sabato 31 dicembre 2011


Il premio 2011 a due vescovi cinesi, martiri e “illustri sconosciuti” di Bernardo Cervellera, 30/12/2011, http://www.asianews.it

Mons. Giacomo Su Zhimin, 80anni, ha subito finora 40 anni di prigionia; mons. Cosma Shi Enxiang, 90 anni, ha passato 51 anni in carcere. Di loro nessuno parla e il governo cinese dice che “non sa dove essi siano”. Si teme che vengano uccisi sotto tortura, come è avvenuto per altri vescovi. Il Vaticano dovrebbe chiedere la loro liberazione come condizione per ogni dialogo. Una campagna a loro favore per il 2012.

Roma (AsiaNews) – Alla fine dell’anno molte riviste e siti web stilano una classifica dei personaggi più famosi del 2011, che si sono distinti in qualche opera o hanno determinato l’informazione mondiale. Di solito sono personaggi della politica, della cultura, o un movimento intero, come è quest’anno per la rivista americana Time, che ha consacrato a “personaggio” (collettivo) del 2011 i giovani della “primavera araba” e a tutti i dimostranti del mondo.

Noi di AsiaNews vogliamo fare una scelta controcorrente: dare un premio a chi non è mai stato citato dai media, chi non ha avuto alcun riconoscimento pubblico, chi è dimenticato nonostante anni di lotta per la verità, la dignità e la giustizia: insomma un premio “all’illustre sconosciuto”.
Come Time, anche noi vogliamo dedicare un premio “collettivo”, a due grandi sconosciuti: due vescovi cinesi della comunità sotterranea che da decenni sono stati rapiti dalla polizia e dei quali nessuno sa più nulla.

Il primo è mons. Giacomo Su Zhimin (a ds nella foto), quasi 80 anni, vescovo di Baoding (Hebei), arrestato dalla polizia l’8 ottobre 1997. Da allora nessuno conosce né l’accusa che ha causato l’arresto, né se vi sia stato un processo, né il suo luogo di detenzione. Nel novembre 2003 è stato per caso scoperto in cura in un ospedale di Baoding, circondato da poliziotti della pubblica sicurezza. Dopo una breve e frettolosa visita dei parenti, la polizia lo ha fatto scomparire ancora fino ad oggi.

Il secondo è mons. Cosma Shi Enxiang (a sin. nella foto), di 90 anni, vescovo di Yixian (Hebei), arrestato il 13 aprile 2001. Di lui non si sa davvero nulla, anche se i suoi parenti e fedeli continuano a domandare alla polizia almeno qualche notizia.

Essi meritano di essere ricordati accanto a famosi personaggi della dissidenza come il premio Nobel Liu Xiaobo o il grande Bao Tong perché come loro – e da molto più tempo – combattono per la libertà dell’individuo e per la loro fede. In qualche modo essi sono i profeti della dissidenza: primi a subire persecuzione; primi a subire arresti e condanne; primi a lanciare appelli alla comunità internazionale; i primi ad essere dimenticati.

Prima dell’ultimo arresto, mons. Su Zhimin ha passato a fasi alterne almeno 26 anni in carcere o ai lavori forzati, bollato come “controrivoluzionario” solo perché , fin dagli anni ’50, si è sempre rifiutato di aderire all’Associazione patriottica, che vuole edificare una chiesa nazionale staccata dal papa. Nel ’96 – da un luogo nascosto perché ricercato – era riuscito a diffondere una lettera aperta al governo cinese perché rispettasse i diritti umani e la libertà religiosa del popolo. In tutto ha già speso 40 anni in cattività.

Mons. Shi Enxiang è stato incarcerato ancora più a lungo: dal 1957 fino al 1980, costretto ai lavori forzati agricoli nell’Heilongjiang, fino a fare il minatore nelle miniere di carbone dello Shanxi. È arrestato ancora per tre anni nel 1983, poi subisce tre anni di arresti domiciliari. Nell’89 – alla costituzione della Conferenza episcopale dei vescovi sotterranei – viene ancora arrestato e rilasciato solo nel ’93, fino al suo ultimo arresto nel 2001. In tutto egli ha passato già 51 anni in prigione.
Mentre in Cina crescono le rivolte sociali per la giustizia e la dignità degli operai e dei contadini, vale la pena ricordare questi campioni perché essi hanno lottato come loro e prima di loro per la verità, senza mai imbracciare le armi, spesso da soli, senza il conforto dei network di Facebook o di Twitter.

Vale la pena ricordarli anche perché c’è il timore che il regime cinese li faccia morire sotto le torture, come in passato è avvenuto per altri vescovi cinesi imprigionati (mons. Giuseppe Fan Xueyan nel ’92; mons. Giovanni Gao Kexian nel 2006; mons. Giovanni Han Dingxiang nel 2007).

Allo stesso tempo, vale la pena ricordarli per mostrare quanto è ridicolo il governo di Pechino, che davanti a richieste di personalità politiche internazionale sulla sorte dei due vescovi, si nasconde rispondendo: “Non sappiamo”: dovremmo credere che il governo con un gigantesco apparato poliziesco, una superba rete spionistica e di controllo capillare sulla sua popolazione, ignora dove si trovino questi due anziani vescovi, che la cultura cinese imporrebbe di rispettare e onorare?

Il “non sappiamo” è anche la risposta che il Vaticano riceve quando – in incontri privatissimi con qualche burocrate cinese – osa levare la questione sui due prelati scomparsi. Così, per il timore che la loro sorte peggiori, i loro nomi non vengono mai citati nemmeno nelle preghiere per i perseguitati.
La dolcezza vaticana, mostrata finora nel dialogo con le autorità cinesi, non è riuscita ancora a liberare questi vescovi, né le decine di sacerdoti sotterranei che languono nei laogai cinesi.

Il nostro augurio per la Commissione vaticana sulla Chiesa in Cina è che essa ponga la loro liberazione come condizione per far ripartire qualunque dialogo. E la nostra richiesta a chiunque, cristiani e non, è ricordarsi di questi due anziani campioni della fede, della verità, della dignità dell’uomo. A loro indiscutibilmente va il nostro premio e soprattutto la nostra gratitudine. Per questo vogliamo iniziare il 2012 con una campagna a loro favore.

Importante studio: «l’aborto aumenta dell’81% il rischio di malattie mentali», 30 dicembre, 2011, http://www.uccronline.it

Sulle conseguenze mentali e fisiche dell’aborto indotto è in corso una vera e propria battaglia a suon di ricerche scientifiche, come accade per tutte le tematiche politicamente rilevanti. Tuttavia ci sono, come sempre, studi e posizioni guidate da ideologia e politica e studi di alta qualità e correttezza metodologica.

Un esempio calzante di tutto questo lo si è verificato nel 2006, dopo la pubblicazione di un importante studio sul Journal of Child Psychology and Psychiatry dove è stato rilevato che le donne sotto i 25 anni che avevano avuto un aborto indotto presentavano un alto tasso di rischio di avere problemi di salute mentale (42%) tra cui depressione, ansia, comportamenti suicidi e disturbi da abuso di alcool (50%) e sostanze illecite (67%) rispetto a coloro che non erano mai state in gravidanza (21%) e di coloro che avevano proseguito la gravidanza (35%). L’American Psychological Association, schierata politicamente come sempre, ha subito scritto un comunicato dicendo:  «l’APA nel 1969 ha adottato la posizione che l’aborto dovrebbe essere un diritto civile. Per i sostenitori pro-choice gli effetti sulla salute mentale non sono rilevanti per il contesto giuridico di argomenti per limitare l’accesso all’aborto». Il Dr Fergusson, psicologo ed epidemiologo (dichiaratamente “non credente” e “pro-choice”), ha a sua volta risposto su diversi quotidiani dicendo: «avremmo potuto non trovare quello che abbiamo trovato, ma lo abbiamo trovato e non si può essere intellettualmente onesti e pubblicare solo i risultati che ti piacciono [...]. Sarebbe stato “scientificamente irresponsabile” non pubblicare i risultati solo perché sono così critici». Ha poi aggiunto che il lavoro è stato rifiutato da un certo numero di riviste, «è molto insolito per noi. Normalmente il lavoro viene accettato al primo tentativo», ha concluso ironizzando anche sulle pressioni e critiche ideologiche che gli sono piovute addosso. Un’esperienza molto simile a quella accaduta al biostatistico Alessandro Giuliani in campo biologico. Evidentemente non c’è davvero libertà di ricerca.

Indipendentemente dai comunicati dell’Apa (guidata dai soliti 200 soci, come ha spiegato l’ex presidente Cummings) nel 2008 uno studio sistematico pubblicato su Contraception (rivista americana considerata abbastanza schierata in versione pro-choice) ha valutato tutti gli articoli incentrati sulla potenziale associazione tra aborto e salute mentale pubblicati tra il 1 gennaio 1989 e 1 agosto 2008. E’ risultato evidente che gli studi di scarsa qualità e metodologia più difettosa erano quelli che negavano l’esistenza di un legame (mentre quelli di alta qualità hanno scoperto una connessione tra aborto e peggiore salute mentale).  Sempre nel 2008 il British Journal of Psychiatry ha pubblicato uno studio longitudinale durato 30 anni dal quale è emerso che le donne che avevano avuto aborti presentavano tassi di disturbi mentali del 30% in più. 

Quattro mesi fa sempre la stessa rivista ha presentato un nuovo studio, ad oggi la più grande stima quantitativa dei rischi per la salute mentale associati all’aborto disponibili nella letteratura mondiale. Il campione della metanalisi ha compreso 22 studi e 877.181 partecipanti.  Il risultato è perentorio: le donne che hanno subito un aborto presentano un rischio maggiore dell’81% di avere problemi di salute mentale, e quasi il 10% di incidenza di problemi di salute mentale ha dimostrato di essere direttamente attribuibile all’aborto. I ricercatori si augurano che queste informazioni vengano fornite alle donne in procinto di abortire. La ricerca ha così confermato decine e decine di studi precedenti, in gran parte presentati in questa pagina.

Festa della Sacra Famiglia in via Irma Bandiera - Il cardinale Carlo Caffarra ha presieduto la Messa nonostante una lieve indisposizione, http://www.ilrestodelcarlino.it

Bologna, 30 dicembre 2011 - Ecco l'omelia completa del cardinale Carlo Caffarra in occasione della Festa della Sacra Famiglia nella parrocchia della Sacra Famiglia di via Irma Bandiera a Bologna.

