mercoledì 27 marzo 2013


EUTANASIA PER I BAMBINI/ Il medico: così il Belgio legalizza la cultura della morte - mercoledì 27 marzo 2013 - http://www.ilsussidiario.net

EUTANASIA PER I BAMBINI/ Il medico: così il Belgio legalizza la cultura della morte

Dopo essere stata approvata oltre dieci anni fa, presto l'eutanasia in Belgio potrebbe essere consentita anche ai minorenni. Il Senato ha infatti riaperto i dibattiti volti a modificare la legge sulle richieste di eutanasia nel tentativo di ampliare tale possibilità anche ai minori di 15 anni e ai malati di Alzheimer. Su iniziativa di Philippe Mahoux, colui che nel 2002 firmò la legge con cui venne ufficialmente introdotta l'eutanasia, il Senato belga ha iniziato ad ascoltare alcuni esperti. Il paese oggi è in subbuglio e se - da una parte - gli studi di una ricercatrice dell'Università di Gand rivelano che circa il 50% dei decessi dei bambini al di sotto di un anno in Belgio è ricollegabile a una forma di eutanasia (attiva o passiva), si organizzano grandi marce per la vita da parte dei cristiani in tutto il paese. Noi ne abbiamo parlato con il dottor Renzo Puccetti, specialista in medicina Interna e socio fondatore dell’Associazione Scienza & Vita.

Come giudica quanto sta avvenendo in Belgio?

Il mio giudizio non potrebbe essere più negativo. Una volta infranto il principio della indisponibilità e inalienabilità della vita umana, ecco che inevitabilmente sopraggiungono molti altri tipi di violazione.

Cosa intende?

Prendiamo l'esempio dell'Olanda: iniziando con l'aborto, ben presto è stata legalizzata anche l’eutanasia, poi progressivamente allargata a sempre più casi. Inizialmente era infatti prevista solo per i pazienti in fase terminale, poi per quelli cronici, poi anche per quelli con malattie psichiche, fino ad arrivare addirittura all’eutanasia non volontaria. Infine ecco il Protocollo di Groningen che prevede l’eutanasia per i neonati affetti da patologie che, tra l’altro, sono perfettamente compatibili con la vita, come la spina bifida.

Anche il Belgio sta quindi percorrendo la stessa strada?

Proprio così. Dopo aver legalizzato l’eutanasia nel 2002, è come se il percorso fosse stato già scritto. Resta però il fatto che, dal punto di vista strettamente medico, l’eutanasia rappresenta semplicemente la volontà di eliminare un problema eliminandone il portatore: c’è una sorta di imprinting ideologico volto a definire la possibilità che si possa vivere una vita senza sofferenze. E’ proprio questo il motivo per cui l’eutanasia viene legalizzata.

Cosa ne pensa?


E’ illusorio pensare di porre dei confini alla sofferenza, perché parliamo di qualcosa di soggettivo che può essere esistenziale o causata da una grave malattia. Vorrei ricordare il caso di un uomo che in Olanda ottenne l’eutanasia semplicemente perché, arrivato a un’età avanzata e senza alcuna patologia, non trovava più un motivo per vivere. Sempre in Olanda, inoltre, sono già state eseguite eutanasie su pazienti affetti da malattie mentali e malattie neurologiche, come il morbo di Alzheimer.

Quello che si sta cercando di fare anche in Belgio... 

Certo, ma questo è decisamente contraddittorio rispetto a chi propone l’eutanasia come strumento dell’autodeterminazione. Citando dati recenti, uno studio del 2011 ha evidenziato che l’84% dell’eutanasia in Belgio viene effettuata nella regione fiamminga.

Cosa significa?

Che esiste un evidente problema culturale, perché non è possibile che quasi tutte le malattie terminali siano registrate proprio in quella parte del Paese. Un altro studio del 2010, invece, mette in evidenza che, sempre in Belgio, 1 eutanasia su 3 viene eseguita senza il consenso del paziente. E' proprio su questi numeri che si infrange il “mito” dell’autodeterminazione.

(Claudio Perlini)

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martedì 26 marzo 2013

L'aerobica del cervello, Il Messaggero, 26 marzo 2013



Il Foglio - Per l'Onu opporsi all'aborto è tortura - 26 marzo 2013



26 marzo 2013 - Quella sentenza sul matrimonio gay - http://www.ilfoglio.it/

Sui diritti degli omosessuali la Corte suprema mette in scena un saggio sul groviglio culturale d’America. Le pressioni dei tempi, gli indizi dei giudici, le analogie con la Roe vs. Wade e Obama che pregusta la vittoria


New York. I casi sui quali la Corte suprema americana è chiamata a esprimersi oggi e domani non sono storici, come si dice in questi casi, soltanto perché riguardano una faccenda controversa che nel tempo ha guadagnato un consenso tale da diventare mainstream: il matrimonio gay. Sono storici perché possono ridefinire, una volta ancora, il rapporto fra opinione comune e legge, fra costumi e giurisprudenza, alterando l’equilibrio fra il potere federale e quello dei singoli stati secondo una dinamica simile a quella inaugurata dalla Roe vs. Wade, la sentenza del 1973 che ha legalizzato l’aborto in America. Allora un caso circoscritto al Texas si è trasformato, dopo il passaggio nelle mani dei giudici, in una gigantesca concessione federale. Persino Ruth Bader Ginsburg, la giudice ottantenne e pro choice che siede nella sponda liberal della Corte, in un discorso del 1992 ha criticato gli eccessi formali di una sentenza che s’è avventurata in un ambito che compete al potere legislativo. Chi ha votato e vergato l’opinione sull’aborto sentiva la pressione di una società trasformata dalla rivoluzione sessuale e dalle sue conseguenze, e una pressione analoga assale i giudici che oggi prendono in esame la Proposition 8 della California – la misura votata dai californiani che limita la validità del matrimonio all’unione fra uomo e donna – e domani affrontano il Defense of Marriage act (Doma), la legge passata nel 1996 con gran copia di voti democratici (quello dell’allora senatore Joe Biden, ad esempio) che indica il matrimonio eterosessuale come unica forma riconosciuta ai fini dei diritti federali delle coppie. Il Doma non impedisce ai singoli stati di legalizzare il matrimonio gay, cosa che hanno fatto a ritmo sostenuto negli ultimi 17 anni, né definisce il matrimonio in sé; più semplicemente limita l’estensione di alcune conseguenze federali alle sole coppie eterosessuali.

Secondo l’accusa, entrambi i casi violano una clausola del 14esimo emendamento per cui lo stato “non può negare ad alcuno nella sua giurisdizione l’eguale protezione delle leggi”. L’emendamento era stato introdotto nel 1868 per proteggere gli afroamericani appena liberati dalla schiavitù ma che ugualmente godevano di diritti limitati rispetto ai bianchi. Se, com’è probabile, la Corte accoglierà i ricorsi sui due casi, la condizione degli omosessuali verrà di fatto accostata a quella dei neri dopo l’abolizione della schiavitù e il diritto riconoscerà la categoria come bisognosa di una protezione speciale.

La disputa è cinta da una serie di contraddizioni concentriche che hanno a che fare con il cambiamento del paradigma culturale e l’evoluzione del diritto. I parlamentari che hanno votato il Doma nel 1996 non erano propalatori del diritto naturale o attivisti della destra più conservatrice. Erano legislatori che riconoscevano i limiti del potere federale. Ma con il passare del tempo e l’avanzare dei diritti gay a livello locale, Bill Clinton s’è pentito di aver firmato la legge e Barack Obama ha completato la sua “evoluzione” ideologica sul matrimonio. Da quando, nel 2011, il dipartimento di Giustizia ha riconosciuto il Doma come incostituzionale, i legali del governo non lo difendono più presso i tribunali e lo scontro fra visioni giuridiche in America si è ulteriormente radicalizzato. Nei corridoi della Corte suprema i giudici spargono indizi sulle loro opinioni. In un’intervista al New Yorker, Ginsburg ha detto che “apparteniamo alla tradizione della Common law. Come le leggi commerciali si sono evolute, così è cambiata l’idea del giusto processo e della ‘equal protection’”. Traduzione: il ruolo della Corte è quello di recepire e riflettere i cambiamenti culturali. Il contrario esatto di quello che il giudice conservatore Antonin Scalia intende quando dice che “la Costituzione è morta”. E se il cambiamento culturale sul matrimonio gay è sottolineato in modo potente nell’arena politica dai ripensamenti di tanti repubblicani – l’ultimo è il senatore Rob Portman – la Corte suprema è il terminale del processo. Il conservatore atipico Anthony Kennedy è diventato un “campione dei diritti dei gay” – come dice il costituzionalista Richard Fallon – e teme di finire “dalla parte sbagliata della storia”. Un timore simile è condiviso da un altro conservatore, John Roberts, il giudice che ha dato il voto decisivo per l’approvazione dell’Obamacare. Nessuno vuole prendersi il rischio di opporsi alla marea culturale. E per vedere il contrasto in atto basterà guardare in aula Theodore Olson e il suo discepolo Paul Clement, avvocati conservatori che difendono clienti opposti.

