venerdì 30 settembre 2011


«No al segreto sull’eterologa: dire tutta la verità ai figli in provetta» - Il Comitato Nazionale di Bioetica:«Quando cresceranno, devono avere il diritto di sapere chi li ha concepiti» - Margherita De Bac - 29 settembre 2011

I figli nati «in provetta» devono sapere la verità MILANO - I figli dell’eterologa hanno il diritto di conoscere la verità sul proprio concepimento. Devono sapere di essere nati perché i loro genitori hanno utilizzato gameti (ovociti e spermatozoi) appartenenti a una donna e un uomo estranei che li hanno donati. Venerdì il Comitato nazionale di bioetica, il Cnb, potrebbe discutere un parere su «Segreto, anonimato e verità nella procreazione medicalmente assistita». Il documento contiene un’approfondita analisi di un problema che interessa anche l’Italia. Malgrado la nostra legge proibisca il ricorso a tecniche impropriamente chiamate eterologhe, cioè che prevedono l’uso di materiale biologico non appartenente alla coppia, non sono rari i casi di bambini italiani concepiti in questo modo all’estero dove non esistono divieti. Le storie più recenti riguardano due mamme sopra i 57 anni, rispettivamente di Salerno e Milano, protagoniste di gravidanze molto tardive che hanno avuto origine molto probabilmente in Paesi poco attenti a rispettare certi confini.
CADE LA SEGRETEZZA - La posizione del Cnb da questo punto di vista è stata unanime. I genitori non dovranno mantenere il silenzio, il principio della segretezza decade rispetto al rischio che la mancanza di verità faccia scaturire «interrogativi sul proprio essere con possibili ripercussioni negative sulle relazioni familiari». In conclusione secondo il Comitato «il segreto sulle modalità della procreazione non viene ritenuto un’opzione raccomandabile per garantire la stabilità della famiglia e il diritto al rispetto della vita privata di ciascuno dei suoi componenti. Un segreto peraltro difficile da mantenere nel tempo». A tale proposito i genetisti sottolineano la possibilità di acquisire informazioni sulle origini attraverso le tecniche del Dna. Si insiste poi sulla necessità che il figlio riceva informazioni con «filtri e criteri appropriati», innanzitutto quando abbia raggiunto un’età idonea. Viene consigliato il ricorso a una consulenza psicologica. Sulla segretezza dunque i bioeticisti nazionali si sono mostrati in sintonia. A prescindere dagli schieramenti tra laici e cattolici, si sono divisi invece sulla questione dell’anonimato del donatore e sulla possibilità «per il nato di richiedere più ampie informazioni sulla sua nascita», comprese le generalità del genitore biologico, il donatore di ovocita o spermatozoo.


RIVELARE TUTTO? Una parte del Comitato ritiene consigliabile che l’anonimato anagrafico venga consigliato e che sia consentito al figlio di conoscere soltanto i dati che «a seconda delle circostanze possano essere necessari per la sua salute psicofisica». Altri esperti invece hanno insistito sulla necessità del «disvelamento dell’origine» completo. Prima di raggiungere la bozza che domani verrà presentata con ogni probabilità all’assemblea il documento è cambiato 14 volte e questo la dice lunga sulla problematicità di un dibattito che anima laici e cattolici. Tra l’altro non tutti sono d’accordo nell’uscire pubblicamente con un parere sul segreto dell’eterologa perché ciò potrebbe significare un indiretto riconoscimento ad una pratica in Italia non contemplata dalla legge e nettamente condannata dai cattolici. La Corte Costituzionale dovrà discutere il ricorso contro il divieto dell’eterologa presentato dai legali di alcuni pazienti e il Comitato vorrebbe evitare che la sua iniziativa possa in qualche modo essere considerata un intervento intempestivo. Il vicepresidente del Cnb, Lorenzo D’Avack, non vuole fare previsioni sul futuro del documento sulla forma definitiva e tempi d’approvazione. Però commenta: «Sono d’accordo sul principio dello svelamento del segreto. Il bambino deve sapere la verità sulla sua nascita come nell’adozione. Personalmente non condivido il pensiero di chi è favorevole ai dati anagrafici del donatore perché questo potrebbe portare a un’interazione tra famiglia sociale e famiglia biologica. Non si capisce perché questo debba succedere dal momento che il donatore non aveva progetti di genitorialità. Ha soltanto venduto i gameti che impropriamente definiamo come donati». D’Avack ricorda infine che Paesi pro-eterologa come la Svezia si erano mossi inizialmente lungo la strada dell’anonimato del donatore e poi hanno aperto al principio del disvelamento delle origini ritenendolo fondamentale. Da quando la barriera del silenzio è stata abbattuta i donatori sono calati drasticamente per timore che un domani possano esser "inseguiti" da figli biologici.

Diritti del fine vita e bilanci degli Stati



Il calvario delle liste d´attesa e per una mammografia l´appuntamento è fra un anno - FONTE: MICHELE BOCCI - LA REPUBBLICA -  30 SETTEMBRE 2011

Cattiva organizzazione ma anche troppi esami inutili a soffrire sono tutti gli accertamenti specialistici.  Il 34% della strumentazione ad alta tecnologia ha più di otto anni d´età e viene sotto utilizzata.        Un fenomeno che coinvolge tutte le Regioni a Bologna 300 giorni per un test sulle allergie      Inchiesta italiana.  Ospedali sempre più in affanno, boom dei privati.  Perché la situazione continua a peggiorare? Come mai i medici non collaborano tra loro? È anche colpa del "consumismo sanitario?"          Chi ci guadagna da questo prolungamento dei tempi? Il personale è sufficiente? E come lavorano le cliniche ?             Le cose migliorerebbero se i Cup, i centri unici di prenotazione, funzionassero a dovere? Sono attivi anche nel Mezzogiorno?


Ci vuole pazienza oppure ci vogliono i soldi. Chi si sente prospettare un´attesa di un anno per una prestazione sanitaria ha solo queste due armi per ricacciare indietro rabbia e frustrazione. Ogni giorno a migliaia di italiani capita di dover ricorrere alle proprie risorse mentali e materiali per non crollare di fronte a quanto prospettato dalla loro Asl.
Sei mesi per una risonanza a Bari, quasi tre mesi per una tac al Civico di Palermo, sempre sei mesi per una semplice ecografia a Roma ma anche a Bologna, dove ci vogliono anche 300 giorni per una visita allergologica. Questa specialità soffre ovunque: 9 mesi a Firenze, un po´ meno ma sempre tanto a Torino. A far segnare l´attesa record, succede così da anni, è la mammografia, quella asintomatica, che al policlinico di Bari fissano tra qualcosa come 400 giorni. Forse la lista più lunga d´Italia.
Ma non sono solo i grandi numeri a colpire. A Cagliari, per un esame banale come l´elettrocardiogramma chiedono ai cittadini 35 giorni di pazienza, a Palermo addirittura 60. Nessun sistema sanitario regionale (come dimostra la nostra tabella) può sentirsi escluso dal problema delle liste di attesa. Tutti soffrono in certi settori e finiscono per far registrare dati che si rivelano più virtuali che reali. Chi ha la prescrizione per una visita o un esame infatti non sta certo ad aspettare mesi. Si informa sui prezzi e finisce per rivolgersi al privato, che lo aspetta a braccia aperte e gli assicura la prestazione in un paio di giorni. Succede anche per la libera professione intramoenia, quella svolta dai medici dipendenti del servizio sanitario nazionale in strutture pubbliche o convenzionate.
Perché i tempi d´attesa nel nostro paese invece di migliorare peggiorano? I fattori sono tanti e disegnano una materia inestricabile da anni, malgrado i tentativi di riforma. Calo di risorse, problemi organizzativi, sprechi e scarsa collaborazione tra medici, ma anche consumismo sanitario sempre più accentuato.

Meno soldi e macchine poco utilizzate o vecchie
Per avere un´idea delle unità di misura in cui ci muoviamo, bisogna aver presente che nel nostro Paese ogni anno si fa più di un accertamento diagnostico per ogni cittadino, in tutto circa 70 milioni, di cui almeno 30 sono radiografie tradizionali. Le visite specialistiche sono più del doppio: 150 milioni. Numeri impressionanti che aumentano costantemente, anche del 7% nel caso delle risonanze, circa 2 milioni ogni dodici mesi. Come risponde il nostro sistema sanitario alla crescita della richiesta dei cittadini? Non bene, almeno dal punto di vista di attrezzature e personale. Secondo una ricerca della Sirm, la società italiana di radiologia medica, nel nostro paese, il 34% della strumentazione ad alto contenuto tecnologico ha più di 8 anni di età (il 50% nelle Marche, nel Molise e in Calabria il 40 in Puglia e Basilicata e Liguria). Per quella di profilo tecnologico basso il dato delle apparecchiature vecchie, questa volta con più di 10 anni, sale al 44% (il 64% in Calabria). In più tac, risonanze ed ecografie sono sotto utilizzate. «Secondo la nostra ricerca non lavorano al loro massimo, cioè almeno 66 ore la settimana a macchina - spiega Franco Vimercati, radiologo presidente della Federazione italiana società medico scientifiche - Perché questo avvenga ci vorrebbero 600 radiologi in più dedicati a quelle prestazioni nel pubblico». Le apparecchiature fanno così in media il 15% del lavoro in meno.
Non sarà facile risolvere questi problemi molto rapidamente. Il sistema sanitario è in gravi difficoltà economiche, con una riduzione dell´incremento del fondo destinato alle Regioni ormai continua. «Il peggio deve arrivare - dice Massimo Cozza, responsabile di Cgil medici - Aspettiamo altri tagli. Sostituire i colleghi che vanno in pensione sarà sempre più difficile e vedremo le liste di attesa aumentare ancora». Ma chi ci guadagna se le attese si allungano?