"Cari fratelli e sorelle, un solo grande insegnamento percorre le tre pagine della S. Scrittura che abbiamo appena ascoltato: la vita dell’uomo è dono di Dio. La Scrittura ci dona questa certezza attraverso la vicenda di Abramo e Sara, e l’offerta che Maria e Giuseppe fanno del bambino Gesù al tempio.
«Il Signore visitò Sara, come aveva detto, e fece a Sara come aveva promesso. Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella vecchiaia». E nella seconda lettura si ribadisce la stessa verità colle seguenti parole: «per fede anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne fedele colui che glielo aveva promesso».
Questa certezza che la vita trasmessa dai genitori ha la sua origine in Dio, appartiene alla rivelazione biblica ed è stata costantemente insegnata dalla Chiesa.
«Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo; prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato» [Ger 1, 5], dice il Signore al suo profeta Geremia. È profondamente commovente la parola che una madre di sette figli dice a loro per confortarli nella fedeltà alla Legge di Dio: «Non so come siete apparsi nel mio grembo; non io vi ho dato lo spirito e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il Creatore del mondo, che ha plasmato all’origine l’uomo e ha provveduto alla generazione di tutti … » [2 Mac 7, 22-23]. Non siamo dunque frutto del caso o il risultato fortuito di leggi biologiche. All’origine di ciascuno di noi, dell’esserci di ciascuno di noi sta un atto d’amore di Dio creatore; fin dal grembo materno ciascuno di noi è stato il termine personalissimo dell’amorosa e paterna Provvidenza divina.

Cari fratelli e sorelle, questa verità che oggi la parola di Dio ci dona, ci fa comprendere e la grande dignità di ogni persona umana e la sublime dignità dell’amore coniugale. Ogni persona umana è in un rapporto diretto ed immediato con Dio creatore. Essa non è proprietà di nessuno, e di essa nessuno può disporre.
È per questo che l’aborto, cioè l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, chirurgicamente o chimicamente, di una persona umana già concepita e non ancora nata, è, come lo definisce il Concilio Vaticano II, un «delitto abominevole» [Cost. past. Gaudium et spes 51]. La vita umana, in qualunque stadio, è sacra ed inviolabile; in essa si rispecchia la stessa inviolabilità del Creatore.
Ma il fatto che all’origine di ogni persona umana ci sia un atto creativo di Dio, getta anche una luce particolare sull’amore coniugale. Esso è il tempio in cui Dio celebra la liturgia del suo amore creativo. Come dunque esso deve essere splendente di santità! È per questo che il divino Redentore ha elevato il matrimonio alla dignità di Sacramento: perché gli sposi fossero santi nel corpo e nello spirito.

2. La grande verità che oggi la Parola di Dio ci insegna e la conseguenza etica derivante da essa – ogni vita umana è un bene che non è a disposizione di nessuno – possono essere accolte anche dalla ragione retta. Ed infatti esse hanno costituito uno dei pilastri portanti della nostra civiltà occidentale: il pilastro della dignità incommensurabile di ogni persona.
Ora la nostra civiltà si è ammalata e mortalmente. Perché si è verificato questo? Perché essa si è distaccata dalla piena verità sull’uomo; ha perso la vera misura del valore incondizionato di ogni persona umana.
Alcuni sintomi di questa grave malattia: la distinzione fra vita degna e vita indegna di essere vissuta; la negazione del carattere di persona all’embrione; la progressiva legittimazione del suicidio e quindi dell’assistenza ad esso; il cambiamento sostanziale della definizione della professione medica, non più univocamente orientata alla vita.

Cari amici, come credenti e come persone ragionevoli non possiamo rassegnarci a questa deriva. Non si fa luce in una stanza piombata nel buio discutendo sulla natura fisica della luce, ma riaccendendola.
La Chiesa oggi prega per ogni famiglia perché sia questa luce: luce che mostri la verità e la bellezza del vero amore".

I dati che mettono in discussione le prassi sbrigative sui nati prematuri di Carlo Bellieni (Il Foglio, 29 dicembre 2011)

Roma. Secondo uno studio pubblicato sul numero di dicembre del Journal of the American Medical Association, c’è più del 10 per cento di possibilità di sopravvivenza per i nati alla 22esima settimana (un valore che aumenta, poi, a ogni settimana in più passata

nel pancione). La ricerca, condotta su oltre 10 mila casi di bambini nati tra le 22 e le 25 settimane dopo il concepimento – cioè così prematuri che qualche anno fa si sarebbero dati per morti – dà una risposta definitiva a tante polemiche: da appena dopo la metà della gestazione, se si nasce in un centro di alta specializzazione, le speranze di farcela non sono più assenti. Certo, i rischi per la vita e la salute di questi piccoli ancora sono tanti e gravi, ma i progressi sono davvero notevoli. La notizia è paradossale, visto che in mezzo mondo – in Italia per ora ne siamo esenti – ci sono invece protocolli ufficiali che prevedono di non soccorrere attivamente questi bambini e dare loro solo cure palliative, lasciandoli praticamente morire.

Dominic Wilkinson ha spiegato (sull’American Journal of Bioethics) che per decider se alcuni neonati possano vivere, ci sono due strade: quella tradizionale è valutare se la futura vita avrà più pesi che gioie e quindi decidere se sospendere le cure. Per questo computo si usano un criterio probabilistico (la durata della gestazione) o parametri che danno il livello di rischio (“rischio”, perché nei primi giorni non si hanno strumenti prognostici esatti) di grave handicap futuro. Poi c’è la strada proposta da Wilkinson: in certi casi, dare ai genitori la possibilità di interrompere le cure salvavita anche per i neonati che avranno comunque “una vita degna di essere vissuta”, cioè quelli in cui le gioie future saranno solo un po’ più dei pesi.

Nulla di strano, se consideriamo che non è raro leggere sulle riviste internazionali di bioetica che i neonati non siano da considerare delle persone. E i neonati nei fatti sono davvero considerati meno degli adulti, come dimostrano gli studi della canadese Annie Janvier. Sulla rivista Pediatrics del 2009 compariva il protocollo usato da un ospedale americano: “Alla nascita, in base alla richiesta delle famiglie e d’accordo con lo staff medico, sono state date cure palliative al 38 per cento dei prematuri nati alla 24esima settimana e al 17 per cento di quelli nati alla 25esima”. E’ bene sapere che a 24 settimane si ha il 58 per cento di possibilità di farcela e a 25 settimane il 64 (Journal of Perinatal Medicine, 2009). Viste queste percentuali di sopravvivenza, perché limitarsi solo a cure palliative? Ad adulti a rischio improvviso di morte dopo un ictus si cercherebbe sempre di dar una chance. Per i bambini, invece, è diverso. Ma tanta paura della disabilità è giustificata? Pare proprio di no, stando alle ricerche che mostrano che il livello di qualità di vita delle persone disabili è molto maggiore se viene valutato dallo stesso disabile, piuttosto che dagli altri. Ma se la disabilità è un motivo per sospendere le cure a un bambino nell’interesse dei genitori o perché si pensa che al disabile convenga morire, come si guarderà il disabile adulto?

Ci aspettiamo che i dati del progresso medico, così chiari, facciano riconsiderare il modo in cui si guardano i piccolissimi, che nessuno vuole caricare di cure inutili, ma che meritano quanto gli altri pazienti, quando è scientificamente possibile, una chance

giovedì 29 dicembre 2011


ABORTO/ Se la Spagna riconosce che il bambino non è proprietà della madre - INT. Alberto Gambino, giovedì 29 dicembre 2011, http://www.ilsussidiario.net

Il governo spagnolo di Mariano Rajoy introdurrà limiti più restrittivi alla legge sull’aborto voluta dal suo predecessore José Luis Rodriguez Zapatero. Al centro della riforma, annunciata dalla vicepremier Soraya de Santamaria, ci sarà il passaggio che attualmente consente alle ragazze spagnole tra i 16 e i 18 anni di abortire senza che ne siano informati i genitori. L’ex governo socialista aveva deciso che qualsiasi minorenne potesse abortire senza nessun limite nelle prime 14 settimane dal concepimento.
Mentre tra la 14esima e la 22esima settimana, la sola clausola prevista da Zapatero era che la donna indicasse le motivazioni della scelta. Tra le opzioni che consentivano di interrompere la gravidanza c’erano lo stupro, il rischio per la salute della madre, la malformazione ma anche il rischio psicologico. Un’opzione, quest’ultima, estremamente vaga e che in un anno è stata indicata dal 95% delle donne che hanno abortito.
Ora il Partito Popolare intende invece fare sì che tutte le minorenni che decidono di interrompere la gravidanza debbano prima ottenere l’autorizzazione del padre o del tutore. Ilsussidiario.net ha intervistato Alberto Gambino, professore di Diritto all’Università Europea di Roma, per chiedergli un giudizio sul dibattito in corso in Spagna.
Professor Gambino, ritiene che le modifiche annunciate dal governo spagnolo vadano nella giusta direzione?
Questa modifica restringe le situazioni nelle quali si può abortire, e già questo è un fatto positivo perché la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza ha un forte impatto culturale sugli ordinamenti in cui viene a operare. E’ una legge che contrasta con il diritto alla vita e tanto più indica dei limiti, tanto più favorisce e promuove quest’ultimo diritto.
Nel caso specifico, chiedendo anche il consenso dei genitori della minorenne che intende abortire, indica che il nascituro ha dei diritti che vanno al di là della semplice volontà del soggetto che vuole interrompere la gravidanza. Per essere sacrificato il diritto del feto ha la necessità di essere messo a confronto con più posizioni soggettive, tra cui quella dei genitori della donna minorenne che vuole abortire. Questo ovviamente non esaurisce i problemi che fa emergere qualsiasi legislazione sull’aborto, ma tuttavia nel restringerne l’applicazione offre una valutazione apprezzabile.
Il tema dell’interruzione volontaria della gravidanza è molto complesso e non si esaurisce certo in singoli interventi legislativi, ma ha bisogno di un confronto alto che dovrebbe avere sempre come stella polare colui che in questa situazione è comunque il soggetto più indifeso perché privo di voce, cioè il feto.
La legge di Zapatero prevedeva che le minorenni potessero interrompere la gravidanza senza autorizzazione dei genitori entro un limite di alcune settimane. Abortire una settimana prima o dopo cambia la sostanza delle cose?
Il tema delle settimane entro le quali si può abortire è evidentemente legato da un lato all’idea, forse anche un po’ ipocrita, che l’embrione non sia così sviluppato da poter vivere autonomamente.
Dall’altro lato sono in gioco anche esigenze psicologiche come il cercare nei limiti del possibile di preservare la mente della donna che vuole interrompere la gravidanza. Tanto più infatti la gravidanza è a uno stadio avanzato, tanto più questa scelta si rivela drammatica.
A livello biologico o logico però questo limite non ha alcun senso, perché è evidente che per una vita che ormai ha attivato progressivamente la sua venuta all’esistenza e quindi la sua crescita, non c’è nessuna differenza né di ore né di settimane. E’ sempre lo stesso essere che una volta concepito ha iniziato a vivere nel mondo.
Quindi che differenza c’è tra abortire prima o dopo 14 settimane o 90 giorni?
Il feto è una vita particolarissima, strettamente collegata anche rispetto al suo esito al corpo della donna che lo accoglie. E’ questo punto che sotto il profilo normativo non ha ancora trovato delle soluzioni coerenti dal punto di vista della vita del nascituro, che comunque sia dipende sempre da quel corpo che lo accoglie.
Questo fa sì che le legislazioni non sempre possano fare a meno di prendere in considerazione anche qual è la valutazione della donna. E’ il motivo per cui si cerca di mantenere entro poche settimane il criterio entro il quale si può abortire. Perché se viceversa si superano quelle settimane, quella vita potrebbe forse anche vivere autonomamente dall’utero nel quale si trova.
Per quali motivi una donna che non desidera tenere un figlio, non può decidere di partorirlo e quindi affidarlo in adozione?
I limiti che si oppongono a questa scelta sono di natura culturale, perché sono legati a una visione del nascituro come cosa propria, e non invece come soggetto autonomo e persona. Purtroppo quando lo si considera come una proprietà, non si vede invece che quel bene giuridico ha una sua autonomia in quanto a diritti.
Se lo considerasse in questi termini, anche dal punto di vista culturale, si comprenderebbe che bisogna in tutti i modi preservarne l’esistenza. Se poi lo si ritiene che non si debba continuare ad accompagnarlo anche una volta nato, è perfettamente legittimo “abbandonarlo” ai fini giuridici aprendo una procedura di affidamento prima e adozione poi coinvolgendo altri genitori che lo volessero.
Quindi certamente è un problema culturale, che richiede anche un approfondimento alto, importante. Sempre salvaguardando il fatto che, dopo la nascita di un figlio affidato a un’altra coppia, da un punto di vista civilistico la donna non avrebbe nessun vincolo con il neonato. Per evitare di essere frainteso, volevo però fare una puntualizzazione.
Prego…
Le mie considerazioni non vogliono né rilanciare indebitamente il tema della revisione della legge sull’interruzione di gravidanza in Italia, né apparire come un’accettazione nei confronti di una legge che resta moralmente inaccettabile.
(Pietro Vernizzi)


