mercoledì 28 gennaio 2015

Il bambino nato da maternità surrogata all’estero è figlio dei genitori committenti italiani di Giulia Milizia - 27 gennaio 2015 - http://www.dirittoegiustizia.it/

COMUNITARIO e INTERNAZIONALE  Sentenza storica e senza precedenti per l’Italia tanto che già il ricorso era stato inserito nel massimario della CEDU. È, però, impossibile restituire loro il bimbo, perché ha sviluppato un forte legame con la famiglia affidataria dall’aprile 2013. La maternità surrogata, anche dopo la pronuncia n. 162/2014 della Consulta, continua ad essere vietata. La giurisprudenza italiana si è sempre divisa sul riconoscimento del suo status di figlio dei committenti. La Cassazione, con la decisione n. 24001/2014, in un identico caso, lo ha dichiarato figlio di nessuno ed adottabile: «l’ordinamento italiano, per il quale la madre è colei che partorisce, contiene un espresso divieto, rafforzato da sanzione penale, della surrogazione di maternità». Per la CEDU questa è un’extrema ratio e per vari motivi non c’è stato un equo bilanciamento degli interessi in gioco, soprattutto quello supremo del bimbo ad avere un legame familiare (parentale, genetico od altro) con i genitori committenti. Sono stati risarciti con € 30.000 oltre oneri accessori.

La CEDU, sez. II, nel caso Paradiso e Campanelli c. Italia del 27 gennaio 2015 ha il merito di aver risolto molte ambiguità dato che la giurisprudenza interna e delle corti UE è divisa sul punto (Tribunale di Trieste, GUP del 4/10/13,CDA Bari 169/09 ed EU:C: 2014:159 e 169), essendo rilevante la disomogeneità delle legislazioni europee in materia: si devono tutelare la c.d. vita familiare di fatto ed il benessere del minore.
Il caso. I genitori avevano procreato il figlio (nato nel 2011), anch’esso ricorrente, con l’utero in affitto di una donna russa. La madre committente, infatti, è sterile e dopo il fallimento dei vari tentativi di fecondazione omologa, dato che l’eterologa era ancora vietata, ricorsero a questa pratica usando i gameti del marito e l’ovulo della gestante, sì che sull’atto di nascita del minore, redatto ed annotato a Mosca ex Convenzione dell’Aja del 1961, risulta figlio dei ricorrenti che ne chiesero la trascrizione in Italia, ma il Consolato italiano a Mosca, sospettando la maternità surrogata, anziché l’asserita eterologa e, quindi, un’alterazione di stato circa il vero nominativo dei genitori, aveva già trasferito il relativo fascicolo al P.G. di Campobasso. Da qui è sorto un caso giudiziario affrontato anche dal competente Tribunale dei minori conclusosi con la dichiarazione dello stato di abbandono e di adottabilità del minore (art. 8 l. n. 40/2004). I genitori ricorrenti, infatti, non solo avevano violato i divieti di maternità surrogata, di commercializzazione degli ovuli (la pratica era stata curata da un’agenzia locale specializzata cui avevano versato circa €.50000), ma per il Tribunale «il bambino era lo strumento con cui soddisfare il loro desiderio narcisistico di esorcizzare il problema di coppia. A parere del Tribunale, questo comportamento solleva dubbi sulle capacità educative ed emotive dei due ricorrenti. L’allontanamento del bambino è pertanto nel suo interesse». Dal test del DNA era risultato, poi, che il marito non era il padre genetico, sì che furono accusati ex art. 72 l. n. 184/1983, il bimbo è stato messo in una casa famiglia ai sensi degli artt. 8 e 10, non avendo più contatti con i genitori esclusi dall’adozione ex lege. Sorse anche un problema amministrativo: il minore, essendo senza identità, seppur provvisoria, non poteva iscriversi a scuola, fare le vaccinazioni etc. Si contestava l’applicabilità dell’art. 33 l. n. 218/1995, escludendo l’eterologa e considerando illegale la surrogazione di maternità: era legittimo il rifiuto della trascrizione perché contraria all’ordine pubblico (d.P.R. n. 396/2000).Fu aperta, poi, una nuova procedura di adottabilità e gli fu attribuita una nuova identità sconosciuta ai ricorrenti, ribadendone l’impossibilità di adottarlo (5 giugno 2013). Ergo sono ricorsi alla CEDU anche per una violazione dell’art. 6 Cedu.
Quadro normativo. L’art. 33 l n. 218/1995 (diritto internazionale privato) sancisce che la filiazione è regolata dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita. La l. n. 184/1983 disciplina l’adozione, sancendone casi particolari all’art.44 (potenzialmente applicabile al nostro caso; Trib. min. Roma 299/14 sul primo caso di step adoption italiano). L’art. 72 punisce penalmente chi introduce sul nostro suolo un minore straniero in violazione della legge per procurarsi denaro od altri benefici e per affidarlo definitivamente ad una coppia italiana. Lo stato di adottabilità, essendo revocabile o modificabile, esclude il ricorso speciale ex art. 111 Cost. innanzi alla S.C. (Cass. n. 17916/2012). La legge russa consente la maternità surrogata e riconosce come genitori i committenti, imponendo stringenti limiti e non richiedendo alcun legame genetico tra questi ed il neonato. Infine il Comitato ad hoc sui progressi della biomedicina, nel 1989, ha pubblicato una serie di principi e tra questi uno in cui si vietava la maternità surrogata, salvo che i singoli stati la consentano in via eccezionale purché la madre decida di tenere il bambino o sia totalmente gratuita.