Il business privato
Chi si trova davanti ad un´attesa troppo lunga si rivolge al privato. «Siamo un´ancora di salvezza, soprattutto oggi che la situazione nel pubblico sta peggiorando». Vittorio Cavaceppi è presidente dell´Anisap, l´Associazione nazionale delle istituzioni sanitarie private, che raccoglie un terzo delle 3mila aziende che fanno visite ed esami nelle Regioni italiane. In certi casi lavorano in convenzione, e si fanno pagare dalle Asl per ridurre le attese, in altri sono sul mercato privato, e i soldi arrivano dai cittadini. «Ma spesso facciamo sconti per andare incontro alle persone. Certo, la nostra attività privata cresce in periodi di difficoltà per il pubblico come questo. Un dato dell´aumento del nostro lavoro? E´ impossibile darlo, perché ogni Regione ha la sua storia».
Una parte dei guadagni per i tempi di attesa troppo lunghi nel pubblico rientra nello stesso sistema sanitario nazionale, attraverso l´intramoenia, cioè le prestazioni libero professionali svolte nelle Asl dai dipendenti fuori orario di servizio. Il fenomeno riguarda soprattutto le visite ma anche la diagnostica e non è sospinto solo dalle attese. Con questo sistema infatti ci si può scegliere il professionista, così molti lo usano perché vogliono essere visti da un determinato medico. Certo, quando si parla di attese molto lunghe la possibilità di fissare una visita a pagamento nel giro di due giorni appare un´ingiustizia. Secondo una recente ricerca dell´associazione Assotutela per fare un ecocolordoppler dei tronchi sovra-aortici al San Camillo di Roma ci vogliono circa 270 giorni. Chi paga ne aspetta 2. Non è un´eccezione, succede un po´ ovunque. La libera professione è in crescita costante: nel 2001 gli italiani spendevano 700 milioni all´anno, nel 2009 quasi il doppio: 1,3 miliardi, una cifra secondo le stime che ha continuato a salire anche l´anno dopo. Circa il 14% di quei soldi resta in tasca alle Asl il resto va ai professionisti. Spesso il cittadino si sente proporre l´alternativa dell´intramoenia dallo stesso addetto che gli ha appena comunicato l´attesa nel pubblico. Eppure è vietato, i due percorsi dovrebbero essere separati.

Il Sud resta sempre indietro
Il Censis ha fatto di recente una rilevazione senza un grande valore scientifico ma piuttosto significativa. Ha calcolato l´attesa media sopportata dai cittadini italiani prima di ottenere la prestazione sanitaria. Il risultato è 50 giorni, quasi due mesi. La nostra rilevazione svela alcuni dati inaspettati, come il peggioramento del sistema sanitario emiliano che si desume dai dati del sito di Cup 2000. Va detto che a Bologna quando ci sono attese molto lunghe o è impossibile prenotare gli addetti si segnano il nome dell´utente e lo richiamano quando si libera un posto (le cosiddette agende di garanzia). Anche a Firenze, per alcune prestazioni ci sono attese lunghissime ma in Toscana ci sono attività, come alcune visite specialistiche, tenute ormai sotto controllo da anni. Al Sud accanto a liste di attesa molto lunghe se ne trovano di assai contenute. Secondo Tonino D´Angelo, segretario di Cittadinanzattiva Puglia, bisogna leggere in modo critico i dati. «Fidiamoci di quelli alti - dice - Quelli bassi non ci rivelano un miglioramento come trend. Il fatto è che talvolta si avviano progetti speciali, con investimenti economici che abbassano le attese per un po´. Poi ricominciano a crescere». Ci sono poi quelle che sembrano delle eccezioni. Secondo la Asl di Napoli, la città sarebbe una delle migliori dal punto di vista delle attese. Smentisce nettamente i dati la Cittadinanzattiva locale. «La nostra sanità è malata di attese - dice Carlo Caramelli, responsabile dell´associazione in Campania - Riceviamo tante segnalazioni per attese lunghissime. Il problema è che le liste non sono pubbliche, non si trovano online come previste dalla legge. Inoltre ce ne sono ancora molte di bloccate e non abbiamo un Cup. Così sono cancellati diritti dei pazienti come l´equità. La Regione dovrebbe pagare multe salate per non avviare questi servizi».

Centri di prenotazione incompiuti
Che quello dei tempi d´attesa sia un problema all´ordine del giorno al ministero e nelle Regioni non c´è dubbio. Del resto secondo una recente ricerca del Censis, per il 70% dei cittadini la prima cosa da migliorare nel sistema sanitario pubblico sono le attese. I risultati dell´impegno istituzionale lasciano a desiderare. Il ministro Ferruccio Fazio ha predisposto un piano nazionale di governo delle attese che prevede tra l´altro la fissazione dei tempi massimi entro cui devono essere assicurate certe prestazioni, la creazione di classi di priorità, la gestione degli accessi attraverso i Cup, i centri unici di prenotazione che permettono di conoscere i tempi di tutte le strutture della propria zona. Sempre secondo il Censis i Cup non sono ancora abbastanza diffusi, li usa circa il 35% di chi prenota al Nord, il 31 al Centro e intorno al 20 nelle isole e al Sud. Negli altri casi ci si reca agli sportelli degli ospedali o si telefona direttamente ai reparti, e non si può sapere quale struttura nella propria zona assicuri prima la prestazione. Cittadinanzattiva-Tribunale diritti del malato nel suo rapporto dell´Osservatorio sul federalismo in sanità fa notare come i tetti massimi di attesa siano previsti nelle varie Regioni su numeri diversi di prestazioni: dalle 125 del Piemonte alle 33 della Calabria. Anche per la trasparenza le cose non vanno bene. L´Agenas, l´agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali ha rilevato come poco più della metà delle aziende sanitarie, il 57% riporti i tempi di attesa sul proprio sito web e solo 7 Regioni hanno il 100% delle Asl con i dati online. Ma cosa succederebbe se tutti i Cup entrassero a regime, se ci fosse più personale, le macchine fossero moderne e funzionassero al 100% delle loro possibilità?

Domanda sempre in crescita
Il tema delle liste di attesa è reso ancora più complesso da un aspetto particolare. Se anche il sistema dell´offerta fosse perfetto, cosa ancora molto lontana nel nostro paese, secondo molti i tempi potrebbero non migliorare. «L´offerta in sanità genera la domanda – spiega Vimercati – Purtroppo in Italia c´è un forte consumismo sanitario, cioè richiesta di visite ed esami che non servono». Giovanni Monchiero della Fiaso, la federazione delle aziende sanitarie e ospedaliere, insiste sul tema delle domande improprie: «Molto spesso quegli esami non servono. Basta citare un dato. I casi di contenzioso per presunto errore clinico da ritardata diagnosi sono lo 0,01% del totale. Vuol dire che le prestazioni inderogabili vengono fatte in tempi certi e adeguati».
Il caso della risonanza magnetica è emblematico. Si tratta forse dell´unica prestazione che ha tempi di attesa lunghi in tutte le Regioni. L´invecchiamento della popolazione ha fatto aumentare il numero di richieste ma hanno lo stesso effetto le prescrizioni non appropriate. Ha studiato il fenomeno la Regione Toscana, scoprendo che la richiesta di questo tipo di risonanze cresce quasi del 7% all´anno. Che succede? Molto spesso si prescrivono risonanze che non servono. Un settantenne con il dolore al ginocchio non ha bisogno di questo esame perché il suo dottore scopra che ha l´artrosi e decida la terapia, basta una lastra. «In quel caso la risonanza è stata inutile a meno che l´esame non serva per programmare un intervento già deciso - dice ancora Vimercati - Il problema riguarda soprattutto i medici. Devono smettere di fare i passacarte mandando i cittadini a fare gli esami senza visitarli. Finiamola di affidarci solo alle macchine». La querelle tra specialisti e camici bianchi che stanno sul territorio è aperta da tempo. «È vero, c´è un eccesso professionale - spiega Giacomo Milillo della Fimmg, la Federazione dei medici di famiglia - Noi e i radiologi dovremmo riunirci e scrivere regole comuni. Ad oggi però, visto che le attese sono lunghe, finisce che il medico di famiglia classifica tutte le richieste come urgenti e il sistema si ingolfa ancora di più».

Procreazione assistita, come cambia la famiglia e il ruolo di genitore



IL PRIMATO DELL’AZIONE POLITICA SECONDO BENEDETTO XVI

di Ettore Malnati*

ZI11092909 - 29/09/2011
Permalink: http://www.zenit.org/article-28151?l=italian

ROMA, giovedì, 29 settembre 2011 (ZENIT.org).- Giovedì 22 settembre Benedetto XVI, su invito del presidente del Bundestag, ha tenuto una “magistrale lezione” su tematiche fondamentali come il rapporto tra natura e coscienza, i doveri del politico, i fondamenti del diritto e il criterio di maggioranza nelle democrazie.
Un discorso chiaro e sapiente che il Papa fa al Parlamento del suo Paese, ma che vale per tutti coloro che, avendo scelto la politica, debbono perseguire e realizzare per i vari Popoli e per l’intera umanità il bene comune e il bene quindi della persona umana, nel rispetto e tutela di una ecologia che non può trascurare l’uomo.
Benedetto XVI inizia il suo discorso sui fondamenti del diritto da una citazione della Sacra Scrittura, e precisamente dal primo libro dei Re, in cui il giovane Salomone chiede a Dio, per poter saggiamente governare, che gli conceda “un cuore docile, perché sappia distinguere il bene dal male” (1 Re 3,9).
Da qui il Pontefice evince quale dovrebbe essere la preoccupazione di un politico: non certo la ricerca del successo e tanto meno del profitto materiale, bensì un impegno per la giustizia, dove “il successo è subordinato al criterio della giustizia, alla volontà di attuare il diritto e all’intelligenza del diritto”.
Ecco, allora, il dovere primario per chi fa politica: “servire il diritto e combattere il dominio dell’ingiustizia… in un momento storico in cui l’uomo… è in grado di distruggere il mondo… può manipolare se stesso… può creare esseri umani ed escludere altri esseri umani dall’essere uomini”.
Come distinguere il bene dal male in politica?
Come potrà il politico, si chiede Benedetto XVI, “distinguere ciò che è bene da ciò che è male, tra il vero diritto e il diritto solo apparente”?
E’ sufficiente il criterio della maggioranza di fronte a situazioni e problematiche tanto importanti?
Papa Ratzinger si richiama con ciò a quei valori non negoziabili che non possono ricevere la loro veridicità e la bontà intrinseca da un consenso di maggioranza, ma lo hanno in sé. Così si serve il diritto e si combatte l’ingiustizia. Egli ricorda ai parlamentari del Bundestag di Berlino come nel recente passato, per liberarsi da regimi totalitari come il nazismo e il comunismo ci si è richiamati alla responsabilità personale per non adeguarsi ad un diritto vigente ingiusto. Vi sono momenti e situazioni che richiedono comportamenti – dice Ratzinger – come quelli dei “combattenti della resistenza che hanno agito contro i regimi”. Vi sono situazioni che richiedono ad un politico la sua responsabilità di coscienza nella salvaguardia della verità sull’uomo e quindi nella tutela dei diritti che ogni persona ha e di cui deve poter usufruire.

