ALL'ONU: I GENITORI HANNO IL DIRITTO DI INSEGNARE LA SESSUALITÀ - Le famiglie non possono sottrarsi alle responsabilità

NEW YORK, venerdì, 29 luglio 2011 (ZENIT.org).- Le politiche delle Nazioni Unite sulla gioventù dovrebbero rispettare il diritto dei genitori di educare i propri figli, anche nel campo della sessualità umana e della “salute riproduttiva”.
L'Arcivescovo Francis Chullikatt, Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, lo ha osservato questo giovedì intervenendo al meeting di alto livello dell'ONU sulla gioventù.
“Ogni giovane dovrebbe poter essere allevato in un ambiente in cui possa crescere e imparare, ovvero in una comunità e in una società caratterizzate da pace e armonia, libere da qualsiasi violenza e discordia. Ogni bambino, per lo sviluppo pieno e armonioso della sua personalità, dovrebbe crescere in un ambiente familiare, in un'atmosfera di felicità, amore e comprensione”, ha dichiarato l'Arcivescovo.
Il rappresentante della Santa Sede ha segnalato che un ambiente di questo tipo “promuoverà la cittadinanza positiva e responsabile che è fondamentale per il bene comune dell'umanità”.
La responsabilità morale e il rispetto per gli altri si imparano in famiglia, ha proseguito l'Arcivescovo Chullikatt.
“La famiglia ha un ruolo importante da svolgere nell'educare i figli a sviluppare tutte le loro capacità e nel formarli perché acquisiscano valori etici e spirituali e siano profondamente attaccati alla pace, alla libertà e alla dignità e all'uguaglianza di tutti gli uomini e le donne”, ha dichiarato.
“La famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, è l'unità naturale e fondamentale della società e deve esserle garantita protezione da parte della società e dello Stato”.

Il presule 58enne ha quindi ricordato alle Nazioni Unite che “i genitori – madre e padre insieme – hanno la responsabilità primaria dell'educazione e dello sviluppo dei propri figli per aiutarli a diventare cittadini e leader virtuosi”.
“I genitori non possono abdicare da questo ruolo fondamentale”, ha segnalato.
Allo stesso modo, gli Stati “sono chiamati, conformemente agli strumenti internazionali, a rispettare le responsabilità, i diritti e i doveri dei genitori a questo riguardo”.
“Le politiche giovanili, i programmi, i piani d'azione e gli impegni approvati dagli Stati membri devono rispettare pienamente il ruolo dei genitori nei confronti del benessere dei figli e della loro educazione”, ha detto il rappresentante della Santa Sede, “anche nel settore della sessualità umana e della cosiddetta 'salute sessuale e riproduttiva', [che] non dovrebbe includere l'aborto”.
SPAGNA: SELEZIONE DI EMBRIONI IN UN OSPEDALE CON PARTECIPAZIONE DELLA CHIESA - Nell'Hospital San Pablo di Barcellona pratiche contrarie all'etica cristiana

