giovedì 31 luglio 2014

L’Europa celebra il primo caso riuscito di “fecondazione selettiva”. Serve a impiantare solo gli embrioni sani (e a scartare meglio gli altri) di Leone Grotti, 30 luglio 2014, http://www.tempi.it

I giornali di mezzo mondo hanno esultato per il «primo successo» di un nuovo metodo di fecondazione assistita «selettiva» che dovrebbe permettere ai genitori di non trasmettere ai figli le proprie malattie genetiche. Il primo caso, come riportato dal Guardian, si è verificato a Londra, dove grazie alla nuova tecnica Carmen Meagu, 26 anni, è incinta di 17 settimane di un figlio sano.

KARYOMAPPING. La tecnica, chiamata “karyomapping”, richiede solo due settimane di tempo: una volta ottenuto «un set di embrioni» con un normale ciclo di fecondazione assistita, viene praticata a questi una biopsia attraverso la quale si scopre quali hanno contratto la malattia genetica e quali no. La stessa tecnica può essere usata anche «per verificare il numero di cromosomi» ed evitare così «disordini come la Sindrome di Down». L’embrione sano viene poi impiantato nell’utero della donna.

«EPOCA D’ORO DELLA GENETICA». Carmen Meagu, così come suo padre, è affetta dalla malattia di Charcot-Marie-Tooth, una grave forma di distrofia muscolare. Insieme al marito Gabriel si è recata alla clinica specializzata londinese Centre for Reproductive and Genetic Health per evitare di trasmettere la malattia al figlio. «Stiamo entrando nell’epoca d’oro della genetica applicata alla comprensione dell’infertilità», ha dichiarato Dagan Wells, della compagnia che ha analizzato gli embrioni. «Gli unici embrioni trasferiti nella madre sono quelli che hanno il corretto numero di cromosomi e sono liberi dalla condizione familiare ereditaria. Così si elimina la malattia dalla famiglia e si riducono i rischi di un aborto spontaneo».

E GLI ALTRI EMBRIONI? L’esaltazione dei medici è comprensibile, così come la felicità della coppia. Resta però una domanda: che fine hanno fatto gli altri embrioni del «set» prodotto? Dove sono finiti quelli meno fortunati che non avevano «il corretto numero di cromosomi» ed erano «malati»? Per loro «l’epoca d’oro della genetica» significa venire scartati ed eliminati. Se il “karyomapping” fosse stato disponibile già 26 anni fa la stessa Carmen Meagu, affetta solo lievemente dalla malattia che ha stroncato il padre, non sarebbe mai venuta alla luce, scartata dalla «fecondazione selettiva» insieme agli altri embrioni malati.

venerdì 25 luglio 2014

Figli ogm con tre Dna, il governo inglese vuole «passare la linea rossa» nonostante i dubbi della scienza, Luglio 24, 2014 Redazione, http://www.tempi.it/

dnaLa tecnica permetterà la nascita di “bambini con tre genitori”. Dopo una consultazione di tre mesi, l’esecutivo ha dichiarato che intende approvarla
dnaI bambini geneticamente modificati con tre genitori «potrebbero essere fatti nei laboratori inglesi già il prossimo anno». Il governo inglese, attraverso una nota pubblicata ieri dal ministero della Salute, ha dichiarato che in seguito a una consultazione durata tre mesi ha deciso di portare davanti al Parlamento il regolamento che permetterà la legalizzazione della tecnica.
FIGLI DI TRE GENITORI. Per evitare la trasmissione genetica di malattie causate da mitocondri danneggiati, che in Inghilterra riguardano un bambino su 6.500, gli scienziati hanno inventato una tecnica che attraverso la fecondazione assistita permette di sostituire nell’ovulo della madre i mitocondri danneggiati con quelli presi dall’ovulo di una donatrice terza. L’embrione risultante dalla fecondazione con lo spermatozoo di un uomo deriverà quindi da tre diversi Dna. Secondo quanto dichiarato dall’autorità inglese Hefa a giugno, la tecnica «non sembra pericolosa» e potrebbe prevenire malattie molto gravi.
PRIMI BAMBINI NEL 2016? Così, in seguito a una consultazione pubblica ordinata dal ministero della Salute, che tra il 27 febbraio e il 21 maggio ha ascoltato 1.857 tra esperti, associazioni, medici e malati, il governo ha deciso di approvare la tecnica, che per essere legalizzata ha bisogno di un’approvazione ad hoc del Parlamento. Secondo la nota, l’approvazione potrebbe avvenire già ad aprile 2015, così che i primi bambini con tre genitori potrebbero nascere nel 2016.
fecondazione-vitro
CONSULTAZIONE NEGATIVA. La procedura, però, è molto controversa e la sua scientificità non è acclarata. La maggioranza dei 1.857 esperti sentiti dal ministero si è detta infatti contraria alla legalizzazione della tecnica, vietata per ora in tutto il mondo, ma il governo ha deciso di non tenerne conto. Gli stessi scienziati dell’Hefa che hanno caldeggiato l’approvazione non sono però sicuri del risultato: «Passare dalla ricerca alla pratica clinica implica sempre un certo grado di incertezza», ha dichiarato Andy Greenfield (Hefa) al Telegraph. «Anche se la legge viene cambiata, il trattamento non potrà essere offerto da un giorno all’altro. L’Hefa si assicurerà, sempre che sia possibile, che la tecnica funzioni e sia sicura».
«MERCATO EUGENETICO». L’incertezza degli stessi scienziati che sponsorizzano la tecnica spiega perché la maggior parte degli esperti conservi molti dubbi. Il direttore di Human Genetics Alert, David King, ha affermato: «Tra 15 anni, quando saremo nel bel mezzo di un mercato eugenetico di bambini disegnati su misura, la gente guarderà a questo momento come quello in cui la “red line” etica è stata superata».
Anche gli Stati Uniti, che a febbraio hanno cominciato a ragionare sulla possibilità di legalizzare la tecnica, hanno fatto per ora un passo indietro: «È pericoloso. Queste tecniche cambieranno ogni cellula nel corpo dei bambini nati e queste alterazioni sarebbe tramandate alle generazioni future. Gli effetti tra 10 anni potrebbero essere devastanti», ha affermato Marcy Darnovsky dell’Agenzia del farmaco americana. Infine, è da notare che tutti gli esperimenti condotti fino ad ora in America non hanno portato ad alcun risultato e i programmi di ricerca sono stati sospesi.
VIETATO CONOSCERE LA SECONDA MADRE. L’Inghilterra è comunque decisa ad andare avanti e le linee guide approvate dal governo, e che dovranno essere votate dal Parlamento, prevedono che il trattamento abbia un costo che si aggira intorno ai 20 mila euro. Non è specificato se il Sistema sanitario nazionale lo farà rientrare nella copertura garantita. Inoltre, il bambino con tre genitori non potrà mai conoscere l’identità della seconda madre, della quale potrà solo venire a sapere «dettagli non identificativi» dopo aver compiuto i 16 anni. La tecnica, infine, dovrà essere approvata dall’Hefa «caso per caso» in base a chi richiede il trattamento.

Vescovi contro Obama: basta follie sul gender di Massimo Introvigne, 25-07-2014, http://www.lanuovabq.it/

Manifestazione contro il matrimonio gayDelle questioni relative a leggi ingiuste degli Stati in materia di famiglia e matrimonio il Papa non parla, o parla molto raramente, ma vuole che siano i vescovi a parlare. L’esortazione apostolica «Evangelii gaudium» spiega che «non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori». Le note dell’esortazione apostolica forniscono esempi d’interventi «opportuni» di episcopati locali precisamente in materia di famiglia, fra cui due documenti, uno dei vescovi americani e uno di quelli francesi, che prendono posizione contro il «matrimonio» omosessuale. A prescindere da ogni valutazione su questa scelta strategica di Papa Francesco, (che si può certamente discutere, senza mancare di rispetto al Pontefice), si può osservare che, da un punto di vista fattuale, la strategia funziona dove i vescovi la capiscono e la attuano. 

È certamente il caso degli Stati Uniti, dove, forse dopo un breve momento iniziale di disorientamento, i vescovi sono scesi in campo con coraggio contro il «matrimonio» omosessuale e l’ideologia di genere. Anzi, per la prima volta, i vescovi non si sono limitati a pubblicare documenti, ma in un caso che riguarda il tentativo del governo centrale d’imporre il «matrimonio» omosessuale a due Stati che non lo vogliono, Utah e Oklahoma, sono intervenuti direttamente nella causa federale, ora in arrivo davanti alla Corte Suprema, con una loro memoria, assicurandosi anche la collaborazione di altre confessioni e religioni.

In questi giorni assistiamo a un nuovo capitolo di questa saga dove i vescovi americani applicano la «strategia Francesco»: non attendono che intervenga il Papa, anzi danno per scontato che non parli (quando poi ritenesse la misura colma, Francesco potrà sempre intervenire, come fa sempre più spesso in materia di aborto) e, di fronte a leggi ideologiche e ingiuste, prendono subito posizione loro.

Il 21 giugno il presidente Obama ha firmato un ordine esecutivo, che ha forza di legge, secondo cui chiunque lavori per il governo federale, vinca appalti dal governo federale o da questo riceva sussidi non può praticare discriminazioni fra i propri dipendenti sulla base dell’«orientamento sessuale» o dell’«identità di genere». Questo significa, in pratica, che se un’università cattolica che lavora sulla cura del cancro non vuole perdere gli aiuti governativi (s’intende, ove ne riceva) dovrà dimostrare di non discriminare nell’assunzione degli insegnanti non solo chi ha un «orientamento» omosessuale, ma anche chi ha una «identità» omosessuale ostentata in modo militante, con annessa propaganda. E lo stesso vale per chiunque abbia rapporti con il governo o ne riceva finanziamenti. I giuristi ritengono che la norma influenzi anche i cosiddetti casi delle toilette, che possono far sorridere, ma finiscono spesso in tribunale: un transessuale che si sente donna chiede al datore di lavoro di usare le toilette femminili, suscitando spesso l’opposizione delle dipendenti donne così che il povero imprenditore è costretto a riservare una terza toilette al solo transessuale.

Tempestivamente, lo stesso 21 luglio, la Conferenza Episcopale Americana, tramite i presidenti delle Commissioni per la Libertà religiosa, l’arcivescovo di Baltimora William Lori, e di quella su Matrimonio e famiglia, il vescovo di Buffalo Richard Malone, ha diffuso una nota in cui contesta duramente la norma emanata dal presidente Obama. La nota afferma che l’ordine esecutivo di Obama «è senza precedenti ed estremo, e rende obbligatoria l’opposizione. Con il pretesto di vietare la discriminazione, l’ordine organizza la discriminazione. Con un tratto di penna, mette il potere economico del governo al servizio di una nozione della sessualità umana profondamente difettosa, alla quale i cattolici fedeli e molte altre persone di fede non potranno mai dare il loro consenso». In pratica, persone e aziende saranno escluse da qualunque rapporto con il governo «a causa della loro fede religiosa», con una gravissima violazione della libertà di religione.

L’ordine non distingue fra l’«esperienza di un’inclinazione omosessuale», cui la Chiesa si accosta con compassione e rispetto, e «la condotta sessuale fuori del matrimonio, che è l’unione di un uomo e di una donna». Mentre la Chiesa non favorisce certo la discriminazione sulla base di semplici inclinazioni, rivendica il diritto delle sue istituzioni (e di ogni datore di lavoro che ne condivida la morale) a tenere conto della condotta delle persone che assumono. Inoltre, l’ordine, parlando di «identità di genere», secondo i vescovi adotta e impone l’ideologia di genere, «la falsa idea che il “genere” è solo una costruzione sociale o una realtà psicologica che potrebbe essere scelta a prescindere dal proprio sesso biologico». 