Il politico non può, senza tradire il suo specifico compito, andare contro questo. Se lo facesse priverebbe lo Stato del diritto, facendo sì che – come dice S. Agostino – “sarebbe difficile distinguere lo Stato da una grossa banda di briganti”.
Benedetto XVI ricorda che non è facile “riconoscere ciò che è giusto e servire così la giustizia nella legislazione”, e offre una lucida indicazione culturale e sapienziale dove fa memoria di come è nata la cultura giuridico-occidentale, “che è stata ed è tuttora di un’ importanza determinante per la cultura giuridica dell’umanità”.
Tre sono i poli di provenienza: Gerusalemme, Atene, Roma. “Il cristianesimo infatti, contrariamente ad altre religioni – dice Benedetto XVI – non ha mai imposto allo Stato o alla società un diritto rivelato, mai un ordinamento giuridico derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato alla natura e alla ragione quali vere fonti del diritto… Con ciò i teologi cristiani si sono associati ad un movimento filosofico e giuridico che si era formato sin dal II secolo avanti Cristo... (dove) si ebbe un incontro tra il diritto naturale sociale, sviluppato dai filosofi stoici e autorevoli maestri del diritto romano”.
Continua ancora il Papa: “Da questo legame precristiano tra diritto e filosofia parte la via che porta, attraverso il Medioevo cristiano, allo sviluppo giuridico dell’Illuminismo fino alla Dichiarazione dei diritti Umani”.
Il diritto naturale
In tale contesto, Grozio ci offre la tesi del giusnaturalismo, cioè del concetto del diritto naturale che viene “oggi impropriamente considerato una dottrina cattolica, su cui non varrebbe la pena discutere al di fuori dell’ambito cattolico”.
Ciò che ha tentato di inficiare la validità del diritto naturale è stata la tesi di Hans Kelsen, secondo la quale tra essere e dover essere vi sarebbe un abisso insormontabile, in quanto si tratta di due ambiti diversissimi tra loro, e per questo non si può dedurre che dall’essere derivi un dovere.
La base di questa opinione è la concezione positivista di natura che non può, in quanto realtà meramente funzionale, creare alcun ponte verso l’ethos e il diritto.
“La stessa cosa – dice Benedetto XVI – vale anche per la ragione positivista… Per questo l’ethos e la religione devono essere assegnati all’ambito del soggetto e cadono fuori dall’ambito della ragione… Dove vige il dominio della ragione positivista… le fonti classiche di conoscenza dell’ethos e del diritto sono messe fuori gioco”.
Questo è il dramma culturale che deve essere affrontato da chi ha a cuore la dignità della persona umana e la salvaguardia del diritto nella giustizia.
E’ doveroso affrontare e risolvere il dualismo tra essere e dover essere, se si vuole dare senso e dignità ad un “diritto pregresso” e inalienabile senza venir meno a ciò che è giusto per la promozione della persona umana.
La legge di natura e il Dio creatore
E’ lo stesso Kelsen che già abbandonando nel 1965 il dualismo essere-dover essere aveva però affermato che “le norme possono derivare solo dalla volontà. Di conseguenza la natura potrebbe racchiudere in sé delle norme solo se una volontà avesse messo in esse queste norme”.
Da queste affermazioni di Kelsen Benedetto XVI pone questa domanda: “E’ veramente privo di senso riflettere se la ragione oggettiva che si manifesta nella natura non presupponga una Ragione Creativa, un Creator Spiritus?”.
Lo spiraglio c’è ed è reale! Vi è dunque oltre l’uomo, realtà penultima, una Realtà ultima che è il Creatore. E’ proprio su questo postulato circa l’esistenza di un Dio creatore – dice Papa Ratzinger – che “sono state sviluppate l’idea dei diritti umani, l’idea dell’uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge, la conoscenza dell’inviolabilità umana in ogni singola persona e la consapevolezza degli uomini per il loro agire”.
E’ doveroso che, soprattutto per coloro che si sono dedicati alla cosa pubblica e quindi a legiferare e ad agire per il bene della persona umana e della società degna dell’uomo, richiamarsi alla ragione Creatrice, cioè a Dio, e quindi legiferare nella tutela e promozione di ciò che è il vero bene dell’uomo, non attentando a quei valori non negoziabili che metterebbero a rischio ciò che deve essere promosso, difeso e tutelato.
Discorso importante che riporta Dio al posto che gli spetta non solo nel primato religioso, ma anche nel vivere pubblico di ogni popolo.

*Ettore Malnati è docente di Diritti dell'uomo presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Trieste, dove ha insegnato anche Irenologia nel corso di laurea in Scienze Diplomatiche; è docente incaricato di Dottrina sociale della Chiesa presso la Facoltà teologica di Lugano; insegna antropologia teologica e trinitaria, sacramentaria ed escatologia presso lo Studio Interdiocesano del Friuli-Venenzia Giulia e in altri Istituti Superiori di Scienze religiose. Presidente dell'associazione culturale Studium Fidei di Trieste, dal 2000 è annoverato tra i membri della Russian Academy of Natural Sciences per la sua attività teologica ed ecumenica. È autore di numerose pubblicazioni.

IL CASO/ Perché Benedetto XVI è un "ambientalista" vero? - INT.  Alberto Indelicato, il sussidiario.net, venerdì 30 settembre 2011

«Persone giovani si erano rese conto che nei nostri rapporti con la natura c’è qualcosa che non va». E poi: «L’importanza dell’ecologia è ormai indiscussa. Dobbiamo ascoltare il linguaggio della natura e rispondervi coerentemente». Sono le parole che Benedetto XVI, durante il suo discorso al Bundestag, ha dedicato ai movimenti ecologisti sviluppatisi in Germania a partire dagli anni 70. Una citazione che ha sorpreso molti, nel bel mezzo di un discorso riservato al diritto e ai fondamenti della legge. Ilsussidiario.net ha cercato di capirne il senso con Alberto Indelicato, diplomatico, ultimo ambasciatore italiano nella Germania comunista.

Se la cultura europea, come ha detto il Papa al Bundestag, è nata dall’incontro di Gerusalemme, Atene e Roma, dove sono nati invece i verdi tedeschi?

Occorre una premessa. Quel riferimento che il Papa ha fatto ai movimenti ecologisti va inquadrato nel suo contesto. Benedetto XVI ha fatto un discorso «alto», di tipo più filosofico che strettamente politico. Qui c’è stato il riferimento all’identità europea e alle tradizioni che la costituiscono, quella ebraico-cristiana, greca e romana. Il riferimento all’ecologia non è estraneo a quelle eredità.

In che modo?

Ci arriviamo. A mio avviso però, per capirlo, occorre prima giungere alla coscienza. Mi permetta di fare un inciso. Molti forse non se ne sono accorti, ma Benedetto XVI ha citato la Sharia senza nominarla. Ha detto che il cristianesimo, a differenza di altre religioni, non detta norme giuridiche; invece la Sharia dice ai musulmani cosa devono fare e lo fa da un punto di vista strettamente giuridico, al pari di una legge. Ma in uno stato democratico, con buona pace dei ribelli libici, la legge la fa la maggioranza e non la Sharia...

Ma la maggioranza non è tutto.

Vero. Il Papa ammette che le leggi devono essere fatte dalla volontà popolare, ma c’è un pericolo: e se la volontà popolare è malvagia? Allora, il punto è la differenza tra una concezione nella quale il diritto è dettato dalla natura - lui dice dalla coscienza, e in definitiva dallo spirito divino che c’è nella coscienza degli uomini - e una visione positivista, in base alla quale è legge solo quella che sta scritta nei codici.

E gli ecologisti cosa c’entrano?

È una grande «rivelazione» della modernità il fatto che la natura va rispettata, proprio per la legge morale di cui parlava implicitamente il re Salomone (il «cuore che ascolta», organo del bene). Quindi la giustizia si applica dovunque, anche alla natura. Ma c’è forse qualcosa che agli ecologisti non piace: attenzione, dice il Papa, anche l’uomo ha un aspetto «naturale». Se gli ecologisti dicono, e a ragione, che occorre dare il giusto rilievo alla natura, alla natura esterna, lo stesso si deve fare - ammonisce Benedetto XVI - rispetto alla natura dell’uomo. Bene dunque rispettare ciò che è fuori di noi, ma c’è qualcosa che sta in noi che è dato, esattamente come ciò che è fuori di noi, e come tale va rispettato. E infatti il Papa ha detto: non ci creiamo da soli.

L’ambientalismo tedesco è stato determinante per la politica tedesca, ma in Italia non è stato così: la cultura ambientalista sembra relegata ad uno stato di minorità politica. È d’accordo? Come lo spiega?