© - FOGLIO QUOTIDIANO
di Mattia Ferraresi   –   @mattiaferraresi

26/03/2013 - I GIUDICI ESAMINANO DUE CASI CHE POTREBBERO CAMBIARE LA LEGGE
Matrimonio gay la battaglia di Obama alla Corte Suprema - http://www.lastampa.it/

Manifestazione per i pari diritti delle coppie a New York

Oggi in aula gli avvocati della Casa Bianca. Che incassa il sostegno di star e Apple

MAURIZIO MOLINARI
CORRISPONDENTE DA NEW YORK
La differenza fra nozze gay e eterosessuali viola la parità di diritti fra i cittadini garantita dalla Costituzione? È questo l’interrogativo a cui la Corte Suprema di Washington si propone di rispondere esaminando oggi il caso «Hollingsworth contro Perry» che divide l’America. Dennis Hollingsworth è il leader del gruppo «ProtectMarriage» (Proteggi il matrimonio) che nel novembre 2008 vinse in California il referendum sulla «Proposition 8» facendo adottare un emendamento costituzionale contro le nozze gay, decretando l’annullamento di circa 18 mila matrimoni omosessuali già celebrati nel «Golden State». Kris Perry è invece la lesbica di San Francisco che, assieme alla partner Sandy Stier ed alla coppia di gay di Los Angeles Jeff Zarillo e Paul Katami, ha presentato istanza di incostituzionalità contro la «Proposition 8» affermando che viola la parità di diritti fra i cittadini.  

I nove giudici della Corte Suprema ascolteranno i rispettivi argomenti in un’udienza che si annuncia rovente perché sugli opposti fronti si sono schierati nomi, istituzioni e aziende private di primo piano, disegnando uno scontro di visioni assai più ampio della tradizionale contrapposizione fra progressisti pro-gay e conservatori anti-gay. A sostenere la tesi di Hollingsworth contro le nozze gay è la Conferenza episcopale degli Stati Uniti assieme a 20 dei 38 Stati americani che proibiscono per legge il matrimonio omosessuale mentre a favore di Kris Perry e dell’equiparazione fra nozze gay ed etero ci sono l’amministrazione Obama - che parteciperà all’udienza con l’avvocato dello Stato Donald Verrilli - giganti dell’industria come Apple, Alcoa, Verizon e Xerox, e oltre 130 volti del firmamento conservatore guidati dall’attore Clint Eastwood.  

La Corte Suprema esaminerà un secondo caso inerente allo stesso tema domani, trovandosi a pronunciare sulla costituzionalità del «Defense of Marriage Act», la legge federale che impedisce al governo di riconoscere le nozze gay anche negli Stati americani dove sono legali. Le sentenze sono attese entro la fine di giugno ed il verdetto avrà anche un impatto politico perché il presidente Barack Obama è divenuto durante la campagna per la rielezione un dichiarato sostenitore della parità di diritti fra gay ed etero, equiparando questa battaglia - nel discorso del secondo insediamento a Washington - a quelle combattute in passato dalle donne e dagli afroamericani contro l’intolleranza e il razzismo negli Stati Uniti.  

Un sondaggio di «Washington Post» e «Abc News» attesta che il sostegno alle nozze gay è al 58%, il più alto di sempre, ma la destra cristiana contesta questi dati. Ralph Reed, leader della «Christian Coalition», ribatte che «nei 34 referendum svoltisi sul matrimonio negli Stati americani i sostenitori delle nozze gay hanno vinto in appena tre occasioni» e Gary Bauer, ex candidato presidenziale repubblicano, aggiunge che «negli Stati liberal l’opposizione non scende mai sotto il 46-45%» a conferma che il fronte del «no» è «assai più massiccio di quanto non affermino i sondaggi d’opinione». Talk show tv, trasmissioni radio, editoriali dei quotidiani e opposte manifestazioni di piazza completano il quadro di una battaglia che coinvolge gli americani assai più della tradizionale diatriba sull’aborto. Anche grazie alle storie personali che la costellano: dall’avvocato conservatore Theodore Olson, con la moglie uccisa negli attacchi dell’11 settembre 2001, che sarà in aula a difendere le nozze gay al senatore repubblicano dell’Ohio Robert Portman che si è schierato a sorpresa a favore dei diritti omosessuali dopo aver appreso che il figlio Will è gay. 


Perché aspettare la morte per espiantare gli organi dei donatori? La proposta di un bioeticista canadese 
marzo 25, 2013 Leone Grotti - http://www.tempi.it

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Perché aspettare la morte di un donatore di organi per prenderglieli? È questa, in estrema sintesi, la domanda che un bioeticista canadese si fa sull’ultimo numero del Giornale di etica sanitaria della prestigiosa università di Cambridge.
NON CONTA ESSERE VIVI O MORTI. Analizzando il caso di un paziente che ha subito gravi lesioni cerebrali, Walter Glennon, bioeticista dell’università di Calgary, scrive: «Ciò che importa non è se il donatore sia morto o meno, o quando la morte deve essere dichiarata, ma che il donatore o chi per lui acconsenta [a donare gli organi], che il donatore si trovi in una condizione irreversibile senza speranza di un significativo miglioramento, che il modo in cui gli si prende gli organi non gli causi dolore e sofferenza e che le intenzioni del donatore vengano portate a compimento con un trapianto di successo».

BASTA LA VOLONTÀ. Glennon si spinge oltre: non prelevare gli organi di un paziente nelle condizioni sopra descritte quando è ancora vivo vorrebbe dire danneggiarlo, dal momento che vengono disattese le sue volontà. Molti organi, infatti, dopo la morte non sono più utilizzabili ma se la volontà del paziente è quella di donarli, non espiantarli da vivo significherebbe contravvenire alla volontà del donatore. «Non è giusto dire che un donatore è fuori pericolo solo quando è stato dichiarato morto e che un espianto operato da vivo danneggia il paziente».

COMPRAVENDITA DI ORGANI. La proposta di Glennon potrebbe avere effetti indesiderati, come la legalizzazione di fatto della compravendita di organi o del suicidio attraverso la donazione di organi da vivi. Secondo Glennon, però, è molto difficile che questo accada, perché di solito è solo «l’esperienza di una condizione irreversibile e senza speranza a indurre una persona che la vita non è più degna di essere vissuta».
@LeoneGrotti

«Bisognava liberare i letti». Per questo un medico brasiliano ha deciso che 300 pazienti meritavano di morire 
marzo 26, 2013 Elisabetta Longo - http://www.tempi.it

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Nelle corsie dell’Evangelico Hospital di Curitiba, vicino a San Paolo in Brasile, si erano verificate negli ultimi anni parecchie morti sospette. Così tante che il ministero della sanità brasiliana ha cominciato a indagare sulla dottoressa Virginia Soares de Souza, i cui pazienti, malati di cancro, morivano “troppo velocemente” rispetto a un normale decorso della malattia.

LETTI DA LIBERARE. Inizialmente l’indagine riguardava la morte di una ventina di pazienti, ma andando a vedere altre cartelle retrodatate, si è notato che in totale erano più di trecento le vite dei pazienti interrotte troppo presto, in sette anni. La dottoressa De Souza portava a termine il suo piano di eutanasia su pazienti da lei ritenuti non più meritevoli di vivere, somministrando loro dosi letali di farmaci o riducendo la quantità di ossigeno a coloro che si trovavano in terapia intensiva. A incriminare la donna, che non si dichiara pentita del suo operato, ma che anzi pensa di avere aiutato quei malati terminali, ci sono anche le testimonianze di coloro che lavoravano con lei. «Era necessario liberare quei letti occupati da troppo tempo per altri pazienti», così si è giustificata De Souza.

PAZIENTI LUCIDI. A destare sospetti è stata la morte di un ultimo paziente, lo scorso gennaio, deceduto un’ora dopo la somministrazione di un miorilassante, il Pavulon. «Tutti i pazienti da lei scelti per l’eutanasia erano comunque perfettamente lucidi, pur essendo malati terminali. Uno aveva appena chiesto alla sua famiglia di avere con sé gli occhiali da lettura, per leggere un po’ mentre si trovava in terapia intensiva. Un altro aveva chiesto all’infermiera un po’ d’acqua, ma quando questa è tornata l’ha trovato morto», racconta una delle voci sentite dal ministero della salute brasiliana. Altri tre medici e un infermiere sono stati arrestati, per probabile collaborazionismo con la De Souza. Che non può avere agito da sola nel suo piano di morte.

North Dakota: limite di aborto abbassato alla sesta settimana -  25 marzo, 2013 - http://www.uccronline.it

Feto è una persona

Dopo che lo stato dell’Arkansas ha bandito l’aborto dopo le 12 settimane di gravidanza, ovvero quando diventa possibile ascoltare i battiti cardiaci del feto con apparecchiature ad ultrasuoni, ora in Nord Dakota, dove governano i Repubblicani, si propone che il battito del cuore del feto debba essere ricercato per via transvaginale, abbassando il limite alla quinta-sesta settimana di gestazione.

Faranno eccezione i casi di grave pericolo per la vita o la salute della madre, ma non i casi di stupro o incesto. Inoltre, se il governato firmerà il disegno di legge (come dovrebbe avvenire a breve) non sarà possibile abortire a causa di anomalie genetiche del nascituro né (udite, udite!) perché non è del sesso preferito. Si prevede che l’introduzione di queste leggi, le più restrittive attualmente negli Stati Uniti, possa abbassare del 75% il numero delle interruzioni di gravidanza provocate, ma naturalmente gli abortisti insorgono e vogliono che siano bocciate per incostituzionalità.