La nota fa riferimento anche ai fin troppo famosi casi delle toilette, spiegando che come effetto dell’ordine di Obama «un dipendente biologicamente maschio avrà diritto a usare le toilette o gli spogliatoi femminili messi a disposizione dal datore di lavoro se questo dipendente maschio si auto-identifica come donna». La nota rileva che alcuni Stati, è vero, hanno già una normativa per prevenire discriminazioni sull’orientamento sessuale, e che il Senato ha votato l’Enda, una norma federale anti-discriminazione proposta dallo «stesso partito del presidente», il Partito Democratico. 

Benché a loro volta problematiche, queste normative includono tutte una clausola che protegge la libertà religiosa. L’ordine esecutivo di Obama, «immediatamente in vigore» (c’era davvero tutta questa urgenza?) non prevede nessuna esenzione religiosa o obiezione di coscienza. Va dunque combattuto in tutte le sedi opportune. Il caso finirà probabilmente ancora una volta alla Corte Suprema. Verosimilmente, il Papa continuerà a non parlarne e i vescovi americani a battersi, perfino più vigorosamente rispetto all’epoca in cui Benedetto XVI affrontava direttamente questi problemi. È la «strategia Francesco». Discutiamone pure. Ma intanto suggeriamo a certi episcopati europei di prendere esempio dai Paesi dove funziona.

mercoledì 23 luglio 2014

Le “Nazioni Unite” dettano la legge sull’aborto all’Irlanda, http://www.corrispondenzaromana.it/, di Lupo Glori

Lo scorso 15 luglio il Ministro della giustizia irlandese, Frances Fitzgerald, è stato sottoposto ad una dura requisitoria da parte del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite di Ginevra, a causa della legislazione sull’aborto dell’Irlanda, colpevole, secondo le accuse, di violare le norme internazionali sui diritti umani.

L’attuale legge, The Protection of Life During Pregnancy Act, in vigore dal luglio 2013, infatti, consente il ricorso all’aborto ma con una serie di restrizioni: esso è possibile solo quando la vita della madre è in pericolo o quando c’è il rischio di suicidio. Per procedere è, però, necessario il parere unanime di tre medici. In tutti gli altri casi l’interruzione di gravidanza è illegale.

Yuval Shany, relatore sul “caso Irlanda” del Consiglio, ha dichiarato, quindi, come la legge irlandese sull’aborto continui a criminalizzare le donne incinte per le quali l’accesso all’aborto spetta come dritto secondo quanto garantito dal Covenant on Civil and Political Rights (ICCPR).

La Fitzgerald, a capo della delegazione irlandese, ha dovuto, dunque, affrontare un ampio e incalzante interrogatorio su diverse questioni: la tratta di esseri umani, l’asilo politico ai rifugiati, il trattamento della comunità rom, la mancanza di accesso all’istruzione non religiosa, così come l’accesso all’aborto. Sul tema dell’aborto, Shany ha tenuto a precisare che: «Sebbene la legge del 2013 abbia rappresentato un miglioramento rispetto alla situazione precedente, tale normativa non ha ancora risolto molte delle preoccupazioni del “Consiglio per i Diritti Umani” e ha lasciato posto alla criminalizzazione dell’aborto, anche in circostanze nelle quali noi Stati (membri) ritentiamo debba esserci l’obbligo di consentire l’aborto sicuro e legale».

Alle accuse di Yuval Shany ha replicato Mary Jackson, funzionario irlandese presso il Dipartimento della Salute, che ha fatto notare come il suo paese abbia legittimamente legiferato in materia di aborto rispettando l’articolo 25 della “Convenzione” che garantisce a tutti i cittadini il diritto al voto e all’ auto-determinazione.

Anche Lorcan Price, rappresentante e avvocato di Pro Life Campaign, ONG irlandese in difesa della vita, presente alla discussione di Ginevra, ha sottolineato l’errata interpretazione dei diritti umani da parte delle “Nazioni Unite”, affermando: «Non esiste alcun diritto all’aborto nella legislazione internazionale. Oggi le ricchissime lobby abortiste tenteranno di ingannare il Comitato per i diritti umani qui a Ginevra, sostenendo che i bambini non ancora nati non hanno il diritto di vivere. Questa affermazione è del tutto contraria alle leggi sui diritti umani».

Lo stesso Price ha poi aggiunto: «Spero con tutto il cuore che il Comitato difendi il diritto alla vita e respinga la pressione internazionale dei gruppi statunitensi, come il Center for Reproductive Rights, che vogliono imporre a tutti i costi il regime dell’aborto in Irlanda. Le Nazioni Unite sanno che non esiste un diritto internazionale sull’aborto nella legislazione. Se l’ONU assumesse una posizione esplicitamente a favore dell’aborto, si verificherebbe un danno incalcolabile alla sua credibilità come organismo in difesa dei veri diritti umani».

Ora non resta che attendere il responso della commissione delle Nazioni Unite che si riunirà in queste giorni per valutare il “caso irlandese” alla luce delle dichiarazioni raccolte ed emettere così la sua quinta serie di osservazioni conclusive entro le prossime due settimane. La presa di posizione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite contro l’Irlanda oltre a rappresentare una gravissima ingerenza nelle politiche di uno Stato nazionale, da parte di un organismo sovranazionale, esprime, chiaramente il volto ideologico e intollerante delle Nazioni Unite, in prima linea nel processo di dissoluzione della nostra società. (Lupo Glori)

Se l'aborto diventa un crimine a "intermittenza" di Lorenzo Schoepflin, 23-07-2014, http://www.lanuovabq.it

Un trentenne cittadino del Kansas, Scott Robert Bollig, il 9 settembre si troverà ad affrontare un processo per omicidio volontario. Il reato compiuto da Bollig, particolarmente crudele, merita di essere raccontato e commentato poiché suggerisce riflessioni di primaria importanza in merito all’aborto. L’uomo somministrò, infatti, con un sotterfugio – mescolando al pancake offerto alla propria fidanzata incinta di circa otto settimane – il mifepristone, la sostanza contenuta nella Ru486, la tristemente celebre pillola abortiva. La donna, la trentaseienne Naomi Abbott,  ebbe un aborto e, recatasi all’ospedale, fu sottoposta alle analisi del sangue che rivelarono la presenza di quello che Jerome Lejeune aveva ribattezzato pesticida umano.

Bollig aveva chiesto in precedenza alla fidanzata di interrompere la gravidanza, ma, di fronte al suo rifiuto, decise di procedere come detto, acquistando la pillola su internet. Venerdì scorso, dopo due giorni di audizioni preliminari, il giudice Glen Braun ha stabilito che ci sono prove sufficienti per iniziare il processo. Fin dallo scorso febbraio Bollig fu ascoltato sui fatti, ma, nonostante la sua confessione, il procedimento penale non aveva preso il via poiché la difesa aveva contestato la validità della deposizione dell’uomo, sostenendo che sarebbe stata ottenuta in situazioni poco chiare.

A prescindere dall’esito del processo – sarà molto interessante seguirne lo svolgimento – va registrato che un giudice ha deciso che interrompere una gravidanza senza il consenso della donna costituisce un capo d'imputazione per omicidio a carico di chi ha costretto la donna ad abortire. Il caso Bollig dunque non può essere liquidato come quello di un violento assassino, ma richiede di soffermarsi su alcuni aspetti della vicenda. Innanzitutto, va sottolineato come la pillola abortiva costituisca uno strumento di banalizzazione dell’aborto, come più volte evidenziato quando, ciclicamente e per diverse ragioni, la Ru486 diventa protagonista delle cronache italiane e internazionali.

La possibilità di acquistare la pillola online – come ha fatto Bollig – è un fatto di una gravità assoluta. Si conoscono bene le statistiche relative alle morti di donne causate dalla Ru486, ma quanto accaduto in Kansas svela un’ulteriore aspetto preoccupante del farmaco abortivo. Esso può essere utilizzato in modo estremamente semplice come mezzo di violenza sulla donna stessa, sulla quale diventa un gioco da ragazzi – un po’ di astuzia e tanta perfidia – praticare un aborto forzato. Nessuno potrà restituire alla signorina Abbott il figlio che Bollig le ha portato via con l’inganno, grazie ad una compressa. Ma, ecco, veniamo a colui che sempre è vittima innocente: il bimbo nel grembo materno.

La storia che arriva dagli Stati Uniti ci mostra una contraddizione che riguarda la natura dell’atto abortivo. Se infatti fosse stata la madre ad ingerire volontariamente la Ru486, interrompere quella gravidanza sarebbe stato un diritto intoccabile della donna, che avrebbe potuto disporre arbitrariamente della vita del nascituro. Dal momento che è stato invece il fidanzato a farla abortire, porre fine alla vita nascente diviene equiparabile ad un omicidio. In questo caso è dunque il diritto alla vita del bambino a prevalere. Siamo di fronte ad un esempio lampante di relativismo: lo stesso atto è diritto o delitto a seconda delle circostanze, il che implica che anche la natura del nascituro, persona o non persona, sia variabile con esse. E proprio l’intercambiabilità tra diritto e delitto costituisce la sconfitta del primo a favore del secondo.

Ovviamente tutto ciò è un assurdo – il bambino nel grembo materno è una persona e l’aborto è un omicidio – ma la piaga della volontà della donna che calpesta la libertà intangibile di nascere del figlio si manifesta in tutta la sua putrescenza. Tale aspetto purtroppo riguarda ogni provvedimento che introduce l’aborto legale. Con le diverse sfumature previste nei diversi Paesi (la Legge 194 italiana non fa certo eccezione), ciò che una legislazione abortista di fatto stabilisce è l’intermittenza del diritto alla vita, che cessa di essere principio non negoziabile per entrare nell’alveo di quei temi in balìa di un qualsiasi parlamento o organo giudiziario. Ma quel che è certo è che Bollig ha ucciso un bambino, indipendentemente dal consenso della madre, da un voto in un’aula o da quello che emergerà dal processo.

martedì 22 luglio 2014

Comunicato stampa - Giuristi per la Vita e Associazione Pro Vita Onlus, 22 luglio 2014

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COMUNICATO STAMPA

I Giuristi per la Vita e l’associazione Pro Vita Onlus esprimono la propria posizione a riguardo dell’incresciosa vicenda che ha coinvolto l’Istituto Sacro Cuore di Trento.

Com’è noto, infatti, una virulenta campagna mediatica diffamatoria – ormai giunta a livello nazionale – ha insinuato che i responsabili della scuola paritaria trentina avessero licenziato una giovane insegnante a causa del suo orientamento sessuale.

La FLC CGIL di Trento ha parlato di «ennesimo episodio di discriminazione e di violazione della dignità delle persone in Istituti paritari che colpisce tutto il mondo della scuola», chiedendo la «revoca del licenziamento e il ripristino dei diritti civili e sociali», e minacciando non solo «iniziative legali» ma anche «la richiesta di revocare i finanziamenti pubblici». Il Ministro dell’Istruzione in un comunicato ufficiale diramato il 20 luglio scorso ha dichiarato che interverrà sulla vicenda dell’Istituto del Sacro Cuore di Trento «con la dovuta severità».

I “Comitati per l’altra Europa con Tsipras” hanno formalmente chiesto al presidente della Provincia, Ugo Rossi, che ha delega all’istruzione, «un intervento di pubbliche scuse alla docente discriminata», e insieme al partito “Sinistra Ecologia e Libertà”, hanno colto l’occasione per invocare un’accelerazione dell’iter parlamentare del disegno di legge Scalfarotto contro l’omofobia, e l’introduzione della propaganda gender nelle scuole. Tutto ciò, mentre le associazioni omosessualiste Arcilesbica, Agedo, Equality Italia e Famiglie Arcobaleno continuano un intollerabile e vergognoso linciaggio morale nei confronti del responsabile dell’istituto, Madre Eugenia Libratore.