Illecito rifiuto della trascrizione del certificato di nascita. C’è stata un’illecita interferenza dello Stato che arbitrariamente ha negato la trascrizione anche se era dovuta ai sensi della Convenzione dell’Aja del 1961 e dell’art.33 l. n. 218/1995, tanto più che la legge russa, come detto, non richiede alcun legame genetico tra genitori e figlio nato con l’utero in affitto. Infine rileva un no sense giuridico: allora la nostra legge vietava l’eterologa e la maternità surrogata, ma consentiva il c.d. turismo della procreazione, ossia di concepire un figlio con queste tecniche all’estero. Si noti che anche dopo la la pronuncia n. 162/2014 della Consulta si continua ad importare gameti ed ovuli da banche genetiche estere autorizzate (v. amplius, G. Milizia, Fecondazione eterologa tra scienza, etica e diritto dopo la sentenza della Corte Costituzionale 162/2014). Doveva essere trascritto in base agli accordi bilaterali tra Russia ed Italia che avevano consentito l’adozione di 781 minori solo nel 2011 e poi la coppia non aveva commesso reati in Russia, sì che l’atto era valido e legale, avendo valore di pubblicità e non di attestazione di uno status giuridico.
Vita familiare di fatto. La CEDU, nell’esplicare il campo di azione dell’art.8, introduce questo concetto per sottolineare come si possano creare forti legami, anche se la legge non considera valido od esistente il rapporto familiare tra genitori e figlio: rinvia ai casi Wagner e J.M.W.L. c. Lussemburgo del 28 gennaio 2007 e Moretti e Benedetti c. Italia del 27 aprile 2010. C’è un vincolo di fatto dovuto alla convivenza col minore prima di rientrare in patria e di chiederne l’adozione o la trascrizione dell’atto come nel nostro caso. In breve l’art. 8 non tutela il mero desiderio di famiglia, ma tutti quei legami ad essa assimilabili: non solo quelli sorti col matrimonio, ma anche quelli connessi alla convivenza/coabitazione. «Ai sensi dell’art. 8 esiste una famiglia laddove c’è un legame familiare che si può sviluppare come quello tra il padre ed il figlio nato fuori dal matrimonio o dalla relazione nata da un’adozione legale e non fittizia» (Pini ed altri contro Romania del 2004). Non vi è dubbio che sussista anche nella fattispecie, dato che il certificato attesta la filiazione e che il curatore del minore, nominato dal Tribunale, aveva chiesto la revoca della patria potestà.
Violazione della privacy. Il DNA è un dato sensibilissimo ed il test ha violato la privacy del padre, rivelando una verità imbarazzante e che ha messo in discussione il legame col figlio con impatto devastante sulla vita di entrambi. Indiscutibile la sua buona fede, ma le certezze sono state sgretolate dal test. L’art. 8 presuppone una stretta connessione tra serenità familiare e privacy, da qui la deroga sotto il duplice profilo.
Bilanciamento degli interessi. In questi casi è sempre difficile, ma deve sempre prevalere quello del minore, tanto più che era stata rispettata la legge russa e l’agenzia li aveva aiutati solo ad ottenere il certificato. Le decisioni delle corti interne erano legittime, necessarie e proporzionate alla tutela dell’ordine pubblico, ma esso non può essere usato come passpartout per legittimare possibili arbitri e tali interferenze. Infatti è palese come tutto ciò, la dichiarazione d’adottabilità del minore ed il suo affidamento ad una nuova famiglia, dovevano esser misure estreme: era nell’interesse supremo del minore avere un legame con il padre sia esso genetico, di parentela od altro, ricevere affetto, un’educazione, ma gli è stato negato (Zhou c. Italia del 21 gennaio 2014). Per tutti questi motivi non c’è stato un equo bilanciamento degli interessi e l’interferenza dell’Italia è stata illecita.

martedì 27 gennaio 2015

Strasburgo dice sì al diritto di utilizzare una madre surrogata - Corte condanna Italia per aver tolto bambino a coppia. La sentenza: «È possibile avere figli anche senza legame biologico» di Redazione Salute Online - 27.1.2015 - http://www.corriere.it/salute

L’Italia ha violato il diritto di una coppia sposata a poter riconoscere come proprio figlio un bambino che non ha nessun legame biologico con loro, nato in Russia da madre surrogata. Lo stabilisce la Corte dei diritti umani, che condanna l’Italia, perché non ha dimostrato che l’allontanamento del bambino dalla coppia era necessario.
La storia della coppia di Colletorto

La decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo riguarda il ricorso presentato a Strasburgo nel 2012 da una coppia di Colletorto (provincia di Campobasso), che dopo aver tentato la fertilizzazione in vitro con i propri gameti in Italia, decidono di andare in Russia per ricorrere alla maternità sostitutiva, dove la pratica è legale. Nel marzo 2011 nasce un bimbo riconosciuto dalle autorità russe e iscritto all’anagrafe di Mosca come figlio legittimo della coppia. Tornati a casa, i coniugi chiedono la trascrizione dell’atto di nascita del piccolo nell’anagrafe italiana, ma nell’agosto 2011 viene rifiutata. Le autorità ritengono che il certificato di nascita russo contenga informazioni false sulla vera identità dei genitori del piccolo. In seguito con varie decisioni i tribunali italiani, avendo anche eseguito un test del Dna da cui non risulta alcun legame biologico tra padre e figlio, dichiarano il piccolo in stato d’abbandono e lo affidano ad una famiglia d’accoglienza, e stabiliscono che la coppia di Colletorto non deve avere più alcun contatto col bambino, e che non possono adottarlo.
La Corte contro la decisione di allontanare il bambino dalla coppia

La Corte di Strasburgo dichiara che la sentenza sulla coppia italiana, e la violazione del loro diritto al rispetto della vita familiare e privata, non riguarda la questione delle madri surrogate ma la decisione dei tribunali italiani di allontanare il bambino e affidarlo ai servizi sociali. La Corte evidenzia tuttavia che la violazione subita dai coniugi «non deve essere intesa come un obbligo dello Stato italiano a restituire il bambino alla coppia». Questo perché «il piccolo ha indubbiamente sviluppato dei legami emotivi con la famiglia d’accoglienza con cui vive dal 2013». L’unico obbligo per l’Italia è di pagare alla coppia 20mila euro per danni morali - loro ne avevano richiesti 100mila - e 10mila euro per le spese processuali sostenute.