“Il Governo deve fermare queste proposte di legge, perché le decisioni che riguardano la maternità sono un fatto privato della donna e della famiglia e non devono essere prese dai politici” asserisce l’attivista pro-choise Jennifer Dalven. Sul fronte pro-life la senatrice repubblicana Bette Grande, promotrice di questi disegni di legge, li definisce “molto semplici, perché chiunque capisce che il battito del cuore significa vita”.

Lo stato del Nord Dakota non ha un grosso peso demografico, ha all’incirca 670.000 abitanti, tuttavia l’introduzione di queste leggi sarà una piccola vittoria per il movimento per la vita.

Linda Gridelli

sabato 23 marzo 2013

Corriere della Sera - Medici non punibili, il giudice contro il decreto di Luigi Ferrarella, 23 marzo 2013


Sabato 23 marzo 2013 - Medici non punibili il giudice contro il decreto 


MILANO — Il decreto Balduzzi, che sottrae alla punibilità penale la colpa lieve di medici e infermieri attenutisi a linee guida e buone prassi, è «una legge ad professionem» in contrasto con la Costituzione perché delinea un'irrazionale area di non punibilità per i soli operatori sanitari, sguarnisce la tutela dei pazienti, e nel contempo rischia di burocratizzare il medico e frustrarne il progresso scientifico: è quanto prospetta la nona sezione del Tribunale di Milano nell'impugnare ora la legge davanti alla Consulta in un processo per lesioni colpose a 4 sanitari dell'ospedale Galeazzi difesi dai legali Brusa e Ballabio.
Il decreto che porta il nome del ministro della Sanità nel governo Monti, motivato nel settembre scorso anche dalla volontà di ridurre i costi pubblici della «medicina difensiva» (cioè dell'iperprescrizione di esami e terapie per paura di denunce e risarcimenti), interessa centinaia di migliaia di persone che esercitano una professione sanitaria, quindi non solo medici ma anche infermieri, farmacisti, biologi, psicologi, operatori sociosanitari e anche veterinari; e, lasciando intatta la responsabilità civile, comporta il loro esonero della responsabilità penale per «colpa lieve» nel caso in cui l'operatore sanitario dimostri di essersi attenuto alle «linee guida» e alle «buone pratiche» accreditate dalla comunità scientifica. 
Il primo problema, ad avviso del giudice Bruno Giordano, è intendersi sulla natura di queste «mere raccomandazioni per le quali la legge non offre alcun criterio di determinazione. Non vengono specificate le fonti delle linee guida, quali siano le autorità titolate a produrle, quali siano le procedure di raccolta dei dati statistici e scientifici, e quale sia la loro pubblicità per diffonderle e renderle conoscibili agli stessi sanitari; per le prassi non viene specificato il metodo di raccolta e come possa individuarsi la «comunità scientifica». Se soltanto si considera che per talune specializzazioni mediche vi sono nel nostro Paese 3 linee guida regionali, 13 nazionali, alcune decine europee (e 2.000 negli Usa) — osserva Giordano — , giocoforza bisogna dedurne l'assoluta imprecisione e non determinabilità dei confini dell'area di non punibilità». 
Per il giudice, inoltre, il decreto Balduzzi produrrebbe «un risultato che rischia di burocratizzare le scelte del medico e quindi avvilire il progresso scientifico», perché «l'area di non punibilità è ingiustificatamente premiale per chi manifesta acritica e rassicurante adesione alle linee guida, ed è altrettanto ingiustificatamente avvilente e penalizzante per chi se ne discosta con pari dignità scientifica».
Troppo vago sarebbe poi il concetto di «colpa lieve»: parametro sinora usato per tarare l'entità della pena, è trasformato in una esimente ma con «formula criticamente equivoca che evidenzia un dato normativo impreciso, indeterminato e quindi in attrito con il principio di ragionevolezza e di tassatività».
Luigi Ferrarella
lferrarella@corriere.it
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LA VITA INDIFESA - Non abortì, coppia risarcita -  23 marzo 2013 - http://www.avvenire.it


​I futuri genitori hanno il diritto di essere informati sulle malformazioni del feto «indipendentemente dalla eventuale maturazione delle condizioni che abilitano la donna a chiedere l’interruzione di gravidanza» e se il medico manca questo adempimento la corte può stabilire un risarcimento del danno. Ribadendo un orientamento già espresso in sentenze precedenti, così si è espressa la terza sezione civile della Cassazione con la sentenza depositata ieri (la n. 7269/13), in cui la Corte ha accolto il ricorso di una coppia il cui figlio è nato affetto da spina bifida. 

Secondo quanto riportato, la donna durante la gravidanza aveva effettuato alcuni esami per accertare eventuali malformazioni del feto, ma dall’ecografia morfologica non era risultato nulla di anomalo e lei non aveva ritenuto opportuno sottoporsi all’amniocentesi. Il bambino era poi nato con una grave malformazione che aveva portato la donna a citare in giudizio il proprio ginecologo sostenendo che, se fosse stata a conoscenza della patologia, non avrebbe portato a termine la gravidanza. Nel 1997 il giudizio di primo grado aveva condannato il medico a un cospicuo risarcimento, ritenendo che la mancata diagnosi «avesse impedito alla gestante di esercitare il diritto di chiedere l’interruzione di gravidanza» secondo la legge 194. Dieci anni dopo però, la Corte d’Appello di Firenze aveva riformato la sentenza ritenendo che si era sì in presenza di un’inadempienza del medico ma, richiamando la stessa legge 194, «perché possa essere praticata l’interruzione volontaria della gravidanza dopo i primi 90 giorni non è sufficiente che siano accertati processi patologici nel feto, ma è necessario che si determini un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna».

E su questo non erano emersi elementi nell’istruttoria, così come «non erano emersi elementi indicativi della concreta volontà della gestante di esercitare il diritto alla interruzione di gravidanza». La Corte di Cassazione ha invece accolto il ricorso della coppia osservando che «non v’ha dubbio che il primo bersaglio dell’inadempimento del medico è il diritto dei genitori di essere informati, al fine, indipendentemente dall’eventuale maturazione delle condizioni che abilitano la donna a chiedere l’interruzione della gravidanza, di prepararsi psicologicamente e, se del caso, anche materialmente, all’arrivo di un figlio menomato». Ma un passaggio in particolare suscita perplessità. Per i giudici di Piazza Cavour, è legittimo per il magistrato «assumere come normale e corrispondente a regolarità causale che la gestante interrompa la gravidanza se informata di gravi malformazioni del feto e conseguentemente di ricondurre al difetto di informazione, come alla sua causa, il mancato esercizio di quella facoltà». Il caso ora torna alla Corte d’Appello di Firenze.

Emanuela Vinai
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LA NUOVA RUPE TARPEA -“Uccidere un bimbo non è reato”. I filosofi blasonati che giustificano l’infanticidio. Intanto in Europa si eliminano i neonati disabili - di Giulio Meotti - IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 23 MARZO 2013

Nel 1977 l’allora chirurgo generale degli Stati Uniti, C. Everett Koop, scomparso tre settimane fa e salutato dalla stampa liberal come il grande pioniere della sanità americana, tenne un discorso che fece scalpore al parterre dell’American Academy of Pediatrics, intitolato “The slide to Auschwitz”. “L’infanticidio è messo in pratica e sono preoccupato perché non c’è protesta”, disse il medico-ministro. “Sono preoccupato perché quando i primi 273 mila tedeschi, anziani, disabili e ritardati furono uccisi nelle camere a gas non ci fu protesta neppure allora da parte della professione medica e non fummo molto lontani da Auschwitz”. Sono trascorsi trentasei anni da quello storico j’accuse di Koop e l’infanticidio, l’eutanasia dei bambini, o come viene chiamato da altri più eufemisticamente “aborto post nascita”, è diventato mainstream.  

Il “rottweiler di Darwin”, il professor Richard Dawkins, l’autore di “The God Delusion”, ha appena dichiarato che i feti, i bambini non nati, sono “meno umani” di un maiale adulto. “Riguardo a cosa sia ‘umano’ e alla moralità dell’aborto, ogni feto è meno umano di un maiale adulto”. Dawkins ha così giustificato l’uccisione di neonati disabili: “Moralmente non vedo obiezione, sarei a favore dell’infanticidio”. Della stesso avviso il professor Steven Pinker, docente ad Harvard, appena arrivato in Italia col suo libro “Il declino della violenza” (Rizzoli), per il quale i nuovi nati non sono ancora “persone”.  