L’inutile polemica si potrebbe tranquillamente chiudere precisando che nel caso in questione non si è trattato di alcun licenziamento, in quanto il contratto a tempo determinato con l’insegnante è cessato in data 30 giugno 2014, contratto nel quale, peraltro, la stessa docente aveva dichiarato di «essere consapevole dell’indirizzo educativo e del carattere cattolico dell’istituzione e di collaborare alla realizzazione di detto indirizzo educativo». 

I Giuristi per la Vita, Pro Vita Onlus e il Coordinamento delle Famiglie Trentine colgono l’occasione per evidenziare:
Il diritto, sancito in una nota sentenza della Corte Costituzionale (29 dicembre 1972, n. 195), e ribadito nel 2011 da una pronuncia della Corte europea dei Diritti dell’uomo, di una struttura scolastica paritaria a «scegliere i propri docenti in base a una valutazione della loro personalità», e di «recedere dal rapporto di lavoro ove gli indirizzi religiosi o ideologici del docente siano divenuti contrastanti con quelli che caratterizzano la scuola»;
il principio sancito dall’art. 26, terzo comma, della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, il quale testualmente prevede che «i genitori hanno diritto di priorità nella scelta di istruzione da impartire ai loro figli»;

l’evidente strumentalità della risibile richiesta avanzata dal segretario generale della FLC CGIL, Mimmo Pantaleo, di revoca del contributo pubblico erogato dalla Provincia di Trento all’Istituto Sacro Cuore, in quanto tale contributo, essenziale per la stessa sopravvivenza dell’Istituto, non può far venir meno i summenzionati principi di autonomia, né determinare un’indebita ingerenza della pubblica amministrazione nella gestione della scuola, o un’imposizione di scelte incompatibili con l’ispirazione religiosa che connota l’Istituto medesimo. 

I Giuristi per la Vita e Pro Vita Onlus esprimono la propria sincera e piena solidarietà a Madre Eugenia Libratore e a tutto l’Istituto Sacro Cuore di Trento, auspicando che il Ministro Giannini sappia valutare questo caso in modo imparziale, senza lasciarsi trasportare da indebite pressioni ideologiche, e chiedono al Presidente della Provincia di Trento, Ugo Rossi, di denunciare senza indugi i metodi intimidatori, diffamatori, e intolleranti di tutti coloro che tentano operazioni di bassa speculazione demagogica, travisando i fatti di questa vicenda in maniera vergognosamente strumentale.

GIURISTI PER LA VITA                                         PRO VITA ONLUS
     Il Presidente                                                               Il Presidente
(avv. Gianfranco Amato)                                             (Antonio Brandi)

lunedì 21 luglio 2014

Si deve perseguire il bene, non l'utile di Tommaso Scandroglio, 21-07-2014

È lecito dal punto di vista morale proporre e votare una legge che limiti i danni provocati dalla sentenza della Consulta che ha aperto all’eterologa? Semplificando, a tale quesito si possono dare due possibili risposte. Da una parte abbiamo coloro che considerano lecito votare una legge che smorzi gli effetti negativi della pronuncia dei giudici asserendo che tra una situazione di maggior danno prospettata dalla Corte ed una di minor danno realizzata attraverso l’intervento del Parlamento non si può che, in stato di necessità, essere costretti ad optare per la soluzione meno lesiva. Su altro fronte vi sono invece coloro i quali negano questa possibilità asserendo che mai si può votare una legge intrinsecamente malvagia (futura legge sull’eterologa) perché il voto a questa legge è essa stessa azione malvagia e mai si può compiere il male anche volendo perseguire un fine buono come quello di limitare i danni. Bene contenere gli effetti negativi della sentenza, ma il mezzo per farlo deve essere lecito. Lo scrivente appoggia quest’ultima tesi e tenteremo per sommi capi di fondare tale scelta.

La fecondazione artificiale, che sia omologa o eterologa, è pratica intrinsecamente malvagia. Una legge che disciplinasse questa condotta sarebbe essa stessa malvagia, anche se extrema ratio per arginare il male. C’è chi obietta argomentando così: il “votare” è azione di per sé buona o tuttalpiù neutra sotto il profilo etico. Il mio voto sarà buono o cattivo a seconda del fine preposto (finis operantis, cioè fine fissato dal soggetto): se voto la legge sull’eterologa con l’intenzione di volere questa pratica, la mia azione sarà malvagia; se invece voto questa legge con il fine di limitare i danni provocati dalla sentenza della Consulta il mio voto sarà eticamente accettabile. Non tutte le leggi sull’eterologa sono dunque malvagie, dipende dal fine per cui si vota tale legge.

Ma le cose non stanno così. Come è noto e come spiega il Catechismo della Chiesa Cattolica (1750) le fonti della moralità sono l’oggetto dell’azione (alcuni autori parlano di “identità dell’azione”) – cioè il “che cosa” scelgo di compiere - il fine e le circostanze. Se un’azione ha un oggetto intrinsecamente malvagio, il fine soggettivo e le circostanze in cui si svolge l’azione non ne possono cambiare la natura: rimarrà sempre un’azione malvagia. Ora il voto su una legge riceve coloritura morale dal contenuto della legge stessa, il voto diventa così dal punto di vista morale finis operis.

Se ciò che disciplina la legge è conforme alla dignità dell’uomo la legge sarà buona e così anche il mio voto (a patto che anche il fine e le circostanze lo siano); se la legge per sua natura è contraria al bene dell’uomo il mio voto configurerà un’azione malvagia, seppur prestato al fine di limitare i danni.

Facciamo un esempio. “Sperimentare” è un’azione né buona né cattiva, come il “votare”: è un atto materiale, un’azione neutra perché naturalisticamente intesa. Per sapere se è buona o malvagia occorre capire, tra le altre circostanze, su cosa si sperimenta. Se sperimento sugli embrioni provocandone la morte, l’azione di sperimentazione è malvagia; se sperimento sugli animali provocandone la morte l’azione sarà buona (tralasciamo in merito a quest’ultimo caso altri criteri perché l’azione possa essere considerata lecita). È il termine verso cui verte la sperimentazione – embrione o animale - che colora questo atto in senso positivo o negativo. È il termine verso cui verte il voto – legge buona o malvagia -  che colora il voto delle tinte della liceità morale o della sua illiceità, perché faccio mio – seppur a malincuore in caso di leggi inique – il contenuto della legge stessa che ha già una sua valenza morale, un suo intrinseco orientamento etico.

E in merito al fine buono di contenere i danni, usiamo sempre l’esempio della sperimentazione. Un’epidemia sta mietendo milioni di morti. Posso sperimentare su una manciata di embrioni per limitare i danni e debellare così l’epidemia? No, perché non posso mai compiere un’azione di per sé malvagia anche per un fine ottimo come quello di salvare il genere umano dall’estinzione, fosse anche l’unica soluzione percorribile.

C’è chi obietta: ma io non voglio far mio il contenuto malvagio della legge che non approvo – non voglio l’eterologa - bensì solo limitare i danni – voglio meno eterologa (cosiddetta azione volontaria mista). L’oggetto dell’azione scelto da me è la limitazione del danno e sopporto gli effetti negativi di questa mia scelta cioè il votare articoli malvagi. Risposta. In realtà nella dinamica dell’azione io per prima cosa ordino la mia volontà a votare una legge iniqua (oggetto dell’azione) con il fine di limitare i danni. Se davvero non volessi sposare il contenuto della legge iniqua dovrei votare contro la legge o astenermi. Facciamo un esempio. Un pazzo mi dice che ucciderà tre persone se io a mia volta non uccido una persona innocente. Non regge il seguente ragionamento: l’oggetto della mia scelta è salvare le tre persone e sopporto come effetto non voluto la morte da me provocata di una sola persona innocente. Più semplicemente invece io avrò compiuto un omicidio, atto malvagio, per un fine buono, cioè quello di limitare i danni salvando le altre tre persone. Se davvero non volessi uccidere l’innocente, dovrei astenermi dall’ucciderlo.

Altra obiezione: con la nuova legge io non provoco nessun nuovo danno, non produco un male morale, bensì lo limito solo. È un po’ come se ci fosse un incendio (la sentenza della Consulta) ed io mi limito solo a contenerlo. Non ho io appiccato l’incendio, bensì la Consulta. Risposta. Vero che c’è già il danno ma con il voto alla legge sull’eterologa si configura un’azione positiva di conferma al male morale, seppur limitandone gli effetti negativi (anzi è come se buttassi benzina sul fuoco dato che gli effetti negativi giurisprudenziali riceveranno addirittura la veste formale della legge, che è ben più importante  di una sentenza di un giudice).

Qui occorre stare attenti al concetto di “danno” e quello di “male morale”, due concetti distinti. Il danno ormai c’è già, ma se io voto la legge sull’eterologa aggiungo all’atto moralmente illecito della Consulta anche un altro atto illecito: ad una sentenza intrinsecamente malvagia sommo una legge intrinsecamente malvagia. In altri termini i giudici hanno compiuto un male morale ed io lo rinnovo, seppur limitando la portata dei danni. Un male di minor entità negli effetti, ma sempre di un atto malvagio si tratta, nuovo e distinto da quello compiuto dalla Corte Costituzionale.

Sul caso si  cita spesso il n. 73 dell’Evangelium vitae di Giovanni Paolo II. Questo numero non è il lasciapassare ad un’azione iniqua se persegue il fine buono di contenere gli effetti perniciosi di una legge o sentenza già varata o inevitabile. Bensì dice che in questi frangenti dove non è possibile ottenere il risultato ottimo (abrogazione della legge malvagia, annullamento di una sentenza iniqua), l’unica azione buona possibile è solo quella volta alla limitazione del danno, ma a patto ovviamente che l’azione di limitazione sia buona.

Torniamo all’esempio di prima: se per impedire la morte di milioni di persone dovessi sacrificare la vita di un innocente, l’azione che provoca la morte dell’innocente è un’azione sì che – sul piano degli effetti - limita i danni ma è anche – sul piano morale - un’azione intrinsecamente malvagia. E l’uomo deve guardare prima al bene che all’utile. Quindi l’EV direbbe sì ad esempio ad una legge sull’eterologa, per ipotesi proposta da parlamentari cattolici, che contenga norme volte solamente alla limitazione del danno come ad esempio: “Si fa divieto di scelta del donatore, di compravendita di gameti, di doppia eterologa, etc.”; non a norme del seguente tenore: “È permessa l’eterologa semplice con donatore scelto a random, tramite donazione di gameti etc”.

Il risultato sul piano degli effetti sarebbe il medesimo (divieto di scelta del donatore, di compravendita di gameti, di doppia eterologa), ma non sul piano etico. Nel primo caso infatti questi effetti sarebbero ottenuti tramite un’azione lecita – legge che solamente limita i danni: oggetto dell’azione unicamente buono – nel secondo caso tramite un’azione illecita – legge che permette l’eterologa seppur con vincoli: oggetto malvagio.

Un nota bene. La rimanente parte di azioni non vietate che sopravviverebbero ai divieti posti dal legislatore cattolico  – l’esistenza di un donatore per l’eterologa semplice e la donazione di gameti – non sarebbe scelta positivamente dal legislatore cattolico che ha posto solo divieti, bensì solo tollerata da costui perché impossibilitato dalla Consulta ad ottenere effetti ancor migliori. Sarebbe la Consulta ad averli voluti, non il legislatore cattolico.