BARCELLONA, venerdì, 29 luglio 2011 (ZENIT.org).- Dopo che il Vaticano ha espresso la sua preoccupazione per la situazione in relazione all'aborto di alcuni ospedali della Catalogna legati alla Chiesa, certe voci hanno avvertito di altre pratiche contrarie alla vita nel suo stato embrionale in questi centri.
Il sacerdote di Barcellona che ha denunciato la situazione presso la Santa Sede nel maggio scorso, Custodio Ballester, ha affermato che nell'Hospital San Pablo di Barcellona “si praticano anche la sperimentazione genetica e la selezione di embrioni umani”.
Nella serie di servizi offerti dall'ospedale – nel cui patronato ci sono in parti uguali l'Arcivescovado, il Comune di Barcellona e la Generalitat della Catalogna –, è incluso effettivamente quello di “Sterilità e riproduzione assistita”.
Casi pubblici
Esperti dell'Hospital San Pablo e della Fondazione Puigvert hanno esposto pubblicamente a Barcellona nel marzo scorso il procedimento che hanno seguito per ottenere la nascita di una bambina senza una mutazione genetica che la predisponeva a soffrire di cancro al seno.
I gramndi mezzi di comunicazione spagnoli si sono fatti eco della notizia vista la novità del fatto che il sistema pubblico avesse finanziato le spese, con l'autorizzazione della Generalitat e della Commissione Nazionale di Riproduzione Umana Assistita.
La bambina è nata sana nel dicembre scorso. Vari embrioni candidati non sono stati scelti per svilupparsi e nascere, mentre un altro è stato impiantato nell'utero accanto a quello scelto per non ereditare la malattia.
Il direttore del Programma di Riproduzione Assistita e responsabile di Ginecologia dell'Hospital San Pablo, Joaquim Calaf, ha spiegato all'epoca che l'altro embrione senza carico genetico selezionato era stato sottoposto a tecniche di congelamento per decisione della coppia.
Ha anche detto che gli altri portatori del gene sarebbero stati eliminati o consegnati alla ricerca. Dopo aver sottoposto la donna a un trattamento ormonale di stimolazione ovarica, le sono stati estratti gli ovuli e sono stati fecondati con il seme di suo marito in vitro.
E' stata poi realizzata la tecnica di diagnosi pre-impianto per selezionare gli embrioni liberi dai geni ereditari che predispongono a soffrire della malattia.
Un altro dei programmi esposto pubblicamente dagli specialisti dell'Hospital San Pablo e dalla Fondazione Puigvert, nel giugno 2009 in un congresso a Barcellona, è stato quello dell'“ovodonazione altruista”.
Questo programma cercava di rispondere “alla necessità di un gruppo importante delle nostre pazienti che hanno bisogno di ricevere ovociti donati per realizzare il proprio desiderio di maternità”, hanno indicato.
Per questo, è stato selezionato un primo gruppo di pazienti che avevano problemi di sterilità ed è stata chiesta “la collaborazione di quelle pazienti del nostro programma di FIV” che rispettassero alcuni requisiti.
Tra il maggio 2007 e il dicembre 2008, 16 pazienti hanno accettato di donare in modo altruistico alcuni ovociti a condizione che almeno 10 ovociti maturi fossero per loro.
“Hanno beneficiato 17 ricettrici, con una media di 4,5 ± 0.8 ovociti per ricettrice – hanno spiegato gli esperti –. In tutti i cicli tranno in uno sono stati ottenuti embrioni atti al trasferimento”.
“Sono state ottenute 8 gestazioni evolutive al di là della 10ma settimana di gestazione (47%) e una gestazione biochimica – hanno aggiunto –. Il tasso di gestazione delle donatrici è stato del 62,5%, con crioconservazione di embrioni eccedenti in 9 dei cicli”.
Morale cattolica
Circa il trattamento dell'infertilità, l'Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede su alcune questioni di bioetica intitolata “Dignitas personae” (1995) indica la necessità che le nuove tecniche mediche rispettino, tra le altre cose, il diritto alla vita di ogni essere umano fin dal suo concepimento.
L'Istruzione “Donum Vitae” ha evidenziato già nel 1987 che la fecondazione in vitro comporta molto spesso l'eliminazione volontaria di embrioni.
Quel documento segnala che “l'inseminazione artificiale omologa all'interno del matrimonio non può essere ammessa, salvo il caso in cui il mezzo tecnico risulti non sostitutivo dell'atto coniugale, ma si configuri come una facilitazione e un aiuto affinché esso raggiunga il suo scopo naturale”.
Alla necessità di rispettare la vita umana fin dal concepimento, ribadita nei documenti vaticani e negli interventi pubblici del Papa, introduce sfumature l'Istituto Borja di Bioetica, consulente dell'Hospital San Juan de Dios di Esplugues de Llobregat e la cui sede si trova nella sua stessa area.
In una monografia sull'embrione umano della sua rivista “Bioètica & Debat” pubblicata nel 2009, l'Istituto Borja ritiene difficile considerare individuo l'embrione prima del suo impianto.
Il testo indica che “prima dell'impianto in nessun caso di può parlare di aborto perché la gestazione non è ancora iniziata”.
Con questa stessa premessa, ad esempio, il cappellano dell'Ospedale materno-infantile San Juan de Dios di Esplugues giustifica che la pillola del giorno dopo non è abortiva.
L'Istituto Borja di Bioetica, dell'Università Ramon Llull e presieduto da un sacerdote gesuita, è stato ammonito pubblicamente dai Vescovi della Catalogna nel 2005 per la pubblicazione della sua Dichiarazione verso una possibile depenalizzazione dell'eutanasia.
La linea rossa
Secondo il coordinatore del segretariato interdiocesano di pastorale della salute della Conferenza Episcopale di Tarragona, Alfons Gea, “la selezione di embrioni è contro la vita e questo non può tollerare”.
“Che cosa si fa con gli altri embrioni che non arriveranno a nascere? Semplicemente li uccidono o li manipolano, e sono embrioni che sono fecondati”, ha denunciato.
Per Gea, la Chiesa può incidere positivamente negli ospedali con l'umanizzazione della salute, le cure palliative, la fine della vita..., ma c'è una linea rossa che non si deve oltrepassare e si riferisce al rispetto della vita umana.
“Questa manipolazione non si può ammettere, si trova in quello che significa passare la linea rossa – ha aggiunto –, e se l'ospedale non vuole smettere di compiere queste pratiche la Chiesa deve porsi l'unica alternativa di abbandonare la sua responsabilità direttiva”.
Nella lettera di risposta alle denunce di Ballester, il Pontificio Consiglio per gli Agenti Sanitari afferma di essere “consapevole della sfida che si presenta soprattutto per gli ospedali cattolici, perché sono chiamati a tutelare e difendere la vita umana in una cultura della morte”.
LA LIBERTA' DI AMY WINEHOUSE - di Alessia Affinito, 30 luglio 2011, http://www.riscossacristiana.it

Morire a 27 anni, forse per un cocktail di droghe, o per la loro improvvisa mancanza. Non sono chiare le circostanze che hanno determinato la fine di Amy Winehouse, stella della musica soul in vetta alle classifiche, nota anche per i ripetuti eccessi dovuti all’alcol e all’uso di sostanze stupefacenti. La dinamica, in casi del genere, importa e non importa. Conta conoscere il come, ma a volte conta di più capire il perché. Probabilmente le ragioni di questa morte precoce erano note solo alla diretta interessata, o a qualcuno dei suoi familiari o dei suoi amici più intimi.
Ma c’è un messaggio per chi aveva anche solo sentito parlare di questa donna che aveva ottenuto assai più di quanto un suo coetaneo, nel resto del mondo, potesse lontanamente sperare?
Si è a lungo parlato, nelle ore immediatamente successive alla notizia, degli affetti della
Winehouse, delle possibili delusioni all’origine di un finale inatteso. Un’unione fallita alla spalle, un nuovo compagno poco interessato al matrimonio, le ultime imbarazzanti esibizioni sul palco che avevano portato i manager ad annullare i concerti previsti. Certamente fattori che possono aver scatenato una volontà autodistruttiva dagli esiti disperati. Resta però un interrogativo: quella della Winehouse non è stata forse, fino in fondo, una vita libera? In altre parole: la sua tragica fine non è stata forse l’affermazione di una libertà assoluta, totale, portata all’estremo? E’ giusto porsi il problema, specie in un’epoca abituata a prospettare la completa determinazione di sé come unica fonte di senso. Ed è un vero peccato che l’argomento non sia stato sollevato in questi giorni, nelle tante occasioni sprecate per commentare banalmente i successi o le cattive amicizie della cantautrice inglese.
La Winehouse aveva una voce splendida e anche una gravissima forma di dipendenza da alcol e da droghe: poteva acquistarne in tranquillità e lo ha fatto. Non aveva problemi economici, né era tipo da nutrire scrupoli morali o religiosi al riguardo. Viveva in un paese liberale per definizione. E' stata la perfetta incarnazione di quello che si potrebbe definire un individuo che sceglie cosa fare della propria vita e lo fa, indipendentemente da tutto e da tutti. In questo senso, un modello. E modello lo è stata per un gran numero di persone, che affollavano i suoi concerti e che hanno sostato presso la sua abitazione alla notizia della morte.
Ma casi del genere obbligano ad essere meno superficiali. E’ sufficiente essere liberi per vivere? E per vivere non si intende qui “vivere bene”, ma sopravvivere. Basta cioè affermare con il proprio stile di vita, con le proprie scelte, che si è in grado di fare tutto ciò che si desidera e riuscire poi ad affrontare quello che Pavese chiamava il mestiere di vivere? La fine della Winehouse dice che non basta. Che di sola libertà si può anche morire. Quando è priva di scopo, quando essa stessa è il fine, quando è slegata da relazioni. Non che Amy Winehouse ne fosse priva, ma la sua vita si è spenta nella solitudine, ed è un dettaglio che significa qualcosa. Al di là della dipendenza che stupefacenti o abuso di alcol comportano, fino a diventare ingestibile per chi ne è vittima, il carattere tremendamente tragico di una tale morte è l’assoluta mancanza di senso della misura, che sta o cade insieme alla responsabilità. Responsabilità verso gli altri, anche della propria esistenza. Quando è questa ad essere rimossa, la libertà finisce per essere l’equivalente della peggiore schiavitù, cioè un inferno.
NUOVO REFERENDUM ABROGATIVO DELLA L. 194 IN MATERIA DI ABORTO : IL VENTO CATTOLICO SOFFIA SU POLONIA ED UNGHERIA - di Pietro Guerini – Portavoce nazionale no194, da http://www.riscossacristiana.it