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L'ONU in Giamaica: soldi per aborto di Danilo Quinto, 29-12-2011, http://www.labussolaquotidiana.it

Che le organizzazioni internazionali e, in particolare, l’intero apparato delle Nazioni Unite, con le sue varie articolazioni, abbiano promosso e favorito, negli ultimi decenni, l’interruzione di gravidanza, in nome della cosiddetta salute riproduttiva e della pianificazione familiare, è provato da innumerevoli documenti pubblici, da resoconti di riunioni e da testimonianze.

Tra queste, ve n’è una, recentissima, diffusa dalla Fondazione di Diritto Pontificio, Aiuto alla Chiesa che soffre. «Ho scoperto - ha dichiarato padre Richard Ho Lung, fondatore dell’Ordine monastico Missionari dei Poveri, nato nella capitale giamaicana nel 1981 e diffuso oggi in tredici Paesi - che buona parte dell’aiuto umanitario è subordinato al cambiamento della legge che permette il ricorso all’aborto esclusivamente in caso di anomalie fetali, di pericolo per la madre e in seguito a stupro o incesto».

Una modifica alla quale le autorità di governo hanno rinunciato da tempo, dopo che in un sondaggio il 65% dei giamaicani si è detto contrario all’interruzione volontaria di gravidanza. L’attuale legislazione della Giamaica prevede la possibilità di interrompere la gravidanza in tre casi: quando il feto presenta malformazioni, quando la salute della madre è a rischio, e quando la gravidanza è frutto di stupro o incesto. «Considero gli aiuti internazionali "denaro insanguinato" - ha aggiunto il religioso - perché legati alle agenzie di pianificazione familiare che sposano il ricorso all’aborto». Per padre Ho Lung, il sostegno proveniente da Europa e Stati Uniti dovrebbe essere destinato alla costruzione di scuole, infrastrutture e ospedali «incondizionatamente e non per influenzare la vita interna e la politica del Paese beneficiario».

I Missionari dei Poveri, grazie alle numerose donazioni, tra le quali 30mila offerti dai benefattori di Aiuto alla Chiesa che soffre, hanno deciso di creare una struttura a Kingston - si chiamerà Santi Innocenti (Holy Innocents Women in Crisis Center)  - che dal prossimo mese di gennaio garantirà ogni giorno assistenza gratuita a più di duecento donne e avrà venti stanze per accogliere mamme e bambini. «Non basta dire che è sbagliato porre fine a una vita che cresce - ha sostenuto padre Ho Lung - si deve fornire un’alternativa pratica e propositiva». Il primo risultato dell’impegno pro-vita dell’Ordine è la piccola comunità di suore che si è formata negli ultimi nove mesi ed è già al lavoro. In questi giorni, in una clinica del centro aperta al pubblico, le sei religiose assistono circa un centinaio di mamme in attesa ogni settimana.

Anche così, nei Paesi poveri del mondo, si tenta di arginare, per quanto possibile, questo modo scellerato del sistema delle Nazioni Unite di sostenere la legalizzazione dell’aborto e di diffonderne la pratica.
Nell’ottobre del 2007, fu lanciata a New York un’iniziativa globale, che includeva l’invito a legalizzare l’aborto, promossa da diverse agenzie dell’ONU e Organizzazioni non governative. Tra i patrocinatori dell’iniziativa – denominata Deliver Now for Women and Children  – anche il Fondo delle Nazioni Unite per i bambini (UNICEF), che ufficialmente nega il proprio sostegno all’aborto sotto qualsiasi forma. Presentata come una campagna facente parte dei Millennium Development Goals (gli Obiettivi del Millennio decisi dall’ONU nel 2000) per sensibilizzare sulla salute delle donne e dei bambini, il programma di Deliver Now prevedeva tra l’altro un invito all’aborto sicuro, che è sinonimo di aborto legale. E’ stato coordinato dalla Partnership for Maternal, Newborn & Child Health, diretta da Kul Gautam, Vicedirettore esecutivo dell’UNICEF e assistente del Segretario generale dell’ONU, e i cui membri comprendono, tra gli altri, la Fondazione Bill & Melinda Gates, la International Planned Parenthood Federation (IPPF), le Agenzie per lo sviluppo di Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Bangladesh, nonché l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ed il Fondo ONU per la Popolazione (UNFPA).

Riunita a New York per la propria sessione annuale del 2008, con all’ordine del giorno l’“eliminazione di tutte le forme di discriminazione e violenza contro giovani donne e bambine”, la Commissione sullo status delle donne (Csw), l’organismo delle Nazioni Unite che si occupa dell’“uguaglianza di genere” e della situazione femminile nel mondo, bocciò la richiesta avanzata dalla delegazione americana perché fosse inserito nel documento finale un chiaro divieto di infanticidio e di aborto finalizzato alla selezione del sesso del nascituro. Alla decisione concorsero tutti i paesi che praticano l’aborto selettivo, ma anche il Canada e i paesi europei. Della proposta formulata dagli Stati Uniti rimasero solo tre righe, nelle quali ci si limitò a definire “non etiche” le pratiche di infanticidio delle bambine e di selezione prenatale del sesso.

Questa la risposta della Commissione ONU sulla salute delle donne rispetto ad un problema denunciato da due decenni. Amartya Sen, Nobel per l’Economia, negli anni ’90, per primo parlò, in un famoso saggio sulla New York Review of Books, di cento milioni di “bambine sparite” in Asia.
Un ruolo decisivo rispetto alla promozione delle pratiche abortive per la prevenzione delle morti fra le donne e per promuovere la loro salute nei paesi poveri, è svolto dall’IPPF (International Planned Parenthood Federation), formata nel 1952 a Bombay, in India e ora è composta da più di 149 associazioni che operano in più di 189 Paesi. Nello scorso mese di ottobre, i vescovi del Canada si sono rivolti al Primo Ministro, criticando la decisione del governo canadese di finanziare le attività dell’IPPF, che - è scritto nella lettera - “lavora con determinazione per eliminare tutte le leggi che in vari Paesi vietano l’aborto e per farlo riconoscere come un ‘diritto’ umano universale”. La lettera fa riferimento alla “Muskoka Initiative on Maternal, Newborn and Under-Five Child Health”, un’iniziativa lanciata nel 2010 dai Paesi membri del G8 che prevede lo stanziamento di circa 7 miliardi di dollari per la salute materna e infantile nel mondo e, in particolare, alla decisione della Canadian International Development Agency (Cida), l’agenzia di svilluppo internazionale del Governo canadese, di concedere nei prossimi tre anni 6 milioni di dollari alla IPPF per promuovere “programmi educativi” in cinque Paesi: Afghanistan, Bangladesh, Mali, Sudan, Tanzania.

Il Relatore Speciale delle Nazioni Unite per il diritto alla salute, Anand Grover, con l’avvallo del Segretario Generale, ha presentato nello scorso mese di novembre il rapporto annuale sul Diritto di ciascuno a godere del più alto standar di salute fisica e mentale conseguibile. Nel rapporto, si sostiene: «Le leggi che sanzionano e limitano l’aborto indotto sono esempi paradigmatici di barriere insormontabili alla realizzazione del diritto delle donne alla salute e devono essere eliminate; la proibizione penale dell’aborto è una chiara espressione dell’interferenza dello Stato con la salute sessuale e riproduttiva della donna perché limita il controllo di una donna sul suo corpo». Dopo aver criticato le restrizioni all’accesso alla pratica abortiva, incluse le norme che permettono l’obiezione di coscienza a medici e farmacisti poiché «servono a rafforzare lo stigma dell’aborto come pratica sgradevole», nelle raccomandazioni conclusive, il relatore ha chiesto agli Stati di «depenalizzare l’aborto, comprese le leggi correlate come quelle che riguardano il favoreggiamento in materia di aborto e di prendere le misure per assicurare che i servizi di aborto legale e sicuro siano disponibili, accessibili e di buona qualità».

Il delegato dell’Unione europea e il rappresentante dell’ UNFPA (United Nations Population Fund), l’agenzia ONU che con i suoi programmi promuove l’aborto selettivo nei paesi del terzo mondo, si sono detti d’accordo con queste affermazioni. Recensioni
Siamo di fronte alla realtà di un sistema internazionale che nei fatti disprezza il diritto alla vita - sul quale si fondano tutti gli altri diritti - e che rende di grande attualità la Carta di San José, il recente documento promosso da Robert George, dell’Università di Princeton e dall’ex Ambasciatore americano in Asia, Grover Joseph Rees, che all’articolo 1 recita: «Come dimostrato dalla scienza, ogni vita umana inizia dal concepimento».

Gli estensori della carta ritengono che proprio nei documenti internazionali, già ratificati e in vigore in tutti gli Stati membri dell’ONU, è il diritto alla vita e non certo all’aborto ad essere tutelato. Non esiste un diritto di tal genere, spiega il quinto di tali Articoli, né in base alla Costituzione formale né a quella materiale né alla consuetudine: «né per effetto di trattati vincolanti né per effetto della legge internazionale ordinaria». «Gli organismi di controllo dei trattatii», continua all’articolo 6, «non hanno alcuna autorità, né in base ai trattati che li hanno istituiti né in base alle norme generali del diritto internazionale, d’interpretare detti trattati in modi che generino nuovi obblighi per gli Stati o che alterino la sostanza dei trattati stessi».

A parere dei firmatari della “Carta”, il «diritto all’aborto» esiste nelle «affermazioni delle agenzie internazionali», nelle “pressioni esercitate” su Governi e membri delle società «al fine di far loro adottare leggi che legalizzino o depenalizzino l’aborto». Il diritto a sopprimere la vita umana viene materialmente sancito da programmi economici di promozione e finanziamento degli aborti, dalle affermazioni implicite o esplicite di Organismi di controllo dei trattati, di agenzie, di funzionari e tribunali della liceità di tale atto.