lunedì 19 gennaio 2015

INTERPELLANZA ALLA CAMERA DELL’ON. GIGLI SULLA PILLOLA DEL GIORNO DOPO, gen 19, 2015, http://www.siallafamiglia.it/

Sì alla famiglia
Pubblichiamo la discussione, avvenuta venerdì 16 gennaio nell’aula della Camera, riguardante l’interpellanza urgente dell’on. Gigli, cui ha risposto il sottosegretario alla Salute De Filippo, sulla c.d. pillola del giorno dopo. Va segnalato che le puntuali controindicazioni all’uso del “farmaco” dell’interpellante non solo non hanno trovato convincente e rassicurante replica da parte del governo, ma anzi sono rese più preoccupanti dalla considerazione in sede europea del prodotto come “da banco”, e quindi sfornito della verifica medica che avviene con la prescrizione.
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XVII LEGISLATURA
Resoconto stenografico dell’Assemblea
Seduta n. 364 di venerdì 16 gennaio 2015
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MARINA SERENI
La seduta comincia alle 9,30.
Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 9,40).
PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze urgenti.
 (Chiarimenti e iniziative in merito alla compatibilità del meccanismo d’azione dei cosiddetti contraccettivi di emergenza con principi e norme dell’ordinamento – n. 2-00800)
PRESIDENTE. Passiamo all’interpellanza urgente Gigli n. 2-00800, concernente chiarimenti e iniziative in merito alla compatibilità del meccanismo d’azione dei cosiddetti contraccettivi di emergenza con principi e norme dell’ordinamento (Vedi l’allegato A – Interpellanze urgenti).
Chiedo al deputato Gigli se intenda illustrare la sua interpellanza. Prego, onorevole.
GIAN LUIGI GIGLI. Grazie Presidente, buongiorno, questa interpellanza, come il sottosegretario sa, avrebbe dovuto già essere discussa la scorsa settimana e in qualche modo ora è datata ma ci consente tuttavia di tener conto almeno sia nella presentazione che nella risposta del fatto nuovo che si è venuto a determinare due giorni fa. Due giorni fa, infatti, la Commissione europea ha dato via libera alla richiesta che l’Agenzia europea di medicinali (EMA), aveva avanzato il 21 di novembre scorso di autorizzare la libera dispensazione del farmaco senza più ricetta medica.
Ora io nell’illustrare questa mia interpellanza le risparmierò tutta la puntuale e dettagliata argomentazione scientifica, che pure abbiamo descritto nel testo dell’interpellanza, augurandomi solo che i suoi funzionari l’abbiano tenuta in debita considerazione nel predisporre il materiale preparatorio per la sua risposta, e cercherò invece di arrivare al nocciolo, al cardine di questo problema.
Tutta questa vicenda ruota attorno a un duplice voluto equivoco ma è sostenuta, a mio avviso, da interessi economici e commerciali a dir poco giganteschi. Il duplice equivoco risiede in due, se vuole, affermazioni, due slogan: il primo è che la gravidanza è una malattia di fatto, non viene detto ma implicitamente così si assume; il secondo: la prevenzione della gravidanza non ha nulla a che fare con l’aborto. Ora sul primo punto non vale la pena nemmeno di diffondersi nel senso che è chiaramente una visione ideologica quella che vede la gravidanza come una malattia, non è mai stata così nella storia dell’umanità e quindi non ci spenderò nemmeno una parola.
Sul secondo punto però, la prevenzione della gravidanza non avrebbe a che fare con l’aborto, qui invece vale la pena spenderla una parola perché certamente questo non è vero per i farmaci anticoncezionali che per definizione prevengono il concepimento e quindi certamente non hanno nulla a che fare con l’aborto. Ma non è altrettanto vero laddove il farmaco agisca con un meccanismo post concezionale. Vi è infatti uno spazio fisiologico tra il concepimento e l’annidamento dell’embrione in utero. Ufficialmente si dice che la gravidanza comincia con l’annidamento dell’embrione in utero ma il concepito inizia la sua vita umana nel momento stesso del concepimento. Quindi vi è questo intervallo tra il concepimento e l’annidamento in utero che oggi in qualche modo si vorrebbe far diventare una sorta di terra di nessuno.
Allora parlare di prevenzione della gravidanza in questi casi, quando al farmaco viene invece richiesto di agire con un meccanismo post concezionale è una grossolanità se non vogliamo dire un falso di natura scientifica un po’ come quella storia che andava di moda tempo addietro, che poi è caduta in disuso, del cosiddetto pre embrione che sarebbe stata una cosa diversa dall’embrione. Oggi per fortuna nessuno ne parla più.
Ma al di là del falso scientifico, io credo che dietro questa terminologia che vuole trasformare in un effetto anticoncezionale del farmaco anche quello post concezionale ci sia di fatto però una contrarietà con le nostre leggi; voglio citare la legge n. 405 del 1975 quella sui consultori familiari, che finalizza la procreazione responsabile alla salute della donna e del prodotto del concepimento. Voglio citare la legge n. 40 del 2004 che benché demolita a colpi di magistratura tuttavia non è stata mai rimessa in discussione per quanto riguarda l’articolo 1 e che, a proposito di procreazione medicalmente assistita, proprio all’articolo 1 riconosce al concepito le stesse tutele che garantisce ai suoi genitori.
Voglio citare, infine, la legge n. 194 del 1978 che, pur permettendo in taluni casi l’aborto per tutelare la salute della madre, proclama la tutela della vita umana fin dal concepimento. Allora, detto tutto questo, io credo che bisogna smascherare il fatto, che adesso arriva alla sua estrema conseguenza di una libera prescrizione, senza più la ricetta medica, che EllaOne agisce soltanto attraverso un meccanismo di tipo antiovulatorio. Ripeto: non entro nel dettaglio dell’analisi scientifica che le abbiamo predisposto, ma credo che a riflettere e a interrogarsi su questo fatto basterebbe la constatazione che, mentre all’inizio del periodo fertile il potere antiovulatorio di EllaOne è altissimo – e questo lo riconoscono tutti – al picco del periodo fertile, invece, gli studi citati dalla stessa azienda, la HRA, nel report che ha portato alla prima autorizzazione, quella del 2009, e mai più smentiti, dicono che al picco del periodo fertile il potere antiovulatorio è mantenuto solo all’8 per cento, mentre il farmaco tuttavia riesce a prevenire la gravidanza nell’80 e passa per cento dei casi. Allora, se il potere antiovulatorio è solo dell’8 per cento e l’efficacia nell’evitare la gravidanza è di oltre l’80 per cento, qualcosa di diverso come meccanismo evidentemente deve esserci in funzione. E d’altronde anche uno sprovveduto capisce che, se una donna, per esempio, avesse un rapporto in periodo fertile oggi e concepisse domani e prendesse o dovesse prendere la pillola EllaOne dopodomani e questa funzionasse, evidentemente, visto che agisce per cinque giorni, non potrebbe essere per un meccanismo di tipo antiovulatorio.