E’ stato dato giustamente spazio in queste settimane a due notizie di rilevanza legislativa in materia di aborto in ambito europeo .

Anzitutto nella Costituzione ungherese , approvata dal Parlamento il 26-4-2011 , è stata inserita la protezione della vita sin dal concepimento , secondo quanto auspicato dal governo di coalizione di centrodestra , forte di un’ampia maggioranza , guidato da Victor Orban .

Da tale approvazione , purtroppo , non discende automaticamente l’illegittimità dell’attuale normativa abortista , che implica un ulteriore intervento a livello legislativo .

In Polonia è stata depositata una legge di iniziativa popolare che dispone l’illegalità di qualsiasi evento abortivo , che ha raccolto 600.000 firme con il consistente , esemplare ed esplicito appoggio della Chiesa locale e che è stata poi approvata dalla Camera Bassa di quel Parlamento .

Affinché il testo possa assumere carattere di legge è ora indispensabile che passi al vaglio di una commissione specifica per poi superare una duplice ulteriore approvazione da parte della medesima assemblea .

Non solo , ma essa dovrebbe poi essere votata dal Senato e ottenere la promulgazione dal Capo dello Stato , in assenza della quale potrebbe divenire legge solo a seguito del conseguimento della maggioranza qualificata dei due terzi dei voti presso entrambi i rami del Parlamento .

Due segnali sicuramente molto significativi , che smitizzano l’irreversibilità della legalizzazione dell’aborto e confermano vieppiù l’assoluta autonomia delle singole nazioni nel disciplinare questo tragico fenomeno , suggellata dalle recenti pronunce della Corte di Giustizia .

Ciò premesso , non condivido l’analisi degli eventi polacco-ungheresi che è stata fatta da alcuni osservatori , i quali hanno parlato genericamente di vento dell’Est che spirerebbe in chiave antiabortista .

A sostegno di tale tesi , è stata citata una riforma legislativa di segno analogo che sarebbe avvenuta in Russia .

In realtà , in quel paese l’interruzione volontaria di gravidanza è ancora legale sino al settimo mese di gravidanza ed è stata solo diffusa due anni or sono una circolare molto politica del tutto preliminare rispetto a qualsiasi intervento di carattere legislativo , che si ritiene possa al limite tradursi nel riconoscimento di una sorta di obiezione di coscienza in capo al singolo medico .

Il panorama legislativo della zona orientale europea è , invero , significativamente ancor più desolante di quello occidentale , in quanto il laicismo diffuso che caratterizza in generale il nostro continente è stato aggravato in quei paesi da decenni di ateismo di Stato , aventi come corollario l’assenza di qualsiasi libertà religiosa e , nello specifico , la concezione dell’aborto come dominante forma di contraccezione .

Emblematicamente l’URSS è stata la prima nazione a legalizzare l’aborto nel 1921 .

E non a caso oggi nell’Est Europa il fenomeno abortivo è ancor più diffuso che nella parte occidentale del vecchio continente ( in Russia riguarda addirittura più del 60% delle gravidanze e nella stessa Ungheria costituisce anche attualmente l’epilogo del 40% delle medesime ) .

Addirittura la Romania è il paese con la più alta percentuale di aborti al mondo ( 75% ) .

E’ , a mio avviso , evidente , piuttosto , che la matrice di queste due lodevoli azioni normative va ricercata in una reazione della cultura cattolica ( preponderante in Polonia ed ancora ben presente in Ungheria ) ad un sistema di valori laicista , al quale la quasi totalità dei paesi orientali si richiama tutt’oggi in modo ferreo , esattamente come avviene , ad esempio , in Francia o in Inghilterra o in Olanda .

Decisivamente indicativi sono al riguardo , nel caso magiaro , altri elementi novativi introdotti nell’occasione e per nulla rispondenti ad esigenze socio-economiche , quali l’invocazione della responsabilità di fronte a Dio dei Parlamentari che approvano la Costituzione e la formalizzazione costituzionale dello stemma nazionale centrato sulla Santa Corona e su Santo Stefano , simboli dell’eredità storica cristiana dell’Ungheria .

Assai promettente è l’intento di quei due paesi di incamminarsi verso il massimo livello di civiltà europeo , rappresentato dalla legislazione irlandese , che prevede una tutela costituzionale del diritto alla nascita , da cui discende direttamente l’ammissibilità dell’interruzione volontaria di gravidanza solo nell’ipotesi di pericolo di vita della madre .