Le nuove teorie sull’infanticidio, moderna versione della Rupe Tarpea, si formano nel Centro per la bioetica fondato da Peter Singer presso la Monash University di Melbourne. “Se paragoniamo un nuovo nato deficiente a un cane o a un maiale, scopriremo che il non umano ha capacità superiori”, ha scandito il professor Singer, che per questo è stato soprannominato “il filosofo della soluzione finale”. “Pensare che la vita di un neonato abbia uno speciale valore perché è piccolo e grazioso è come pensare che un cucciolo di foca, con la sua soffice pelliccia bianca e i suoi occhioni tondi, meriti più protezione di un gorilla”. Nel 1997 Singer fu invitato a tenere una conferenza sull’eutanasia in Svezia. Il cacciatore di nazisti Simon Wiesenthal si rifiutò d’incontrarlo perché, disse, “è inaccettabile un professore di morale che giustifica l’uccisione di nuovi nati handicappati”. George Pell, arcivescovo di Melbourne, dove Singer insegnava prima di atterrare nel celebre campus di Princeton nel Massachusetts, gli ha dichiarato guerra, chiamandolo “il ministro della propaganda di Erode”. Per il New York Times la sua popolarità a Princeton è simile a quella di Albert Einstein negli anni Quaranta all’Institute for Advanced Studies. Il New Yorker, in una celebre gigantografia, lo ha definito il filosofo più influente al mondo.

E’ vero, perché non c’è teoria filosofica che abbia scatenato più clamore di quella di Singer negli ultimi vent’anni. La sua assunzione da parte dell’Università di Princeton, la più conservatrice tra le otto prestigiose università della Ivy League, ha scatenato un chiasso mediatico non inferiore al mancato ingaggio del teorico dell’amore libero, Bertrand Russell. Il Wall Street Journal ha paragonato l’assunzione di Singer a quella del nazista Martin Bormann, accusando l’ateneo di aver “gettato in mare la concezione della dignità umana che da due millenni caratterizza la civiltà occidentale”. Vegetariano, evoluzionista di sinistra, militante socialdemocratico, paladino degli animalisti che devolve parte del suo stipendio in beneficenza, Singer ha fondato le teorie sull’eutanasia infantile in vigore oggi in Europa: “Ci sono molti esseri che sono consapevoli e capaci di provare piacere e dolore ma che non sono razionali e quindi non sono delle persone”, ha scritto il famoso bioeticista. “Molti animali non-umani rientrano in questa categoria, alcuni infanti e altri deficienti mentali. Dato che gli infanti sono indifesi e moralmente incapaci di commettere un crimine, chi li uccide non ha le scusanti spesso concesse per l’uccisione di un adulto. Niente di tutto ciò mostra comunque che l’uccisione di un bambino dovrebbe ritenersi grave quanto quella di un adulto”. E’ nata anche una Princeton Students Against Infanticide.  

Da anni stanno uscendo saggi importanti di bioeticisti e filosofi che giustificano l’eutanasia dei nuovi nati. Jeff McMahan ha scritto ad esempio in “The ethics of killing” (Oxford University Press) che “l’infanticidio è giustificabile” in caso di “gravi disabilità mentali” del bambino. “La ragione per cui non ci sono differenze intrinseche fra neonati e feti è che un feto potrebbe essere un nuovo nato prematuramente”. Quindi l’aborto e l’infanticidio hanno la stessa valenza morale.

 In Inghilterra il professore del King’s College Jonathan Glover ha giustificato l’infanticidio sulla base del fatto che “va considerata l’autonomia della persona la cui vita è in gioco, se valga la pena di essere vissuta”. La filosofa utilitarista Helga Kuhse ha articolato la legittimità dell’uccisione degli handicappati in “Should the Baby Live? The Problem of Handicapped Infants”, un libro che ha scritto insieme a Singer. Sulla rivista Journal of Applied Philosophy, con il saggio “Consciousness and the Moral Permissibility of Infanticide”, gli studiosi Nicole Hassoun e Uriah Kriegel hanno sostenuto che “non è permesso uccidere una creatura soltanto quando questa è cosciente; è ragionevole pensare che ci sono casi in cui i neonati non sono coscienti; quindi è ragionevole pensare che sia lecito uccidere alcuni nuovi nati”.

Hugo T. Engelhardt jr, autore del “Manuale di bioetica”, non esclude la possibilità dell’infanticidio osservando che “il dovere di preservare la vita di un neonato generalmente viene meno con il diminuire delle possibilità di successo nonché della qualità e della quantità della vita, e con l’aumentare dei costi del conseguimento di tale qualità”. Il noto bioeticista ha coniato la definizione di “straniero morale” per indicare tutti quegli esseri umani (non nati, gravi ritardati mentali, dementi, comatosi, in stato vegetativo, ecc.) che non avrebbero titolo a essere considerati “persone” perché privi della capacità di esprimere biasimo o lode e quindi, appunto, estranei alla comunità sociale. I due premi Nobel che hanno decifrato la struttura del Dna, Francis Crick e James Watson, hanno dichiarato che dovrebbe essere istituito un periodo di due giorni di osservazione dopo la nascita in cui i bambini non sono ancora pienamente “persone” e quindi soggette a possibile eutanasia. Una delle università mediche reali della Gran Bretagna, il Royal College of Obstetricians and Gynaecologists, ha invitato la comunità medica a studiare la possibilità di consentire l’eutanasia di neonati seriamente disabili. L’università ha sostenuto che “l’eutanasia attiva” dovrebbe essere considerata per il bene generale delle famiglie, per risparmiare ai genitori i turbamenti emotivi e le difficoltà finanziarie di crescere i bambini più gravemente ammalati. “Un bambino molto disabile può significare una famiglia disabile”. Joy Delhanty, docente di Genetica all’Università di Londra afferma: “Penso che sia immorale sforzarsi di mantenere in vita bambini che soffriranno per molti mesi o anni a causa di affezioni molto gravi”.  

Richard Nicholson, redattore del Bulletin of Medical Ethics, che ha ammesso di aver accelerato la morte di due bambini neonati gravemente disabili negli anni Settanta, quando era un medico neo laureato, afferma: “Non mi opporrei a questa pratica”, riferendosi anche “al dolore, all’afflizione e al disagio” dei bambini gravemente disabili.  

Scandalo hanno generato le tesi del professor John Harris, perché è un membro della commissione governativa di Genetica umana e professore di Bioetica all’Università di Manchester: “E’ possibile sopprimere in caso di gravi anomalie fetali finché è un feto ma non possiamo uccidere un neonato. Che cosa pensa la gente che cambi nel passaggio lungo il canale vaginale da rendere giusto uccidere un feto a un’estremità del canale ma non all’altra?”.

In Europa l’infanticidio sta diventando una prassi. Secondo uno studio realizzato da Veerle Provoost, una ricercatrice dell’Università di Gand, la metà dei bambini colpiti da malattie gravissime e deceduti in Belgio entro il primo anno di vita sono stati aiutati o lasciati morire, ricorrendo, quindi, a una forma non dichiarata di eutanasia e non prevista per i minorenni. Per questo oggi il Belgio sta studiando come estendere l’eutanasia anche ai bambini. Lo studio di Provoost calcola che per 150 bambini è risultato che la morte è dovuta alla decisione “di mettere fine alla vita” del piccolo paziente, adottata mediante la sospensione del trattamento capace di prolungarne l’esistenza, la somministrazione di oppiacei e l’impiego di prodotti tesi esplicitamente a provocare la morte del bambino. Nel 30 per cento dei casi non si trattava neppure di malati terminali, ma di bambini che non avrebbero potuto avere “una qualità della vita accettabile”. In questi casi “è insensato prolungare la loro esistenza a ogni costo”, ha dichiarato José Ramet, primario all’ospedale universitario di Anversa e presidente della società belga di pediatria.  

Il Liverpool Care Pathway (Lcp) è il protocollo seguito negli ospedali britannici che indica come i medici debbano accompagnare alla morte i malati in fin di vita. Il protocollo prevede l’interruzione di alimentazione e idratazione. Alcune settimane fa, sulle pagine dell’autorevole British Medical Journal è stato rivelato che il protocollo è applicato anche ai bambini con disabilità. Un medico inglese che vuole rimanere anonimo ha raccontato la vicenda di un bambino nato con una lista molto lunga di anomalie congenite. I genitori del neonato malformato erano d’accordo sull’applicazione del Lcp e speravano che morisse in fretta. “Si auguravano che gli venisse una polmonite e che non soffrisse. Ma nella mia esperienza di medico ho visto che non si può sapere quanto sopravviveranno i bambini nati con malformazioni”.  

Un anno fa è apparso sul prestigioso Journal of Medical Ethics il saggio di due studiosi italiani che fanno ricerca in Australia, Alberto Giubilini e Francesca Minerva: “Se pensiamo che l’aborto è moralmente permesso perché i feti non hanno ancora le caratteristiche che conferiscono il diritto alla vita, visto che anche i neonati mancano delle stesse caratteristiche, dovrebbe essere permesso anche l’aborto post nascita”. Ovvero: al pari del feto, anche il bambino già nato non ha lo status di “persona”, pertanto l’uccisione di un neonato dovrebbe essere lecita in tutti i casi in cui è permesso l’aborto, anche quando il neonato non ha alcuna disabilità ma ad esempio costituisce un problema economico o di altra natura per la famiglia. Le loro idee sono state sdoganate anche in Italia: Maurizio Mori, direttore del master di Bioetica all’Università di Torino, in gennaio li ha invitati a parlare. “Alle idee di Singer di trent’anni fa, quando non eravamo nemmeno nati, noi abbiamo aggiunto solo un pezzetto: il fatto che non occorra che il neonato sia disabile per poterlo uccidere”. L’infanticidio dovrebbe essere consentito per le stesse ragioni per cui è permesso l’aborto. “L’essere ‘umano’ non è di per sé ragione sufficiente per attribuire a qualcuno il diritto alla vita”, affermano i due studiosi. “Sia il feto sia il neonato sono certamente esseri umani ma né l’uno né l’altro sono ‘persone’ nel senso di ‘soggetto di un diritto morale alla vita”’.  