Siamo di fronte a un paradosso tragico: l’affermazione del diritto alla vita, nel contesto globale, deve fare i conti proprio con i programmi delle organizzazioni internazionali e del sistema delle Nazioni Unite, che invece di tutelare il bene primario, come sarebbe loro obbligo principale, tendono a favorirne la soppressione. L’unica strada per sovvertire questo ordine delle cose, è quella culturale e educativa, soprattutto nei confronti delle popolazioni povere del mondo, irretite anche dalle lusinghe degli aiuti umanitari da dispensare in cambio della soppressione della vita nascente.

mercoledì 28 dicembre 2011


ABORTO: negli Stati Uniti infermiere obiettrici fanno causa all’ospedale, 27 dicembre 2011, http://www.corrispondenzaromana.it

Una dozzina di infermiere obiettrici di coscienza hanno fatto causa ad un ospedale del New Jersey che ha imposto loro dallo scorso settembre di assistere le donne che si sottopongono all’interruzione di gravidanza prima e dopo l’intervento.

Misura, sostengono le infermiere, che viola le leggi federali e statali che garantiscono i diritti di medici e personale paramedico contrari all’aborto per motivi morali e religiosi. «Faccio l’infermiera per aiutare le persone, non per aiutarle ad uccidere, nessun addetto sanitario può essere costretto a scegliere tra aiutare l’aborto o essere penalizzato sul lavoro», dichiara Beryl Otieno-Negoje (Cfr. Rob Stein, New Jersey nurses charge religious discrimination over hospital abortion policy, “Washington Post”, 28 novembre 2011).

Un’altra infermiera, Fe Esperanza R. Vinoya, racconta che un medico le disse: «Devi solo afferrare la testa del bambino. Non preoccuparti, è già morto». «La professione infermieristica – aggiunge Vinoya – ha come traguardo la guarigione, e la legge protegge il nostro diritto a non fornire prestazioni connesse all’aborto». Dal canto suo, l’University Hospital ribatte con una dichiarazione in cui si afferma che nessun infermiere è stato «costretto a partecipare direttamente, anche solo con la presenza nella sala, ad una procedura a cui si oppone in base alle convinzioni etiche e religiose».

L’ospedale pertanto avrebbe «pienamente rispettato le leggi federali e statali», recita la nota auspicando altresì che ciò sia riconosciuto nell’udienza fissata per il 5 dicembre 2011. I giudici, intanto, hanno emesso un ordine temporaneo che vieta ai responsabili sanitari di chiedere alle infermiere di assistere le donne prima o dopo l’aborto. (Emanuele Gagliardi)

martedì 27 dicembre 2011


SCOPERTE/ Le cellule staminali adulte "impegnate" contro i tumori - INT. Augusto Pessina, martedì 27 dicembre 2011, http://www.ilsussidiario.net

La notizia è di quelle che non possono passare inosservate e la pubblicazione on line sulla rivista scientifica PloS ONE offre a tutti la possibilità di approfondirne la portata: si tratta di una ricerca che ha dimostrato, per la prima volta, che cellule mesenchimali umane isolate da midollo osseo, quindi cellule staminali adulte, possono essere “caricate in vitro” con farmaci chemioterapici e successivamente utilizzate con efficacia per il trattamento dei tumori. Queste cellule possono così divenire un nuovo dispositivo/farmaco in direzione di una cura sempre più mirata e in grado di diminuire/eliminare alcuni effetti collaterali.
Lo studio è stato coordinato da Augusto Pessina, del Dipartimento di Sanità Pubblica, Microbiologia, Virologia dell’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con Giulio Alessandri, del Laboratorio di Neurobiologia, Fondazione Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano diretto da Eugenio Parati, e l’importante supporto di Roberto Pallini dell’Istituto di Neurochirurgia della Facoltà di medicina della Università Cattolica del Sacro Cuore.
Ilsussidiario.net ne ha parlato con Pessina, coordinatore della ricerca e primo firmatario dell’articolo “Mesenchymal Stromal Cells Primed with Paclitaxel Provide a New Approach for Cancer Therapy”.

Perché proprio le staminali mesenchimali?

È noto che cellule staminali mesenchimali sono presenti in molti tessuti umani adulti e in particolare nel midollo osseo e nel tessuto adiposo e che sono in grado di rigenerare e riparare tessuti danneggiati. Questa nuova scoperta dimostra che le stesse cellule possono essere utilizzate come “veicoli” per trasportare farmaci che, raggiungendo in modo mirato le cellule dell’organo malato, possono avere una maggiore capacità terapeutica.

La vostra ricerca costituisce un notevole avanzamento anzitutto sul piano conoscitivo.

Sì, perché proprio questa caratteristica cellulare (di incorporare e rilasciare molecole) rappresenta un importante aspetto biologico di base perché suggerisce che anche altre popolazioni cellulari adulte possono essere in grado di incorporare molecole e successivamente rilasciarle in forma farmacologicamente attiva e concentrata. In studi preliminari abbiamo osservato che questa caratteristica biologica sembra essere condivisa dai fibroblasti, ma anche da cellule dendritiche, monociti e macrofagi, che sono presenti nel sangue e quindi facilmente isolabili dai pazienti. Questo apre anche un nuovo interessante campo di ricerca sulle funzioni cellulari di base (bio-farmaco-tossicologiche).

Quali sono le prospettive di applicazione clinica e terapeutica?
Come dimostrato dai modelli riportati nell’articolo su PloS ONE, questa scoperta apre anche nuove interessanti e utili prospettive di applicazione clinica. Infatti, il dispositivo cellula-farmaco può essere preparato mediante semplici e poco costose procedure senza alcuna manipolazione di tipo genetico (come si è costretti a fare in alcune tecnologie di terapia cellulare avanzata), riducendo o eliminando così i rischi a esse correlati. In questo modo, la cellula caricata del farmaco può essere usata come “trasportatore” fisiologico dello stesso dentro l’organismo.

Quali sono i principali vantaggi previsti?

Le cellule mesenchimali adulte possono essere ottenute facilmente da midollo osseo, tessuto adiposo e da molti altri tessuti; col vantaggio che, se usate dallo stesso paziente, si elimina il rischio immunologico; inoltre, si riduce anche il rischio di trasmissione di agenti patogeni. Per ora il nostro studio ha prevalentemente riguardato l’oncologia nel cui ambito potrà essere sviluppata a supporto e affinamento di tecniche tradizionali. Si può anche supporre che in alcune situazioni neoplastiche potrebbe migliorare di molto le attuali terapie rendendole più efficaci. L’uso di questo dispositivo potrà poi riguardare anche altre patologie ove sia richiesto un potenziamento sia della specificità che della attività terapeutica.

Si può già pensare anche alla possibilità di conservazione delle cellule cariche?

Lo studio ha permesso di evidenziare che le cellule cariche di farmaco mantengono la loro funzionalità terapeutica anche dopo congelamento in azoto liquido, offrendo in questo modo la possibilità di conservare queste cellule in congelatore e utilizzarle quando necessario, nello stesso paziente donatore, anche tempo dopo la loro preparazione, per esempio in caso di recidive o altro. Da questo punto di vista, anche la possibilità di banking funzionale a future terapie viene valorizzata in modo significativo e specifico; quindi non è semplicemente enfatizzata come una possibilità generica di conservazione di proprie cellule senza che vengano fornite indicazioni in tal senso.


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I testimoni della Nigeria di Riccardo Cascioli, 27-12-2011, http://www.labussolaquotidiana.it

Le notizie arrivate a Natale dalla Nigeria, con la serie di attentati contro le chiese cristiane che hanno provocato decine di morti, sono come un pugno nello stomaco per noi cattolici italiani che abbiamo come orizzonte natalizio una tranquilla messa della Veglia – se non siamo troppo stanchi sennò andiamo a quella del mattino –, il pranzo di famiglia e il predicozzo contro il consumismo che ci mette a posto la coscienza. Sono come un pugno nello stomaco perché ci ricordano che in molte parti del mondo c’è poco da scherzare, si rischia la vita soltanto per l’intenzione di celebrare la messa. E non è piacevole sentirselo ricordare mentre si sta addentando una fetta di panettone o di qualche altro dolce tipico.

In realtà quello che prevale è la sensazione di una sproporzione tra le condizioni che viviamo qui e quello che altri fratelli nella fede vivono in Nigeria, ma anche in Pakistan, In India, in Cina, in Egitto, in Palestina, in Iraq, in Turchia e chissà in quanti altri paesi ancora. E in fondo ci riteniamo fortunati, “siamo nati dalla parte giusta del mondo” sentiamo dire tante volte. Ma forse soltanto perché usiamo dei criteri sbagliati. Sia ben chiaro: dovremmo davvero ringraziare Dio ogni minuto della nostra vita per quello che abbiamo, ma ciò non toglie che noi rischiamo di scambiare la Grazia con le condizioni di benessere materiale e fisico, la positività del disegno di Dio su di noi con l’andar bene delle cose. Vale a dire: ci sentiamo più fortunati perché le cose ci vanno bene, non perché siamo più vicino a Dio – qualsiasi sia la nostra situazione -, più “pronti con le lampade accese” all’incontro con lo Sposo.

Se invece adottiamo il criterio della vicinanza con Dio, allora forse dobbiamo rivedere la classifica dei fortunati e degli sfortunati: chi subisce o rischia il martirio ogni giorno, per il solo fatto di segnarsi con la croce o per partecipare alla messa, è enormemente più avanti di noi, che facciamo fatica perfino a essere fedeli a un piccolo gesto di digiuno.

Certo, non è necessario augurarsi per noi la sofferenza né tantomeno di essere dilaniati da bombe o torturati a morte, ma è indispensabile guardare con occhi diversi a coloro che vivono in queste difficili realtà: non sono soltanto fratelli nella fede che dobbiamo aiutare sia nella preghiera, sia economicamente sia politicamente per quel che possiamo – e questo è certo doveroso -, ma sono anzitutto dei testimoni da cui dobbiamo imparare l’amore a Gesù, l’amore alla Verità che viene prima di ogni tornaconto personale. Non dobbiamo guardali con compatimento, ma con ammirazione. E imparare la stessa tensione alla santità per affrontare nel modo più vero le mille insidie (per l’anima) di una vita comoda.