Quest’ultima considerazione ci traghetta ad un’ultima possibile obiezione: astenendoci dal votare una legge che limitasse i danni è come collaborare con la Consulta a mantenere una situazione di forte iniquità dove molto se non tutto è permesso. Risposta che parte ancora dall’esempio di prima. Il pazzo che tiene in ostaggio le tre persone e promette di ucciderle se io non avrò compiuto a mia volta l’omicidio di una persona innocente costruisce lui una condizione di iniquità che non posso far altro che non accettare e rifiutare in radice. La prima modalità di non collaborare al progetto del pazzo è quello di astenermi da qualsiasi azione malvagia. Sarà la Consulta il soggetto responsabile della situazione che si andrà a creare di maggior danno, non chi è stato costretto dagli eventi all’inattività, pena di compiere un’azione malvagia. L’uomo è chiamato sempre a fare il bene morale, non sempre a lucrare l’utile. E se in certi frangenti l’unico maggior bene possibile è quello dell’astensione da atti malvagi io non potrò che optare per questa scelta omissiva. Anche se questa mia scelta provocherà più danni, ma non imputabili a me dato che sarò stato costretto all’omissione dalle scelte inique altrui.

Ricordiamo quale fu la posizione che tenne alla fine degli anni ‘90 proprio Giovanni Paolo II nella famigerata questione sui consultori cattolici tedeschi in tema di aborto. Molti di questi articolavano il seguente ragionamento: se non entriamo nella lista ufficiale dei consultori che possono accostare le donne che vogliono abortire al fine di persuaderle a tenere il bambino, lasciamo il campo ai soli consultori abortisti. Perseguendo lo scopo di limitare il danno ci iscriviamo in queste liste. Il problema stava nel fatto che se il colloquio dissuasivo non aveva avuto successo, per legge questi consultori cattolici erano obbligati come tutti a rilasciare il certificato abortivo. Il Papa chiarì che mai si può collaborare al male anche con l’intenzione di limitarne la portata malvagia. L’unica strada  - dopo alcune soluzioni (fallimentari) proposte tra cui dichiarare che il certificato non aveva valore legale – era quella di non essere iscritti in quelle liste.

Limitare i danni è un dovere di Giorgio Carbone, 21-07-2014, http://www.lanuovabq.it

Il risultato pratico della sentenza della Corte Costituzionale 162/2014 è aver introdotto nel sistema giuridico italiano la fecondazione eterologa. La fecondazione omologa fa uso di ovociti e spermatozoi della coppia, mentre la fecondazione eterologa fa uso di ovociti e/o spermatozoi di persone terze rispetto alla coppia. Quindi le coppie che vogliono ricorrere alla fecondazione in provetta hanno la possibilità di fare uso dei propri gameti, oppure di gameti di terzi. La fecondazione eterologa può essere praticata alle stesse condizioni (es. la coppia deve avere una diagnosi di sterilità) e con gli stessi limiti della fecondazione omologa (es. è vietato l’utero in affitto, chiamato anche nel gergo politicamente corretto “maternità di sostegno”).

La fecondazione extracorporea, sia omologa che eterologa, comporta sempre la produzione dell’essere umano di età embrionale all’interno di una provetta: l’atto coniugale non esiste, il concepimento, cioè il processo di avvicinamento e di adesione di spermatozoo e ovocita che termina con un nuovo vivente della specie umana, è determinato dalla tecnica e dall’intervento dei biologi. Per cui l’essere umano di età embrionale così concepito è il termine non di un atto sessuale, ma di una procedura tecnica. È appunto non generato, ma prodotto. È questa la ragione etica per cui qualsiasi tecnica di fecondazione extracorporea riduce l’uomo a un prodotto, e perciò è disumana, e quindi eticamente inaccettabile.

Dal punto di vista etico la fecondazione eterologa si presenta come una aggravante dell’illiceità della fecondazione: aggiunge una terza figura genitoriale e anche una quarta a seconda che si faccia uso di uno o due gruppi di gameti provenienti da persone terze rispetto alla coppia.

Quindi, fatte queste premesse sommarie sull’illiceità della fecondazione in generale e di quella eterologa in particolare, ci domandiamo: oggi un parlamentare che è convinto dell’illiceità della fecondazione cosa può fare? E poi un cittadino cosa può fare?

Per rispondere mi aiuto con un esempio. Tizio è determinato a compiere un’azione gravemente ingiusta che nelle previsioni produrrà molti danni a terzi i quali non hanno la capacità di difendersi. Io ho la possibilità fisica di compiere un’azione che nelle mie intenzioni e nella realtà fattuale produce il risultato finale di ridurre molti dei danni a carico dei terzi indifesi. Non c’è alternativa: o Tizio compie il suo gesto gravemente lesivo di terzi; oppure io intervenendo posso ridurre gli effetti disastrosi. In questo esempio io non solo agisco in modo eticamente ammissibile, ma ho il dovere di agire in questa direzione proprio perché ho il dovere etico di aiutare il terzo che non ha la capacità di tutelare se stesso.

Oggi il sistema giuridico italiano è determinato nel senso che consente l’accesso alla fecondazione omologa ed eterologa, la quale produce sempre dei danni notevoli a terzi indifesi, che sono gli esseri umani di età embrionale. Io, parlamentare, ho dichiarato apertamente la mia contrarietà a qualsiasi forma di fecondazione extracorporea, vedo che non è possibile costituire una maggioranza che vieti qualsiasi forma di fecondazione extracorporea, e che posso solo giocare la carta di ampliare le condizioni di accesso e i limiti e i divieti. Ad esempio elaborando un legge che richieda tre diagnosi di sterilità a distanza di un anno l’una dall’altra, dia sempre la possibilità di conoscere sempre e per qualsiasi motivo il genitore biologico, cioè colui o colei che ha fornito il gamete estraneo alla coppia.

Giovanni Paolo II nella Lettera enciclica Evangelium Vitae (n. 73) presenta un caso simile: «Un particolare problema di coscienza potrebbe porsi in quei casi in cui un voto parlamentare risultasse determinante per favorire una legge più restrittiva, volta cioè a restringere il numero degli aborti autorizzati, in alternativa ad una legge più permissiva già in vigore o messa al voto. [...] Nel caso ipotizzato, quando non fosse possibile scongiurare o abrogare completamente una legge abortista, un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione all'aborto fosse chiara e a tutti nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica. Così facendo, infatti, non si attua una collaborazione illecita a una legge ingiusta; piuttosto si compie un legittimo e doveroso tentativo di limitarne gli aspetti iniqui».

È vero che Giovanni Paolo II sta parlando dell’aborto e anche dell’eutanasia, ma sta applicando un principio generale a due fattispecie particolarmente gravi che ha definito come «crimini che nessuna legge umana può pretendere di legittimare» (n. 73). E il principio etico generale consiste nel dovere che io ho di agire per fare in modo che la determinazione di Tizio produca il minor numero di danni a carico di terzi. Si tratta di un dovere di agire perché sono in gioco i diritti umani fondamentali di terzi indifesi e perché la prudenza giudica che non ci sono alternative realistiche. Quindi, se io non agissi, sarei colpevole di omissione: di non aver concorso a limitare i danni a terzi indifesi.

E una persona che non sia parlamentare cosa può fare? Insistere sulla serietà e completezza delle diagnosi di sterilità, che spesso sono superficiali e solo funzionali a indirizzare alla fecondazione extracorporea. E constatato che alcune cause di sterilità e infertilità derivano dalla promiscuità e da disordini sessuali, sarà anche doveroso insistere nell’educare all’affettività, alla castità e alla fedeltà coniugale.

Eterologa, dove arriva la legge di Alfredo Mantovano, 21-07-2014, http://www.lanuovabq.it

A scanso di equivoci. La sentenza della Corte costituzionale sulla fecondazione eterologa – la n. 162 del 9 aprile 2014 – contiene delle affermazioni di principio culturalmente inaccettabili e giuridicamente discutibili. Su questa testata ho dedicato qualche parola a questi profili sia quando è stato reso noto il dispositivo, sia quando è stato possibile leggerne le motivazioni: contenuti sui quali nei giorni scorsi, sempre su La Nuova Bussola Quotidiana, mons. Giampaolo Crepaldi è intervenuto magistralmente (clicca qui).

Le riflessioni che seguono danno per scontata la critica ai passaggi-chiave della decisione; ma, prendendo atto degli effetti che essa ha prodotto, pongono la questione del che cosa può accadere ora, alla stregua dei limiti e delle indicazioni di prospettiva comunque enunciati dalla Corte.

Il riferimento al § 73 della Evangelium Vitae, richiamato da mons. Crepaldi, ha senso se si individua il nuovo perimetro operativo descritto dalla Corte, e quindi se si confronta la situazione che ne deriva con i parametri del Magistero ecclesiale, e del fondamentale insegnamento di S. Giovanni Paolo II. Può darsi che quelle che seguono siano delle ovvietà, ma se l’ovvio si dà troppo per acquisito capita che affievolisca e se ne perdano le tracce. Eviterò di citare articoli e commi per non appesantire una materia già complicata: assicuro il lettore che ogni affermazione è fondata sulle disposizioni della legge 40/2004 e della sentenza 162/2014.

Allo scopo di capire che cosa può accadere, proverò ad affiancare le singole voci della sentenza 162 con gli intenti manifestati dal ministro della Salute Lorenzin, nelle risposte a interrogazioni parlamentari. Mi riferisco in particolare a quelle fornite in occasione delle question time del 2 luglio: nella circostanza il ministro ha informato della costituzione di un gruppo di lavoro chiamato entro questo mese a fornire un elenco di profili critici sui quali sarà necessario intervenire.

Punto di partenza è che la Consulta non ha abolito l’intera legge 40: non vi è la prateria priva di regole nel cui contesto prima del 2004 erano ammesse le pratiche più ardite; sono caduti dei paletti importanti: ma non tutti, e comunque non l’impianto della legge nel suo insieme. La prima conseguenza è che per effetto della sentenza 162 non rivivono in alcun modo le flebili e labili circolari che dal 1985 (quando l’on. Degan era ministro della Sanità) al 1997 hanno costituito la sola disciplina, di rango non legislativo, della PMA (Procreazione Medicalmente assistita) in Italia. Al contrario, disposizioni della legge 40 in vigore permettono, col rango della norma primaria, di ritenere operanti i seguenti limiti, tutti menzionati dalla Corte:

1. l’accesso alle tecniche di PMA, adesso anche eterologa, continua a interessare “coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertili, entrambi viventi”. Ne restano esclusi i single, le coppie dello stesso sesso, i soggetti che hanno oltrepassato l’età “potenzialmente fertile”. D’altra parte, se la Consulta adopera l’analogia con l’adozione – a mio avviso infondatamente – per legittimare l’eterologa, a maggior ragione non può esservi un regime differente fra i due istituti quanto ai soggetti che possono accedere all’eterologa medesima; costoro, cioè, non possono fruire di confini molto più elastici rispetto a coloro che aspirano ad adottare un bambino. In materia il ministro Lorenzin ha indicato come necessaria la fissazione di una “fascia di età in cui si può donare” e la disciplina del consenso informato di coppie e donatore;

2. il ricorso alla PMA presuppone sempre una patologia che sia causa irreversibile di sterilità/infertilità. Il che vuol dire escludere tale ricorso quando la patologia non sia medicalmente documentata e quando sia superabile con cure adeguate; ma soprattutto vuol dire escluderlo quando l’obiettivo è la selezione genetica del figlio;