Il pioniere dell’infanticidio è il dottor Eduard Verhagen. Sono tre le categorie di neonati secondo cui per questo pediatra olandese si può porre fine alla loro vita. La prima: “I bambini destinati a morire in breve tempo nonostante il sostegno ininterrotto di tecnologia medica invasiva. Questi sono bambini con una patologia di fondo, quale può essere l’assenza di reni, polmoni non sufficientemente sviluppati, eccessiva prematurità (come per i neonati di meno di 22 settimane) e per i quali la morte è un fatto inevitabile”. Secondo gruppo: “Pazienti che necessitano di un trattamento intensivo e che, dopo questo periodo di cure, potrebbero anche sopravvivere, ma le cui prospettive di vita, dal punto di vista della qualità dell’esistenza, sono davvero miserevoli”. Differenti tipologie di bambini possono rientrare in questa categoria: i bambini con gravi malformazioni cerebrali (come nel caso della oloprosencefalia) o che hanno riportato gravi danni neurologici (come nel caso di asfissia o di gravi emorragie cerebrali). “I bambini di questa categoria si prevede che muoiano non appena il trattamento delle cure intensive venga interrotto”. Terzo gruppo: bambini “che non dipendono da un trattamento medico intensivo, e la cui sofferenza è sostenuta e grave e non può essere alleviata in alcun modo. Un esempio di quest’ultimo caso sono i bambini che sopravvivono grazie al sostegno di una tecnologia sempre più avanzata, ma per i quali appare presto chiaro che, finito il trattamento intensivo, la loro vita sarà piena di sofferenze intollerabili e senza la speranza di alcun miglioramento”. In sintesi, l’infanticidio è stato esteso anche a bambini non terminali ma semplicemente disabili.  

I parametri giudicati sufficienti per deliberare un intervento di “life-ending”, o come la chiamano in Olanda di “terminazione”, sono la “mancanza di autosufficienza”, “mancanza di capacità di comunicazione”, “dipendenza ospedaliera”, “aspettativa di vita”. “Euthanasia in Severely Ill Newborns”. E’ il titolo dell’ormai famoso articolo del New England Journal of Medicine nel quale i due pediatri olandesi Verhagen e Pieter J. J. Sauer annunciarono al mondo il “Protocollo di Groningen”, il documento medico più esplosivo e controverso degli ultimi dieci anni. Nel 2004, il centro medico di Verhagen all’Università di Groningen invase le prime pagine di tutte le principali testate internazionali con l’ammissione che avevano praticato l’eutanasia pediatrica. Da qui la decisione di pubblicare le linee guida per l’eutanasia neonatale che l’ospedale aveva eseguito nel porre fine alla vita di 22 neonati tra il 1997 e il 2004.  

Anche l’Hastings Center Report, una delle principali riviste di bioetica del mondo, ha pubblicato un saggio di Hilde Lindemann e Marian Verkerk, “Ending the Life of a Newborn”, in cui i due autori sostengono che “porre fine attivamente a una vita qualche volta può essere più umano di aspettare la morte di una persona”. Verhagen ha ammesso di aver praticato l’eutanasia su quattro bambini nei tre anni precedenti alla pubblicazione attraverso l’iniezione letale di morfina e di midazolam (un potente sedativo).  

A Norimberga i medici tedeschi furono impiccati perché colpevoli di infanticidio. Oggi l’introduzione e la legittimazione di quello stesso crimine viene discussa sulle pagine delle più prestigiose riviste accademiche e lo si pratica nei corridoi delle migliori unità neonatali d’Europa. Come scrive Mireille Horsinga-Renno nel libro sull’eutanasia nazista “Cher Oncle Georg”, “qual è l’oggetto della civiltà se non quello di far sbocciare il fiore fragile di una speranza collettiva (che si poggia sul rispetto della dignità di ciascuno) sul letame e la sporcizia? Forse il letame sta di nuovo esalando i suoi miasmi? Come il comignolo del castello di Hartheim che sputava il suo fumo di morte”.  

Avvenire è Famiglia - "Non si può cacciare di casa il convivente" di Emanuela Vinai - Avvenire, 22 marzo 2013



SCIENZA - L'Universo neonato ha fatto la foto - 22 marzo 2013 - http://www.avvenire.it

Telescopio Spaziale Planck Esa

Alle 13 di ieri, 21 marzo 2013, dopo oltre vent’anni di duro lavoro e di trepidante attesa i responsabili dell’Agenzia Spaziale Europea (Esa) hanno reso pubblici a Parigi i risultati ottenuti dalle osservazioni del satellite Planck e di uno sforzo congiunto di centinaia di scienziati di tutto il mondo, Italia compresa: il satellite è stato finanziato in parte anche da Agenzia Spaziale Italiana (Asi) e Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) e realizzato da un gruppo di aziende coordinato dalla Thales Alenia Space. Il perno di questi risultati è una fotografia, una singola immagine: si tratta della mappa più accurata mai ottenuta dell’universo primordiale prodotta dal telescopio spaziale Planck dell’Esa. Il Planck è una sorta di «macchina del tempo»: i suoi sofisticati strumenti catturano luce (oggi la vediamo sotto forma di microonde) che ha viaggiato quasi per l’intera età dell’universo, circa 14 miliardi di anni, e dunque ci restituiscono un’istantanea di come si presentava il cosmo all’inizio della sua storia, quando la sua età era «solo» di 380.000 anni, lo 0,003% di quella attuale. In proporzione, è come vedere un bimbo di poche settimane di vita rispetto a un adulto di 50 anni. La mappa di Planck ci mostra l’universo in una fase molto iniziale, ben prima della formazione delle galassie, delle stelle e di qualunque altra realtà strutturata. Era un universo assai diverso da quello attuale, quasi completamente uniforme, mille volte più caldo e un miliardo di volte più denso. Ma in quel plasma infuocato e indistinto qualcosa già si muoveva. Nelle regioni in cui la densità era leggermente superiore alla media, la gravità richiamava altra materia facendola collassare. A un certo punto però le forze elettriche delle particelle cariche incominciavano a opporre resistenza, cambiando la compres-sione in una dilatazione, e così via. Si innestavano così delle oscillazioni di pressione, vere e proprie onde sonore che con frequenze diverse (come fossero diverse note musicali) risuonavano nel plasma primordiale, producendo i semi gravitazionali per la formazione delle strutture che oggi vediamo nell’universo attuale.
Per la prima volta Planck ha captato per intero questa «sinfonia cosmica», cogliendone tutto lo spettro, dalle frequenze più gravi e imponenti (le oscillazioni su dimensioni maggiori) a quelle più acute (le oscillazioni su scale più piccole). La mappa di Planck rivela con un dettaglio spettacolare un’istantanea di quelle fluttuazioni, dalla cui statistica possiamo risalire alle caratteristiche fisiche di quell’universo iniziale. È come osservare delle increspature su una superficie liquida: a seconda di come si presentano possiamo dedurre il tipo e la densità del liquido (se si tratta di olio o di acqua, ad esempio), la profondità, il grado di uniformità, le correnti interne, eccetera. Nel caso di Planck la superficie è il plasma primitivo, le increspature sono le oscillazioni acustiche, e da esse possiamo dedurre gli ingredienti del cosmo, la sua geometria, e addirittura risalire a fenomeni accaduti nelle prime frazioni di secondo dopo l’inizio del tempo. Dopo anni di delicate analisi, i risultati di Planck ci offrono una splendida combinazione di conferme e di imprevisti. Anzitutto Planck ha verificato in modo straordinario la validità del modello cosmologico standard. Significa in pratica che i tratti essenziali del nostro universo sono descritti molto bene da una manciata di parametri: sei numeri in tutto. Planck ha precisato il valore di quei parametri con un’accuratezza senza precedenti, rivelando fra l’altro che la materia oscura ha un’abbondanza del 20% superiore a quello che si pensava. E ha fornito una data di nascita ben precisa per il nostro universo: 13,82 miliardi di anni, con la pazzesca precisione dello 0.4%. Ma non è tutto. Le mappe di Planck hanno anche rivelato alcuni indizi – non appariscenti, quasi impercettibili – che potrebbero essere sintomo di qualcosa di più profondo. Uno dei pilastri della cosmologia moderna è il cosiddetto principio cosmologico, ovvero l’assunto che su grande scala l’universo è in sostanza ovunque uguale a se stesso. Planck ha rivelato qualche crepa in questa assunzione fondamentale. Ad esempio si osserva una lieve ma ben misurabile asimmetria tra un emisfero e l’altro del cielo; inoltre si nota la presenza di un’ampia regione "fredda" difficile da spiegare come una semplice fluttuazione statistica; e altre piccole stranezze.