È innanzitutto una questione di persone e poi di cultura. La classe politica verde italiana non ha mai elaborato una filosofia. Questo ha senz’altro inciso sul nostro ambientalismo. I nostri verdi sono sempre stati una sorta di appendice della sinistra, mentre i verdi tedeschi hanno un’origine più liberale. Lo dimostra storicamente la lotta contro il comunismo: infatti uno degli elementi che hanno scosso le basi fisiologiche del regime comunista tedesco-orientale è stato proprio l’ambientalismo. Nei paesi comunisti, e in particolare nella DDR, la corsa all’industrializzazione aveva portato ad un degrado della natura tale da alimentare un ambientalismo essenzialmente antitotalitario. Cosa che da noi non è avvenuta, perché l’ambientalismo nostrano si è radicato prima in funzione filo socialista e poi antiliberale. Mentre i verdi tedeschi sono contro l’energia atomica per ragioni puramente ambientaliste, quelli italiani sono nati dalla protesta creata artificiosamente dall’allora Unione sovietica contro l’energia atomica prima militare e poi civile.

Quanto potranno pesare i movimenti ecologisti e i partiti politici verdi nel futuro della Germania?

Molto, perché la delusione nei confronti dei partiti tradizionali è assai forte. Si è detto: “ma a Berlino hanno vinto i socialdemocratici...”, sì, ma questo è avvenuto per l’abbandono dei competitori, e infatti non hanno aumentato i propri voti se non dell’1 o del 2 per cento. Non la si può definire una vittoria. Ora la strada dei verdi è acquisire maggiore coscienza di sé e maggiore indipendenza. Hanno davanti a sé buone prospettive. In ogni caso, quanto in futuro la Linke possa diventare verde al Papa non interessa.

(Federico Ferraù)

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La schedina di genere: maschio, femmina o X? di Tommaso Scandroglio, 30-09-2011, http://www.labussolaquotidiana.it

Arriverà presto il momento in cui alla dogana di un paese straniero alla domanda: “Qualcosa da dichiarare?” dovremmo rispondere: “Sono maschio!”. Eh sì, perché ormai nulla è più certo nemmeno il nostro aspetto fisico che sino a ieri era rivelatore anche del nostro sesso. Infatti, e ormai da tempo, c’è chi viaggia per il mondo e nel frattempo intraprende ben altri viaggi che lo condurranno a “cambiar sesso” (le virgolette sono d’obbligo dato che i geni che determinano il nostro sesso almeno per il momento non si cambiano).

Allora può nascere il seguente problema: Marco, che già si sente Anna anche se non ha ancora affrontato l’operazione, percepisce come una discriminazione che sui suoi documenti ci sia scritto ancora “maschio” e non “femmina”. Oltre a ciò fa osservare la senatrice laburista Louise Pratt, il cui compagno è un transessuale nato femmina (lo sappiamo: c’è da perdersi…), esiste il rischio che una giunonica ma apparente donna con decolté e gonna a fiori presenti all’ufficiale della dogana un passaporto in cui compare come “maschio”, ma le fattezze sono di altro tipo. E magari la foto era di qualche anno fa in cui il transessuale andava ancora fiero della sua folta barba e dei suoi neri mustacchi. Insomma una fisiognomica ambigua può creare un certo imbarazzo e talvolta, racconta la cronaca, l’imbarazzo si è mutato in un fermo di polizia, tanto per dare il tempo alle forze dell’ordine di apprezzare e condividere le scelte di genere del futuro trans.

La questione per il suo indiscusso peso antropologico è stata vagliata dal governo australiano il quale ha escogitato una trovata degna del miglior Kafka: sul passaporto della persona in attesa dell’operazione accanto ai simboli “M” e “F” si potrà apporre una bella “X”. Ovviamente solo dopo aver presentato certificato medico attestante la futura operazione. Avvenuta l’operazione, Mr. X potrà optare a suo piacere per le altre due rimanenti lettere dell’alfabeto.

Qualche considerazione. In primis non vorremmo essere nei panni di quel transessuale in fieri che si troverà ad esempio in qualche aeroporto dell’Arabia Saudita o dell’Iran. Non solo perché crediamo che certi panni stiano bene solo alle fanciulle naturalmente pettorute, ma perché presentarsi come membro del gentil sesso pur non facendone parte è operazione a dir poco ardimentosa in alcune parti del mondo, soprattutto di area islamica, nelle quali non si riesce sempre a spiegarsi con agio su tali questioni che appaiono per lo più indigeste alla sensibilità musulmana. I transessuali avranno pure il loro orientamento sessuale, ma lasciamo che anche gli islamici abbiano i loro orientamenti culturali.

In secondo luogo la vicenda dei trans-frontalieri, che girano per il mondo con tanto di timbro X attestante la loro sessualità ad interim, è assai significativa della strategia del mondo gay. La faccenda è sottile. Qui non si vogliono indicare sui documenti identificativi le proprie preferenze sessuali: etero, omo-gay, omo-lesbo, bisex. Questa è una meta che sicuramente ingolosisce la galassia dei diversamente etero, ma che non appare realisticamente raggiungibile nell’immediato. Nel caso di specie - se vogliamo - la posta è ben maggiore, perché in ballo non c’è il gusto sessuale, il “mi piace la donna o l’uomo”, ma l’identità, il “chi sono io”. Come in grammatica greca c’è il genere maschile, femminile e quello neutro, così anche per la sessualità ci deve essere una condizione di neutralità (che tra l’altro profuma intensamente di politicamente corretta perché super partes). Da una parte quindi quella X indica la volontà di creare un nuovo sesso che in realtà non c’è, perché appunto né maschio né femmina. E’ la perfetta declinazione sessuale della rivoluzione comunista che vuole abbattere ogni differenza specifica. In questo senso è la situazione di vita eccellente che dovrebbe essere preferita alle altre perché sublimazione dei vincoli materiali-biologici, superamento dello status quo e quindi espressione della massima libertà. Pienamente realizzato e felice perché sono nessuno, sono indistinto, e quindi aperto a qualsiasi possibilità futura.

Dall’altro quella X fotografa esattamente la psicologia del transessuale che di suo è appunto in transito da un luogo A ad un luogo B. L’aspirante trans che, non ancora operato, è in viaggio verso B, non vive più la condizione di maschio ma non è ancora femmina ed è quindi per paradosso più trans degli altri suoi “colleghi” già approdati al cambiamento.

In terzo luogo è curioso, ma se vogliamo anche corretto, che si sia scelta la lettera X, la quale in matematica indica l’incognita, un fattore che ha una sua identità e che allo stato attuale però non conosciamo. Ma se nella scienze matematiche il valore è già dato, sebbene non ancora scoperto, nelle scienze alchemiche che interessano il cambiamento di sesso, il simbolo che si cela dietro alla X è già deciso dal transessuale. Insomma una gestibilità della propria e cosiddetta “identità di genere” che pare un’applicazione da iphone, un’”app-trans” .

Ma la X rimanda anche ai cromosomi, che guarda caso sono XX nella donna e XY nell’uomo, le lettere fondamentali del nostro essere persona, cifre biologiche immutabili nonostante tutte le operazioni chirurgiche e tutte le terapie ormonali del mondo. Allora la scelta della lettera X compiuta dal Dipartimento degli Esteri australiano forse inconsapevolmente vuole minare sostituendola la grammatica genetica che forma il racconto di tutta la nostra esistenza. Come Voltaire incoraggiò a bruciare tutte le leggi finora esistenti per farne delle nuove, così questa X artificiale dovrebbe spazzar via quelle X e Y vergate nelle nostre carni da madre natura come leggi perenni.

Tale tesi è comprovata dal fatto che questa vicenda inverosimile ha già avuto un seguito inquietante. Sempre il Dipartimento degli Esteri fa sapere che in alcune nazioni il passaporto è documento identificativo secondario. Più spesso fa fede il certificato di nascita. Si suggerisce quindi di importare anche per questo documento l’espediente disneyano della X. Le comunità transgender e intersex esultano. Allora viene da domandarsi: ma c’è qualcuno che nasce con già la volontà di cambiare sesso? E’ innata la condizione di non essere né maschio né femmina? Ma se è solo l’adulto che decide di cambiar sesso, come si fa a retrodatare alla nascita questa stessa decisione? Siamo in piena retroattività sessuale.

E dunque in conclusione il trinomio “M-F-X” diventa l’innovativa schedina della sessualità non più declinata secondo la biologia, ma secondo l’ideologia. E dato che il “pensiero gaio” brilla nel partorire sempre nuovi neologismi, per non sentirci discriminati anche noi ne vogliamo coniare uno di zecca: la biodeologia. Il tentativo studiato a tavolino di sovvertire le regole di natura al fine di creare l’uomo nuovo, tanto nuovo da non avere identità alcuna, ricondotto ad una chimerica condizione di neutralità e quindi plasmabile come si vuole. Come il fango da cui Dio trasse il maschio, materia inerte che poteva diventare un qualsiasi oggetto o rimanere fango. Idea questa però per niente nuova come insegna il Faust di Goethe.

Educazione, l'Europa espropria la famiglia in tribunale di Marco Respinti, 30-09-2011, http://www.labussolaquotidiana.it

Il 22 settembre la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da 5 coppie di genitori tedeschi cristiani battisti che, per essersi rifiutati di mandare i propri figli, frequentanti le elementari, al corso di "educazione" sessuale previsto obbligatoriamente dall’ordinamento scolastico ma da loro ritenuto immorale anche per l’uso di immagini e situazioni giudicate pornografiche, erano stati multati e trascinati in tribunale. Fortunati, del resto, rispetto a quegli altri genitori, molti, che, per le medesime ragioni, sono invece finiti addirittura in carcere, in alcuni casi persino per diverse settimane. La decisione presa dalla CEDU è del resto definitiva, ovvero - Strasburgo locuta, causa finita - il caso è chiuso, con sconfitta totale dei genitori.

Scuola per scuola, leggere le motivazioni della Corte - disponibili solo in inglese e sintetizzate in un articolato comunicato stampa emesso in francese, in inglese e in tedesco - è altamente istruttivo per almeno quattro ragioni.