Tre nazioni , queste , che hanno tratto dall’identità religiosa cattolica la forza culturale e spirituale per contrapporsi all’imperialismo di scomodi vicini , i cui effetti sono ancora in qualche caso permanenti .

Identità religiosa alla quale si richiamano esplicitamente parecchi tra gli aderenti alla nostra iniziativa , che ha compiuto in questi giorni due anni di vita .

Come intuibile per chiunque non creda nelle favole , tra cui quella che si traduce nell’auspicio che politici sedicenti cattolici possano impegnarsi nel nostro paese concretamente contro l’avvenuta legalizzazione dell’aborto , una proposta di legge di iniziativa popolare avente il contenuto di quella polacca in Italia sarebbe del tutto impraticabile , in quanto i Parlamentari la cestinerebbero o la relegherebbero nel più recondito dei loro cassetti , in linea con la condotta che hanno mantenuto in questo trentennio successivo al primo referendum .

Nel nostro paese , quindi , la pubblica opinione deve agire autonomamente ( e senza cercare intermediari nel potere legislativo ) attraverso l’unico strumento che le viene concesso dall’ordinamento giuridico per abrogare le leggi vigenti , quello referendario .

Strumento che ho invocato dal 18-7-2009 quando ho pubblicato sul web il primo articolo con il quale intendevo farmi promotore di un nuovo referendum abrogativo della L. 194 , che dal 1978 ha reso legale la pratica abortiva nel nostro paese , pubblicazione da cui è nato il 28-9-2009 il sito www.no194.org attraverso il quale si raccolgono le adesioni all’iniziativa , oggi giunte al numero di 1 600 ( oltre 1 400 negli ultimi 6 mesi e mezzo ) .

E , se si è realmente antiabortisti , è importante divulgare la nostra operazione , così anche vanificando patetiche attività di disturbo , affinché coloro che condividono la necessità di abrogare quella legge siano consapevoli dell’esistenza da oltre due anni di una struttura già attiva come la nostra , caratterizzata da un sito , un manifesto , un elevato numero di iscritti , un’attività divulgativa , un programma operativo e delle scadenze , con obiettivi anche intermedi ben definiti .

Ricordo che , in linea con la tempistica preannunciata , ad agosto provvederò ad elaborare i cinque quesiti referendari e che da settembre inizierò a pianificare la raccolta materiale delle firme sul territorio , contattando gli aderenti , per riscontrare il numero e l’identità dei soggetti disponibili ad impegnarsi fattivamente per costituire “ in loco “ nuclei di volontari a ciò finalizzati .

E ricordo che , tra le altre , ad ottobre terremo due conferenze nella capitale , la prima delle quali il giorno 8 alle ore 18,30 , presso l’Hotel Polo , in zona Parioli .

Colgo l’occasione per ringraziare coloro che stanno lavorando per questa iniziativa , inviandomi adesioni da tutta Italia ed organizzando eventi divulgativi .

Mi auguro che molti ancora possano impegnarsi per queste incombenze e per le nuove che ci attendono.

Ricorso contro la Ru486 in day hospital


Bimbi "difficili": aiutiamo chi li accoglie


Superanticorpo contro tutti i virus dell'influenza

Uno spettacolo così toglie dignità al trapasso di Luca Doninelli - articolo di sabato 30 luglio 2011 - © IL GIORNALE ON LINE S.R.L.

Una donna sui cinquant’anni, impiegata in un fitness center, deve farsi un bel lifting generale (occhi pancia tette ecc.). Non ha i soldi per farlo, ma in compenso ha trovato un documento compromettente smarrito da un cliente della palestra. Così trova perfettamente logico ricattare quest’uomo affinché, in cambio del suo documento, le dia i soldi per il suo lifting. Non è una notizia, è un film: Burn after reading dei Fratelli Coen. Non è un film demenziale. La donna ha le sue ragioni: avrò pure il diritto di farmi il mio lifting. C’è qualcosa da comprare e qualcosa da vendere? Se sì, che problemi ci sono?
Lo stesso pensano tante belle ragazze, figlie di buona famiglia, con sogni di carriera nel cinema e di matrimonio con tanti bei bambini, che senza essere per forza delle puttane vogliono comunque ricavare qualche soldo dalla loro avvenenza.
Anche vostra figlia la pensa così: andate a dare un’occhiata alle sue foto su Facebook. Se c’è qualcosa che si può mettere sul mercato perché non farlo? È il mercato globale, pupa. E se un signore di nome Nikolai Ivanisovich, malato di cancro, decide, grazie a un munifico miliardario inglese di nome Alki David, di morire in diretta tv con un’iniezione letale che frutterà alla famiglia del disgraziato una somma considerevole, che male c’è?
È normale. Siamo nella civiltà del che male c’è? Lo prova il fatto che non si vede in giro nessuno che si domandi che bene c’è?
Anche perché del bene, così poco addomesticabile, abbiamo tutti un po’ paura.
Il sig. Ivanisovich non fa del male a nessuno: questa è una cosa che non bisogna prendere troppo sottogamba. Chi sta per morire si preoccupa del futuro della sua famiglia, e Ivanisovich ha risolto questo problema grazie ad Alki David, che a sua volta grazie al povero malato potrà aprire un nuovo settore di mercato. Anche la sua famiglia, forse, si sentirà beneficiata da questa strana ma risolutiva idea.
Ma il comprare e il vendere possono offrire uno straccio di significato per una vita come la nostra, che è così breve? Mi viene in mente una scena de I Demoni di Dostoevskij, quando Verchovenskij raggiunge Kirillov, che sta per uccidersi, e gli dice qualcosa come: già che ci sei, potresti scrivere una lettera in cui ti dai la colpa della morte di Shatov (che era stato ucciso proprio da Verchovenskij)? Qui è un po’ lo stesso: già che si deve morire, perché non guadagnarci qualcosa? Non faccio la morale, mi chiedo soltanto cosa succede a un uomo che sta morendo: di che cosa avrà bisogno? Forse, prima dell’iniezione letale, il sig. Ivanisovich verrà rimbambito abbastanza per non dare sorprese, che so, un urlo finale, non voglio morire!, oppure la richiesta angosciosa di aiuto, di una mano da stringere, oppure un moto di improvvisa insofferenza verso quella telecamera. Pretese assurde: il contratto è stato firmato, sì o no?
Peggio ancora sarebbe, però, se quest’uomo se ne restasse lucido, tranquillo e sereno, magari solo un po’ sedato dalla morfina, a fare da testimonial della propria morte, e se ne andasse con un «bye bye» scritto sulla faccia, senza sussulti, senza nessun grido, perfettamente soddisfatto delle condizioni del contratto.
Quello che è certo è che uno spettacolo così getta una specie di colata di cemento sulla morte: il dramma dell’uomo, i suoi pensieri, i suoi tormenti, la sua sofferenza psichica prima ancora che fisica, che fine faranno, davanti alla telecamera? Chi li raccoglierà?
Ci sarà qualcosa da raccogliere?
In fondo, tutti noi ci metteremo davanti alla tv per un’altra ragione: non per condividere i suoi drammi personali, ma solo per vedere un corpo che muore.
Questa è la vera sconfitta.
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Testamento Biologico, Franco Pannuti fondatore ANT: è una legge non necessaria, il Giorno, 29 luglio 2011