LE STAMINALI DEL CORDONE OMBELICALE SUSCITANO SPERANZE PER LA CURA DELLA CIRROSI EPATICA - Sperimentazioni incoraggianti con le staminali cordonali CD133+ - di Paolo De Lillo

 ZI11122501 - 25/12/2011
Permalink: http://www.zenit.org/article-29112?l=italian

ROMA, domenica, 25 dicembre 2011 (ZENIT.org).- Nel Gennaio 2011 sugli APMIS Acta Pathologica, Microbica e Immunologica Scandinava è stato reso noto l'ultimo di una numerosa serie di significative ricerche che dimostrano chiaramente l'efficacia delle staminali del cordone ombelicale nella terapia di varie patologie del fegato. In questo caso il team, diretto dal Dottor Nagwa El-Khafif, dei Departments of Electronon Mimicroscopy, Immunology and Pathology, presso il Theodor Bilharz Research Institute, a Giza (Egitto) e del Department of Obstetrics and Gynecology, nella Ain Shams University, al Cairo (Egitto), è riuscito ad aumentare l'angiogenesi in un modello sperimentale di fibrosi epatica cronica, tipica della cirrosi, grazie alle staminali cordonali CD133+.
La fibrosi risulta una grave caratteristica di diverse malattie del fegato, in modo particolare della cirrosi, in cui si determinano anche necrosi e noduli di rigenerazione.
Questa patologia risulta essere la decima causa di morte tra gli uomini e la dodicesima tra le donne, uccidendo 27.000 persone ogni anno, nei soli Stati Uniti. Il rischio di decesso per qualunque causa si moltiplica di ben 12 volte in questi pazienti. Anche il costo, in termini di sofferenza umana, spese ospedaliere e perdita di autonomia e produttività, risulta molto elevato.1 Nel mondo la mortalità potrebbe essere di oltre 500.000 unità ed in Italia di circa 6.000 nei 12 mesi.
I fattori di rischio più importanti per la cirrosi sono l'epatite B, C e l'alcolismo, che dimezza i tempi d' insorgenza da 20-30 anni a 10-15 nei malati di epatite. Influenze gravi, ma meno frequenti, presentano patologie autoimmuni, anche delle vie biliari, come la cirrosi biliare primitiva, malattie metaboliche, tra cui l'emocromatosi ed il morbo di Wilson, patologie vascolari, ad esempio uno scompenso cardiaco destro, oppure una stenosi od una insufficienza valvolare del cuore di destra, l'esposizione ad agenti tossici o la reazione avversa a farmaci, l'obesità, trattamenti con cortisonici e la malattia coronarica. Inoltre va considerato che l'ipercolesterolemia e il diabete sarebbero potenziali fattori di rischio per quella parte delle cirrosi che restano ancora ad eziologia ignota, le cosiddette cirrosi cripto-genetiche.2
Il Dottor El-Khafif afferma che la formazione neo-vascolare negli adulti può risultare esclusivamente dal processo di vascolo-genesi, cioè la creazione di vasi sanguigni primordiali da parte di angioblasti o cellule progenitrici endoteliali (EPCs), derivate da staminali, come quelle del cordone ombelicale. Normalmente tendono ad accumularsi in siti angiogenici attivi e quindi a partecipare alla neo-vascolarizzazione, secondo lo schema scientifico di “vascolo-genesi adulta postnatale”.
A seguito di queste scoperte, l'utilizzo di progenitrici endoteliali si è affermato come un nuovo approccio terapeutico in molti settori medici, per la cura di ischemie e fibrosi.3
Il Journal of Clinical Investigation, nel suo numero del Giugno 2000, ha pubblicato la ricerca condotta dal Dottor Murohara del Cardiovascular Research Institute, nel Department of Internal Medicine III, presso la Kurume University School of Medicine, a Kurume (Giappone), che ha identificato, per la prima volta, cellule progenitrici endoteliali nel sangue del cordone ombelicale. Tra i moltissimi sottotipi in esso presenti, le staminali cordonali umane, caratterizzate dal marcatore CD133, si sono dimostrate quelle con la più elevata capacità d'integrazione verso tessuti ischemici e con la maggiore possibilità di contribuire alla guarigione, stimolando l'angiogenesi locale.4 5
L'antigene di superficie CD133 è stato accettato come un indicatore alternativo delle progenitrici endoteliali, derivate dalle staminali del cordone ombelicale, al posto del CD34, poiché non è espresso sulle cellule endoteliali adulte. Esso viene rapidamente inibito quando le EPC si differenziano in cellule più mature, sia lungo la linea ematopoietica e mieloide, che endoteliale, per quanto riguarda le più immature.6
Molti studi hanno dimostrato il ruolo dell'angiogenesi nella rigenerazione epatica. Ciò ha spinto gli scienziati del Theodor Bilharz Research Institute e della Ain Shams University a sperimentare in vivo il potenziale terapeutico delle staminali cordonali CD133+ per la fibrosi cronica del fegato.
Hanno utilizzato un modello murino, in cui la patologia risulta causata da una parassitosi: la schistosomiasi.3
Le staminali del cordone ombelicale sono state espanse in coltura con un cocktail di fattori di crescita: Stem Cell Factor SCF, Fms-Like Tyrosine Kinase 3 FLT3, interleucine Il-3 e Il6. Il processo è proseguito per 3 settimane, che risulta un periodo sufficiente di tempo, per ottenere un potenziale di differenziazione endoteliale ottimale.7 8 9Le staminali cordonali umane CD133+ raggiungono questo risultato in modo più rapido e con una forte attività proliferativa.6
Le staminali del cordone ombelicale riescono a raggiungere in modo specifico la rete capillare del fegato ed il tessuto fibrotico, tipico anche della cirrosi epatica, incorporandosi in essi.10
Inoltre risulta decisamente accresciuta la capacità di formare endoteli, rispetto alle cellule progenitrici derivate dal sangue periferico di soggetti adulti. Questo importante fattore di superiorità delle staminali del cordone ombelicale è stato scoperto dal Dottor Jiří Pomyje del Department of Pathophysiology, nella 1st Medical Faculty, presso la Charles University, a Praga (Repubblica Ceca). La sua ricerca è apparsa online il 23 Febbraio 2003 su European Journal of Haematology.7
22 settimane dopo l'inizio dell'infezione, viene effettuato il trapianto, quando è stato raggiunto pienamente lo stato fibrotico cronico. Per realizzarlo eseguono una singola iniezione all'interno del fegato di 3x105staminali cordonali. In questa fase hanno osservato una diminuzione delle aree fibrotiche, la riduzione della grandezza dei granulomi, formatisi a causa della schistosomiasi, la ricostruzione dei sinusoidi, capillari fenestrati ad alta permeabilità, tipici del fegato e l' aumento di nuovi vasi sanguigni, con l'espressione dei markers specifici dell' angiogenesi umana: CD31, CD34 ed il Von Willebrand Factor. Essi risultano di varie dimensioni, ma crescono di numero in particolare i piccoli, interessando soprattutto il parenchima dell' organo.3
Le fibre di collagene mostrano una consistente diminuzione, con la riduzione della matrice extracellulare, tipica della fibrosi, come nella cirrosi epatica, impedendo la compromissione della circolazione nel fegato e la conseguente ipossia; ciò evita anche il danno tissutale, collegato alla fibrosi.11 Contemporaneamente le nuove cellule endoteliali formano un rivestimento decisamente migliore sulla parete dei sinusoidi e dei vasi sanguigni. Questi ultimi si sviluppano particolarmente nelle aree adiacenti a quelle fibrotiche. In aggiunta le giovani cellule endoteliali, caratterizzate da numerose mitosi, formano invaginazioni, portando alla scissione dei vecchi vasi sanguigni in nuovi più numerosi.
I periciti, cellule connettivali, che circondano parzialmente capillari e venule del fegato, mostrano segni d' attivazione, evidenziando il loro ruolo centrale nella formazione neo-vascolare. Sono considerati come importanti regolatori della angiogenesi e la funzione vascolare.12 Le cellule endoteliali ed i periciti influenzano il flusso sanguigno, il rimodellamento dei vasi e la moltiplicazione cellulare.13
Nei gruppi di controllo, non trattati con le staminali del cordone ombelicale umano, non si verifica nessuno di questi positivi cambiamenti, ma la patologia si sviluppa in modo grave.
Le staminali cordonali CD133+ contribuiscono ad una più intensa riparazione del tessuto epatico e all'aumento della sopravvivenza attraverso un meccanismo paracrino, cioè per mezzo della secrezione di messaggeri chimici, fattori solubili che sono lasciati diffondere, al fine di modificare la fisiologia delle cellule che le circondano, e la cui azione può persistere anche quando le staminali cordonali non sono più presenti nel tessuto. Secondo questi ricercatori non si differenzierebbero direttamente in epatociti, ma, invece, creerebbero un ambiente favorevole alla sopravvivenza ed alla proliferazione delle cellule danneggiate.14
Le staminali del cordone ombelicale evidenziano un duplice vantaggio per la terapia delle malattie del fegato, tra cui la temibile cirrosi, potendosi differenziare sia lungo la linea endoteliale, che in quella ematopoietica, come era già stato dimostrato nelle colture in vitro.3 Il Dottor Nagwa El-Khafif dimostra chiaramente che i nuovi vasi epatici sono in larga parte formati da cellule con markers umani; quindi sicuramente derivate dalle staminali cordonali trapiantate. Inoltre in alcune cellule poligonali, simili agli epatociti, sono stati riscontrati fattori angiogenici specifici dell'uomo, come il Vascular Endothelial Growth Factor VEGF ed la forma inducibile della Ossido Nitrico Sintetasi iNOS.3
Altre ricerche scientifiche hanno dimostrato che le staminali del cordone ombelicale CD133+ si differenziano in vivo in cellule endoteliali, che contribuiscono alla formazione di vasi, i quali esprimono marcatori endoteliali umani, quali la Anti-Platelet-Endothelial Cell Adhesion Molecule (PECAM) ed il Von Willebrand Factor.14
Cellule ematopoietiche, derivate dalle staminali cordonali, sono in grado di produrre citochine, come l' interleuchina IL-6, il fattore di necrosi tumorale-α, fattore di crescita degli epatociti (HGF), e altri sostanze, che stimolano la proliferazione delle cellule del fegato e possono contribuire indirettamente alla rigenerazione di questo organo.15
Le significative scoperte sperimentali ottenute dall' equipe del Dottor Nagwa El-Khafif potranno aprire la strada per una efficace terapia della pericolosa cirrosi epatica e delle altre patologie caratterizzate da fibrosi nel fegato. Ciò potrà avvenire ancora prima, se ad esse si uniranno, in un progetto comune, gli ottimi risultati di numerose ricerche, coronate da successo, basate sull'azione vincente delle staminali del cordone ombelicale umano, nel fondamentale ambito dell' epatologia.
*
1) Anderson RN, Smith BL (2003). "Deaths: leading causes for 2001". National vital statistics reports: from the Centers for Disease Control and Prevention, National Center for Health Statistics, National Vital Statistics System 52 (9): 1–85.
2) Associazione Italiana per lo Studio del Fegato, AISF.
3) Elkhafif N, El Baz H, Hammam O,Hassan, S Salah F, Mansour W, Mansy S, Yehia H, Zaki A, Magdy R. - CD133(+) human umbilical cord blood stem cells enhance angiogenesis in experimental chronic hepatic fibrosis. - APMIS. 2011 Jan;119(1):66-75. doi: 10.1111/j.1600-0463.2010.02693.x. Epub 2010 Nov 17.
4) Peichev M, Naiyer AJ, Pereira D, Zhu Z, Lane WJ, Williams M, et al. Expression of VEGFR-2 and CD133 by circulating human CD34 cells identifies a population of functional endothelial precursors. Blood 2000;95:952–8.
5) Salven P, Mustjoki S, Alitalo R, Alitalo K, Raffi S. VEGFR-3 and CD133 identify a population of CD34+ lymphatic/vascular endothelial precursor cells. Blood 2003;101:168–72.
6) Ingram DA, Mead LE, Tanaka H, Meade V, Fonoglio A, Mortell K, et al. Identification of a novel hierarchy of endothelial progenitor cells using human peripheral and umbilical cord blood. Blood 2004;104:2752–60.
7) Pomyje J, Zivny J, Sefc L, Plasilova M, Pytlic R, Necas E. Expression of genes regulating angiogenesis in human circulating hematopoietic cord blood CD34+/CD133+ cells. Eur J Haematol 2003;70:143–50.
8) Zhang L, Yang R, Chao Han Z. Transplantation of umbilical cord blood-derived endothelial progenitor cells: a promising method of therapeutic revascularization. Eur J Haematol 2005;76:1–8.
9) Nagano M, Yamashita T, Hamada H, Ohneda K, Kimura K, Nakagawa T, et al. Identification of functional endothelial progenitor cells suitable for the treatment of ischemic tissue using human umbilical cord blood. Blood 2007;110:151–60.
10) Ueno T, Nakamura T, Torimura T, Sata M. Angiogenic cell therapy for hepatic fibrosis. Med Mol Morphol 2006;39:16–21.
11) Medina J, Arroyo AG, Sanchez-Madrid F, Moreno-Otero R. Angiogenesis in chronic inflammatory liver disease. Hepatology2004;39:1185–95.
12) Díaz-Flores L, Gutiérrez R, Madrid JF, Varela H, Valladares F, Acosta E, et al. Pericytes. Morphofunction, interactions and pathology in a quiescent and activated mesenchymal cell niche. Histol Histopathol 2009;24:909–69.
13) Gerhardt H, Betsholtz C. Endothelial–pericyte interactions in angiogenesis. Cell Tissue Res 2003;314:15–23.
14) Zhou P, Wirthlin L, McGee J, Annett G, Nolta J. Contribution of human hematopoietic stem cells to liver repair. Semin Immunopathol2009;31:411–19.
14) Yang C, Zhang ZH, Li ZJ, Yang RC, Qian GQ, Han ZC. Enhancement of neovascularization with cord blood CD133+ cell-derived endothelial progenitor cell transplantation. Thromb Haemost 2004;91:1202–12.
15) Fausto N, Campbell JS, Riehle KJ. Liver regeneration. Hepatology 2006;43:S45–53.