La prima. Nel dare torto marcio ai genitori tedeschi preoccupati dall’educazione integrale e matura dei propri figli, «la Corte ricorda di avere già esaminato il sistema tedesco che impone la frequenza obbligatoria della scuola elementare» e di avere già giudicato che, «introducendo questo sistema», lo Stato tedesco «ha puntato a garantire l’integrazione sociale dei ragazzi volendo evitare il sorgere di società parallele […]».

La seconda. «La Corte osserva che i corsi di educazione sessuale in questione miravano […] alla trasmissione neutra di conoscenze riguardanti la procreazione, la contraccezione, la gravidanza e la nascita, fornita in osservanza della normativa giuridica vigente e delle linee-guida conseguenti, nonché dei programmi scolastici che si basano sugli attuali standard scientifici ed educativi».

La terza. «La Corte reitera in questo contesto che la Convenzione [Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali] non garantisce il diritto a non essere esposti a opinioni contrarie alle proprie convinzioni»

La quarta. Del resto, «[…] i genitori che hanno fatto riscorso erano liberi di educare i propri figli dopo la scuola e nei fine-settimana, e così il loro diritto a educare i figli in base alle loro convinzioni religiose non è stato limitato in maniera spropositata».

Traducendo in lingua piana il linguaggio burocratico utilizzato nella decisione, si evince che il supremo tribunale europeo per la tutela dei diritti umani riconosce allo Stato democratico moderno, in questo caso quello tedesco,

l’insindacabilità del dovere di educare i propri cittadini, dovere che lo Stato democratico moderno si è dato e si dà da sé in modo altrettanto insindacabile;
la libertà assoluta d’interpretare a proprio (ancora una volta) insindacabile giudizio quell’autoconferito dovere di educare i cittadini, e questo anche contro le loro convinzioni profonde che invece è - questo sì - suo dovere principale tutelare come diritti fondamentali.
In compenso, alle famiglie composte da quei cittadini che allo Stato democratico moderno spetta come compito specifico tutelare nei propri diritti fondamentali, primo fra tutti quello alla libertà religiosa da cui anche consegue la loro potestà educativa

impone di sottostare (una volta in più) insindacabilmente a qualsiasi decisione lo Stato assuma in un ambito tanto delicato qual è l’educazione dei più piccoli purché tale decisione lo Stato la assuma in coerenza con i limiti giuridici che (sempre) insindacabilmente lo Stato pone a se stesso;
permette libertà d’intervento in ambito educativo solo dopo lo Stato e nei ritagli di tempo da questo lasciati.
Ma l’aspetto più grave è che la decisione della CEDU garantisce a uno Stato democratico moderno, in questo caso la Germania, il monopolio assoluto sulla trasmissione di informazioni a minori in un ambito tanto delicato qual è quello che riguarda la sessualità umana, attraverso la falsa idea che su questi temi sia possibile praticare la neutralità e che per giunta solo lo Stato la sappia, attraverso gli strumento dell’obbligo scolastico e dell’inappellabilità dei programmi scolastici, garantire con efficacia.

Allo Stato viene insomma garantito il monopolio dell’educazione contro le famiglie.
Va infatti da sé che il solo evocare in questo ambito, come fa la decisione della CEDU, «la contraccezione» smaschera subito non solo l’ipocrisia ma soprattutto la malafede e il falso ideologico della presunta «trasmissione neutra» di dette notizie. Non esiste, infatti - come bene sanno i battisti censurati dalla CEDU e assieme a loro milioni di credenti ma anche di persone "laiche" intellettualmente oneste - «la contraccezione» insegnata in modo neutro. Anzi, non esiste del tutto «la contraccezione» neutra. Già introdurne il concetto in ambito di educazione sessuale - per di più rivolta ai minori, imponendo cioè argomenti non neutri a soggetti ancora privi di piena capacità critica di giudizio - tradisce una intenzionalità fortissima, un orientamento preciso e uan scorrettezza palese: non metterebbe automaticamente al sicuro nemmeno il semplice parlare in quell’ambito di "paternità responsabile" sine glossa, giacché qualcuno potrebbe volervi comunque maliziosamente leggere dentro «la contraccezione», figuriamoci l’introdurne esplicitamente, come incontrovertibilmente fa da oggi la decisione della CEDU, la sostanza.

La decisione della CEDU è cioè di gravità capitale poiché sancisce l’isolamento della sessualità - al netto delle credenze religiose di ognuno, che comunque non sono cosa dismissibile con sufficienza - dall’educazione globale della persona alla realtà, alla ragione e alla verità delle cose, ovvero dall’educazione alla responsabilità e all’umano in tutti i loro fattori nessuno escluso che è compito primario della famiglia dare e che solo la famiglia, per ragioni che allo Stato sono impossibili persino in modo "fisico", può e sa dare.

Esplicitamente, la decisione della CEDU ritaglia per la famiglia solo un contentino inaccettabile.
Del resto, che un’offensiva così dannosa per la persona e per la famiglia venga scatenata utilizzando l’arma dell’educazione e spingendo il tasto della sessualità non è affatto un caso.

Nel discorso rivolto il 10 gennaio 2011 al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, "doverosamente" equivocato dalla gran parte dei media italiani, Papa Benedetto XVI ha detto di non poter in tutta coscienza «passare sotto silenzio un’altra minaccia alla libertà religiosa delle famiglie in alcuni Paesi europei», famiglie minacciate nella proprie libertà fondamentale in quelle parti del Vecchio Continente «dove è imposta la partecipazione a corsi di educazione sessuale o civile che trasmettono concezioni della persona e della vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un’antropologia contraria alla fede e alla retta ragione».

Quel «presunte neutre» detto dal pontefice va sottolineato. Denuncia apertamente il tentativo di spacciare surrettiziamente per "senso comune" e persino per "scienza" ciò che invece è solo ideologia e partigianeria.

Inoltre, non si può non vedere come, a otto mesi distanza, la decisione della CEDU contraddica esplicitamente  il magistero del Santo Padre, il quale – come La Bussola Quotidiana rilevava in quel frangente - stabilisce in detta circostanza due punti fermi.

«Intanto - ed è il primo punto fermo - il riferimento alle famiglie, come titolari del diritto alla libertà religiosa. Anche nella Dichiarazione Universale dei Diritti umani, non è l’individuo ma la famiglia "la cellula fondamentale della società", perché senza famiglia non c’è la persona. E la famiglia è un istituto che precede lo Stato sia cronologicamente sia ontologicamente. La tutela dei diritti e delle prerogative della famiglia è dunque una garanzia di libertà per tutti, antidoto a ogni statalismo e totalitarismo. Tra questi diritti della famiglia, c’è quello alla libertà religiosa incluso il diritto ad educare i figli secondo la propria concezione della vita. La libertà di educazione discende proprio da questo principio».

Inoltre - ed è il secondo punto fermo - l’educazione sessuale o civile «c’entra, perché in Europa - e non solo - si è ormai affermata una visione che vede necessario “espropriare” i genitori dalla funzione di educatori per promuovere un insegnamento dell’educazione sessuale nelle scuole fin dall’infanzia secondo una visione edonistica, che riduce la persona a puro istinto, oggetto di piacere e pulsioni sessuali».

L’inesistente «trasmissione neutra» ai minori d’informazioni riguardanti la sessualità attraverso cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo colpisce gli uni dopo gli altri - oggi in Germani, domani ovunque - quei padri e quelle madri davvero responsabili che per i propri figli hanno a cuore l’interezza, l’unicità e il valore non negoziabile della persona umana lascia invece «nessuno spazio […] per una vera educazione all’affettività che insegni il rispetto reciproco anche attraverso l’astinenza; ed ecco perché il Papa parla di presunta neutralità mentre invece si sta sempre più imponendo una concezione dell’uomo e dei rapporti affettivi che è contraria non solo alla fede ma anche alla ragione».

giovedì 29 settembre 2011


Il filosofo Benedetto Ippolito e l’inconsistenza della morale laica, 29 settembre, 2011, http://www.uccronline.it

Sottolineiamo un commento molto interessante di Benedetto Ippolito, ricercatore universitario presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi “Roma Tre”, professore incaricato e responsabile del settore scientifico disciplinare di Storia della Filosofia Medievale e membro di Ruolo del Dipartimento e del Collegio Didattico di Filosofia, sull’ormai celebre discorso di Benedetto XVI al Bundestag, il Parlamento federale tedesco, nell’ambito del suo recente viaggio in Germania.

Nel cuore dell’Europa, ha detto il filosofo, «il Papa ha voluto sollecitare la coscienza tedesca sulle radici giuridiche dell’Occidente, che sono state assicurate stabilmente nel tempo dall’incontro felice tra la religione cristiana, la filosofica greca e la giurisprudenza romana». Il Papa ha osservato come «la visione positivista – cioè puramente formale – del mondo sia una parte grandiosa della conoscenza umana, alla quale non dobbiamo rinunciare. Ma essa non è una lettura che corrisponda e sia sufficiente per essere uomini in tutta l’ampiezza». L’unico modo per poter essere tali, è avere consapevolezza che «l’uomo non crea se stesso», perché la sua «natura personale non è esaurita dalla libertà». Ippolito rileva l’apertura di un confronto esplicito con il padre del pensiero giuridico tedesco, Hans Kelsen, ricordando come questi, dopo aver cercato invano di costruire un sistema esclusivamente basato sulla legge scritta, sia dovuto incorrere alla fine in insormontabili e sfibranti contraddizioni a causa della rinuncia totale alla sola idea risolutiva che dà fondamento logico al diritto, ossia il riferimento trascendente a Dio.