Dopo anni di dibattiti, battaglie parlamentari e proposte di legge sul fine vita, il disegno di legge sul testamento biologico è stato di recente approvato alla Camera, tra non poche discussioni che hanno diviso partiti e coscienze. Franco Pannuti, fondatore e presidente onorario della Fondazione ANT – che da oltre trent’anni assiste gratuitamente a domicilio i Sofferenti di tumore – esprime il proprio parere sull’argomento:  “La legge sul testamento biologico è una legge non necessaria, che io non avrei fatto. Ciò che la legge italiana prevede, unitamente al codice etico dei medici, ai criteri seguiti da Ippocrate in poi e – se mi consentite – al Vangelo, è più che sufficiente a garantire un fine vita dignitoso ad ogni Persona”. Prosegue l’oncologo bolognese: “Sull’eutanasia e sui DAT (Dichiarazioni Anticipate di Trattamento) anche noi come ANT abbiamo già avuto modo di esprimere la nostra opinione e crediamo di poterlo fare in ragione dei risultati che abbiamo ottenuto sino ad oggi: ogni giorno assistiamo gratuitamente a domicilio più di 3.300 Sofferenti oncologici in fase terminale e dall’inizio della nostra attività ne abbiamo già assistiti oltre 80.000. La nostra posizione è chiara – continua Pannuti – siamo contrari a tutto, no all’eutanasia, no all’accanimento terapeutico, no all’abbandono e no ai DAT. Desideriamo sgomberare il campo da argomenti che spesso ci vengono proposti e che ‘sembrano’ così importanti da farci dimenticare altre situazioni, pur apparentemente meno clamorose, che interessano il quotidiano dei Malati in maniera certamente non meno drammatica. Alludiamo ad esempio alla ben nota esistenza di lunghe liste d’attesa per accedere a servizi e consulenze essenziali e ai cosiddetti DRG (Diagnosis Related Groups). A proposito di questi ultimi, è bene chiarire di cosa si tratta: ogni Paziente ricoverato in ospedale pubblico o in una struttura privata convenzionata (che abbia un infarto o un tumore o altro) ha un destino ‘burocratico’ già segnato. Un Malato, ad esempio, colpito da un certo tipo di tumore, per rientrare nei canoni economico-burocratici decisi a livello regionale, deve essere assistito entro un periodo di tempo predeterminato, al termine del quale si dovrà programmare la sua dimissione. Si tratta ovviamente di valori temporali medi che si riferiscono al gruppo di appartenenza. In sostanza – prosegue l’oncologo – gli amministratori o, se preferite i politici, già da qualche anno cercano di applicare con il massimo rigore possibile questi criteri economico-assistenziali, chiedendo ai medici ospedalieri il controllo ed il rispetto di tali parametri. E’ dunque evidente che, all’insaputa dei Sofferenti, si sta passando da una medicina tradizionale che si ispira alla scienza e coscienza del medico ad una medicina economico-burocratica, in ossequio alla cosiddetta razionalizzazione delle risorse tesa a rispettare i migliori tassi di utilizzo dei posti letto disponibili, il cui numero, com’è noto, si va riducendo ogni giorno.
Per fortuna abbiamo una magistratura in questo caso amica dei pazienti: la Corte di Cassazione con la sua sentenza 8254/11 ha sancito ciò che era ovvio dai tempi di Ippocrate, ovvero che l’osservanza di questa regolamentazione non salva il medico dalle responsabilità penali che possono derivare dalla sua decisione ‘burocraticamente giustificata’. Insomma è il medico ad essere responsabile dei Pazienti e non gli amministratori. Vale la pena ricordare che questa sentenza è stata generata dal comportamento di un medico che ha dimesso un Paziente infartuato alla nona giornata dopo il ricovero, in ossequio alle regole di cui sopra, che ‘regolarmente’ è deceduto a domicilio: la Cassazione ha considerato il medico colpevole. Sono d’accordo con i sindacati quando affermano che ‘andrebbero sanzionate le strutture ospedaliere e non i medici’.
Fino a quando la Sanità Pubblica non verrà riaffidata totalmente alla coscienza di medici che hanno il coraggio di ricordarsi quotidianamente del giuramento ippocratico (con buona pace delle amministrazioni e dei sindacati) difficilmente potremo pensare di risolvere anche i tanti problemi, apparentemente più importanti, connessi con l’eutanasia e con i DAT”, conclude il Presidente onorario di ANT.