Ora come funziona lo sappiamo: funziona in realtà contrastando il recettore per il progesterone e, quindi, impedendo al progesterone di preparare l’endometrio ad accogliere il concepito. È quello che si chiama, in parole povere, un effetto antinidatorio. Eppure nel foglietto illustrativo del farmaco di tutto questo non viene fatta alcuna menzione e, in questo modo, si impedisce alla donna ed al professionista di compiere delle scelte consapevoli e, quindi, pienamente libere. Ora, non dire questo nel foglietto illustrativo significa, a mio avviso, dare un’informazione parziale e fuorviante, che potrebbe addirittura incorrere in quelle sanzioni che la stessa Unione europea prevede nel caso di informazione sui farmaci di tipo ingannevole od omissivo. Voglio ricordare che c’è una direttiva della Commissione europea, la n. 29 del 2005, che proprio di questo parla, all’articolo 21 e all’articolo 22. Si tratta della direttiva relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno. Ma c’è di più, signor sottosegretario. Il nome chimico di EllaOne – lei ormai credo che lo sappia a memoria – è ulipristal acetato, che suona molto simile, non a caso, a mifepristone: pristal-pristone. Era il 2009 quando il Comitato per la valutazione dei farmaci ad uso umano dell’Agenzia del farmaco europea, l’allora EMEA ed oggi EMA, si occupò in un documento ufficiale, per la prima volta, della pillola dei cinque giorni dopo. I laboratori della HRA Pharma, l’azienda francese che la produce, richiesero l’autorizzazione per metterla in commercio e, come prassi, l’Agenzia per esprimersi dovette farlo con un rapporto dedicato.
Letto oggi, dopo l’annuncio shock che questa pillola dovrà essere venduta senza ricetta medica nelle farmacie di tutta Europa, questo rapporto del 2009, mai contraddetto e mai smentito, è destinato a sollevare dei pesanti interrogativi. Dopo pagine descrittive sull’impiego e gli effetti della pillola, a cui, come abbiamo detto e ripetuto, viene attribuito un semplice effetto antiovulatorio, compare un capitolo del tutto inaspettato. Lo leggo un attimo in inglese: «Off-label use as an abortifacient». Questo è il titolo nel rapporto, vale a dire, traducendolo in italiano: «Impiego fuori etichetta come abortivo».
La stessa HRA, cioè, segnalava che EllaOne potesse essere assunta anche per abortire, e questo ben oltre i cinque giorni dopo il presunto rapporto a rischio. Ora, se questo è vero, come è possibile che al farmaco venga riconosciuto esclusivamente un effetto antiovulatorio ? Ripeto, parlo solo della correttezza dell’informazione. E questo è talmente evidente proprio perché, come dicevo, l’ulipristal acetato e il mifepristone sono, nello stesso rapporto, indicati come farmaci equivalenti dal punto di vista dell’effetto abortivo.
Infatti, per abortire almeno fino a sette settimane bastano 200 mg di mifepristone, la Ru486, che equivalgono, quanto a efficacia sull’endometrio, a 200 mg di ulipristal non micronizzato. E siccome EllaOne contiene 30 mg per compressa di ulipristal micronizzato, che corrisponde a 50 mg di ulipristal non micronizzato, allora con quattro compresse, cioè con 120 mg di micronizzato, noi otteniamo un dosaggio equivalente ai 200 mg di Ru486, e questa non è contraccezione.
Non a caso, alla pagina 45 dello stesso rapporto, l’Agenzia del farmaco europea raccomanda, dietro consiglio della stessa azienda, nel 2009, di prestare attenzione da parte dei medici che prescrivono il farmaco e di effettuare un’indagine accurata – cito tra virgolette – «nei reparti di ginecologia dove arrivino donne con una diagnosi di aborto “spontaneo” incompleto», e addirittura suggerisce dei «registri delle prescrizioni», così da poter identificare gli effettivi casi di uso anomalo.
Tutto questo era vero nel 2009, l’azienda lo ha citato nel rapporto con cui è stata ottenuta l’autorizzazione: tutto questo è stato cancellato, smentito, dimenticato, non per il sopravvenire di nuove evidenze scientifiche, cosa che è sempre possibile in medicina, ma, torno a ripetere, esclusivamente per esigenze di natura commerciale.
Dall’altro ieri secondo l’EMA – e ci abbiamo messo il timbro non più dell’azienda, ma dell’Agenzia europea per il farmaco – il farmaco, dunque, non è un abortivo, non ha effetti collaterali rilevanti e può essere acquistato senza alcuna prescrizione medica. Ora, è evidente che, se una donna si recasse in quattro farmacie diverse, potrebbe tranquillamente comprarsi quattro pillole, o nella stessa farmacia in giorni diversi, e fare un aborto anche alla settima settimana di gravidanza con questo farmaco.
PRESIDENTE. Concluda.
GIAN LUIGI GIGLI. Vado a concludere. In questo modo io ritengo che si ingannino la popolazione e, in particolare, le adolescenti, che ricorrono massicciamente a questo farmaco, ma, soprattutto, si violino le leggi del nostro Stato che finalizzano la procreazione responsabile alla tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento, e perfino la legge n. 194 del 1978, che vieta l’aborto clandestino.