Come spesso succede nella storia della scienza, non si fa in tempo a consolidare un passo che già urgono nuove domande (il satellite Planck continuerà le sue osservazioni fino al prossimo autunno). E così, per fortuna, ci si sente sempre all’inizio di una nuova avventura. Ammirando ancora una volta la mappa di Planck ritorna un pensiero: l’universo iniziale era veramente di una semplicità disarmante.  Impressiona considerare come quella uniformità quasi assoluta appena mossa da un soffio di brezza (le oscillazioni acustiche) sia stata il terreno fertile per lo sbocciare della complessità, della ricchezza, della varietà che troviamo nell’universo presente. Ed ecco la vita, la coscienza, ecco noi stessi in questo quadro: Il più enigmatico dei frutti dell’universo, irriducibili a tutto ciò che ci precede e ci circonda, e allo stesso tempo materialmente dipendenti da questa storia cosmica così sottile e imponente. Dice un salmo «Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra» (Sal 138,15). Il nostro corpo e le nostre ossa hanno avuto bisogno della terra del cosmo intero, comprese quelle leggere increspature nell’universo di 13,82 miliardi di anni fa.

Marco Bersanelli - Fisico e membro della missione Planck dell’Esa

"Stravolte le regole della ricerca" di Emanuela Vinai - Avvenire, 21 marzo 2013


Aborto terapeutico, ora la Gran Bretagna si interroga. Avviata un'indagine sulla legge troppo permissiva Avvenire


Quel "doping" che potenzia la mente Avvenire



Usa, aborto illimitato. La Chiesa protesta contro la peggiore legge contro la vita - marzo 23, 2013 - Benedetta Frigerio - http://www.tempi.it

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«Non mancherò di stare in spirito vicino ai miei fratelli vescovi che si incontreranno con il governatore Cuomo», sono le parole giunte martedì scorso dal cardinale Timothy Dolan, capo della Conferenza episcopale americana, rivolte ai vescovi e ai leader politici che hanno fatto visita al governatore democratico di New York, Andrew Cuomo, per discutere di quella che definiscono un’«inaccettabile» legge abortista.

IL DISEGNO DI LEGGE DI CUOMO. Dolan ha assicurato preghiere affinché si trovasse «un accordo tra i nostri leader eletti per aiutare coloro che mantengono i loro bambini, coloro che hanno già abortito e hanno bisogno di amore, compassione e di guarigione». E quindi per frenare l’approvazione da parte del Parlamento della legge “Reproductive Health Act”.
Ieri il vescovo di Rockville, William Murphy, ha raccontato gli esiti del dialogo con il governatore su una norma che ritengono «molto preoccupante per il bene della società». Il disegno di legge sostenuto da Cuomo parla infatti dell’aborto come di un «diritto fondamentale», abolendo ogni limite temporale. Permetterebbe anche a qualsiasi operatre sanitario, anche non medico, di eseguire aborti, eliminerebbe gli oneri per omicidio colposo in caso di morte della donna e abolirebbe l’obbligo di notifica da parte dei genitori di minorenni.
Murphy ha raccontato che il governatore li ha lasciati parlare, ma non si è spostato dalla sua posizione. I vescovi hanno quindi parlato dei diritti dei bambini, spiegando che non manca la preoccupazione per le donne in condizioni difficili. Perché anche per la donna l’aborto è la scelta peggiore. Non solo, ha chiarito il vescovo, «il più delle volte siamo noi quelli che le consigliano e le aiutano». L’aborto «non è la risposta», perciò la posizione della «Chiesa sul rispetto della vita è “incrollabile”».

IL FINTO COMPROMESSO. Nello stesso giorno i vescovi hanno preso posizione pubblica, dopo aver analizzato a fondo la proposta di revisione dell’“Obama mandate” che costringe tutti, compresi i datori di lavoro religiosi, le imprese e le scuole confessionali a pagare assicurazioni che includano la contraccezione e l’aborto. La norma, definita dalla Chiesa come «una violazione senza precedenti della libertà religiosa da parte del governo federale», continua a contenere una serie di problemi. Si legge infatti: «L’ultima proposta richiede la copertura di elementi e procedure che, a differenza di altri servizi di prevenzione obbligatoria, non servono a prevenire le malattie. Al contrario, sono associati ad un aumentato di rischi negativi per la salute». Non solo, non esiste alcuna «esenzione per la grande maggioranza delle parti interessate, individui o istituzioni, con obiezioni religiose o morali alla copertura contraccettiva». Mentre «praticamente tutti gli americani che sottoscrivono un piano assicurativo saranno infine tenuti ad includevi una copertura contraccettiva e abortiva per sé e per i loro familiari a carico, che lo vogliano o meno».

LA CONFERENZA EPISCOPALE. L’ultimo compromesso di Obama giocava sul fatto che il “datore di lavoro religioso” poteva fare obiezione di coscienza e non pagare simili assicurazioni. Ma l’attuale proposta continua a definire il “datore di lavoro religioso”», escludendo di fatto «una vasta gamma di datori di lavoro che sono innegabilmente religiosi». Generalmente, poi, «molte organizzazioni non profit religiose, che non rientrano nell’esenzione, sono quelle che contribuiscono più visibilmente al bene comune attraverso la fornitura di servizi sanitari, educativi e sociali». Dunque «il mandato continua a rappresentare un’inedita (e ora prolungata) violazione della libertà religiosa da parte del governo federale. Applicato ad individui ed organizzazioni che vorrebbero fare obiezione di coscienza, il mandato vìola il Primo Emendamento».
Infine, i vescovi hanno ribadito di essere «disposti, ora come sempre, a collaborare con l’Amministrazione per raggiungere una soluzione giusta e legittima di questi problemi». Ma finché ciò non avverrà, hanno chiarito: «Insieme ad altri continueremo a cercare una risoluzione a questi problemi nel Congresso e nei tribunali».
Per questo, dopo l’incontro con Cuomo, i vescovi di New York hanno esortato tutti a «continuare a pregare affinché la libertà di coscienza sia protetta e affinché i cattolici che hanno il compito di garantire la salute abbiano la forza di perseverare quando incontreranno avversità finanziarie e legislative».

@frigeriobenedet  

venerdì 22 marzo 2013


Inghilterra. Ognuno potrà avere “tre genitori”. Quintavalle: «Fantascienza eugenetica » - marzo 22, 2013 Benedetta Frigerio - http://www.tempi.it

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«I giornali inglesi ne hanno parlato come di un semplice scambio di mitocondri, mentre si tratta di un progetto fantascientifico eugenetico di cui poco si sa e che si prefigge la creazione di esseri umani con due mamme e un papà, manipolando il corredo genetico degli embrioni. Il messaggio passato fra la gente, complice la disinformazione e la mancanza di leader che parlino chiaro, è che si stanno semplicemente sperimentando nuove cure». Sono le dichiarazioni a tempi.it di Josephine Quintavalle, la più nota esponente laica del movimento pro-life britannico, fondatrice e direttrice del Comment on Reproductive Ethics, l’osservatorio sulle tecniche riproduttive umane, chiamata dalla Human Fertilization and Embryology Authority (Hfea), organo governativo che regolamenta la fecondazione assistita, ad argomentare contro la proposta di permettere la fecondazione artificiale di un bambino con tre persone diverse.

SPERIMENTAZIONE SUGLI EMBRIONI. La Hfea ha stabilito che la sperimentazione potrà procedere, sebbene non si sappia nulla degli esiti probabili. «Durante la discussione moltissimi laici, fra cui noti progressisti, si sono dichiarati contrari alla procedura. È poi stata pubblicata una lettera contraria alla sperimentazione sul giornale liberal The Guardian, firmata da esponenti di destra e sinistra, religiosi e atei. Un’altro documento contrario è apparso sul Times, firmato da circa 40 intellettuali di tutto il mondo. Sono colpita da come i verdi tedeschi si stiano avvicinando a chi ha a cuore la vita, davvero rispettano il creato. Mentre quelli inglesi parlano solo di ambiente, dimenticando la manipolazione umana. Non solo, gli inglesi non si curano nemmeno del giudizio europeo la cui Corte ha recentemente vietato la sperimentazione sugli embrioni». Per questo la Hfea ha comunque chiesto al Parlamento di approvare la modifica della legge sulla fecondazione? Quintavalle non usa mezzi termini: «Il nostro pragmatismo isolano e presuntuoso esprime esattamente la mentalità contenuta in questa decisione: non si lascia entrare nulla rispetto al proprio progetto di controllo sulla vita».

UNA CHIMERA SPAVENTOSA. «Il tentativo – dice Quintavalle – è quello di prendere un ovocita per cambiargli parte del corredo genetico inserendone un altro sano proveniente da una donatrice e poi di fecondare questo ibrido con lo spermatozoo del marito, compagno o donatore che sia. Oppure di prendere un embrione con un corredo genetico che si suppone malato per togliergli il nucleo sano e impiantarlo in un altro embrione. Se sono fattibili queste cose? Non si sa. Quel che è certo è che si manipoleranno tanti esseri umani. L’esito può essere nullo oppure mostruoso».
Si approva dunque una procedura di cui non si conoscono le conseguenze, «perché tanto, poi, esiste l’aborto. Stiamo facendo una strage e seminando sempre più morte». E la felicità dei genitori? «È l’imprevedibile a farci contenti o i nostri progetti asfissianti e ristretti? Ribadisco: manipolando la realtà ci scaviamo la fossa da soli. Quello che sta accadendo è l’esito spaventoso di una chimera».