La Fondazione ANT Italia Onlus – nata a Bologna nel 1978 per iniziativa del Prof. Franco Pannuti – rappresenta la più ampia esperienza al mondo di assistenza socio-sanitaria domiciliare gratuita ai Sofferenti di tumore. Dal 1985 ad oggi (dato aggiornato al 31 dicembre 2010) ANT ha assistito oltre 80.000 Sofferenti, 24 ore su 24, tutti i giorni dell’anno, in modo completamente gratuito per un totale di oltre 13 milioni di giornate di assistenza erogate. I Sofferenti assistiti nei 20 Ospedali Domiciliari Oncologici ANT (ODO-ANT) presenti in 9 regioni d’Italia sono più di 3.300 ogni giorno. Si tratta di un’assistenza specialistica effettuata da 400 professionisti che lavorano unicamente per ANT – tra Medici, Infermieri, Psicologi, Nutrizionisti, Fisioterapisti, Operatori socio-sanitari, Farmacisti e Funzionari – e che portano al domicilio del Sofferente e alla sua Famiglia tutte le necessarie cure di tipo ospedaliero e socio-assistenziale. A ciò si associa un programma di assistenza economica alle Famiglie in difficoltà che abbiano un congiunto in assistenza domiciliare. ANT non è solo assistenza, ma anche Prevenzione: a oggi sono più di 32.000 le visite di prevenzione gratuite realizzate dalla Fondazione ANT in 32 diverse province nell’ambito del solo progetto Melanoma, cui si affiancano i progetti Donna e Tiroide. La Fondazione porta inoltre avanti attività di ricerca e organizza corsi di formazione rivolti a volontari e professionisti.

L'aborto chimico in day hospital - Un tragico inganno

Incontrare qualcosa che corrisponda alla nostra attesa di Julián Carrón*, Alfa y Omega, 28 luglio 2011, http://www.clonline.org

Quando penso a un giovane di oggi che si sta aprendo alla vita, sono invaso da una tenerezza infinita: come si orienterà in questa babele piena di opportunità e di sfide in cui gli tocca vivere? Basta vedere la televisione, o accostarsi a un’edicola o a una libreria per vedere la varietà di opzioni che si trova davanti. Scegliere quella giusta è un’impresa ardua.
Ma se da una parte è commovente pensare a un ragazzo che si trova davanti a una simile sfida, mi meraviglia ancor di più il fatto che colui il quale ci ha posto nella realtà non abbia avuto alcun ritegno nel correre un simile rischio. Fino al punto di scandalizzare coloro che vorrebbero risparmiarlo a se stessi e agli altri, figli, amici o alunni che fossero.
Il Mistero, tuttavia, non ci ha lanciato nell’avventura della vita senza fornirci di una bussola con cui potessimo orientarci. Questa bussola è il cuore. Nella nostra epoca il cuore è stato ridotto a un sentimento, a uno stato d’animo. Ma tutti noi possiamo riconoscere nella nostra esperienza che il cuore non si lascia ridurre, non si conforma a nessuna cosa. “L’uomo è veramente creato per ciò che è grande, per l’infinito. Qualsiasi altra cosa è insufficiente”, dice il Papa nel suo Messaggio. E noi lo sappiamo bene.
Perciò, chi prende sul serio il suo cuore, fatto per ciò che è grande, comincia ad avere un criterio per comprendere se stesso e la vita, per giudicare la verità o la falsità di qualunque proposta che spunti all’orizzonte della sua vita. “Vi vengono presentate continuamente proposte più facili, ma voi stessi vi accorgete che si rivelano ingannevoli, non vi danno serenità e gioia.”
C’è qualcosa che sia all’altezza delle nostre esigenze più profonde, che possa rispondere al nostro anelito, grande come l’infinito? Molti risponderanno che una cosa simile non esiste, vista la delusione che in tante occasioni hanno sperimentato riponendo la loro speranza in qualcosa che era destinato a deluderli. Ma nessuno di noi può fare a meno di sperare. È irrazionale questa aspettativa? E allora, perché speriamo? Perché è la cosa più razionale: nessuno di noi può affermare con certezza che non esiste.
Ma scopriremo che esiste solo se avremo l’opportunità di incontrare qualcosa che corrisponda veramente alla nostra attesa. Come i primi che incontrarono Gesù: “Non abbiamo mai visto nulla di simile!”.
Da quando questo fatto è entrato nella storia, nessuno che ne abbia avuto notizia ha più potuto o potrà stare tranquillo. Tutto lo scetticismo del mondo non potrà eliminarlo dalla faccia della terra.
Resterà là, sull’orizzonte della sua vita, come una promessa che rappresenta la più grande sfida che abbia dovuto affrontare. “Chi mi seguirà riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna”. Solo chi ha il coraggio di verificare nella vita la promessa contenuta nell’annuncio cristiano potrà scoprire che esso è capace di rispondere alla sua attesa. Senza questa verifica non potrà esistere una fede all’altezza della natura razionale dell’uomo, vale a dire, capace di continuare a essere interessante per lui.

* presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione
L'uomo è superiore agli animali di Giuseppe Bertoni, 29-07-2011, http://www.labussolaquotidiana.it

Nessuna meraviglia, purtroppo, se vi è oggi la tendenza a mettere gli animali sullo stesso piano dell’uomo e non di rado al di sopra, almeno per quanto riguarda i loro diritti: leone, lupo ecc. possono – da carnivori – mangiare le carni delle loro prede. L’uomo, per contro, pur essendo onnivoro-carnivoro, deve diventare vegetariano come nella sostanza sembra affermare Enzo Bianchi nel suo saggio accolto nell'antologia di autori diversi Animalia (Rizzoli).

Presentando il libro, il curatore Ivano Dionigi pare fornire una visione equilibrata nel rapporto uomo-animale. La stessa cosa non si può però dire dire del titolo complessivo con cui Avvenire del 21 luglio ha offerto stralci degl'interventi degli stessi Bianchi e Dionigi: Gli animali in paradiso?

Non conosco nello specifico il pensiero di padre Bianchi, ma ho avuto occasione di sentire quello di padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria, il quale cita il pensiero classico della Chiesa: gli animali sono "animati", ma la loro anima non è immortale.
Del resto, così si è espresso il cardinale Carlo Caffarra (in una intervista pubblicata sempre su Avvenire il 16 gennaio 2005): «nell’uomo c’è qualcosa che lo fa altro dall’animale […] le azioni che sono irriducibilmente umane, come la conoscenza, l’amore, la scelta libera mostrano che nell’uomo è presente un principio di operazione puramente spirituale (creato ad immagine e somiglianza di Dio)».