3. poiché gli articoli della legge 40 che contengono divieti e sanzioni e che non sono stati censurati di incostituzionalità si estendono alla tecnica eterologa, ciò vale, oltre che per i requisiti soggettivi e per la diagnosi relativa a una patologia in atto, anche quanto alla commercializzazione dei gameti e alla maternità surrogata. Ambedue queste condotte continuano a essere vietate e punite. Né, quanto all’attuazione, ha manifestato dubbi in proposito il ministro della Salute, evitando gli aggiramenti dei compensi mascherati da “rimborsi spese”;

4. i figli di una PMA eterologa “hanno lo status di figli nati nel matrimonio o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime”. Ricorda la Consulta che l’eterologa è specie del genere fecondazione artificiale, sì che le regole fissate finora per quest’ultima, avendo presente solo la specie omologa, si estendono automaticamente alla seconda specie, per l’appunto l’eterologa: e questo vale pure per la presunzione di paternità;

5. non è ammissibile per la PMA eterologa l’azione di disconoscimento della paternità. La Corte fonda tale affermazione sul confronto fra le norme della legge 40 e quelle del codice civile sul riconoscimento e sul disconoscimento di paternità: l’affermazione non è di scarso rilievo;

6. circa le donazioni di gameti, ribadito che non possono essere remunerate, la Consulta non arriva a fissare il loro tetto numerico, e però rappresenta “l’esigenza di consentirle entro un limite ragionevolmente ridotto”, demandando l’individuazione della cifra a un aggiornamento delle Linee-guida da parte del ministro della Salute. Sul punto il ministro Lorenzin ha introdotto il tema della selezione dei donatori sani, in attuazione di una direttiva Ue sui test di tipo infettivo e genetico, indicando in questo uno dei profili applicativi della sentenza 162, e ha annunciato l’adeguamento delle Linee-guida, all’esito dei lavori del gruppo da lei istituito. Ha rilevato inoltre l’opportunità di “disciplinare il cosiddetto egg sharing”, cioè la donazione degli ovociti soprannumerari da parte delle donne che si sottopongono a PMA;

7. sul diritto alla identità genetica, e quindi alla conoscenza del donatore da parte del nato da eterologa, la Corte ha ricordato l’elasticità esistente nella materia delle adozioni o per il caso della madre che non intende essere nominata, immaginando una disciplina simile.

Quelli fin qui riassunti sono punti fermi ricavabili dalla sentenza 162. Il quesito da porsi, per completare la ricognizione del diritto positivo, è se sia necessaria una legge, ovvero se la pronuncia della Consulta può trovare immediata applicazione, con le precisazioni derivanti dall’aggiornamento delle Linee-guida.

Come si è visto, l’esigenza di scendere nel dettaglio attiene: a) al numero massimo consentito di donazioni (il ministro Lorenzin suggerisce da 5 a 10), b) a percorsi garantiti che permettano di non privare il nato da eterologa di una anamnesi completa, che includa l’identità del soggetto da cui viene il seme che lo generato, c) a scongiurare unioni artificiali fra gameti e ovuli di persone con legami di parentela (rischio evocato pure dal ministro Lorenzin), d) a una disciplina seria, non sommaria, del consenso informato di coppie e donatore, che ovviamente comprenda la proiezione sul “dopo”.

Se per rispondere a queste necessità si ritengono sufficienti i decreti ministeriali, o comunque degli atti amministrativi, il pericolo può venir fuori da una loro eventuale impugnazione al Tar; in quest’ottica, precisare con una legge i limiti rimasti indefiniti a seguito della sentenza 162 fornirebbe maggiori garanzie. E però, la scelta del percorso legislativo impone cautela: la Corte non ha censurato di incostituzionalità i sopravviventi confini della legge 40; non ha detto, però, che sono limiti insuperabili a seguito di ulteriori modifiche legislative. Ha solo affermato che disciplinare con legge la PMA risponde a una esigenza costituzionale, essendo in gioco principi tutelati dalla Costituzione, in primis il diritto alla salute: non ha “costituzionalizzato” le norme della legge 40 rimaste in vigore.

Nessuno può escludere che riaprire oggi in Parlamento la discussione sulla materia equivalga ad aprire il vaso di Pandora: e se, a seguito del confronto nelle Commissioni e in Aula, dovessero mutare i requisiti soggettivi per l’accesso alla PMA, permettendola ai single o alle persone dello stesso sesso o alle nonne? È il caso di ricordare che Camera e Senato sono quelle che hanno licenziato la pessima legge sulla droga e stanno approvando le disastrose riforme del divorzio e delle unioni civili.

L’approfondimento di ordine etico non potrà non tenere conto di queste condizioni di fatto e di diritto positivo. 

venerdì 18 luglio 2014

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO: NON ESISTE "DIRITTO AL MATRIMONIO OMOSESSUALE": LA CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO "CONSERVA IL TRADIZIONALE CONCETTO DI MATRIMONIO QUALE QUELLO TRA UN UOMO E UNA DONNA" - La Manif Pour Tous Italia


La Manif Pour Tous ItaliaIl 16 luglio 2014 la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha negato ancora e con la maggior risolutezza mai espressa in precedenza che l'Articolo 12 della Convenzione Europea dei Diritto dell'Uomo ("Diritto al matrimonio") possa essere interpretato nel senso di indirizzare gli Stati contraenti a garantire l'accesso al matrimonio alle coppie dello stesso sesso.

"La Corte conferma che l'Articolo 12 della Convenzione è una lex specialis rispetto al diritto di sposarsi. Esso assicura il diritto fondamentale di un uomo e una donna di sposarsi e fondare una famiglia. L'Articolo 12 fa espressamente salva la regolamentazione del matrimonio da parte della legge nazionale".
Ma la Corte aggiunge una nota tutt'altro che scontata: l'Articolo 12 "conserva il concetto tradizionale di matrimonio quale quello tra un uomo e una donna".
Questa considerazione ha un'importanza sistematica eccezionale nel rapporto tra diritto dell'Unione Europea e diritto interno italiano. Basti considerare che nell'ultima occasione in cui la Corte si è espressa sullo stesso punto di diritto (2010) essa aveva affermato (o minacciato?): "non per molto la Corte potrebbe considerare che il diritto di sposarsi racchiuso nell'Articolo 12 debba essere in ogni caso limitato al matrimonio tra due persone di sesso opposto".
Nella sentenza di ieri, invece, la Corte ha ammesso che l'Articolo 12, benché faccia salva la legislazione nazionale in tema di requisiti d'accesso, di per sé è tutt'altro che "neutro" sulla questione: il diritto al matrimonio che esso afferma "conserva il concetto tradizionale di matrimonio quale quello tra un uomo e una donna". Dunque in nessun caso la Convenzione può essere interpretata, in merito, in senso diversamente obbligatorio.
La Corte conclude: "Mentre è vero che alcuni Stati Contraenti hanno esteso il matrimonio a partners dello stesso sesso, l'Articolo 12 non può essere interpretato per imporre l'obbligo agli Stati Contraenti di garantire l'accesso al matrimonio alle coppie dello stesso sesso".
Da notare che la Corte Costituzionale italiana ha affermato nel 2010 che anche il nostro articolo 29 Cost. sul matrimonio è informato al concetto di matrimonio tra un uomo e una donna (ma in questo caso tale previsione vincola la legislazione nazionale: il matrimonio tra persone dello stesso sesso sarebbe incostituzionale).
Tutto ciò per screditare per l'ennesima volta tutti coloro che, in tema di matrimonio e diritti delle persone omosessuali, sono soliti scomodare i principi fondamentali del diritto, come quello, più che mai abusato, dell'uguaglianza. L'uguaglianza non può reggere che situazioni tra loro uguali, altrimenti è arbitrio. Il matrimonio è sì il diritto di ogni uomo ed ogni donna: ma è il diritto di un uomo di sposarsi con una donna e il diritto di una donna di sposarsi con un uomo. Da oggi potremo dire (più sicuri di prima) che questo vale anche per la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo - fatte salve le scelte di coloro ai quali la stessa consente di far come gli pare. Noi preferiamo conservare le cose sensate.
Dedichiamo questa decisione a chi da sempre ci accusa di "discriminare", confondendo la discriminazione col più elementare discernimento. La dedichiamo a quelli che invocano i "Diritti" come se fossero custoditi nelle sotterranee di chissà quale fortezza "omofoba" per ridurre allo stato minorile una parte di popolazione. Il diritto che pretendono essere innato, umano, elementare, fondamentale, uguale.. beh, sembra brutto dirlo, ma quel diritto non esiste, di per sé. Esiste la possibilità politica di inventarlo, dietro il pagamento di una ingente somma di consenso elettorale (con tutti gli annessi). Ma non esiste un diritto individuale fondamentale a fare del matrimonio quel che si vuole con chi si vuole. C'è un limite, c'è un criterio. C'è un senso.
Accogliamo questa decisione come un altro mattoncino con cui ricostruire la nostra società sfibrata, perché quelli a cui dedichiamo in particolare questa decisione sono quelli che .. "tanto ormai la direzione è quella, sarete spazzati via dalla storia, è solo questione di tempo". Sarà pure così, ma ieri di tempo ne abbiamo guadagnato in abbondanza per dire la nostra ancora a lungo.
La Manif Pour Tous Italia
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(*) I fatti: un uomo finlandese sposato con una donna chiede l'aggiornamento dei dati anagrafici in seguito al cambio di sesso, ma le autorità civili negano la possibilità finché dura il matrimonio: non essendo infatti in Finlandia consentito il matrimonio tra persone (legalmente) dello stesso sesso, la situazione che si creerebbe sarebbe inaccettabile. La coppia deve dunque scegliere se divorziare o trasformare il matrimonio in una unione civile (che in Finlandia ha un trattamento giuridico sostanzialmente parificato al matrimonio). La coppia però fa ricorso perché non vuole divorziare ma nemmeno veder degradato lo status giuridico della loro situazione familiare. Chiedono dunque alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo se la legislazione finlandese non violi il rispetto per la loro vita privata e familiare, nonché il loro diritto al matrimonio. La Corte risponde come sopra.
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martedì 15 luglio 2014

Il pedofilo seriale Jimmy Savile non era nessuno. In Inghilterra sono i professoroni a dire che «è normale voler fare sesso con i bambini», 14 luglio 2014 di Benedetta Frigerio, http://www.tempi.it


Si sta ingigantendo spaventosamente nel Regno Unito lo scandalo pedofilia innescato dalla scoperta degli abusi commessi per anni da Jimmy Savile, il noto showman della Bbc morto a 84 anni nell’ottobre del 2011. Le indagini condotte in 28 strutture sanitarie britanniche in cui l’uomo si recava come volontario, infatti, hanno rivelato che potrebbero essere molte di più le persone coinvolte nel “giro”, e tra esse figurerebbero secondo le notizie di stampa anche una ventina di politici di tutti e tre i principali partiti.