Il filosofo non usa mezzi termini: «Come sanno i teologi, infatti, l’unico pilastro con cui è possibile salvaguardare l’intelligenza, la libertà dell’uomo e il rispetto della natura circostante è solo Dio creatore, perché Egli è il principio che permette di concepire il valore supremo della natura creata rispetto ai tanti interessi esistenti». E ancora: «La responsabilità dell’uomo davanti a Dio genera, infatti, una base sicura alla politica e al diritto, che accosta pienamente la democrazia delle istituzioni ad alcuni valori universali insindacabili, cioè indipendenti dal dispotismo del potere».

Il grande “papa” laico, Norberto Bobbio, lo aveva capito sapeva perfettamente quando diceva: «La morale razionale che noi laici proponiamo è l’unica che abbiamo, ma in raltà è irragionevole». Perfino Hans Küng, molto amato dall’area laicista per essere il più famoso teologo dissidente, lo riconosce: «L’umano è salvaguardato solo se viene fondato sul divino. Solo l’Assoluto può vincolare in maniera assoluta». L’irrazionalità della “morale senza Dio” è ben spiegata da Vittorio Messori: «la cosiddetta “morale razionale” non ha nulla di ragionevole. Non è (e non sarà mai) in grado di rispondere in modo logico alla semplice domanda di buon senso: “perché, messo alla scelta, dovrei fare il bene piuttosto che il male, anche quando dallo scegliere il bene non me ne viene alcun vantaggio ma, anzi, ne ricavo uno svantaggio?”» (V. Messori e M. Brambilla, “Qualche ragione per credere”, Edizioni Ares 2008, pag. 68)

Messico: la Corte Suprema respinge la legalizzazione dell’aborto, 29 settembre, 2011, http://www.uccronline.it/

La Corte Suprema del Messico ha respinto la legalizzazione dell’aborto in Baja California, confermando dunque la costituzionalità delle leggi contro l’aborto approvate in 32 stati messicani (oltre la metà).

La maggioranza è stata risicata (8 su 11) ma necessaria per far vincere la protezione dell’essere umano “fin dal concepimento“. Il 25 aprile 2008 la capitale messicana aveva approvato la depenalizzazione dell’aborto fino a 12 settimane di gestazione, decisione seguita da un’ondata di modifiche anti-aborto in ben 32 Stati, temendo che l’esempio potesse diffondersi.

Dal 2011 sono 18 gli stati messicani che hanno approvato modifiche costituzionali esplicitamente a tutela del nascituro dal momento del concepimento.

Aborto per legge, nel mondo qualcuno ci ripensa -  In Cina si sono accorti che il controllo demografico ha prodotto immensi squilibri, la Russia prova a frenare il tracollo demografico, la Polonia ha tentato di ridurre il ricorso all’interruzione di gravidanza, mentre in Cile e Argentina si sta discutendo se mantenere le attuali norme restrittive - Un viaggio nei Paesi dove in Parlamento e nell’opinione pubblica si discute di aborto, Avvenire, 29 settembre 2011

Non sono pochi gli Stati che in questi mesi stanno mettendo in discussione il cosiddetto "diritto all’aborto" ttraverso un ripensamento delle proprie politiche in materia.
La Cina è forse il caso più eclatante, che dimostra le conseguenze nefaste di politiche per promuovere l’aborto non solo come diritto ma addirittura come strumento coercitivo di controllo demografico. Recentemente è stato GaoQiang, che per due anni ha ricoperto ruoli di primo piano al Ministero della Salute cinese, ad ammettere che la popolazione è in difetto di circa 400 milioni di unità a causa degli aborti forzati e degli infanticidi frutto della politica del figlio unico. In agosto un’altra breccia si era aperta nelle politiche demografiche cinesi: l’aborto selettivo eseguito sulle bambine, dovuto alla generale preferenza delle famiglie per i figli maschi, era finito al centro del documento programmatico elaborato dalle autorità cinesi per lo sviluppo e il benessere dell’infanzia. Nel documento si parlava espressamente di «discriminazione ai danni delle bimbe» e si manifestava la necessità di porre fine a tale fenomeno, anche se nessun cenno veniva fatto in merito alla politica del figlio unico.
Allarme demografico del tutto analogo è suonato in Russia, uno degli Stati col più alto tasso di abortività al mondo,
dove ad aprile il premier Putin ha indicato la ripresa delle nascite come misura primaria per rilanciare il Paese. Tra le misure indicate, anche una legge che avrebbe eliminato l’aborto dalla lista dei servizi medici compresi nel piano sanitario nazionale. È stato poi il presidente Medvedev, in luglio, a firmare una legge restrittiva approvata in precedenza dal Parlamento.
Anche in Polonia si è dibattuto sull’irrigidimento della legge che regola le interruzioni di gravidanza. Il tentativo di rendere il ricorso all’aborto sempre più raro è frutto di una chiara volontà popolare: 600mila firme raccolte per un testo che avrebbe reso illegale in ogni circostanza l’aborto, oggi consentito nei casi di pericolo di vita per la madre, incesto e gravidanze frutto di «attività illegali». La legge aveva superato il primo voto con il quale si era cercato di affossarla (254 favorevoli, 151 contrari), ma si è poi scontrata con l’ordine di partito di Platforma Obywatelska (Po), partito della coalizione di centrodestra, che ha determinato la bocciatura del testo per soli 5 voti (191 a 186). Jacek Tomczak, esponente della Po, ha dichiarato di aver ricevuto minacce di sanzioni pecuniarie da parte del proprio partito se avesse votato a favore della proposta.
Di segno opposto il risultato registrato in Liechtenstein, dove un referendum popolare ha bocciato pochi giorni fa la legalizzazione dell’aborto nel piccolo Principato dove a oggi l’interruzione di gravidanza resta penalmente punibile in ogni circostanza. Il 52,3% dei votanti ha espresso il proprio favore per lo status quo, dopo che il principe Alois aveva dichiarato che non avrebbe ratificato la legge e che, in giugno, 18 parlamentari su 25 si erano opposti a un testo più permissivo.
Agli esempi finora visti si contrappongono quelli di Paesi dove si compiono i primi passi verso legislazioni apertamente abortiste. Pochi giorni fa è giunta dal Cile la notizia di una prima apertura all’aborto terapeutico: la Commissione sanità del Senato ha approvato con tre voti contro due un testo che va in tale direzione. È attesa ora la discussione in Senato, dove si parlerà anche della possibilità di interrompere la gravidanza in caso di stupro, incesto e pericolo di vita. Contro tale ipotesi si è schierato il presidente cileno Sebastian Piñera, e anche la Conferenza episcopale cilena ha manifestato la propria preoccupazione attraverso un documento ufficiale.
Di aborto si discute anche in Argentina, dove il Parlamento si appresta a varare norme che rendano legale l’aborto in altri casi oltre a quelli già previsti (stupro e rischio per la salute della madre). Sono sette i progetti di legge sul tavolo: il dibattito su di essi, in un primo momento previsto per martedì scorso, è stato posticipato a dopo le elezioni che si terranno a ottobre.
Non è raro peraltro che i primi passi sulla strada dell’aborto come "diritto" vengano compiuti su invito degli organismi internazionali. È il caso delle Isole Mauritius, Stato al quale è giunto un richiamo da parte della Commissione Onu per l’eliminazione della discriminazione contro le donne. Secondo l’organismo, i diritti delle donne verrebbero violati dalla legge vigente, che permette l’aborto solo nel caso in cui la madre sia in pericolo di vita. Il dibattito si concentra così adesso su un testo che dovrebbe consentire l’aborto entro le 24 settimane di gravidanza qualora il feto sia deformato e in caso di stupro e pericolo per la salute fisica e "morale" della gestante.
Le pressioni internazionali non si limitano alla sfera politica, ma vengono esercitate anche a livello culturale. È quanto accaduto lo scorso giugno in Ungheria, dove una campagna antiabortista finanziata con denaro proveniente da fondi europei ha causato le proteste della stessa Unione europea.
Viviane Reding, vicepresidente della Commissione europea, chiese che i manifesti appesi in luoghi pubblici e raffiguranti un feto con lo slogan «So che non siete pronti per me, ma pensateci due volte e datemi in adozione. Lasciatemi vivere!» fossero ritirati.

Esperimenti sull’uomo E sulla Borsa, Alessandra Turchetti, Avvenire, 29 settembre 2011

L’azienda americana di biotecnologie Advanced cell technology (Act), dopo aver ottenuto alcuni mesi fa negli Stati Uniti il via libera per la sperimentazione clinica su pazienti affetti da degenerazione maculare con l’utilizzo di cellule staminali embrionali, ha da poco concluso l’accordo col «Moorfields eye hospital» di Londra per uno studio analogo finalizzato alla cura della distrofia maculare di Stargardt, una forma degenerativa ereditaria retinica che può portare alla cecità.
L’autorizzazione è arrivata nei giorni scorsi dall’Agenzia britannica per la regolamentazione dei farmaci e dal Comitato consultivo sulla terapia genica. Si tratterebbe del primo studio di questo tipo sull’uomo in Europa. La forma ereditaria colpisce una persona ogni 20/30.000 con meno di 20 anni, più spesso tra 7 e 12 anni, ed è una delle forme più frequenti di cecità giovanile.
Il protocollo prevede l’iniezione di cellule e piteliali pigmentate della retina create da cellule staminali embrionali umane, con l’obiettivo – sostiene la ditta produttrice – di provocare l’arresto della malattia.
«La grande promessa di queste cellule viene finalmente messa alla prova», aveva detto Robert Lanza, responsabile scientifico della società (privata). Scelte strategiche, dunque, hanno portato l’azienda americana a investire anche in Europa, dopo aver stimato un mercato globale di circa 25-30 miliardi di dollari. Ma finora non è trapelato alcun dettaglio sui primi esperimenti effettuati sull’uomo, mentre sui modelli animali i ricercatori hanno dichiarato di aver ottenuto buoni risultati.
Ancora una volta assistiamo a sperimentazioni cliniche sull’uomo in campo neurodegenerativo portate avanti da privati che hanno milioni di euro disponibili, a differenza dell’ambito pubblico e di quello delle associazioni no profit che vanno avanti con enormi difficoltà», è il commento di Angelo Vescovi, direttore scientifico della Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo. «Devo purtroppo rilevare che questo potenziale sembra precluso alla ricerca al di fuori del settore privato.
La scelta di Advanced cell technology di entrare nel mercato europeo è motivata da strategie industriali».
Dal punto di vista finanziario, le azioni dei centri privati (Act è quotata a Wall Street) salgono alle stelle ogni volta che si dà un annuncio come quello di questi giorni: i titoli dell’Advanced cell technology sono triplicati dopo il via libera della «Food and drug administration» americana e del successivo interessamento al mercato europeo. «Le sperimentazioni avviate con staminali embrionali hanno subìto una forte accelerazione non appena le tecniche alternative, ad esempio la riprogrammazione delle staminali adulte, hanno preso piede», conclude Vescovi.
«Sembrerebbe quasi una corsa contro il tempo per non rinunciare ad anni di investimenti cospicui nonostante la mancanza di dati favorevoli».
Alessandra Turchetti

Spagna, fuga dalla legge Zapatero?