La donna può decidere consapevolmente di abortire secondo le condizioni previste dalla legge, ma non può assumere un farmaco che sia abortivo facendole credere che in quel modo sta soltanto evitando il concepimento. Se mi permette una battuta, è il bugiardino, in questo caso, ad essere davvero bugiardo, visto che tace informazioni estremamente gravi.
Ora tocca all’Aifa e al Ministero della salute valutare questi dati: finora EllaOne nel nostro Paese è stata prescritta da un medico e dopo l’esecuzione di un test di gravidanza, proprio per evitare possibili aborti. In base a una direttiva europea, gli Stati in cui vigono legislazioni nazionali che vietano o limitano la vendita o l’uso di medicinali a fini contraccettivi o abortivi possono rifiutarsi di adottarli. È la direttiva del 2001.
PRESIDENTE. Deve concludere.
GIAN LUIGI GIGLI. Ho finito. Chiedo al Sottosegretario quale sarà l’atteggiamento che il suo Ministero vorrà avere in questa materia.
PRESIDENTE. Grazie. Il sottosegretario di Stato per la salute Vito De Filippo, ha facoltà di rispondere.
VITO DE FILIPPO, Sottosegretario per la salute. Signora Presidente, onorevole Gigli, vi è stato un lungo approfondimento della parte introduttiva dell’interpellanza che lei ha presentato, che è una lunghissima sequenza di dati scientifici con i quali abbiamo provato a confrontarci puntualmente in questi giorni. Proprio in merito alla problematica in esame, preliminarmente l’Agenzia italiana del farmaco ha precisato questi primi elementi. La specialità medicinale ellaOne (unipristal acetato), come lei ha più volte riferito, è stata autorizzata dall’Agenzia regolatoria europea EMA, con procedura centralizzata il 15 settembre 2009, ed inserita nel registro comunitario dei medicinali in confezione da 30 milligrammi (titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio – come ha più volte riferito anche lei – è l’HRA Pharma, questa azienda francese) e ne è stata definita, a livello nazionale, la classificazione di rimborsabilità nella classe C e il regime di fornitura, con prescrizione con ricetta medica da rinnovare volta per volta, in data 8 novembre 2011. Questo farmaco è indicato come contraccettivo di emergenza, da assumere entro 120 ore (5 giorni) da un rapporto non protetto o dal fallimento di altri contraccettivi. Il principio attivo di ellaOne, l’ulipristal acetato che è stato citato, agisce da modulatore del recettore del progesterone: il farmaco, legandosi ai recettori ai quali normalmente si lega il progesterone, inibisce all’ormone di esercitare il suo effetto definitivo. Attraverso la sua azione sui recettori del progesterone, ellaOne impedisce la gravidanza principalmente mediante la prevenzione o il ritardo della stessa ovulazione.
In fase di rilascio di AIC, l’uso di ellaOne in gravidanza è stato inizialmente controindicato, e per tale ragione in Italia, anche in adesione al parere del Consiglio superiore di sanità del 14 giugno 2011, la prescrizione del farmaco è stata subordinata alla presentazione di un test di gravidanza ad esito negativo, basato sul dosaggio delle beta HCG, al fine di escludere la presenza di una gravidanza in atto e quindi di evitare ogni possibile danno per il feto.
Ciò premesso, in data 7 gennaio 2015, la Commissione europea, come ha nuovamente citato anche lei, ha approvato la proposta di variazione dell’AIC, sulla quale il Comitato per i medicinali per uso umano dell’EMA aveva dato parere positivo, per la modifica del regime di fornitura di ellaOne da «medicinale soggetto a prescrizione medica» a «medicinale non soggetto a prescrizione medica», con contestuale eliminazione della gravidanza dalla lista delle controindicazioni all’uso del medicinale stesso. Va precisato che questo parere positivo non è stato reso all’unanimità, bensì a maggioranza: 21 votanti su 31, e che l’Italia ha espresso – unitamente a Stati come la Germania, la Polonia, la Lituania, la Croazia e l’Ungheria – il proprio parere contrario sotto il profilo della sicurezza dell’uso del farmaco, in considerazione della contestata mancanza di dati scientifici sufficienti per trarre conclusioni certe circa l’assenza di effetti fetotossici o teratogenetici.
Come noto, nell’ambito delle procedure centralizzate e nel rispetto delle disposizioni comunitarie (e specificamente l’articolo 14, paragrafo 10, del Regolamento CE n. 726/2004, che a sua volta richiama l’articolo 70 della Direttiva n. 2001/83/CE), il Comitato per i medicinali ad uso umano è tenuto ad includere nel suo parere i criteri di prescrizione del medicinale oggetto della procedura. Il parere definitivo del Comitato viene poi trasmesso dall’EMA alla Commissione europea per l’approvazione della definitiva decisione. Nella fattispecie in esame – è stato ricordato – il parere del Comitato è stato confermato dalla Commissione europea, che pertanto ha accolto la richiesta di variazione da «medicinale soggetto a prescrizione medica» a «medicinale non soggetto a prescrizione medica». A livello nazionale, ai sensi dell’articolo 87 del decreto legislativo n. 219/2006, l’AIFA dovrà comunque valutare la prevedibile istanza da parte dell’azienda titolare dell’AIC di ellaOne, previa acquisizione del parere della Commissione tecnico-scientifica della stessa Agenzia.
Ricostruito così il quadro fattuale e normativo, vorrei ringraziare gli onorevoli interpellanti per aver sollevato una tematica che presenta profili di particolare delicatezza con riguardo alla tutela della salute della donna. Proprio per tale ragione, si ritiene necessario rimettere nuovamente la questione al Consiglio superiore di sanità che, peraltro, come sopra riferito, aveva già espresso il proprio parere sul medicinale in esame. Più in particolare, la questione sarà rimessa al Consiglio affinché approfondisca i profili di sicurezza del medicinale e si esprima nuovamente alla luce della intervenuta variazione a livello comunitario.
L’AIFA, per i profili di competenza, sottoporrà la questione alla propria commissione tecnico-scientifica, che sta esaminando in maniera approfondita ogni aspetto correlato alla sicurezza dell’uso del farmaco in automedicazione, ovvero «prodotto da banco», in quanto in tal caso lo stesso potrebbe divenire liberamente acquistabile.