«DUE GIORNI ECCEZIONALI». Ma mentre il paese si interroga sconvolto sulla perversione del suo passato, qualcuno ricorda che ancora oggi, nel presente, non negli “amorali” anni Settanta e Ottanta, la campagna per la normalizzazione della pedofilia prosegue indisturbata. Andrew Gilligan ha rispolverato per il Telegraph una conferenza accademica tenutasi il 4 e 5 luglio del 2013 sulla classificazione della sessualità all’interno del Dsm (il manuale della malattie psichiatriche), nella cui presentazione si sosteneva che «l’interesse pedofilo è naturale e normale per i maschi», e che «una nutrita minoranza di maschi normali vorrebbe fare sesso con i bambini (…) gli uomini normali sono eccitati dai bambini». Non sono farneticazioni «pronunciate in privato», sottolinea il quotidiano inglese, ma le «affermazioni centrali» di una conferenza tenuta all’Università di Cambridge, e contenute in «una presentazione accademica spedita, all’atto dell’invito da parte degli organizzatori, a molti dei maggiori esperti del campo».
Fra i partecipanti, nota Gilligan, c’era persino Tom O’Carroll, accusato di abusi su diversi minori e noto attivista per la legalizzazione della pedofilia. «Meraviglioso!», aveva scritto l’uomo sul suo blog commentando una delle rare occasioni in cui «mi sono potuto sentire relativamente popolare».

jimmy-savile

L’ULTIMO TABÙ. Il paese – osserva il giornalista – segue atterrito le notizie sul coinvolgimento di importanti personalità in abusi e insabbiamenti avvenuti trent’anni fa, ma esiste «una minaccia molto più attuale», e cioè «i tentativi, in atto oggi, da parte di pezzi dell’élite accademica di portare il sesso con i bambini entro i confini dell’accettabilità». Purtroppo secondo Gilligan «i fatti avvenuti decenni fa nei camerini della Bbc» e nei «corridoi del potere non erano solo errori istituzionali o “complotti” dell’establishment», ma i frutti di «un clima di tolleranza intellettuale di gran lunga maggiore verso pratiche che oggi fanno orrore». In quegli anni la pedofilia, insiste il cronista del Telegraph, era per un certo mondo «solo un altro confine repressivo da spazzare via» e il sostegno più pesante a questa idea «venica dal mondo accademico». Gilligan fa gli esempi di Brian Taylor, docente di sociologia all’Università del Sussex che nel 1981 parlò di “pregiudizio” verso il sesso con i bambini, e di Peter Righton, direttore della formazione presso l’Istituto nazionale di assistenza sociale, condannato per crimini sessuali contro i bambini. Sempre nel 1981 Ken Plummer, professore emerito di sociologia all’Università dell’Essex, scriveva che «il senso di isolamento, colpa e angoscia di molti pedofili non sono intrinseci al fenomeno, ma derivano dall’estrema repressione sociale di questa minoranza». In genere, sosteneva ancora Plummer, «i pedofili sono accusati di essere seduttori e stupratori di bambini» quando invece «loro sanno che le loro esperienze sono spesso tenere e amorose».

SIAMO TUTTI PEDOFILI. Ma per Plummer queste non sono idee nate e abbandonate negli anni Ottanta. Nel 2012, ricorda Gilligan, il professore ha riproposto nel suo blog personale il capitolo di un libro del 1991 in cui vergava nero su bianco questa idea: «Ora che l’omosessualità tende a generare meno panico, il nuovo paria “molestatore di bambini” è diventato l’ultimo demone sociale», eppure «molti adulti pedofili raccontano che i ragazzini cercano attivamente partner sessuali» e «la stessa “infanzia” non è un dato biologico ma un oggetto sociale prodotto della storia». Forse, però, nota Gilligan, nessuno batterà in quanto a idee controverse l’intervento pronunciato l’anno scorso alla conferenza di Cambridge da Philip Tromovitch, professore universitario in Giappone, che ha parlato della “prevalenza della pedofilia” sostenendo che «probabilmente gli uomini sono in maggioranza pedofili e ebefili».

@frigeriobenedet

La strage degli embrioni: solo uno su 10 vive di Tommaso Scandroglio, 15-07-2014, http://www.lanuovabq.it

Il 9 luglio scorso è stata pubblicata l’annuale relazione che il ministro della Salute presenta al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 40, norma che disciplina la fecondazione artificiale nel nostro Paese. I dati sono riferiti all’anno 2012. Qualche cifra tra le più significative (ringrazio il dottor Renzo Puccetti per l’assistenza in fase di verifica dei dati). «In generale, aumenta l’accesso alle tecniche di Pma» scrive il ministro Beatrice Lorenzin (si riferisce alle tecniche di II e III livello). Quindi sempre più coppie cercano il figlio in provetta, ben 72.543. Ma quante riescono nel loro intento? Siamo intorno al 17%. Il dato di insuccesso non è molto dissimile da quello del 2004-2005, primo anno in cui legalmente si praticava la fecondazione artificiale. E questo nonostante si possano produrre quanti embrioni si vogliono per ciclo e la crioconservazione del figlio non abbia più limiti grazie alla sentenza della Corte Costituzionale del 2009. Ciò a dimostrare che le aperture alla provetta a colpi di sentenza non ha prodotto i risultati sperati.

Madre natura ha le sue regole che nemmeno i giudici riescono a piegare ai propri voleri. Un altro dato: «Il numero delle donne di 40 anni o più che si sottopongono a Fivet ed Icsi è aumentato passando dal 20,7% del 2005 al 30,7% del 2012, mentre è diminuito quello delle donne con età inferiore ai 34 anni, passando dal 39,3% del 2005 al 28,3% del 2012, fattore questo che incide negativamente sui risultati delle tecniche stesse». Dunque si alza l’età in cui si cerca un figlio. Anche questo è un aspetto interessante. La legge 40 era nata con l’intenzione di venire incontro al desiderio di quelle coppie che non riuscivano ad avere un figlio non tanto per motivi di età, ma per cause patologiche. Ce lo rivela l’art. 5 della legge che pone come condizione per accedere alla fecondazione artificiale il fatto che i richiedenti siano “in età potenzialmente fertile”. Ecco che la provetta da strumento per colmare un problema di sterilità ed infertilità patologiche diviene espediente per diventare genitore quando i capelli ormai sono grigi.

Ma veniamo al personaggio principale della Fivet: il nascituro. Sono stati prodotti 114.276 embrioni. Di questi, 18.957 sono stati congelati: più del 16% del totale. La crioconservazione è pratica che viene applicata sempre più frequentemente. Un’accelerazione si è registrata all’indomani della già citata sentenza della Consulta che ha ampliato le ipotesi di crioconservazione: prima della sentenza gli embrioni congelati erano 7.337 (anno 2009) per poi schizzare solo l’anno dopo a 16.280. Più del doppio.  Ecco però la domanda cruciale: di quei 114.000 e più embrioni prodotti quanti hanno visto la luce? Siamo intorno ai 12.100. Quindi ben 83.200 embrioni sono morti nei processi di fecondazione artificiale e quasi 19.000, come abbiamo visto, conducono un’esistenza sospesa in azoto liquido con un altissimo rischio, una volta scongelati, di perire anch’essi.

Espresso in percentuali, solo il 10% degli embrioni prodotti è nato, contro il 74% dei loro fratelli che è morto e il 16% che è attualmente crioconservato. Lo vogliamo sottolineare ancora una volta: solo un embrione su 10 vedrà la luce. Voi prendereste un aereo di una compagnia i cui velivoli nove volte su dieci si schiantano al suolo? Anche in questo caso il figlio in provetta era e rimane una tecnica assai fallimentare, nonostante tutte gli interventi di carattere giurisprudenziale che si sono succeduti negli anni. Un qualsiasi farmaco da banco che registrasse simili risultati negativi non potrebbe essere mai commercializzato. Tornando all’esempio dell’aereo: se precipitassero il 90% dei voli di una compagnia aerea secondo voi gli enti preposti non interverrebbero immediatamente con un’inchiesta bloccando tutto? Addirittura basterebbe un solo velivolo precipitato per allertare subito le autorità.

Ma per la provetta magica l’ideologia e il denaro fanno chiudere gli occhi su questo fallimento di proporzioni macroscopiche ed anzi lo legittimano con tanto di norme varate dal Parlamento e liberalizzate ancor di più dai giudici. D’altronde il prezzo più salato lo facciamo pagare al bambino mai nato che non ha modo di protestare e dunque perché preoccuparsi? È interessante leggere questa relazione in combinato disposto con la recente sentenza della Corte Costituzionale che ha abolito il divieto di eterologa. Sarà curioso verificare nella relazione del 2016 come risponderà il popolo italico a questa nuova opzione: la ultra quarantenne sfiderà la sorte usando il proprio ovocita un po’ vecchiotto nella speranza però di abbracciare un figlio geneticamente suo oppure sarà tentata dall’ovocita della donatrice ventenne, che promette maggiori chance di successo ma che altresì assicura di crescere un “figlio” che non è suo figlio? La relazione del Ministro della Salute assomiglierà sempre più ad una statistica di vincite al Lotto, una terribile roulette russa fatta a spese di centinaia di migliaia di bambini.

Dalla lobby gay un attacco mondiale alla famiglia di Massimo Introvigne Da sinistra: Massimo Introvigne e Alan Sears, 15-07-2014, http://www.lanuovabq.it

Alan Sears è riconosciuto come uno dei più importanti leader - se non, semplicemente, il più importante, nella lotta per la libertà religiosa, la vita e la famiglia in cui i cristiani degli Stati Uniti sono impegnati da diversi decenni, a fronte di leggi che aggrediscono in modo sempre più virulento i principi che Benedetto XVI chiamava non negoziabili. Avvocato, procuratore federale, collaboratore del presidente Ronald Reagan (1911-2004), da vent'anni Sears presiede l'Alliance Defending Freedom (Adf), una coalizione di migliaia di giuristi, con la partecipazione anche di giornalisti e accademici, che intervengono quando la libertà dei cristiani o i diritti della vita e della famiglia sono attaccati. L'Adf ha avuto un ruolo cruciale in migliaia di cause nei tribunali americani, e non solo, compresi casi pilota della Corte Suprema, fra cui il recente caso Hobby Lobby di cui anche La nuova Bussola quotidiana si è occupata. Lo incontro a Naples, in Florida, in occasione dell'”Accademia»”che forma ogni anno diverse centinaia di avvocati e studenti di legge interessati alle cause difese dall'Adf. Sears non concede molte interviste, ritenendo che il lavoro dell'Adf debba essere condotto, per assicurare i risultati, in modo discreto e senza troppa pubblicità per la sua sigla. Ma si tratta di un personaggio chiave per capire non soltanto che cosa succede, e non solo negli Stati Uniti, nell'aggressione mondiale alla libertà religiosa, alla vita e alla famiglia, ma anche che cosa si può fare in concreto per resistere. In questa intervista esclusiva ci spiega che la battaglia non è affatto perduta.

Che cos'è l'Adf?

Come dice il nome, è un'alleanza. Un'alleanza di credenti, in maggioranza giuristi, che vogliono praticare la loro fede liberamente e garantire lo stesso diritto a tutti. In concreto, operiamo in quattro settori: strategia, formazione, raccolta di fondi e intervento legale. Strategia per noi significa avere un piano globale, difensivo e offensivo. Quando la casa brucia, per prima cosa si cerca di spegnere l'incendio, fare intervenire i pompieri. Ma in seguito si tratterà di prevenire gli incendi, e questo può avvenire solo mettendo insieme un numero sufficiente di persone e organizzazioni. Abbiamo collaborato con oltre tremila organizzazioni diverse, cercando di coordinarle e di evitare che una senza volerlo ne danneggiasse un'altra.

Seconda area, la formazione. Abbiamo formato o fornito informazioni a circa cinquemila avvocati di oltre venti Paesi. Con il nostro programma Blackstone offriamo ogni anno nove settimane di formazione a studenti di legge di dieci Paesi. Hanno seguito questo programma oltre 1.400 studenti. Non mettiamo gli Stati Uniti al centro, facciamo conoscere i diversi sistemi legali, e insistiamo molto sulla nozione del diritto naturale.