SGOMENTO DEL VATICANO PER GLI ATTENTATI IN NIGERIA - Ordigni in tre chiese durante le messe natalizie: almeno 39 morti

ZI11122509 - 25/12/2011
Permalink: http://www.zenit.org/article-29121?l=italian

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 25 dicembre 2011 (ZENIT.org) - “Una manifestazione della crudeltà e di un odio cieco, assurdo, che non ha alcun rispetto per la vita umana e che cerca di suscitare e alimentare altro odio e confusione”: questo il commento del direttore della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi, alla notizia degli attentati contro tre chiese in Nigeria, che hanno provocato almeno 39 morti.
Stamattina, nelle città di Abuja, Jos e Gadaka, tre ordigni sono stati fatti esplodere presso altrettante parrocchie dove erano in corso le messe natalizie.
“Siamo vicini alla sofferenza della Chiesa e di tutto il popolo nigeriano - ha proseguito padre Lombardi - così provati dalla violenza terroristica anche in questi giorni che dovrebbero essere di gioia e di pace”.
“Mentre preghiamo per le vittime ci auguriamo che questa insensata violenza non indebolisca la volontà di convivenza pacifica e di dialogo nel Paese”, ha concluso il direttore della Sala Stampa Vaticana.
L’attentato di Abuja sarebbe stato rivendicato dal gruppo estremista islamico Boko Haram, che già lo scorso Natale fu responsabile di un’altra strage, avvenuta a Jos dove morirono almeno 32 persone e 74 ne rimasero ferite.
Da parecchio tempo la tensione tra cristiani e musulmani è altissima e negli ultimi mesi è degenerata: dall’inizio di questo dicembre il numero dei morti a causa del fanatismo religioso è di circa un centinaio, tenendo conto di un ulteriore attentato che, oggi stesso, ha provocato la morte di un kamikaze e di tre poliziotti a Damaturu.

venerdì 23 dicembre 2011

Mi dimetto da Darwin




Vaccinazione hpv alleata della coppia, salva la fertilità, http://www.farmacia.it, 23 dicembre 2011

Il virus HPV non fa distinzione fra i sessi, ama i giovani e può pregiudicarne la fertilità. In particolare quella dei maschi, che oggi però hanno a disposizione un’arma in più per difendersi: il vaccino quadrivalente, finora raccomandato alle sole ragazze. Il vaccino si è dimostrato efficace anche nell’uomo tanto che la Commissione Europea ne ha approvato l’utilizzo fino a 26 anni d’età. “Finalmente si avranno pari opportunità nella prevenzione – afferma il prof. Antonino Perino, Direttore della Clinica Ostetrica e Ginecologica dell’Università di Palermo e Presidente del Congresso nazionale dei ginecologi, che si chiude oggi nel capoluogo siciliano -. Implementare la vaccinazione è una misura necessaria e il ginecologo può avere un’importanza chiave perché ricopre un ruolo di riferimento per la salute ed il benessere della donna e della coppia. L’obiettivo è raggiungere una copertura del 95% entro il 2013. Oggi siamo a una media del 65%: manca un 30% che può fare la differenza nella protezione dei nostri giovani. Su questo lavoriamo fianco a fianco con gli igienisti”. Oltre ai risultati nei maschi che mostrano un’efficacia superiore al 90% nella prevenzione delle lesioni genitali esterne, nuovi dati confermano la validità della vaccinazione HPV non solo nelle preadolescenti, ma anche nelle adulte. Protegge inoltre nel 100% dei casi dalla reinfezione e può ridurre di oltre la metà le recidive in donne precedentemente sottoposte a conizzazione.
“Sono evidenze che vanno al di là della campagna di offerta attiva e gratuita rivolta alla adolescenti – aggiunge il prof. Nicola Surico, presidente SIGO -. Siamo abituati a collegare l’HPV al cancro della cervice uterina, ma questa neoplasia è solo una di quelle causate dall’HPV che può provocare anche cancro dell’ano, della vulva, della vagina, dell’oro-faringe e che causa inoltre condilomi, la cui incidenza è in aumento esponenziale. Estremamente fastidiosi, si manifestano con dolore, bruciore, prurito, sanguinamento, possono provocare forte stress e conseguenze psicologiche negative personali e nel rapporto col partner. Fortunatamente la maggior parte delle infezioni da HPV è transitoria, perché il virus viene eliminato dal sistema immunitario, ma spesso è asintomatico e può quindi continuare a creare danni indisturbato”.

Potrebbero essere molto significative anche le ripercussioni sulla fertilità: uno studio tutto italiano, coordinato dal prof. Perino, ha dimostrato per la prima volta che quando il liquido seminale è positivo all’infezione, la capacità riproduttiva è a rischio. “Le conseguenze si fanno sentire sia sulla qualità e la motilità del liquido seminale che sull'embrione – spiega Perino – . Nella nostra ricerca abbiamo osservato 200 coppie che si erano sottoposte a fecondazione assistita: gli insuccessi erano correlati con l'età del maschio e con la positività per HPV nello sperma. L’HPV potrebbe arrivare all'embrione tramite lo spermatozoo. Ecco perché la vaccinazione è un’arma così importante, anche per l’uomo”.

I progressi ottenuti in campo clinico/epidemiologico mostrano in maniera sempre più evidente come l’HPV non possa essere considerato unicamente un nemico delle donne, ma anche degli uomini. “È il momento di giocare un ruolo attivo nella prevenzione dell'HPV – dichiara Perino -, grazie agli strumenti oggi disponibili di prevenzione secondaria e primaria, attraverso il vaccino. Come già avvenuto per il Pap Test che viene proposto ormai in maniera automatica alla paziente, è auspicabile che la stessa cosa avvenga per la vaccinazione HPV, in modo da salvaguardare la salute e la qualità della vita riproduttiva”. Il Ministero della Salute ha avviato dal 2007 una campagna di immunizzazione gratuita per le ragazze nel dodicesimo anno di vita . Alcune regioni l’hanno estesa ad altre fasce d’età, come la Basilicata che la prevede anche per quelle di 15, 18 e 25 anni. “Si tratta di una delle realtà più virtuose d’Italia e una delle poche aver messo in campo l'offerta attiva a più coorti di nascita - commentano i presidenti del Congresso, prof. Luigi Alio, Direttore U.O. Ginecologia ed Ostetricia del Civico di Palermo e prof. Massimo Petronio, Direttore del Dipartimento salute della Donna e del Bambino dell’ Azienda Sanitaria Territoriale 6 di Palermo –: qui la copertura vaccinale è pari a oltre l’80%. Ma la situazione varia enormemente sul territorio e persino tra ASL della stessa Regione”.
Al centro dell’attenzione dei 2.000 esperti riuniti al Congresso anche le misure da adottare per lo screening oncologico poiché oggi nel mondo scientifico vi è un intenso dibattito su quali siano i criteri da seguire. Una commissione promossa dal Ministero ha recentemente proposto di abolire il pap test ogni 3 anni per le donne dai 25 ai 64, come attualmente previsto, e di sostituirlo con il solo HPV test ogni 5 anni. “Non si può modificare di punto in bianco la strategia – conclude il prof. Surico, che riporta le conclusioni del documento prodotto dal gruppo di lavoro SIGO – va previsto un periodo di transizione in cui associare al pap test l’hpv test. Questo permetterebbe la riorganizzazione del sistema, l’informazione alle donne e la formazione dei ginecologi alla gestione della nuova modalità. L’utilizzo del co-testing, comunque, permetterebbe nel breve periodo la diminuzione del numero di screening, allungando l’intervallo a 3-5 anni”.

Staminali, primi due interventi al San Giacomo



Alla base dei diritti e della loro tutela di Tommaso Scandroglio, 23-12-2011, http://labussolaquotidiana.it

“Diritti umani” è una di quelle espressioni un po’ jolly e un po’ magiche. E’ una locuzione che in linea generale si può adattare a qualsiasi discorso – da quello politico a quello sociale, da quello culturale a quello etico – ed ha la proprietà straordinaria di nobilitare le affermazioni di ogni tipo con la sua aurea di binomio politicamente corretto. Però viene da chiedersi, grattando un po’ la superficie di questa accoppiata di termini così annerita da tanti dotti e fumosi discorsi, cosa si nasconda dietro a questi diritti fondamentali.

Il tema è stato oggetto di un dibattito organizzato dal Movimento per la Vita dal titolo “I pro life europei in Campidoglio per i diritti dell’uomo” tenutosi a Roma lo scorso 10 dicembre, anniversario della firma della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’ONU. Ai partecipanti all’evento il Santo Padre ha rivolto un saluto ricordando che “il primo fra tutti i diritti è quello alla vita”. Primo, sia perché il più importante, quello che ha più peso valoriale, e primo anche perché ovviamente è la porta di accesso per poter far propri tutti gli altri diritti fondamentali: la salute, l’educazione, la conoscenza, etc.