Caso chiuso? Per un uomo di Chiesa forse, ma per chi invece in campo teologico-morale sempolicemente "balbetta" pur conoscendo bene gli aspetti naturali, nonché quelli delle tecniche di allevamento, vi è ben altro da aggiungere.
Questo:

- l'uomo è stato cacciatore-raccoglitore fino alla comparsa della agricoltura (10-12.000 anni fa) e tale rimane ancora oggi laddove l’agricoltura non esiste (esquimesi, tribù di pigmei ed indios presenti in talune foreste, aborigeni dell’Australia ecc.);

- gli animali allevati sono stati "da sempre" il surrogato della caccia (e della pesca), oggi sempre più necessari anche per evitare la distruzione del sistema naturale…  con 7 miliardi di persone da sfamare. L’uomo, nel fare ciò, protegge e alimenta i propri animali per ricavarne latte, uova e infine carni; c’è chi, legittimamente, reputa questo un abuso e comunque un regresso rispetto alla natura. Che dire allora del fatto che, dei salmoni del Pacifico, ben 996 su 1000 non giungeranno a riprodursi? Allevandoli l’uomo ne porterebbe a maturità - prima di pescarli dagli allevamenti ittici - almeno 500-600;

Quali considerazioni si possono allora trarre? Anzitutto che, indipendentemente dall’ottica con cui si guarda il problema, i cristiani sanno che solo dell’uomo si dice «e lo facesti poco meno che un Dio» (Salmo 8), mentre da laici "figli della ragione" non si può negare che l’essere umano - da onnivoro-carnivoro - deve mangiare anche altri animali esattamente come fanno cani, gatti, lupi ecc.; dunque, nulla osta a che nella dieta umana entrino prodotti carnei ecc.. A maggior ragione, nulla osta a che l’essere umano ricorra agli animali per altre finalità. Molti hanno infatti scordato l’animale "forza motrice" (fino al 1955-58 nell’azienda paterna vi erano 10 paia di buoi e una 15ina di cavalli), ma nella stragrande maggioranza del mondo meno sviluppato è ancora enorme l’uso di cavalli, asini, bovini, bufali, elefanti, yak per sollevare l’uomo dai lavori più gravosi … persino Babbo Natale ricorre alle mitiche renne per…

Probabilmente, messa in questi termini, la possibilità di utilizzo dei prodotti di origine animale diviene più accettabile. Rimane però da spiegare perché, in una misura che non mi è facile quantificare, si allevino animali con alimenti vegetali che l’uso diretto da parte dell’uomo consentirebbe di fruire al 100%, mentre solo il 20-30% di energia e proteine si ritrovano in carni, latte ecc.. La sola ragione che lo giustifica appieno è la indispensabilità dei prodotti animali nella dieta umana, specie nelle popolazioni meno evolute che non possono disporre per 12 mesi degli alimenti vegetali pregiati (da erboristeria). Si tratta quindi di vedere, caso per caso in funzione di età, sesso, stato fisiologico, resto della dieta, tipo di attività ecc., quali le quantità strettamente necessarie di carne, latte, uova, pesce ecc., gli eccessi sarebbero certamente deprecabili.

Sempre il cardinal Caffarra ammonisce: «Non c’è infine una reciprocità vera e propria fra l’uomo e l’animale […] perché l’animale non ha diritti […] ciò non significa che il dominio/uso dell’uomo non abbia limiti obiettivi». Chiaramente, se l’animale non ha diritti, perché non imputabile e quindi senza doveri, l’uomo ha viceversa doveri nei confronti degli animali; sia perché creature e sia perché la loro integrità psico-fisica è un dovere per l’uomo che se ne voglia avvalere. Da questo punto di vista non si può tuttavia "gettare la croce" solo sugli allevatori maldestri o disonesti, senza richiamare con forza la circostanza che tenere cani, gatti ed altri animali in certe condizioni di vita e di alimentazione (che li rende obesi e "insignificanti") è assolutamente contro qualsiasi regola etica. Né si può sottacere il fatto che negli anni scorsi, anche in Italia, il valore commerciale degli alimenti per pets ha superato quello de mangimi per animali da reddito. Mi chiedo se per tutto ciò i cristiani "vegetariani" e che vogliono gli animali in Paradiso (tutti?, non hanno nulla da eccepire. Specie se si considera il costo aggiuntivo a quello del cibo.
Il matrimonio vero non è mai clandestino di Tommaso Scandroglio, 29-07-2011, http://www.labussolaquotidiana.it

Il caso nasce in quel di Catania. Lei è italiana, lui marocchino. A luglio del 2009 decidono di sposarsi ma, ahiloro, solo dodici giorni prima l’art. 116 del Codice Civile è stato modificato dalla legge n. 94/2009: oltre a vari documenti che i nubendi devono presentare all’ufficiale di stato civile - e che loro in effetti presentano – ora se ne aggiunge un altro - che invece non hanno - “attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano”. L’ufficiale nega quindi il permesso di celebrare le nozze. Il caso approda prima al Tribunale di Catania e poi alla Corte Costituzionale la quale il 20 luglio scorso dichiara l’illegittimità costituzionale di quella parte dell’articolo del Codice civile che esige l’esibizione del permesso di soggiorno.

La consulta ha deciso così perché in buona sostanza il diritto di contrarre matrimonio è un diritto fondamentale che non può essere negato a nessuno, nemmeno all’immigrato clandestino. La sentenza degli ermellini non è pienamente condivisibile sia per alcuni motivi messi ben in evidenza dall’Avvocatura dello Stato sia per altri su cui ci soffermeremo tra breve. L’Avvocatura dello Stato ha affermato che il requisito della regolarità di soggiorno “tende a soddisfare l’esigenza del legislatore di garantire il presidio e la tutela delle frontiere ed il controllo dei flussi migratori”. Vero è che la libertà di contrarre il matrimonio è sacrosanta, a patto però che tale libertà non vada a cozzare contro il bene comune, cioè nello specifico con la salute pubblica, la sicurezza e l’ordine pubblico. A tale proposito il legislatore ha considerato “lo status di ‘clandestino’ ” come “una situazione giuridica soggettiva valutabile negativamente in punto di ordine pubblico e sicurezza” e, dunque, sufficiente a giustificare la limitazione del diritto a contrarre matrimonio.