Terzo: raccolta di fondi. Abbiamo ricevuto aiuti in vent'anni da un milione di persone, e oggi abbiamo circa 110.000 benefattori che incontriamo tramite eventi e conferenze pubbliche, il sito Internet e soprattutto i contatti personali. I nostri avvocati lavorano gratis, senza onorari, ma le cause comportano anche spese vive. Abbiamo investito quarantadue milioni di dollari nell'attività legale. Questa è la nostra quarta attività, quella per cui forse siamo più noti. Interveniamo, talora come parte, con il nostro nome, ma molto spesso lasciando che altri firmino le memorie, senza che il nostro nome appaia, in centinaia di casi di fronte a tribunali di ogni grado, e ormai di tutto il mondo. E il nostro intervento è sempre assolutamente gratuito. Gli avvocati lavorano gratis, e anche le spese vive sono pagate dai nostri benefattori, non dai clienti.

Com'è nata l'idea dell'Adf?

Nel 1993 trentacinque leader di fama nazionale del mondo protestante conservatore americano si sono riuniti per discutere un problema che li preoccupava da tempo. Da molti anni nelle cause relative alla libertà dei cristiani, alla vita e alla famiglia intervenivano apertamente o dietro le quinte organizzazioni anticristiane e ostili alla famiglia e alla vita come Planned Parenthood e la American Civil Liberties Union (Aclu). Organizzazioni gigantesche, con milioni e milioni di dollari da spendere. Che cosa c'era dall'altra parte, dalla parte dei cristiani, della vita e della famiglia? La risposta era facile: niente. I leader commissionarono uno studio che rivelò che la giurisprudenza in queste materie era cambiata perché amministrazioni statali o comunali o organizzazioni religiose spesso mal rappresentate e con budget limitati erano state citate in giudizio da colossi come l'Aclu che si potevano permettere avvocati costosissimi. Così era stata erosa la libertà religiosa, era stato introdotto per via giudiziaria l'aborto, e così via. Per usare una metafora sportiva, una squadra vinceva perché l'altra semplicemente non si presentava a giocare la partita. Era dunque assolutamente necessario opporre alle varie Aclu una grande organizzazione dove ottimi avvocati si mettessero a disposizione gratis di queste cause, e dove giovani avvocati fossero formati a combattere in questi settori. I trentacinque leader erano protestanti ma volevano da subito collaborare con ebrei, cristiani ortodossi e soprattutto cattolici. Non a caso chiamarono me, che sono un cattolico, a dirigere l'Adf. E fin dall'inizio alcuni dei leader pensavano a un'organizzazione internazionale. Abbiamo uffici a Città del Messico, Delhi, Vienna e ne stiamo aprendo altri due in Europa. Il programma di formazione degli studenti di legge che oggi offriamo negli Stati Uniti sarà offerto dal 2015 anche in Messico e dal 2016 anche a Vienna.

L'Adf è particolarmente nota per i suoi interventi alla Corte Suprema degli Stati Uniti. Di recente, ha avuto un ruolo cruciale nel caso Conestoga - Hobby Lobby, di cui si è occupato anche il nostro quotidiano. Perché il caso è così importante?

A un pubblico europeo direi: è in corso una tremenda lotta morale per la coscienza e la libertà di coscienza. Molti oggi pensano che la coscienza sia un mero sentimento, ma è la chiave della nostra vita morale. Senza coscienza non abbiamo più una nozione del bene e del male. Ci sono leggi in tutto il mondo che violano la libertà di coscienza. Negli Stati Uniti la riforma sanitaria di Obama vuole costringere le aziende a finanziare direttamente l'acquisto di anticoncezionali di tipo abortivo per le loro dipendenti. Sono esentate solo le aziende con meno di cinquanta dipendenti, un migliaio di aziende che hanno ottenuto esenzioni dalla riforma sanitaria in genere perché affermano di trovarsi un difficoltà economiche (vedi caso, alcune sono aziende che donano somme significative al Partito Democratico), e le “chiese”, Ma “chiesa” è definito in modo molto restrittivo, per esempio si è deciso che i giornali e le case editrici religiose non sono “chiese”. Si è negata l'esenzione alla grande casa editrice protestante Tyndale, che esiste solo per diffondere la dottrina cristiana e reinveste qualunque profitto nel sostegno alle missioni. Insisto sull'espressione «finanziare direttamente» perché certamente tutti gli americani finanziano l'aborto e altre pessime cose con le loro tasse, ma in quei casi si tratta di finanziamento indiretto. Questo è un finanziamento diretto, una partecipazione diretta alla soppressione di una vita umana innocente. Nessuno può essere costretto a fare questo, è in gioco la coscienza. Nelle aziende familiari, obbligare l'azienda a partecipare alla soppressione di una vita umana significa obbligare le persone che la gestiscono. I nostri primi clienti in questo caso, i proprietari della Canastoga, sono mennoniti, cioè fanno parte di una comunità che ha una lunga storia di lotta per la libertà religiosa. Siamo intervenuti e abbiamo vinto. La decisione è importante perché ha aperto la strada ad altri diciannove casi, in cui altre aziende (alcune no profit, alcune commerciali) hanno chiesto la stessa esenzione dal pagamento di prodotti abortivi alle loro dipendenti. Abbiamo vinto tutti i casi, diciannove a zero. Compreso il caso della casa editrice Tyndale. Tutto questo è importante anche in Europa. Anche lì gli Stati violano la libertà di coscienza e pretendono di limitare l'obiezione di coscienza definendo che cosa è una “chiesa” e che cosa non lo è.

Un altro caso della Corte Suprema, deciso due mesi fa, di cui vi siete occupati è il caso City of Greece. Di che si tratta?

Va premesso che negli Stati Uniti la Corte Suprema non è obbligata a esaminare tutti i casi che le sono sottoposti. Riceve da cinquemila a diecimila richieste ogni anno e ne accetta solo un centinaio. Nell'ultimo anno ha accettato 75 casi. In cinque di questi siamo intervenuti. Grazie a Dio, li abbiamo vinti tutti e cinque. Per arrivare a City of Greece abbiamo compiuto un lunghissimo cammino durato molti anni. Negli Stati Uniti, fin dai tempi dei Padri fondatori, c'è la tradizione di iniziare le sessioni del Parlamento e le lezioni nelle scuole con una preghiera. Questo vale anche per i consigli comunali e i Parlamenti statali. Le organizzazioni antireligiose e atee hanno cominciato ad attaccare non il Parlamento ma piccole scuole e Comuni, sostenendo che queste preghiere violano i diritti delle minoranze non religiose. In City of Greece la Corte Suprema ha stabilito che, quando la grande maggioranza dei cittadini è favorevole alla preghiera in un consiglio comunale, i giudici non possono vietarla per compiacere una piccola minoranza di atei militanti. Ora stiamo scrivendo a tutte le scuole e a tutti i Comuni degli Stati Uniti spiegando che dopo questa sentenza hanno diritto di aprire i loro lavori con una preghiera. Anche questo ha paralleli e implicazioni in Europa: pensiamo ai casi relativi al Crocefisso.

Parlando di Europa, la grande questione oggi è quella delle unioni omosessuali. La stampa ci racconta che la Corte Suprema americana, più «avanzata» di alcuni tribunali europei, ha introdotto il «matrimonio» omosessuale negli Stati Uniti per via giudiziaria nel 2013. È proprio così?

Vorrei anzitutto notare la globalizzazione del diritto. Le sentenze della Corte Suprema americana da qualche anno citano come precedenti quelle della Corte Europea dei Diritti Umani. E viceversa. Per questo dobbiamo lavorare insieme e l'Adf ha aperto uffici in Europa - uffici europei con avvocati europei, non vogliamo fare i turisti americani in visita in Europa. Detto questo, la Corte Suprema nel 2013 non ha imposto agli Stati di introdurre il “matrimonio” omosessuale. Potrebbe farlo nel caso dello Utah, di cui ora si dovrà occupare: un caso noto perché cinque organizzazioni religiose, compresa la Chiesa cattolica, sono intervenute a sostenere lo Stato dello Utah che si oppone a sentenze di giudici federali che vorrebbero imporgli il “matrimonio” omosessuale anche se la maggioranza dei suoi cittadini lo rifiuta. Seguiranno casi analoghi dell'Oklahoma e della Virginia. In questi casi la Corte Suprema potrebbe stabilire che è obbligatorio per gli Stati sposare persone dello stesso sesso. Oppure potrebbe anche non farlo. Come si dice nello sport in America, la partita non è finita fino al fischio finale. E in verità neanche dopo. Nel XIX secolo la Corte Suprema ha emesso diverse decisioni a favore della schiavitù. Poi ha cambiato idea. La terribile sentenza sull'aborto ha portato all'uccisione di cinquantasei milioni di bambini americani, con conseguenze devastanti anche sull'economia, sulle pensioni. Ci sarebbe stata la crisi economica con cinquantasei milioni di consumatori e di contribuenti ai fondi pensione in più? Non ci arrendiamo sull'aborto, dove ci sono piccoli segnali incoraggianti anche nelle sentenze, e non ci arrenderemo sulla famiglia, così come qualcuno a suo tempo non si arrese sulla schiavitù.

In Europa pensavamo che gli Stati Uniti fossero il Paese della libertà di espressione e di coscienza. Sembra che con le leggi sull'omofobia non sia più così. Il nostro quotidiano ha dato spazio a un caso di cui l'Adf si è molto occupata, il caso Elane Photography, in cui la Corte Suprema del New Mexico ha imposto a una fotografa di mettere la sua arte al servizio di una coppia di lesbiche, che come cristiana si era rifiutata di fotografare. Questa settimana abbiamo anche riferito di una sentenza della Corte Suprema della Louisiana, che attacca direttamente il segreto della confessione cattolica imponendo a un sacerdote di avvisare la polizia quando viene a conoscenza di un reato in confessione. Che sta succedendo?

Il problema è sempre quello della coscienza. C'è un'aggressione mondiale alla libertà di coscienza. Negli Stati Uniti e ora anche in Europa ci sono casi contro fiorai e pasticceri che si sono rifiutati per ragioni di coscienza di preparare torte o composizioni floreali per matrimoni o eventi omosessuali. Torno al punto di partenza: se la coscienza è un semplice sentimento queste sentenze sono comprensibili. Ma se è il sacrario inviolabile della nostra libertà le cose stanno diversamente. Questo vale anche per la confessione in Louisiana, e come cattolici consideriamo la protezione del segreto della confessione qualche cosa di sacro. Se il caso arriverà alla Corte Suprema (si può sempre sperare in una transazione fondata sul buon senso, e noi alle transazioni siamo sempre favorevoli), l'Adf se ne occuperà e cercherà di vincere. È importante sottolineare che noi non iniziamo mai casi legali per ragioni propagandistiche o per farci pubblicità: in effetti, non ci facciamo nessuna pubblicità. Noi iniziamo le cause per vincerle, e grazie a Dio in un'ampia maggioranza di casi le vinciamo. Detto questo, nel lontano 2003 ho pubblicato un libro che ha avuto un certo successo, «L'agenda omosessuale. La maggiore minaccia alla libertà religiosa oggi». Che sia la maggiore minaccia ormai è chiaro in tutto il mondo. Con altri si può negoziare. Con gli attivisti omosessualisti no. Lo dicono chiaramente: non si accontentano di trovare soluzioni pragmatiche a qualche problema, ma vogliono ridefinire la cultura e la società, e vietare per legge che qualcuno si opponga.

venerdì 11 luglio 2014

Dagli Usa una bella lezione per i timidi cattolici italiani di Tommaso Scandroglio, 11-07-2014, http://www.lanuovabq.it

La sentenza della Corte Suprema di qualche giorno fa che, in contrasto con quanto previsto dall’Obama-care, ha permesso a due aziende statunitensi quotate in borsa – la Hobby Lobby e la Conestoga Wood Specialties - di non pagare le spese per la contraccezione eventualmente sostenute dai propri dipendenti, sta creando un effetto a catena. Infatti, dopo solo 24 ore dalla pronuncia dei giudici della Suprema Corte, due tribunali federali hanno preso decisioni identiche a favore di una televisione cattolica e cinque enti no-profit di ispirazione cristiana del Wyoming: la diocesi di Cheyenne, la Caritas statale, l’orfanatrofio di Saint Joseph, la scuola di Saint Anthony e l’Università cattolica del Wyoming. In modo analogo ha sentenziato una corte dell’Illinois a favore del Wheaton College alle porte di Chicago.