All’esito degli approfondimenti tecnici, si valuterà, anche alla luce del combinato disposto degli articoli 1, comma 1, lettera b), della legge n. 405 del 1975, che lei ha più volte citato nella sua interpellanza urgente, e 2, ultimo comma, della legge n. 194 del 1978, e dell’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva europea n. 83 del 2001, così come richiamato dall’articolo 13 del regolamento dell’Unione Europea n. 726 del 2004, se ricorrano o meno le condizioni per la dispensazione del medicinale in questione su prescrizione medica.
PRESIDENTE. Il deputato Gigli ha facoltà di dichiarare se sia soddisfatto per la risposta alla sua interpellanza.
GIAN LUIGI GIGLI. Grazie Presidente. Io la ringrazio davvero, signor sottosegretario, perché la sua risposta è stata certamente precisa ed esauriente.
Vorrei però citare alcune cose che sono emerse da quello che lei ci ha detto: lei ha riconosciuto giustamente che il farmaco è un modulatore del recettore del progesterone. Ora, dire questo significa ammettere implicitamente che il farmaco può avere – dipende da quando è assunto ovviamente e dalla fase del ciclo in cui è assunto – un effetto antinidatorio perché il progesterone non serve soltanto al picco dell’ovulazione, ma serve anche a formare poi l’endometrio, in maniera tale da poter accogliere l’embrione.
Ora, se dovesse andare avanti così – io mi auguro che così non sia e sono contento di quello che lei ha detto – noi ci troveremmo nella condizione nella quale, senza alcun fatto nuovo scientifico accaduto nel frattempo, un’azienda chiede di commercializzare in maniera indiscriminata un farmaco, per il quale, a questo punto, non servirebbe più non solo la ricetta del medico, ma nemmeno il farmacista. Potrebbe bastare il commesso di una parafarmacia e dopodomani, se vendessimo i medicinali da banco nei supermercati, potrebbe bastare pure la cassiera del supermercato, dopo che uno se l’è preso da sé. Questo significherebbe in effetti – come lei stesso ha detto – non curarsi della salute delle donne. Questo farmaco è una bomba ormonale e nessuno di noi conosce al momento i rischi di eventuali somministrazioni ripetute, soprattutto quando esse hanno a che fare col corpo di adolescenti la cui vita ormonale è ancora in formazione e che potrebbero – proprio perché ritenuto il meccanismo più facile anticoncezionale, e anticoncezionale non è – servirsene anche a ripetizione.
Io credo che una minorenne potrebbe arrivare a prendere, a differenza di altri farmaci per i quali serve la ricetta e non possono essere dati ai minorenni, questo farmaco tranquillamente superando anche la potestà genitoriale e potrebbe farlo – lo ripeto – senza alcuna considerazione per il proprio corpo e per la propria salute. Chi potrà escludere – dicevo – che una ragazzina possa usarlo infine anche effettivamente per un aborto solitario, cioè per riportare l’aborto nelle condizioni di clandestinità dalle quali la stessa legge n. 194 ha voluto sottrarlo ?
Ora, per limitare i danni, io credo che sia necessario, nel rispetto dell’anonimato, garantire almeno la tracciabilità dei prodotti venduti come contraccettivi cosiddetti di emergenza specie alle minori. Questo non elimina certamente la questione educativa, ma segnalando almeno i casi di uso troppo frequente, si disporrà almeno di uno strumento in più, evitando di lasciare le adolescenti sole.
Un’ultima domanda, però, mi sia consentita, sottosegretario: se dovessero verificarsi poi dei danni alla salute di queste donne e qualcuno cominciasse ad avviare azioni legali di rivalsa, chi sarebbe responsabile a questo punto dell’informazione parziale, omissiva o ingannevole ? Sarebbe responsabile l’EMA ? Sarebbe responsabile l’AIFA ? O chi ha altro sarebbe responsabile ? Non è che alla fine arriverebbe tutto addosso al Servizio sanitario nazionale ?
In fine, lei stesso l’ha richiamata, esiste la possibilità che l’Italia si sottragga, ai sensi dell’articolo 4, comma 4, della direttiva 2001/83/CE, alla procedura centralizzata. Infatti, in questo articolo 4, comma 4, si dice che la stessa direttiva non osta all’applicazione di leggi nazionali che vietano o limitano la vendita, la fornitura o l’uso di medicinali a fini contraccettivi o abortivi.
Concludendo, volevo suggerirle, in coda al mio discorso, ma lei mi ha preceduto, di operare una pausa di riflessione, di portare la questione, come abbiamo fatto per Stamina, se lo ricorda il sottosegretario De Filippo, all’attenzione del Consiglio superiore di sanità. Lei mi ha anticipato, lo ripeto, ed ha accolto questo invito. Io sono quindi soddisfatto e mi auguro che questa pausa di riflessione avvenga, davvero, sulla base dei dati scientifici e non sulla base delle pressioni commerciali che hanno a che fare con gli interessi di una grossa multinazionale, ma certamente non hanno a che fare con la salute delle donne e tanto meno hanno a che fare con il rispetto del concepito.