@frigeriobenedet  

giovedì 21 marzo 2013

Muscoli ricreati in vitro, uno spiraglio per i malati Avvenire


L'eugenetica bussa al Parlamento inglese. Si va verso un voto sul "figlio di tre genitori" Avvenire



La legge filippina su aborto e contraccezione è stata fermata della Corte Suprema - marzo 20, 2013 Benedetta Frigerio - http://www.tempi.it

aborto filippine

È arrivato ieri lo stop della Corte Suprema delle Filippine all’attuazione della legge definita della “Salute riproduttiva” (Reproductive Healt), che non solo rende legale la vendita di contraccettivi e abortivi, ma che non tiene conto dell’obiezione di coscienza. La legge, permettendo il controllo delle nascite, fa da preludio a una vera e propria normativa favorevole all’aborto, ed è stata condannata sia dalla Chiesa cattolica sia da altre istituzioni. Con la decisione della Corte la norma non può più entrare in vigore il 31 marzo, giorno di Pasqua, come previsto. E rimarrà bloccata per favorire un’ulteriore discussione che avrà luogo il 18 giugno prossimo.

OBIEZIONI. Diverse obiezioni di natura costituzionale sono già state depositate presso la Corte. Il direttore della Human Life International nelle Filippine, Rene Bullecer, e il direttore regionale per l’Asia, Ligaya Acosta, hanno reagito con gioia e speranza alla notizia. Entrambi influenti oppositori del disegno di legge per oltre 14 anni, hanno commentato chiedendo ancora preghiere come già fatto in passato. «Con la grazia straordinaria di Dio, la Corte Suprema delle Filippine, con un voto di 10 a 5, ha emesso un ordine restrittivo provvisorio contro la legge sulla salute riproduttiva! Ringraziamo i nostri sostenitori in tutto il mondo che stanno pregando per noi e per le Filippine», ha detto Acosta. Spiegando che la gioia è ancora più grande «in questo giorno di festa del nostro amato san Giuseppe, protettore delle famiglie e protettore della Chiesa», e di insediamento «del nostro nuovo amato papa Francesco!». E quindi la richiesta: «Per favore, continuate a pregare per noi perché anche noi continuiamo a dare battaglia senza sosta, contro questa legge deplorevole che è stata imposta al popolo filippino. Preghiamo fervidamente che tale sospensione possa essere resa permanente»

«GRAZIE A SAN GIUSEPPE E ALLE PREGHIERE». Anche Bullecer ha parlato dell’intercessione del santo: «Ringraziamo San Giuseppe, protettore della Chiesa universale per la sua intercessione, e che questa decisione favorevole sia stata presa oggi, il giorno della sua festa», ha detto il dottor Bullecer, spingendosi più in là in vista delle elezioni politiche del 13 maggio. «Abbiamo ancor più bisogno di riunire le nostre forze e di focalizzarci sull’elezione di deputati e senatori difensori della vita», perché «se siamo in grado di eleggere i legislatori di questo genere, siamo certi dell’abrogazione della legge sulla “salute riproduttiva”, anche se il 18 giugno non dovessero prevalere le ragioni in difesa della vita, e saremo sicuri che le proposte sul divorzio, l’aborto e i matrimoni omosessuali saranno bocciate».

@frigeriobenedet  

Se siete a favore della “morte dignitosa” è perché non avete mai letto questo racconto di Vonnegut - marzo 20, 2013 Gianmario Gatti - Mauro Grimoldi - http://www.tempi.it

manchester-islam-diritto-vita-eutanasia

Leggiamo su tempi.it (ah se non ci fosse Tempi!?!) del dottor Michael Irwin e della sua idea di aprile una clinica per il suicidio assistito e “razionale” in Gran Bretagna, il nome potrebbe essere die-alogue, sul modello della Dignitas elvetica.
Allora qui bisogna raccontare una storia.

Un tizio è seduto in quella che ha l’apparenza d’essere una sala d’aspetto ed è talmente evanescente che nessuno si accorge della sua presenza, come fosse invisibile. C’è lì anche un pittore che sta affrescando la stanza con i ritratti di quelli che poi scopriremo essere dei benefattori e, mentre lavora, scambia quattro chiacchiere con una signora, forse un’infermiera. Entra il dottor Hitz, un uomo di qualche centinaio d’anni, ancora pieno di energie. Dice che deve occuparsi di un padre la cui moglie sta per mettere al mondo tre gemelli. “Sono qui” dice l’uomo invisibile. Ha una faccia triste. Non è un uomo contento. Non gioisce per l’imminente paternità. Nel suo paese, infatti, non c’è più povertà, non c’è più fame, si vive a lungo e in salute, ma per fare posto ai nuovi nati è necessario che qualcuno, spontaneamente, accetti di togliersi di mezzo. Naturalmente con dignità e in modo indolore, come garantisce l’Ufficio Federale di Terminazione, la geniale creatura del dottor Hitz dove ci troviamo. Così Edward K. Wehling, questo è il nome del fantasma triste, deve trovare tre “benefattori” se vuole che i suoi figli vengano al mondo. “Ci sarebbe la nonna” – pensa; ma c’è anche un piccolo problema: “Io voglio questi bambini” dice Edward. “Naturalmente. È umano, questo”, replica il dottore. “Sì, ma non voglio che muoia la nonna” insiste lo spettro. “Così lei preferirebbe tornare a due secoli fa, quando io ero giovane e il mondo era un inferno? Non c’era acqua, né cibo, né spazio per tutti! E tutti pretendevano di riprodursi come conigli e di vivere, magari a lungo! Un inferno, le assicuro, di violenze, malattie, ingiustizie. Pensi al presente! Pensi ai suoi figli che, a prezzo di un sacrificio accettabile, vivranno in un mondo felice, spazioso, in pace! Per tanto tempo e senza preoccupazioni, neppure quella di guadagnarsi da vivere”.

Niente da fare, realizza Edward, non c’è alternativa al “suicidio etico”. Il fantasma si deve rassegnare. Allora decide che penserà lui stesso a fare spazio ai suoi figlioli. Estrae una pistola e uccide il medico, poi spara all’infermiera e infine si suicida. Tre morti. Tre posti.

Il pittore assiste sgomento alla scena; scende dalla scala, è tentato di farla finita pure lui, ma poi ci ripensa. Va al telefono e compone un numero strano: 2BR02B. In inglese: To be or not to be. Gli risponde il Federal Bureau of Termination e lui si prenota per morire, il più presto possibile.

“Grazie signore. La sua città la ringrazia. Il suo paese la ringrazia. Il pianeta la ringrazia. Ma soprattutto la ringraziano le future generazioni” , risponde la calda voce d’una signorina, all’altro capo del filo.

È un racconto, introvabile in italiano, del 1962 di Kurt Vonnegut, pacifista, illuminista, liberal, americano anti-americano, apocalittico, fantascientifico, nato a Indianapolis nel 1922 e morto nel 2007 a New York. Sopravvissuto al bombardamento di Dresda, ha raccontato la cosa nel suo libro più famoso, Mattatoio numero cinque (Feltrinelli).

L’ultimo numero del New York Review of Books ospita qualche brano del primo capitolo dell’ultimo libro dell’insigne giurista Ronald Dworkin, morto il 14 febbraio scorso, dal titolo Religion Without God, Religione senza Dio. L’idea riportata all’inizio e da molti condivisa è più o meno che le guerre di religione sono una maledizione della nostra specie, come il cancro. Gli uomini si uccidono tra loro perché ciascuno odia il dio dell’altro. Così se noi riusciremo a separare la religione da Dio, la temperatura dell’odio scenderà e diminuiranno misura e rilevanza delle guerre.

Il Papa, incontrando il 20 marzo i rappresentanti delle altre religioni e confessioni cristiane, dice esattamente il contrario: Sappiamo quanta violenza abbia prodotto nella storia recente il tentativo di eliminare Dio e il divino dall’orizzonte dell’umanità, e avvertiamo il valore di testimoniare nelle nostre società l’originaria apertura alla trascendenza che è insita nel cuore dell’uomo.

Che c’entra tutto ciò con la storia raccontata prima? Lo chiarisce lo stesso Francesco: …Dobbiamo tenere viva nel mondo la sete dell’assoluto, non permettendo che prevalga una visione della persona umana ad una sola dimensione, secondo cui l’uomo si riduce a ciò che produce e a ciò che consuma: è questa una delle insidie più pericolose per il nostro tempo.

Sarà ora che ciascuno decida cosa è davvero razionale, cioè cosa è davvero umano.

"Indentità di genere": come cambia la legislazione Usa di Lorenzo Schoepflin - 21-03-2013 - http://www.lanuovabq.it

Elettrici di Obama

    
L’amministrazione Obama sta usando la tutela delle donne da ogni tipo di violenza come foglia di fico per introdurre forzatamente i concetti di “gender” e “orientamento sessuale” nella legislazione degli Stati Uniti. È questo, in estrema sintesi, quanto emerge dal testo del Violence Against Women Reauthorization Act approvato da Camera e Senato americani con lo scopo di dare nuovo impulso, estendendone l’applicazione a nuove categorie di persone, alla legge in vigore dal 1994.

Negli emendamenti introdotti, infatti, si legge che tra le persone che incontrano ostacoli all’accesso ai servizi garantiti alle vittime di violenza, ci sono anche coloro che sono discriminati a causa dell’identità di «genere» e dell’«orientamento sessuale». Le due espressioni, vere e proprie parole d’ordine per la lobby omosessuale, compaiono cinque volte nelle 107 pagine del Violence Against Women Reauthorization Act.  