Quando l’amore è «condizionato», di Michele Aramini, Avvenire, 29 settembre 2011-09-29

Hanno suscitato clamore le notizie dei genitori che sono diventati tali pur in età avanzata attraverso la fecondazione eterologa effettuata in Paesi dell’Est.
Giornali e tv hanno dato spazio a esperti di diversi orientamenti per una valutazione di questi casi di genitorinonni. Dall’ascolto di questi dibattiti si possono ricavare due conclusioni: da una parte il riconoscimento della saggezza della legge 40 – nel quadro delle considerazioni svolte in questa pagina – là dove pone un limite di età all’esecuzione delle tecniche di fecondazione artificiale, perché le persone debbono diventare genitori secondo il loro tempo naturale; dall’altra l’impressione insopprimibile che pian piano si voglia sdoganare anche questo tipo di fecondazione artificiale, ricorrendo al mantra del diritto a essere genitori, non importa se arrecando danni ai figli. Per capirci, va ricordato il recente caso di una donna di 67 anni che ha partorito due gemelle, lasciandole orfane dopo solo tre anni.
Anche nel passato molti bambini sono stati allevati dai nonni che supplivano i genitori morti precocemente, per guerre o incidenti, ma si trattava appunto di supplenze necessarie e pertanto non si possono equiparare quelle situazioni con le odierne nascite di bambini da genitori attempati. La differenza fondamentale con l’oggi è il diverso progetto. La vita si allunga, alcune persone trovano tardi l’amore o ne trovano un secondo, o un terzo, e rinasce in loro il desiderio di una impossibile giovinezza, che dovrebbe essere allietata dai figli. Anche in questo caso rimangono trascurati o violati i diritti dei bambini, i veri deboli nel processo di fecondazione artificiale, specialmente nelle sue forme estreme.
In mezzo a una umanità che tutela con impegno le più svariate forme di diritto, i diritti dei nascituri sono sempre meno apprezzati e tutelati.
Vale la pena di ricordare questi diritti misconosciuti dei bambini: al primo posto c’è il diritto alla vita, programmaticamente violato dalle tecniche di fecondazione artificiale; al secondo il diritto a non essere trattati come oggetti, atteggiamento che è generalmente indotto dalla Fivet, perché solo gli oggetti che piacciono hanno diritto a nascere, mentre gli altri vanno scartati.
Al terzo dobbiamo porre il diritto dei figli a nascere dalle persone che formano la coppia e non da sconosciuti che hanno preso soldi per "donare" il seme o l’ovocita. Possiamo aggiungere anche il diritto a nascere da genitori che si amano e che generano figli, perché la generazione di un figlio è il modo più alto di esprimere questo amore. Questo criterio comporta anche il diritto a nascere al "tempo giusto". Le forme estreme di nascita non sono solo forme fuori "tempo massimo", ma con tutta probabilità danno luogo a figli di desideri che hanno qualità umana friabile: desideri di maternità senza partner maschile, voglia di ritrovare una giovinezza passata, eccetera.
Per questo motivo il figlio, al di là della retorica sentimentale, non è amato gratuitamente. È voluto, magari caparbiamente, non per prendere un servizio alla vita ma per colmare desideri insoddisfatti. Se il criterio fosse il servizio alla vita non si violerebbero i diritti dei nascituri. Se il criterio è la propria soddisfazione, tutti gli ostacoli anche di carattere morale si debbono spazzare via. La cosa più grave è che questa logica non è sottostante solo ai casi estremi di Fivet, ma alla Fivet in generale. Sono le stesse tecniche che trasformano l’identità umana del figlio e quella dei genitori. Con la Fivet i genitori sono indotti ad amare il figlio in arrivo solo se è come essi lo desiderano. Lo amano a condizione che... Ma un amore condizionato non è amore. 

All’arrembaggio contro le regole di Ilaria Nava, Avvenire, 29 settembre 2011



L’AVVENIRE DELLA PROVETTA - Comunicato Stampa N. 119, 29 settembre 2011 - Comitato Verità e Vita, http://www.comitatoveritaevita.it

Il quotidiano della Conferenza Episcopale “sdogana” la fecondazione artificiale con congelamento di ovociti. Il giornale parla con toni trionfali di “un altro successo delle tecniche di procreazione assistita”.

“Incinta dopo tumore grazie a ovuli congelati”. Questo il titolo che campeggiava l’altro giorno (27 settembre 2011) sulle pagine del quotidiano della Conferenza Episcopale. Senza formulare alcun commento critico, Avvenire ha dato ampio risalto a quanto accaduto a Bologna, dove una donna è riuscita ad avere una gravidanza dopo essere guarita da un cancro al seno.
Sembrerebbe una bella storia, se non fosse che il lieto evento è stato raggiunto con le tecniche di fecondazione artificiale, producendo embrioni in vitro. Dettaglio che non ha turbato Avvenire, che anzi ha parlato di “un altro successo delle tecniche di procreazione assistita” che “dà nuove speranze di diventare madri a migliaia di donne che superano il tumore al seno e cure che spesso rendono sterili”.
Queste “nuove speranza” passano attraverso la provetta, come spiega Eleonora Porcu, responsabile del centro di cura della sterilità all’ospedale Sant’Orsola-Malpighi di Bologna. Porcu, cattolica, allieva del professor Flamigni, è una figura di spicco di Scienza e Vita, di cui è uno dei soci fondatori.
Racconta Elena Porcu: “Scongelammo quattro ovociti e ottenemmo tre embrioni che trasferimmo nel grembo della mamma. Dopo 12 giorni gli esami rivelarono che uno di questi embrioni stava crescendo. La gravidanza era in corso. Mamma e papà sono felici”.
Avvenire riferisce questo quadretto idilliaco senza colpo ferire, e i lettori sono autorizzati a pensare che la provetta secondo il “rito bolognese” sia buona e giusta. Nessun cenno al fatto che, per un embrione che “sta crescendo”, almeno due siano morti. La Congregazione per la dottrina della fede, nel documento Dignitas Personae (2008), al n. 15, ha affermato che questa mortalità di embrioni connessa all’uso della provetta non è paragonabile all’aborto spontaneo, e che queste morti costituiscono un grave motivo di censura morale alle tecniche di fecondazione artificiale perché  sono previste e volute. Inoltre, è evidente che la produzione di una pluralità di embrioni per ottenere un “bambino in braccio” rivela un uso strumentale degli esseri umani concepiti.
Il fatto che il quotidiano cattolico abbia parlato in questi termini della produzione di esseri umani in provetta non è passata inosservata: il bioeticista Maurizio Mori sull’Unità (28 settembre 2011) ha salutato con soddisfazione il fatto che, finalmente, i cattolici accettano il congelamento di ovociti e il ricorso alla provetta.
In effetti, l’articolo di Avvenire ha del clamoroso. Esso certifica il processo di slittamento di una parte importante del mondo cattolico verso la legittimazione della fecondazione artificiale, purché attuata secondo una qualche forma di male minore. Nel caso specifico, Avvenire celebra il congelamento degli ovociti, che permette di evitare il congelamento di embrioni. Il cosiddetto “male minore” diventa un bene, e coloro che lo attuano diventano un modello da imitare. Il criterio di giudizio non è più rappresentato dalla legge morale naturale, o dal Magistero, ma dalla legge 40 del 2004: se una tecnica è conforme al dettato legale, allora è automaticamente buona e fonte di “nuove speranze”.
Senza dimenticare che le tecniche di fecondazione artificiale comportano la sostituzione dell’atto coniugale con un procedimento tecnico, e portano all’esistenza esseri umani che si trovano fuori dall’unico luogo in cui un embrione dovrebbe trovarsi: il corpo della madre.
Verità e Vita sta denunciando da anni il clima di legittimazione della fecondazione artificiale che si sta diffondendo in un mondo cattolico sempre più appiattito sulla legge 40, e sempre più interessato a trovare una “via cattolica” alla provetta, che magari serva anche a legittimare il ricorso alla fivet in ospedali e cliniche cattoliche. Ancora una volta Verità e Vita lancia un appello pubblico affinché chi può intervenga quanto prima per fare chiarezza: i cattolici si meritano qualche cosa di meglio che l’apologia del male minore.
Comitato Verità e Vita

In vitro la fabbrica degli uomini, Avvenire, 29 settembre 2011


Provetta & valori: la legge 40 non è «cattolica» di Assuntina Morresi, Avvenire, 29 settembre 2011



Strasburgo - Una risoluzione sui diritti dei gay «Ma non ha valore» di Simona Verrazzo, Avvenire, 29 settembre 2011