ALLEGATO C)
Chiarimenti e iniziative in merito alla compatibilità del meccanismo d’azione dei cosiddetti contraccettivi di emergenza con principi e norme dell’ordinamento – 2-00800
  I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
lo Stato italiano, attraverso le sue leggi, finalizza la procreazione responsabile alla tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento (all’articolo 1, comma 1, lettera c), della legge n. 405 del 1975). Questa tutela è ribadita anche all’articolo 1, comma 1, della legge n. 194 del 1978 che, pur permettendo l’aborto in casi che dovrebbero essere eccezionali, proclama la tutela della vita umana dal suo inizio, cioè dal concepimento e non dall’inizio della «gravidanza» (che l’Organizzazione mondiale della sanità, per convenzione, fa decorrere dall’impianto in utero). La legge n. 40 del 2004, da ultimo, all’articolo 1, comma 1, riconosce al concepito nelle procedure di fecondazione assistita le tutele che garantisce ai suoi genitori (passaggio mai modificato da alcuno dei numerosi interventi della Corte costituzionale);
è quindi importante sapere se i farmaci utilizzati per la contraccezione d’emergenza, il Levonorgestrel (LNG, Norlevo) e l’Ulipristal Acetato (UPA, ellaOne), agiscano sempre prevenendo il concepimento o anche attraverso altri meccanismi di azione e se il loro uso sia, di conseguenza, sempre compatibile con le leggi e, prima ancora, con i princìpi che le fondano;
un’informazione corretta sul meccanismo d’azione di questi farmaci appare dunque doverosa ed è presupposto indispensabile perché siano pienamente liberi sia il consenso informato al loro utilizzo da parte della donna, sia la scelta professionale del medico in merito alla loro prescrizione;
la libertà di coscienza del medico e di tutti gli operatori sanitari è un bene costituzionalmente rilevante ed essa non può prescindere da un’informazione corretta (Cnb pronunciamento 12 luglio 2012);
per contraccezione d’emergenza si intende l’assunzione di farmaci a seguito di un rapporto sessuale non protetto avvenuto nel periodo fertile del ciclo mestruale e cioè nei 4-5 giorni che precedono l’ovulazione e nel giorno dell’ovulazione stessa: solo in tali giorni, infatti, il muco cervicale consente il passaggio agli spermatozoi. Fra essi, il giorno più fertile, cioè quello in cui la probabilità di concepire è più alta, è il giorno che precede l’ovulazione, seguito dal giorno ancora precedente e dal giorno stesso dell’ovulazione. In questi tre giorni è anche massima l’incidenza di rapporti sessuali, sia protetti, sia non protetti;
assumere questi farmaci costituisce un tentativo estremo che si trova a fare i conti con il fatto che, grazie al muco fertile, gli spermatozoi hanno già attraversato il collo dell’utero e in buona parte hanno anche già raggiunto la tuba e che l’ovulazione è ormai prossima;
per evitare che clinicamente compaia una gravidanza si può impedire in extremis che avvenga l’ovulazione e cioè prevenire il concepimento, oppure fare in modo che il figlio concepito non trovi all’interno dell’utero il terreno accogliente di cui ha bisogno;
la differenza sostanziale fra le due ipotesi è chiara: nel primo caso non si giunge al concepimento, nel secondo viene attivamente soppresso l’embrione ancora prima che si manifesti la sua presenza;
i farmaci attualmente utilizzati nella contraccezione d’emergenza sono il Levonorgestrel (LNG, Norlevo), un potente progestinico sintetico, e l’Ulipristal Acetato (UPA, ellaOne), un potente antiprogestinico sovrapponibile per caratteristiche chimiche al Mifepristone (RU486, Myfegyne);
l’azienda produttrice (HRA Pharma), la Food and Drugs Administration degli Stati Uniti (USFDA), l’Agenzia europea dei medicinali (EMA), le più rappresentative società scientifiche internazionali e nazionali dei ginecologi sostengono e divulgano che i contraccettivi d’emergenza prevengono o ritardano l’ovulazione e quindi impediscono il concepimento, senza interferire in alcun modo con l’annidamento;
la realtà dei fatti che si evince dagli studi sperimentali è, invece, profondamente diversa;
per tutti i riferimenti bibliografici riguardanti tali studi, si rimanda alla position paper della SIPRe – Società italiana procreazione responsabile – al sito: http://www.sipre.eu;
gli studi sperimentali, inclusi quelli che hanno portato all’approvazione dei due farmaci, evidenziano che Norlevo ed ellaOne non sono in grado di prevenire con certezza il concepimento, se non quando vengano assunti proprio all’inizio del periodo fertile. Nei giorni fertili successivi, infatti, e soprattutto nei giorni più prossimi alla liberazione dell’ovocita, questi farmaci non hanno più alcun effetto sull’ovulazione e sul concepimento, mentre rendono l’endometrio inospitale per l’embrione. I giorni fertili più prossimi all’ovulazione sono, peraltro, i giorni più fertili del ciclo mestruale e sono anche quelli in cui statisticamente sembrano concentrarsi il maggior numero di rapporti sessuali e in cui si verificano il maggior numero di concepimenti;
per quanto riguarda Norlevo, ogni compressa contiene 1.5 mg di Levonorgestrel, da assumersi per via orale in unica dose. Il farmaco viene presentato come contraccettivo di emergenza da utilizzare entro 72 ore dal rapporto sessuale non protetto, evidentemente avvenuto in uno dei giorni fertili pre-ovulatori. L’efficacia del trattamento, tuttavia, sembra persistere fino a 96 ore senza riduzione significativa;
la Federazione internazionale dei ginecologi e ostetrici (FIGO) e il Consorzio internazionale per la contraccezione d’emergenza (ICEC) nei loro statement ufficiali congiunti del 2008, del 2011 e del 2012, «How do Levonorgestrel-only emergency contraceptive pills (LNG ECPs) work to prevent pregnancy?», affermano che il Levonorgestrel agisce posticipando o inibendo l’ovulazione e che quindi previene il concepimento senza interferire con l’annidamento di un embrione eventualmente concepito;
in realtà, proprio dagli studi citati a sostegno di queste affermazioni, appare evidente che la maggioranza delle donne studiate ovula regolarmente quando assume il farmaco nella fase pre-ovulatoria avanzata, che comprende anche i giorni più fertili del ciclo. Gli studi citati, oltre a evidenziare che le donne ovulano, dimostrano anche che in queste stesse donne il Levonorgestrel – somministrato nel periodo fertile pre-ovulatorio – impedisce la formazione di un corpo luteo adeguato, rendendo insufficiente la produzione di quegli ormoni (progesterone in particolare) che hanno il compito di preparare l’endometrio all’impianto. Ne consegue l’impossibilità per l’embrione di annidarsi;