In parole povere: prima tu immigrato ti metti in regola – e così mi dai prova che non sei qui in Italia a combinar guai – e poi potrai sposarti. Altrimenti il matrimonio potrebbe diventare un passepartout per delinquere più agevolmente grazie al nuovo status di coniuge di cittadino italiano. In secondo luogo la difesa dello Stato annotava che la regolarità di soggiorno si inserisce nell’orientamento generale voluto dalla legge di proibire matrimoni di comodo, cioè matrimoni fittizi tanto per lucrare la cittadinanza italiana. Oggi la legge 91/92 prevede che “il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano può acquistare la cittadinanza italiana quando, dopo il matrimonio, risieda legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica”. Ora lo status di clandestino cozza con l’avverbio “legalmente”.

Come si fa a dare prova di risiedere legalmente nel nostro Paese per coloro i quali in punta di diritto sono solo dei fantasmi? In merito poi al diritto fondamentale di coniugio l’Avvocatura dello Stato fa giustamente osservare che l’accesso a tale diritto non è vietato all’immigrato né compresso, ma, al pari di tanti altri diritti, semplicemente disciplinato. L’obbligo di presentare il permesso di soggiorno si limita dunque a “regolamentare la posizione giuridica del cittadino straniero che intende contrarre matrimonio in Italia”. Nulla di nuovo sotto il sole anche per gli stessi cittadini italiani. Anche il diritto alla salute è diritto fondamentale, ma non per questo non esistono procedure che i cittadini devono seguire (poniamo mente tra i moltissimi esempi all’iter da rispettare per vedersi riconosciuta una disabilità), nonché doveri precisi (ad esempio le vaccinazioni obbligatorie) e restrizioni (pensiamo ai ticket).

Insomma c’è un importante distinguo tra necessario riconoscimento dei diritti fondamentali a tutti – anche per i clandestini – e loro esercizio, sottoposto a regole. Non si uccide il principio di uguaglianza trattando in modo diverso casi diversi (immigrato regolare – immigrato clandestino), bensì lo si rispetta. Altrimenti si scade nell’egualitarismo inteso come omologazione e livellamento verso il basso: pari libertà di accesso ai diritti al di là delle differenze specifiche, le quali sono sempre bandite. E’ purtroppo storia nota nel nostro ordinamento. Non importa se tu sei sterile e non puoi avere figli: un falso principio di uguaglianza ti darà tramite Fivet il figlio tanto desiderato. Non importa se sei nato maschio e vuoi diventare femmina: lo Stato non ti discrimina e ti permette di cambiare orientamento sessuale. Dunque secondo questa logica, e tornando al tema “matrimonio”, i 13enni - o i loro genitori - un giorno potrebbero protestare perché la legge italiana, con profonda acredine discriminatoria, proibisce loro di convolare a giuste nozze. Oltre a queste motivazioni dell’Avvocatura che considerano lo status di clandestinità come incompatibile a contrarre matrimonio civile ne vogliamo aggiungere qui un paio.

Innanzitutto un matrimonio non clandestino – cioè riconosciuto civilmente – contratto con un clandestino suona strano. Come si fa ad avere tra due persone una relazione considerata regolare dal punto di vista normativo, quando una delle due è irregolare? In altri termini è da evidenziare il paradosso di natura giuridica secondo il quale, seguendo il ragionamento della Corte Costituzionale, è giusto che il clandestino chieda di venire alla luce del sole unicamente per contrarre matrimonio e altresì di ritornare nell’ombra per tutti gli altri affari della sua vita. E dunque per tutti gli altri ambiti del vivere pubblico la rimanente disciplina normativa non si può applicare a lui perché soggetto che vive non all’ombra del diritto, bensì nell’ombra del diritto.

Detto in soldoni se si vuole contrarre matrimonio secondo il nostro ordinamento giuridico allora si deve comprare tutto il pacchetto, cioè si deve accettare in toto ogni sua norma ed uscire allo scoperto completamente. Per chi è straniero e vive seppur temporaneamente sul nostro suolo l’ordinamento giuridico non deve essere considerato come un supermercato dove si prendono solo quelle leggi che fanno comodo, dove si chiede il prodotto “matrimonio” e gli altri articoli si rifiutano perché privi di interesse o addirittura scomodi.

E poi c’è da domandarsi: come obbligare il clandestino ad ottemperare a tutti gli oneri giuridici che gravano su chi contrae matrimonio? Si sa che chi vive in clandestinità è più agevolato a farla franca a danno, in questo caso, dell’altro coniuge e di eventuali figli. In secondo luogo se la libertà di contrarre matrimonio, che per la consulta è compromessa dalla presentazione del permesso di soggiorno, è così importante per l’immigrato, allora non si vede il motivo per cui questi non si possa/voglia regolarizzare. Se è un diritto fondamentale come dice la Consulta non si vede il perché l’immigrato clandestino non faccia di tutto per tutelarlo, tra cui ottenere e esibire il permesso di soggiorno. Infine il positivismo granitico di cui è impregnata la Consulta fa scordare a questi magistrati una verità che invece la Chiesa proclama da duemila anni, che brilla nel fondo del cuore di ogni uomo sin dalla più remota antichità e che è pure enunciata dalla nostra Costituzione (art. 29): il vero e unico matrimonio è quello fondato sul diritto naturale.

Se dunque una cittadina italiana e un immigrato clandestino desiderano costituire una famiglia monogamica aperta alla vita per amarsi fedelmente finchè morte non li separi non c’è nulla al mondo che possa vietare loro di sposarsi, contraendo un vero e proprio matrimonio. Magari non riconosciuto dalle leggi dello stato, ma sicuramente riconosciuto dalla legge naturale.