Per capire meglio cosa significhi «identità di genere», la legge rimanda al paragrafo c, punto 4, del titolo 18 del Codice delle leggi degli Stati Uniti: l’identità di genere consiste in quelle caratteristiche «reali o percepite» relative al genere.  L’identità sessuale, cioè, come percezione e non determinata biologicamente.

È proprio questo netto ed inequivocabile contrasto con il biblico «maschio e femmina li creò» – dato biologico per altro sotto gli occhi di tutti, credenti e non – che ha innescato la protesta dei Vescovi statunitensi. Sul sito della Conferenza episcopale degli Stati Uniti (Usccb) si può consultare un comunicato nel quale si spiegano le ragioni per le quali affermano di non poter dare il loro sostegno al Violence Against Women Reauthorization Act. «Tutte le persone devono essere protette dalla violenza, ma codificare le classificazioni “orientamento sessuale” e “identità di genere” è problematico», si legge nelle dichiarazioni dei presuli statunitensi. La Usccb, che da sempre ha garantito  il supporto ideale e concreto ad ogni misura volta a proteggere le vittime di soprusi, definisce le due classificazioni «non necessarie» per la protezione dovuta a tutte le persone. I concetti contenuti nella legge approvata, infatti, «minano il significato e l’importanza della differenza sessuale» e sono «sfruttati col proposito della ridefinizione del matrimonio», che è «la sola istituzione che unisce un uomo e una donna tra loro e con i figli nati dalla loro unione».

Le perplessità dei Vescovi non si esauriscono all’ambito inerente all’identità sessuale. Nella legge oggetto delle osservazioni, infatti, viene ravvisato un altro aspetto critico: la mancata menzione del diritto all’obiezione di coscienza quando si parla di lotta al traffico di esseri umani, individuato come forma di violenza inflitta alla persona. Relativamente a questo aspetto il conflitto tra Usccb e Amministrazione Obama risale al 2011, quando a Washington si decise di tagliare i fondi a realtà assistenziali direttamente legate alla Conferenza episcopale statunitense o comunque ispirate a principi e convincimenti religiosi o morali contrari a contraccezione e aborto. Ciò accadde perché il governo federale ritenne che, tra i servizi fondamentali da garantire alle vittime del traffico di esseri umani e in particolar modo alle donne oggetto del racket della prostituzione, vi fossero appunto pratiche legate al controllo delle nascite. Questo tipo d’impostazione ha impedito a molte organizzazioni operanti nel settore dell’aiuto alla persona di proseguire nella loro preziosa opera, configurando una violazione della libertà religiosa e di coscienza.

In definitiva, ad essere danneggiati sono proprio i soggetti più deboli e bisognosi, che vedono mancare l’apporto fondamentale delle associazioni cattoliche, con conseguenti ridotte possibilità di vedere soddisfatti i loro bisogni. Il cerchio, quindi, si chiude: se con la riforma sanitaria, che configura l’obbligo di erogare contraccezione e aborto per tutti i datori di lavoro, Obama ha sferrato un attacco frontale alla vita umana nascente e alla libertà religiosa e di coscienza, con i provvedimenti approvati recentemente è nuovamente quest’ultima ad essere messa a repentaglio, questa volta assieme al concetto di famiglia.

mercoledì 20 marzo 2013


Chiara Lalli e l’aborto, un approccio poco scientifico -  20 marzo, 2013 - http://www.uccronline.it

Sindrome post aborto

La ricercatrice Chiara Lalli, volto nuovo del relativismo laicista italiano, ama spaziare senza soluzione di continuità dal sostegno per l’eutanasia fino alla negazione dell’esistenza dell’anima (ricevendo risposte precise e puntuali su questo sito web).

La filosofa collabora con Il Corriere della Sera, dove è recentemente stata recensita la sua ultima fatica dedicata all’aborto. La missione che si è data è molto suggestiva: dopo l’eutanasia come “dolce morte”, ora è il momento di far passare anche l’idea dell’“aborto dolce”, tentando di normalizzare l’interruzione di gravidanza ad un banale intervento medico, una sorta di estrazione delle tonsille. Scrive: «Voglio esplorare una possibilità teorica che si possa scegliere di abortire, che lo si possa fare perché non si vuole un figlio o non se ne vuole un altro, che si possa decidere senza covare conflitti o sensi di colpa». La frase è agghiacciante, anche perché non si parla del feto umano come un agglomerato di cellule, ma proprio di “figlio”. Una lucida e consapevole ammissione di cosa è la soppressione di individuo umano, accettata con tranquillità.

In un intervento del 2005 anche lei è caduta nella fallacia utilitarista del considerare “persona” soltanto il soggetto che presenta «stati mentali coscienti e una pur rudimentale capacità di autocoscienza», quindi, ha concluso, «è abbastanza inverosimile attribuire all’embrione – sebbene umano e geneticamente irripetibile, e sebbene potenzialmente personale – queste caratteristiche». Se la Lalli avesse ragione, allora sarebbe lecito teorizzare l’infaticidio, come hanno fatto i ricercatori Minerva e Giubilini, responsabili della Consulta di Bioetica Laica, dato che nemmeno il neonato è dotato di coscienza e autocoscienza, così come centinaia di disabili e malati gravi. Embrioni, neonati e disabili apparterrebbero tutti alla non ben definita categoria degli esseri-umani-non-persone, ovvero individui che è lecito eliminare in quanto esseri umani privi diritti giuridici.

Tornando al nuovo libro della Lalli, la ricercatrice ha impostato il suo lavoro attraverso interviste a donne contente di aver abortito (selezionate in che modo? estranee? sue amiche?) e sopratutto ha tentato di confutare l’esistenza della cosiddetta Sindrome Post Aborto (PAS), il disturbo prevalentemente psichiatrico che insorge frequentemente dopo l’aborto e che rimane costante fino a quando viene elaborato, o si aggrava all’aumentare di altre esperienze traumatiche. Secondo la recensione de Il Corriere, la Lalli ha cercato di demolire l’esistenza di tale disturbo tramite alcuni studi. Il primo è quello del 2012 realizzato dall’American Pubblic Healt Association Meeting, che però ha valutato le donne soltanto entro la prima settimana mentre sappiamo che il “disturbo post-traumatico da stress” insorge solitamente tra i tre e i sei mesi successivi all’aborto, come ha spiegato la psicologa e psicoterapeuta Cinzia Baccaglini, tra le massime esperte italiane.

E’ stato poi citato il lavoro di Nada Logan Stotland, che però è in realtà un semplice libro intitolato “The Myth of the Abortion Trauma Syndrome” (la Stotland è inoltre una abortista convinta, come si evince dai suoi articoli sull’Huffington Post), e di quello realizzato negli anni ’90 da Brenda Major (e altri), dove però -al contrario della Lalli- si riconosce l’esistenza di disturbi post aborto, seppure in bassa percentuale (inoltre, il 72% del campione analizzato ha riportato dei danni dall’aborto, seppur minori dei benefici). Probabilmente verranno citati altri studi, ma quasi certamente (pronti ad essere smentiti) nel libro non si parla della revisione sistematica realizzata nel 2008 e pubblicata su Contraception (rivista americana considerata schierata in versione pro-choice), la quale, valutando tutti gli studi tra il 1989 e il 2008, ha rilevato che quelli di scarsa qualità e con metodologia più difettosa erano proprio quelli che negavano l’esistenza di un legame tra l’aborto e una peggior salute mentale.

Probabilmente (pronti ad essere smentiti) la Lalli non ha nemmeno citato l’infinità di studi scientifici che dicono proprio l’opposto della sua tesi, i quali dimostrano quanto l’aborto possa danneggiare la salute mentale delle donne. Sul nostro sito web abbiamo raccolto in un dossier molti di questi studi: citiamo, come esempio, lo studio del 2008 pubblicato dal British Journal of Psychiatry, dove si evidenzia un “moderato” aumento di disturbi mentali per le donne che hanno avuto aborti indotti. Nel 2011, sempre il British Journal of Psychiatry ha cambiato idea dopo aver analizzato la più grande stima quantitativa dei rischi per la salute mentale associati all’aborto disponibili nella letteratura mondiale. Verificando 22 studi e 877.181 partecipanti si è arrivati a questa conclusione: le donne che hanno subito un aborto presentano un rischio maggiore dell’81% di avere problemi di salute mentale e queste informazioni devono essere comunicate a chi fornisce servizi per l’aborto. Presupponiamo che Chiara Lalli non sarà d’accordo con il British Journal of Psychiatry, ma questo probabilmente non interesserà ai ricercatori inglesi. Nel 2008, perfino il Royal College of Psychiatrists ha abbattuto la missione dell’”aborto dolce” mettendo chiaramente in guardia, come riporta il Time, sul fatto che «le donne possono essere a rischio di problemi di salute mentale se hanno aborti», e addirittura che «non dovrebbe essere consentito di avere un aborto fino a quando non vengono valutati i possibili rischi per la loro salute mentale».

La questione dunque è ampiamente aperta e il lavoro della Lalli -almeno così come viene presentato da Il Corriere della Sera- appare viziato da un bias ideologico e ben poco scientifico.