La Dichiarazione universale solennemente dichiara nel suo preambolo che questi diritti esistono e devono essere tutelati. Però c’è un inciampo: perché tutelarli? La domanda sembra banale, ma così banale non è se nemmeno gli estensori della Dichiarazioni si sono presi la briga di spiegarci il motivo per cui la vita, la salute, la proprietà sono beni così preziosi che meritano tutela. Insomma tutti d’accordo sull’esistenza di questi diritti e sul fatto che devono essere garantiti, ma non uguale concordia sul fondamento di questi diritti. La questione non è di lana caprina, dal momento che senza l’individuazione della fonte dei diritti dell’uomo, cioè del perché li chiamiamo diritti fondamentali, non è possibile tutelarli appieno. Se non troviamo la spiegazione razionale del perché ad esempio il genocidio è un atto abominevole, la stessa difesa di un’etnia oggetto di persecuzione diventa problematica anche sul piano pratico.

Dunque quale è la fonte dei diritti umani? Una tradizione di pensiero che parte dagli Stoici, intercetta Aristotele, prosegue con la Scolastica medioevale e approda ai giorni nostri con Maritain ed altri, sostiene che fonte dei diritti umani è la natura umana. Questa si può intendere come un fascio di inclinazioni che tendono ad alcuni beni. Detto in altri termini tutti noi naturalmente tendiamo al bene della vita, della salute, della conoscenza, etc. In noi, nel nostro DNA ontologico, è impressa una vera e propria sete di questi beni e se non la soddisfiamo moriamo assetati, seppur in senso morale. Perciò se la vita ad esempio è un bene significherà di conserva che dovrò tutelarlo e dovrò evitare tutte quelle condotte che potrebbero lederlo. Più nello specifico ciò comporta che avrò il dovere morale di curarmi, di condurre una vita sana e sul versante opposto non mi sarà permesso togliere la vita a nessuno, nemmeno a me stesso. In chiave giuridica i beni fondamentali prendono il nome di diritti fondamentali. E con il termine diritto si indica la pretesa giuridica di vedersi riconosciuti alcuni beni. Se la mia natura reclama il bene della vita perché è fondamentale per il mio essere uomo, vuol dire che pretende questo bene, che ha un diritto naturale su di esso.

Ecco allora che la titolarità dei diritti umani è infissa nella nostra natura, scaturisce dalla parte più intima ed essenziale di noi. Ciò ci porta a dire che questi diritti sono un po’ come i mattoni con cui è costruito l’edificio uomo: farli propri significa essere pienamente se stessi.

Questa visione che è propria della tradizione cristiana personalista è oggi la Cenerentola nel campo della filosofia del diritto. Ad esempio Norberto Bobbio nel suo L’età dei diritti sosteneva che è vano trovare il fondamento assoluto dei diritti dell’uomo. Semmai questi sono frutto del consenso dei più. China pericolosa questa. Cosa succederebbe infatti e se la maggioranza decidesse che alcuni soggetti – il non nato, il moribondo, l’appartenente ad una particolare etnia etc – non sono più degni di essere titolari di questi diritti? Altri come Benedetto Croce o il giurista Gustavo Zagrebelsky sostengono che è la storia la fucina dei diritti fondamentali. Ma anche questa fondazione è fragile: e se i costumi e le abitudini diffuse indicassero che esistono persone di serie A con pieni diritti civili e persone di serie B con qualche diritto mancante sarebbe giusto avvallare la direzione verso cui spira il vento della storia?

Infine e da ultimo grande ascendente stanno avendo le neuroscienze. Se noi siamo solo materia e la parte più peculiare di noi è il nostro cervello è indubbio – così si sostiene - che vi siano soggetti le cui capacità intellettive sono perfette e dunque meritano l’assegnazione di tutti i diritti fondamentali. Altri però non brillano per medesimo acume o assumono condotte socialmente pericolose che provano che il loro status encefalico è nato delinquente e tale rimarrà: a tutti costoro è corretto non riconoscere tutti i diritti umani. Questo per dire che senza un fondamento nella natura dell’uomo i diritti di quest’ultimo sono i balia di idee che possono diventare nemiche dell’uomo stesso.

giovedì 22 dicembre 2011

Moira è il centro del nostro Natale


Lucia vive con il sostegno di tanti




Aborto o suicidio - La tentazione di "lasciare fare"



TRE LEZIONI SULLA DIGNITÁ DELLA VITA UMANA Robert Spaemann, Ed. Lindau (2011), pp. 112, ISBN: 978-88-7180-949-6, € 12,00, Newsletter di Scienza & Vita n°52 del 21 Dicembre 2011, http://www.scienzaevita.org 

I tre saggi che compongono questo libro sono stati  presentati alle McGivney Lectures 2010 del  Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su  matrimonio e famiglia presso l’Università cattolica  d’America. […] Robert  Spaemann, autore delle  conferenze del 2010, è professore emerito di filosofia  all’Università di Monaco. […] Rimanendo nella  grande tradizione filosofica dell’Occidente, il  professor Spaemann ci ha aiutato con pazienza e  profondità a riflettere sulle grandi questioni che la  civiltà umana si trova a dover affrontare oggigiorno  tornando nuovamente sugli interrogativi  fondamentali: chi è una persona? Che cosa significa  parlare di identità personale e della dignità della  persona? Come osserva il professor Holger  Zaborowski in un suo libro di recente pubblicazione  –  Robert Spaemann’s philosophy of the human  person: nature, freedom, and the critique of  modernity (Oxford University Press), la prima  monografia in inglese dedicata al filosofo tedesco –  Spaemann sottopone la  modernità a una critica  interessante e stimolante mettendoci in guardia, al  contempo, dal rischio di  scivolare in un moderno  antimodernismo che non farebbe che perpetuare  alcuni dei principali aspetti problematici della  modernità. In questi saggi affascinanti, il professor  Spaemann si occupa dapprima dei “Paradossi  dell’amore”, in cui, inter alia, riflette sul perché “ciò  che il termine ‘conoscere’ significa può essere  realizzato soltanto nell’amore”: ubi amor, ibi oculos (“dove c’è l’amore, lì c’è lo sguardo”, Riccardo di San  Vittore); perché “amare qualcuno significa capire il  motivo per cui Dio ha creato quella persona”  (Nicolás Gómez Dávila) e perché “l’essere persona  esiste soltanto al plurale”.  In “La dignità dell’uomo e la natura umana” il  professore sostiene che non dovremmo dire che “è  un diritto veder rispettata  la propria dignità, che è  piuttosto il motivo metafisico per cui gli esseri umani  hanno diritti e doveri. Hanno dei diritti perché  hanno dei doveri, ossia perché i normali membri  adulti della famiglia umana non sono né animali  integrati per istinto nelle proprie comunità, né esseri  indeterminati assoggettati all’istinto. … La capacità  di assumersi la responsabilità è ciò che chiamiamo  libertà.   Chi non è libero non può essere ritenuto  responsabile di alcunché. Chi però può assumersi la  responsabilità ha il diritto di non essere trattato  come un semplice oggetto né costretto fisicamente  ad adempiere il proprio dovere”.  E ancora: “la preziosità dell’uomo ‘in quanto tale’ –  che cioè non è ‘prezioso’ solo a se stesso – ne rende  sacra la vita, conferendo al concetto di dignità una  dimensione ontologica che è in effetti il suo sine qua  non. La dignità è un segno di sacralità. E’ un concetto  fondamentalmente religioso-metafisico”.  Nell’ultimo saggio, il professor Spaemann affronta  una questione spinosa: la morte cerebrale può essere  il criterio che definisce la morte? Nel 1968, la  Commissione della Harvard Medical School ha  cambiato fondamentalmente lo status quaestionis in  merito, dichiarando che la  morte del cervello è in  effetti la morte dell’essere umano. Nel suo saggio,  Spaemann contesta tale conclusione e, citando il  giurista tedesco prof. Dott. Ralph Weber, sulla base  di un giudizio filosofico fondato su dati empirici  sostiene che: “il criterio  della ‘morte cerebrale’ è  adatto soltanto a dimostrare l’irreversibilità del  processo di morte e quindi a fissare un termine al  dovere del medico di curare per tentare di ritardare  l’evento”.  Il paziente cerebralmente morto, per dirla con le  parole di un altro giurista tedesco, il prof. Dott.  Wolfram Höfing: “è un essere umano morente, ma  ancora in vita ai sensi della Costituzione (della  Repubblica  Federale  Tedesca,  art.  2,  II,  1  99).  I  pazienti cerebralmente morti vanno considerati  correttamente moribondi, quindi persone vive in uno  stato di insufficienza cerebrale irreversibile”.  Una volta un critico, parlando di un libro del  professor Spaemann, ha detto che se Socrate ne  avesse scritto uno, sarebbe  stato il testo di Robert  Spaemann che stava recensendo. Ciò che intendeva  con tali parole è evidente nei saggi che seguono.  *Si riporta la prefazione  a cura di David L. Shindler  Preside e Docente di Teologia fondamentale  Pontificio Istituto GPII per Studi su matrimonio e  famiglia, Università Cattolica d’America 

PER RAGIONARE DELL’UOMO  OCCORRE PARTIRE DALLA REALTÁ  di Lorenza Violini*, Newsletter di Scienza & Vita n°52 del 21 Dicembre 2011, http://www.scienzaevita.org