E’ stata approvata ieri dal Parlamento europeo una risoluzione nel cui testo viene previsto che lesbiche, gay, bisessuali e transgender (Lgbt) nella Unione devono avere «diritto alla famiglia» e «libertà di opinione, espressione e associazione», ovvero devono poter manifestare liberamente nei raduni dei cosiddetti «gay pride». La risoluzione è stata approvata con 442 sì, 104 no e 40 astenuti. Il testo dà seguito a quanto previsto dal regolamento Onu sui diritti umani, l’orientamento sessuale e l’identità di genere. Contro si sono espressi Lega Nord e Partito nazionale britannico oltre a una gran parte della delegazione italiana appartenente al Partito popolare europeo (Ppe), composta da Pdl e Udc. «È quanto si era concordato nella riunione precedente al voto – spiega Mario Mauro, presidente all’Europarlamento dei deputati Pdl –. Tra chi nel nostro gruppo era favorevole c’è chi lo ha fatto per convinzione, ma sono sicuro anche che qualcuno lo ha fatto per errore, cosa che può succedere in un Parlamento dove si parlano oltre venti lingue...».
Fra i voti favorevoli 134 sono venuti infatti dalle file dei popolari, compreso quello del capogruppo, il francese Joseph Daul, e di esponenti italiani del Pdl come Albertini, Antoniozzi, Gargani, La Via, Mazzoni e Zanicchi. Nel testo è scritto tra l’altro che Strasburgo «si rammarica» che nell’Unione europea «non siano ancora pienamente rispettati in ogni circostanza» i diritti Lgbt «all’integrità fisica, alla vita privata e alla famiglia, alla libertà di opinione, espressione e associazione, alla non discriminazione, alla libera circolazione e il diritto di asilo». Mauro sottolinea però che si tratta di una risoluzione che non ha valore di legge, e soprattutto che sono i singoli Stati a legiferare poiché «il diritto di famiglia è una materia ancora non armonizzabile», con posizioni molto differenti tra i diversi Paesi.

"Crescere figli, serve energia" - A un adolescente serve avere accanto un padre nel pieno delle forze, non un anziano signore da accompagnare dal medico, di Costanza Miriano, Avvenire, 29 settembre 2011

A parte che le mammenonne sono ormai praticamente la norma in Italia, visto che quasi tutte le donne che vanno a partorire il primo bambino, nel Paese meno prolifico del mondo, sulla cartella clinica trovano scritto «primipare tardive». A parte che a causa di questo innaturale ritardo la gravidanza finisce per essere una strazio di analisi e accertamenti che illudono di controllare il rischio. A parte che la fertilità si dimezza dopo i 35 anni, mentre qui da noi chi si azzarda a fare un bambino prima dei 38 è considerata coraggiosa. A parte che l’età in cui una donna è in grado di accogliere una vita comincia prestissimo (la Madonna ha avuto Gesù a 16 anni), e ci sarà un motivo. Chi ha trascorso 32 ore senza dormire un minuto per coliche, capricci dei fratelli, vomiti e febbri a effetto domino sa di che parlo, sa che per fare la mamma ci vuole il fisico. Il fatto è che se la maternità tardiva è diventata la norma, quella da vecchie allora può apparire solo una stravaganza, qualcosa appena oltre il limite, e non, come è, il salto di una generazione. Quindi non più figli, ma nipoti.
A casa mia i nipoti hanno diritto a essere viziati dai nonni, perché a mettere le regole ci pensano i genitori. Si sa che con i nonni vige la caramella libera, il regalo immotivato, lo svacco davanti alla televisione. Una nonna perde a nascondino, non riesce a vincere una partita a carte che sia una, può indossare maschera e mantello da lord Fener senza seri danni di immagine: non ha nessuna autorevolezza da difendere, perché è solo l’affetto puro, illimitato e gratuito di chi è sollevato dalla responsabilità educativa. I nonni poi non ce la fanno a intraprendere estenuanti bracci di ferro con i bambini, perché sono anziani e si stancano presto. Così in caso di tragedia cosmica una nonna ha il diritto, per tirar sera, di ricorrere a bassi espedienti come il gelato o un dvd.
Ci sono poi momenti della vita del ragazzo, soprattutto quando si affaccia al mondo, in cui è fondamentale trovarsi accanto la guida del padre, non del nonno.
Di chi ancora in quel mondo si muove con naturalezza, lo sa leggere, lo sa codificare, non lo teme. Così il ragazzo ha il coraggio di tuffarcisi, perché vede accanto a sé un uomo ancora forte che fa lo stesso.
Non un amico, per carità, ma un modello plausibile. Non un anziano signore da accompagnare dal medico durante l’adolescenza. La natura ha le sue leggi, espressione della sapienza di Dio, e Dio sa quello che fa. Sa per esempio che al bambino servono un padre e una madre certi, uniti stabilmente, nel fiore dell’età.
Non sono capricci sadici quelli della Chiesa quando ci raccomanda queste semplici, ragionevoli norme: si tratta semplicemente di prendere atto della realtà. La realtà mostrerebbe chiaramente che se una donna cerca tutta la vita di non rimanere incinta per concentrarsi sul lavoro poi ci sono alte probabilità che il bambino dopo una certa età non arrivi.
La realtà mostra che prendere ovuli dalle donne che li «donano» le distrugge fisicamente. Mostra che i figli che non conoscono chi ha dato loro il patrimonio genetico sono terrorizzati da questo enorme cono di ignoto nella loro vita.
La realtà mostra che i limiti che la Chiesa mette sono sempre a favore della persona, per la sua dignità e la sua felicità. È finito lo spazio, e non ho avuto il coraggio di sfiorare il dolore di chi un figlio non riesce ad averlo. Un dolore che posso solo intuire e che rispetto con tutto il cuore. Ma che non può venire prima del diritto del bambino.

È VITA - MATERNITÀ A 60 ANNI? LE DONNE LA BOCCIANO SUL WEB di Vinai Emanuela, Avvenire di giovedì 29 settembre 2011

Maternità a 60 anni? Le donne la bocciano sul Web mg g 8 Sulla Rete sondaggi e dibattiti bocciano la maternità tardiva Questione di buon senso: occorre un confine anagrafico alla fecondazione artificiale faarlare di un cambio di paradigma orse è prematuro, ma gli elementi disposizione fanno pensare a un evidente sovvertimento dei luoghi comuni. La vicenda delle mamme-nonne ha infatti trovato vasta eco in sondaggi e dibattiti in Rete e le reazioni degli intemauti non si sono fatte attendere, con qualche sorpresa. I120 settembre scorso il primo movimento tellurico: il sondaggio quotidiano di Radio24 ha rilevato una maggioranza quale non si vedeva dai tempi della tentata abolizione dell'articolo 18. A domanda «Mamme sulla soglia dei 60 anni. Lo trovate positivo?», i «no» hanno raggiuto il 91%. Percentuale inferiore, ma non meno netta, quella registrata da Donna Moderna, corazzata dei settimanali femminili. Al quesito «Secondo te è giusto fare un figlio a 57 anni?» I176% dei lettori ha risposto: «No, perché si è già nonna». E che dire del blog al femminile «La 27ma ora» del Corriereit? L'argomento maternità tardiva è stato oggetto di due post a distanza ravvicinata. Il primo il 23 settembre «Un figlio a tutti i costi. Anche a (quasi) 60 anni», il secondo il 27 settembre «A proposito delle mamme over 50. Cosa succede in America». I due articoli hanno totalizzato insieme più di quattrocento commenti e la loro lettura fomisce uno spaccato della società e della percezione della maternità molto diverso da quello che viene comunemente raccontato dai media. I forumisti fanno molti auguri ai neonati, ma contestano con fermezza la domanda di fondo: ognuno non può essere, semplicemente, lasciato libero di decidere? La risposta, variamente declinata nei commenti secondo l'esperienza di ciascuno, è orientata al criterio della responsabilità: no, perché in questo caso c'è di mezzo un altro, il bambino che nascerà. E, aggiunge qualcuno, che sarà un adolescente inquieto in un mondo in rapida trasformazione.

Inoltre, anche per coloro che si dichiarano comunque a favore di fecondazione eterologa, matrimonio omosessuale ecc, la questione non è da porre in termini di moralismo, ma semplicemente di buon senso. Quel senso del limite che viene tradotto e codificato nell'indicare un confine anagrafico per accedere alla fecondazione artificiale. Si sprecano così le inchieste sui tempi della maternità: qual è l'età giusta, 20-3040 anni? Nessuno, nemmeno tra gli esperti, si sbilancia. Né in un senso, né nell'altro. Tra le donne permane la sensazione di combattere contro una società che non le aiuta: «A vent'anni fisicamente sarebbe il massimo, ma poche ne approfittano; attorno ai trenta va bene, ma d si gioca la carriera; a quaranta si è madri consapevoli, però l'energia comincia a scarseggiare». Commenti simili, del resto, sono presenti da tempo anche nei forum online tradizionalmente dedicati alla ricerca di quel bambino che proprio non arriva. Su Nostrofiglio.it, mamme in attesa e mamme in prospettiva, abituate a confrontarsi pacatamente sulle opportunità di ovodonazione e Fivet, si sono invece dichiarate diffidenti e perplesse su gravidanze ottenute a un'età troppo avanzata. Il tempo sodale e il tempo biologico non coincidono più, e le rassicurazioni sull'aspettativa di vita non rassicurano affatto.  Ma l'elemento che più di altri sconcerta è che i commenti più disillusi arrivino dai diretti interessati: i figli di genitori anziani. Adulti che rivendicano il diritto, per loro non realizzato, ad avere un'infanzia e un'adolescenza in cui godere di genitori vicini, nel tempo e nello spazio, al vissuto dei loro figli. Una discronia della relazione che culmina nell'inevitabile accudimento dei genitori troppo anziani, afflitti da malattie invalidanti, proprio nel momento in cui si vorrebbe invece cominciare a spiccare il volo. E la questione economica in questo caso non è affatto secondaria. Su una cosa tutti sono d'accordo: un conto è risolvere disturbi o malattie, un altro forzare i ridi biologici. La terapia è nettamente distinta dagli artifici utilizzabili per manipolare oltre ogni evidenza la biologia che governa la riproduzione. La maternità come lifting ha pochi simpatizzanti.