E siamo solo all’inizio dato che ad oggi sono 100 i gruppi che hanno fatto causa al ministero della Salute a motivo della riforma sanitaria di Obama varata nel 2010. Senza poi contare che 80 enti no profit hanno già vinto la loro sfida nei tribunali federali o statali. Voci di corridoio affermano che il presidente stia preparando una contromossa per arginare questo diluvio di ricorsi che molto probabilmente lo vedrebbero in futuro di nuovo perdente. Il cardine di queste vittorie si situa su uno snodo giuridico particolare: la libertà religiosa. Secondo i giudici tale libertà deve essere tutelata anche quando Tizio agisce da imprenditore e non solo alla domenica quando si reca in chiesa.

Importare questo ragionamento giuridico in casa nostra verrebbe qualificato da molti scandaloso, anzi al limite del ridicolo. L’espressione dei propri convincimenti religiosi da noi non solo non è tutelata – semmai tollerata posto che sia esercitata nel chiuso di ambienti domestici o in luoghi deputati – ma addirittura viene osteggiata. Poniamo mente solo a tutta la querelle che è fiorita intorno alla teoria del gender: l’asserzione di personali giudizi di carattere morale – propri anche del portato culturale cattolico – viene interpretata come atto di discriminazione a danno delle persone omosessuali.Ma il caso Obama-care versus libertà religiosa è d’insegnamento per noi altri anche per ulteriori motivi. La strategia vincente made in Usa è quella non di lisciare il pelo del nemico per il verso giusto, tentando compromessi con il governo o arrabattandosi nel trovare nelle norme delle riforma sanitaria di Obama pertugi per non pagare le assicurazioni su aborto e contraccezione (ci saranno pur state in questa riforma delle parti buone, no?). Bensì è una strategia dichiaratamente antagonista che dice un “No” semplice e tondo tondo alla riforma sanitaria.

Tutto l’opposto, ad esempio, di quello che è avvenuto e sta avvenendo in alcuni settori della cultura “cattolica” in merito alla pronuncia della nostra Corte Costituzionale sull’eterologa dove non pochi, all’indomani della sentenza ed anche prima, si sono affrettati ad indicare la strada della legittimazione parlamentare dell’eterologa come rimedio per arginare la stessa eterologa (un bel controsenso). Optando per la formalizzazione normativa di quanto disposto dai giudici, alcuni “cattolici” illuminati non solo hanno fatto propria una soluzione in contrasto con la morale naturale – mai si può varare una legge intrinsecamente malvagia seppur meno malvagia di un’altra – ma si sono altresì allineati perfettamente all’orientamento deciso dalla Corte. In buona sostanza: negli Usa Obama pone una norma liberticida e diocesi, università, conventi, imprese la contrastano in radice e vincono. Noi ci troviamo davanti a dei giudici che dicono “Sì” all’eterologa e una parte del mondo pro-life dice pure lui “Sì” all’eterologa seppur in versione un poco depotenziata (cosa poi che nei fatti sarà tutta da verificare: vedasi cosa ha detto il ministro Lorenzin un paio di giorni fa al Corriere).

Insomma, tanto per rimanere legati alla recente cronaca calcistica, i giudici mettono a segno sette gol e noi siamo tutti contenti se riusciamo a limitare la sconfitta e segnare il gol della bandiera. Ma, è bene ricordarselo, anche se abbiamo fatto una rete l’incontro l’abbiamo perso ugualmente. E’ l’eterologa che va in finale, non la dottrina della Chiesa. Qualcuno obietterà: “Ma lì è l’America, è la patria dei duri e puri, un Paese con una lunga tradizione di manifestazioni popolari. Noi siamo diversi per sensibilità e storia”. Risposta: l’Italia è la culla della cristianità, nazione dove ha sede la cattedra di Pietro. Non si capisce cosa ci manca per ribaltare la situazione in quanto a tradizione, risorse e talenti. Non è nelle nostre corde dire evangelicamente “Sì sì, no no”? La soluzione è semplice: impariamo a dirlo questo “Sì sì, no no”. Milioni di bambini che continuamente muoiono per aborto e per Fivet lo esigono.

Continuiamo ad approfondire il tema del “che fare?”. Andiamo a bussare alla porta dei politici? Il mondo della politica non offre appigli. Anzi, gli esponenti “cattolici” nel momento attuale o remano contro o, per usare un eufemismo, hanno le idee confuse. Bene lavorarli ai fianchi, ma non aspettiamoci fuochi artificiali. Ci appelliamo ai pastori? La realtà italiana ecclesiale, nella maggior parte dei casi, col cambio di stagione della teologia morale ha messo in naftalina la pastorale sui principi non negoziabili e allorché ne parla assume posizioni dottrinali eterodosse. Il silenzio omertoso di una buonissima fetta della Chiesa italiana su questi temi – vedasi da ultimi eterologa e unioni civili di Renzi – fa addirittura sospettare che le bocche chiuse siano merce di scambio per ottenere qualcosa d’altro.

Ci rivolgiamo infine alla base del laicato? Ampi settori del mondo pro-life o sono ostaggi di questa Chiesa del silenzio (e l’espressione non rimanda alla Chiesa perseguitata) e quindi stanno al verone a guardare. Oppure, se sono da questa indipendenti, nel momento attuale sono assai divisi in lotte intestine e dunque – a  parte qualche significativo caso – risultano essere paralizzati nell’azione. Ma forse è proprio questo “significativo caso” che potrebbe essere la nostra ancora di salvezza. Esistono realtà laicali ben formate e agguerrite sul piano operativo. Perché non esportare il loro modello in altri ambiti e non ingrandire di scala i loro progetti? Nei momenti di confusione, basta una voce chiara che dica e proponga di fare cose semplici ma radicali per trascinare. Forse che questa è la strada buona?

mercoledì 9 luglio 2014

All'Onu l'Italia ha votato "no" alla famiglia di Anna Bono, 09-07-2014, http://www.lanuovabq.it

Il 25 giugno il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, in occasione del ventesimo anniversario dell’Anno internazionale della famiglia, istituito nel 1994, ha deciso di organizzare una tavola rotonda sulla protezione della famiglia e dei suoi membri. Nel testo della risoluzione approvata dal Consiglio si leggono le motivazioni. Il Consiglio afferma che “incombe in primo luogo agli Stati di promuovere e proteggere i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali di tutti gli esseri umani, in particolare delle donne, dei bambini e degli anziani”; si dichiara “cosciente che spetta alla famiglia in primo luogo allevare e proteggere i bambini e che essi, per poter raggiungere una completa e armoniosa maturazione della loro personalità, devono crescere in un quadro famigliare e in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione”; si dice “convinto che la famiglia, unità fondamentale della società e ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri e in particolare dei bambini, deve ricevere la protezione e l’assistenza di cui ha bisogno per poter assumere in pieno il suo ruolo nella comunità”; e infine riafferma che “la famiglia è l’elemento naturale e fondamentale della società e che essa ha diritto alla protezione della società e dello Stato”.

Dati i contenuti, ci si aspetterebbe che la risoluzione fosse stata votata all’unanimità. Invece l’hanno approvata soltanto 26 dei 47 stati che compongono il Consiglio: sei gli astenuti e 14 i contrari, assente Cuba.

Spiccano tra i voti a favore quelli dell’Africa, rappresentata nel Consiglio da 13 paesi tutti concordi nell’approvare la risoluzione. Favorevoli inoltre si sono dichiarati tra gli altri Cina, India, Indonesia, Russia, Arabia Saudita e Pakistan.

Hanno votato contro tutti gli stati che rappresentano l’Occidente: Italia, Germania, Austria, Stati Uniti, Francia, Irlanda e Gran Bretagna.

Il loro voto contrario, insieme a quello di Cile, Estonia, Giappone, Montenegro, Repubblica di Corea, Repubblica Ceca e Romania, è motivato dal fatto che nel testo della risoluzione si parla solo di “famiglia”. Gli stati contrari alla risoluzione hanno infatti chiesto per mesi che nel testo si aggiungessero alla famiglia “altri tipi di unione” oppure si usasse, invece che “famiglia”, l’espressione “varie forme di famiglia”.

Il Consiglio non ha accolto queste richieste cedendo a chi vuole “imporre un modello unico di famiglia”, ha spiegato il rappresentante della Gran Bretagna. Esistono invece “miriadi di strutture famigliari” ha aggiunto il rappresentante degli Stati Uniti. Dello stesso parere si è detta l’Argentina, poi astenutasi, secondo cui così tante sono le strutture famigliari da rendere impossibile una definizione di famiglia. La Germania inoltre ha criticato il fatto che nel testo non si parli delle violazioni dei diritti umani commessi nelle famiglie.

Sono motivazioni assai poco convincenti. Che l’istituzione famigliare si declini se non in “miriadi”, certo in molteplici forme diverse (monogamica, poliginica, nucleare, allargata...) è risaputo e ammesso. Si dice “famiglia” e tutte si comprendono, per poi specificare solo quando si da il caso.

Colpiscono a maggior ragione le ragioni del “no” italiano a una risoluzione che semplicemente impegna a proteggere la famiglia per ragioni così condivisibili come la tutela dei diritti umani e in particolare delle categorie sociali più deboli. Il quotidiano Avvenire, che ha interpellato il Ministero degli Affari Esteri in proposito, riporta: “la Farnesina ha fatto sapere che nella decisione di voto è stata data priorità al principio della solidarietà europea e occidentale; un rifiuto di disgregare il fronte europeo che il Ministero degli Esteri considera essenziale, soprattutto in coincidenza con l’inizio del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’UE, per sostenere alcune importanti iniziative europee alle Nazioni Unite come quelle sulla libertà di religione e la protezione delle minoranze religiose o quella sulla moratoria della pena di morte”. Inoltre la Farnesina avrebbe fatto rilevare che tra i proponenti del testo approvato figurano paesi che “hanno una concezione molto particolare di famiglia”.

Si potrebbe obiettare innanzi tutto che, proprio perchè inizia il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea, un segnale forte dall’Italia in difesa dei diritti umani e della famiglia sarebbe stato opportuno e incisivo. In secondo luogo fa pensare il criterio di schierarsi comunque contro paesi di cui non si condividono certe caratteristiche e allinearsi, a prescindere, con i paesi affini: specie quando si tratta di una questione come la difesa della famiglia di cui la nostra costituzione riconosce i diritti “come società naturale fondata sul matrimonio”. Quanto alla “concezione molto particolare di famiglia” di certi paesi, il senso della famiglia, ad esempio in Pakistan e Arabia Saudita, è molto forte e saldo: al punto – ed è questo caso mai che li differenzia dall’Occidente – da scegliere di sacrificare i suoi membri per garantirne la sopravvivenza, la salvaguardia e la perpetuazione (con istituzioni quali il matrimonio imposto e l’omicidio d’onore). Proprio per questo però sarebbe valsa la pena di approvare una risoluzione in cui anche quei paesi invocano la protezione della famiglia come luogo d’amore e comprensione, nell’interesse prima di tutto dei bambini, e riconoscono che compito di uno stato è difendere i diritti umani, soprattutto di donne, bambini e anziani.