Scorrendo l’ampia riflessione costituzionalistic 1 che ha per oggetto i due temi gemelli della dignità  umana e del diritto alla vita2 , si può agevolmente  desumere come lo ius – la regola giuridica orientata  alla giustizia - dipenda dalle concezioni filosofiche e  antropologiche dominanti nella  societas che lo  produce.  Dall’imago dei come fonte della dignità  della vita umana che impediva al popolo ebraico di  sfigurare i condannati a morte3  alla concezione  kantiana, che ancora oggi viene ripresa e ribadita  nella giurisprudenza del  Tribunale Costituzionale  tedesco4 , sempre le scelte giuridiche concrete sono  riconducibili ad un pensiero volto a scandagliare che  cosa sia l’uomo, quale la fonte della sua dignità, quale il senso della sua vita e del suo agire nella  storia.   Tale considerazione risulta nella odierna cultura  dominante assai sottostimata; ci si accontenta spesso  di luoghi comuni, a ciò indotti dalla superficialità dei  mass media mentre ci si sofferma troppo poco a  riflettere sui temi di fondo, quelli che non  coinvolgono solo la dimensione filosofica ma che  incidono anche significativamente sul proprio  vissuto personale. Un pensiero debole domina, un  pensiero che rischia di estendere i suoi tentacoli  anche dentro l’esperienza cristiana di ciascuno e di  qui dentro la vita della Chiesa, complice la debolezza  della natura umana, spesso troppo disponibile a  confinare il proprio essere nella materialità  dell’esistenza terrena, rinunciando a quel respiro, a  quello slancio, a quel gusto che dà l’impegno della  riflessione vera sul sé e sulle sue più estese  dimensioni. Utile  a riportare l’attenzione e il  pensiero ai temi fondamentali del pensare e  dell’operare, di quell’ora et labora che ancora  sostiene, nella inconsapevolezza dei più, la civiltà  occidentale, è stata la lectio magistralis su cui qui si  riflette, significativamente dedicata, nel suo  incipit,  al  tema  della  conoscenza.  E,  invero,  ci  si  potrebbe  utilmente porre la domanda: perché, per riflettere  sulla vita, è importante porre tale apparentemente  remota questione? Non sarebbe stato più  immediato  limitarsi a ribadire la necessità di comportamenti  morali, il senso della solidarietà, la coerenza tra  laicità e religione, la presenza ineludibile di diritti e  di valori irrinunciabili? Non basta questo per  ragionare della presenza della Chiesa e dei cattolici  nella società italiana?  Il  suggerimento di risposta  che viene dal testo è semplice, come semplici sono  tutte le cose vere: “per poter meglio affrontare il  tema della vita umana nella sua assoluta  indisponibilità o, se si vuole, sacralità” è inevitabile,   viene ivi detto, “allargare l’orizzonte” e chiedersi se  esiste qualcosa al di fuori del soggetto umano.  Ora, se così si imposta il ragionamento,  la presenza  del seguente paradosso si impone: per parlare  dell’uomo, della sua vita e dei suoi diritti –  aggiungono i giuristi – occorre partire da altro  rispetto all’uomo stesso, occorre partire dal mondo,  dalla realtà, dall’universo. E, ancora, partire non  basta: che ci sia  l’essere e che esso sia diverso dal  pensiero5  non basta all’uomo, all’ampiezza del  desiderio che segna gli uomini di tutti i tempi.  Questo altro, l’essere così come appare all’uomo che  ne prende coscienza, può essere conosciuto nella sua  verità il moto della  conoscenza parte da un atto di  fiducia, da una “comunione preriflessa con il  mondo”, da un positivo – insomma – che è l’unica  grande alternativa al sospetto e al dubbio metodico,  allo scetticismo che ne  consegue, al nichilismo  materialista fonte di quella “spasmodica spremitura  di soddisfazioni e godimenti fino all’estremo”. Essa  porta, ultimamente, a una “immane svalutazione  della vita”, ci dice la lectio, e a ragione. Inutile citare  a riprova di tale crudele quanto realistica analisi il  dominante senso di morte che le cronache ci  restituiscono ogni giorno; essa è tale da risvegliare in  tutti, religiosi e non, uno sconcerto, capace – quanto  è sano – di fondare la possibilità di una riscossa  umanamente convincente6 .  Il quadro si fa dunque chiaro e la tesi illuminante:  per ragionare dell’uomo in tutte le sue dimensioni –  e quindi anche di diritto e  di diritti, aggiunge  il  giurista apprendendo dal  teologo – occorre partire  dalla realtà, che  – per il fatto stesso di esserci – apre  all’avventura della conoscenza fondata sul  presentimento della positività del reale. E se è vero  che dalla conoscenza sorge la prassi, come  documentato dagli esempi sopra ricordati delle scelte  normative in tema di dignità e di vita umana , è  plausibile ritenere che sia quello enunciato un punto  di vista su cui fondare la rinascita in questo tempo di  acuta crisi, che  prima di essere economica, oltre ad  essere economica è prima di tutto crisi  antropologica, crisi di creatività e di fede nel proprio  alto desiderare. Se restasse rinchiuso nel suo  individualismo, legato all’autodeterminazione come  all’unico valore, cieco alla bellezza, sordo al richiamo dei fratelli che soffrono materialmente  e  moralmente, ben difficilmente l’uomo di oggi, l’uomo della crisi, potrebbe trovare l’energia per una  rinascita.   Che ne deriva per il tema del diritto alla vita e del suo  fondamento, di quel principio della dignità umana  posto a capo delle costituzioni moderne e dei tanti  documenti internazionali? Se non esiste alcun  criterio di discernimento tra bene e male, visto che è  solo la libera scelta che vale e che deve quindi essere  tutelata fino all’estremo, fino all’annullamento della  libertà stessa, fino alla morte, che fragilità nella  teoria dei diritti! Essi finiscono per diventare in  breve, secondo l’acuta definizione di Mary Ann  Glendon,  insaziabili, impermeabili alla dimensione  dei doveri, estranei alla  loro vocazione primigenia,  quella di sancire relazioni buone tra gli uomini. Se c’è  solo autodeterminazione e  libera volontà di scelta  indiscriminata diviene  problematico costruire  istanze sociali basate su vere comunanze  perché esse  debbono identificare ciò che  accomuna,  qualcosa di  valido per tutti, qualcosa che sia “così fondamentale  per l’uomo da essere universale” 7 . E’ qui che torna, e  che  quindi  si  fonda,  il tema del diritto, dello ius, del  diritto e della giustizia, e del suo nesso con la vita e la  dignità dell’uomo8 , di ogni uomo, in tutta l’estensione della sua esistenza naturale capace di  andare oltre i confini materiali della stessa9 .   Oltre il confine breve della materia va infatti  ricercato e conosciuto un universale necessario, un  destino che preme sull’esistenza, un Altro dall’uomo  che lo rende tale, cui avvicinarsi, insieme, consci  della sua sperimentata positività, di un positivo che  lo stesso nostro essere al mondo ci trasmette e che  consente di guardare a tutto, alla vita e alla morte, al  presente e al futuro, alla crisi e alla rinascita, essendo  – i cristiani - generati oggi dalla stessa morte e  resurrezione che ha generato e continua a rigenerare  la nostra pur difficile e drammatica ora.

* Professore Ordinario di Diritto Costituzionale,  Università degli Studi di Milano;  Consigliere nazionale Associazione Scienza & Vita


1 Fra  i  numerosi  contributi  in  materia,  cfr.  P. CAROZZA,  Human Dignity in Constitutional Adjudication,  in T. GINSBURG E  R. DIXON (a cura di), Research Handbook in  Comparative Constitutional Law, Edward Elgar  Publishing Ltd, 2011, p. 459 ss; E.J. EBERLE, Dignity and  Liberty – Constitutional Visions in Germany and the  United States,  Westport, 2002, p. 151; G. BOGNETTI,  Human Dignity and American Values, Itacha and London,  1992, p. 210 e ss.; N. RAO, On the Use and Abuse of Dignity  in Constitutional Law, Columbia Journal of European Law,  2008, 14, p. 201 e ss.
 2  L. VIOLINI, A. OSTI,  Le linee di demarcazione della vita  umana, in M. CARTABIA (a cura di), I diritti in azione, Il  Mulino, Bologna 2007, pp. 185-238.
 3  D. KRETZMER, E. KLEIN (a cura di), The concept of human  dignity in human rights discourse, Kluwer Law  International, Netherlands 2002.
 4  Si vedano ad esempio le sentenze,  Bundesverfassungsgericht [BVerfG] [Federal  Constitutional Court] 2378/98, 3 March 2004 e  Bundesverfassungsgericht [BVerfG] [Federal  Constitutional Court] 357/05, 2 February 2006 dove il  densissimo concetto di dignità umana come fondante per  l’impianto costituzionale viene energicamente ribadito  nella motivazione e confermato nel dispositivo che annulla  una legge tedesca la quale permetteva di abbattere aerei  con passeggeri per evitare il rischio di un attentato analogo  a quello successo l’11 settembre in USA.  
5 Su questo tema insuperato resta A.BONTADINI, Introduzione a R. DESCARTES, Il Discorso sul Metodo, Brescia 1972 passim
6   “Non  me  ne  importa  niente  –  ha  scritto  il  filosofo  Paolo  Rossi sulle pagine del Corriere della Sera – della prova  dell’esistenza di Dio. Però, come Monod, ho questo sasso  sullo stomaco: non accetto volentieri l’idea che il carnefice  e la vittima scompaiano insieme nel nulla”.  La citazione è  in J.CARRON, Prefazione, a   A. SIMONCINI, L. VIOLINI, P. CAROZZA, M. CARTABIA,  Esperienza elementare e diritto,  Guerini e associati, Milano 2011; si veda anche, F. BOTTURI  (a cura di),  Soggetto e libertà nella condizione postmoderna, Vita e Pensiero, Milano 2003; R. SPAEMAN, Tre  lezioni sulla dignità della vita umana, Lindau, Torino  2011.
7  Questo significato della libertà personale come  esaltazione dell’autodeterminazione dell’individuo è un  dato che emerge tanto negli ordinamenti nazionali quanto,  se non maggiormente, negli ordinamenti sovranazionali;  il  riferimento è in particolare al Consiglio d’Europa e alla  Corte Europea dei Diritti Umani. Se da una parte la  persona umana è indiscutibilmente tutelata in relazione a  fattispecie come la tortura, la violazione dell’integrità  personale e la schiavitù, dall’altra parte, di fronte a  questioni concernenti i confini della vita umana, tale tutela  diventa meno indubbia. In questo senso è interessante  notare come in materia di inizio vita negli ultimi anni la  Corte Europea sui diritti umani ragionevolmente non abbia  voluto determinare in maniera univoca il confine dell’inizio  vita, ma abbia sempre eluso questa questione spostando  l’attenzione sul piano dell’autodeterminazione  dell’individuo. E ciò con la temuta conseguenza, richiamata  anche dal cardinal Bagnasco, di “appiattire i popoli in  nome  di  una  unità  di  convivenza”,  fatto  salvo  i  casi  recenti  e di grande rilevanza quali il caso austriaco della  fecondazione eterologa (S S.H. and Others vs. Austria n.  57813/00, ECHR 2011) che, pur senza risolvere le criticità  appena sottolineate, chiamano in causa attraverso l’utilizzo  del cosiddetto margine d’apprezzamento, quell’umano  “fatto di gente e di terra, di storia e di cultura che è l’anima  di una nazione”. Su quest’ultimo concetto si veda “Chiesa e  Politica”,  Lectio Magistralis di Sua Eccellenza Cardinal  Angelo Bagnasco in occasione della giornata inaugurale  della VI edizione della  Summer School  organizzata dalla  Fondazione Magna Carta e dall'Associazione Italia  Protagonista, Frascati 4 - 9 settembre 2011.
 8  Discorso del Santo Padre Benedetto XVI in occasione  della visita al parlamento federale tedesco, 22 settembre  2011, www.vatican.va; si veda anche J. RATZINGER, J. HABERMAS, Etica, religione e stato liberale, Morcelliana,  Brescia 2005.
9  P. LEE, R.P. GEORGE,  The nature and basis of Human  Dignity, Ratio Juris, Vol.21, Issue 2, June 2008, pp. 173- 193; si veda anche E. W. BOCKENFORDE, Dignità umana e  bioetica, Morcelliana, Brescia 2009 nonché estesamente   A. SCOLA, L’alba della dignità umana. La fondazione dei  diritti umani nella dottrina di Jacques Maritain, Jaca Book,  Milano 1982.