va segnalato, tuttavia, che LNG, assunto nei giorni fertili, è comunque molto efficace: esso previene il 70 per cento delle gravidanze, pur essendo incapace di inibire l’ovulazione proprio nei giorni più fertili del ciclo, quelli in cui si concentrano il maggior numero di rapporti e di concepimenti. In uno studio, in particolare, oltre il 70 per cento delle pazienti trattate con Norlevo nei giorni fertili pre-ovulatori ovularono normalmente al momento previsto, senza però che poi comparisse alcuna gravidanza a seguito dei rapporti sessuali non protetti. Evidentemente la ragione del successo del Norlevo risiede in altro: le modificazioni indotte nell’endometrio che lo rendono inadatto all’annidamento dell’embrione;
gli studi di coorte, a ulteriore conferma, dimostrano con estrema chiarezza che è proprio la somministrazione del Levonorgestrel nel periodo pre-ovulatorio a impedire che compaiano gravidanze clinicamente evidenti e, dal momento che l’ovulazione non viene impedita e il concepimento può normalmente seguire, l’effetto contraccettivo sarà necessariamente post-concezionale;
malgrado tali evidenze, gli esperti della Figo sostengono che il Levonorgestrel non impedisce l’annidamento e lo esplicitano in tutte le successive edizioni degli statement. Per dimostrarlo si rifanno a due studi che utilizzano colture di tessuto endometriale prelevato da donne fertili con cicli normali, che non avevano ricevuto alcun trattamento ormonale;
in particolare, nei due studi citati vengono utilizzate colture da endometrio luteale prelevato cinque giorni dopo l’ovulazione, cioè nel periodo di sua massima recettività. In questo endometrio del tutto ospitale vengono impiantati embrioni. La presenza in coltura del Levonorgestrel consentirebbe l’impianto del 45 per cento degli embrioni;
anche volendo accettare che il Levonorgestrel, aggiunto in coltura, non interferisca con l’annidamento, va ribadito, tuttavia, che in questi studi viene utilizzato endometrio normale ottenuto da pazienti che non avevano assunto alcun trattamento ormonale; non si utilizza endometrio prelevato da pazienti trattate con Levonorgestrel nei giorni fertili pre-ovulatori. La sola cosa che questi studi consentono di affermare è che il Levonorgestrel, somministrato cinque giorni dopo il concepimento, in piena e normale fase luteale, non impedisce un annidamento che sia già in corso; ma non sono certo questi i giorni in cui viene raccomandato il ricorso alla contraccezione d’emergenza;
per quanto riguarda ellaOne, ogni compressa contiene 30 mg di Ulipristal Acetato nella sua forma micronizzata, da assumersi per via orale in unica dose. È unanimemente riconosciuto che 30 mg di UPA micronizzato equivalgono a 50 mg di UPA non micronizzato, il principio attivo somministrato in capsule di gelatina che era stato utilizzato nelle precedenti sperimentazioni cliniche;
l’azienda produttrice, HRA Pharma, sostiene che ellaOne, somministrato nel periodo fertile del ciclo mestruale, abbia la capacità di posticipare l’ovulazione e quindi impedisca l’incontro di uovo e spermatozoo. Il farmaco avrebbe la capacità di inibire l’ovulazione e di differirla di cinque giorni anche quando venisse assunto immediatamente prima dell’ovulazione, e agirebbe con efficacia immutata anche se assunto fino a cinque giorni dopo il rapporto non protetto;
questa posizione ufficiale, che si basa su un unico studio che valuta l’effetto di ellaOne sull’ovulazione, quello di Brache appena citato, è fatta propria in toto e così divulgata da ICEC e FIGO (http://sigo.it); 
benché il numero di donne valutate sia esiguo, solo 34, esse vengono considerate dapprima complessivamente e quindi stratificate in tre gruppi a seconda che ricevano Ulipristal prima che LH inizi ad aumentare (inizio del periodo fertile), oppure durante la fase di incremento di LH, (secondo-terzo giorno fertile del ciclo) o, ancora, dopo che il picco di LH è stato raggiunto: le 24-48 ore pre-ovulatorie e giorno dell’ovulazione, corrispondenti agli ultimi giorni, i più fertili, del ciclo mestruale;
la valutazione complessiva evidenzia che l’assunzione di ellaOne nel periodo fertile del ciclo mestruale inibisce o posticipa l’ovulazione complessivamente nel 58,8 per cento delle donne. Questo significa che il 41,2 per cento delle donne trattate nel periodo fertile ovulano regolarmente e possono concepire;
la successiva valutazione dell’efficacia anti-ovulatoria di ellaOne in relazione al momento di assunzione del farmaco, nelle tre diverse fasi del periodo fertile, evidenzia che l’ovulazione risulta costantemente ritardata soltanto nelle otto donne trattate all’inizio del periodo fertile. Se l’ormone LH ha già iniziato a crescere l’ovulazione è ritardata nel 78 per cento dei casi: in undici donne su quattordici (tre donne ovulano e possono concepire). Nelle pazienti in cui il picco di LH è già stato raggiunto l’ovulazione è ritardata in un solo caso su dodici: il 92 per cento delle donne studiate ovula e può dunque concepire;
l’autrice stessa dell’articolo, nel paragrafo dei risultati, precisa che al picco di LH, uno-due giorni prima dell’ovulazione, il farmaco non ha più alcuna capacità di impedirla e funziona esattamente come un placebo. Si tratta, come detto, dei giorni più fertili del ciclo, quelli in cui si verifica il maggior numero di concepimenti; i giorni nei quali un farmaco con una efficacia «contraccettiva» costantemente superiore all’80 per cento dovrebbe inibire l’ovulazione con la massima efficacia se il suo effetto fosse riconducibile a una azione anti-ovulatoria;
è dimostrato invece, come si è visto, che ellaOne, assunto nel periodo più fertile del ciclo e cioè uno-due giorni prima dell’ovulazione, non agisce con meccanismo anti-ovulatorio. La sua capacità di inibire l’ovulazione, infatti, è massima (100 per cento) solo all’inizio del periodo fertile; successivamente si riduce in modo rapido e progressivo fino a quasi azzerarsi (8 per cento) nei due giorni pre-ovulatori. Nonostante questo, la sua efficacia, superiore all’80 per cento, non si riduce nel tempo: sia che il farmaco sia assunto nel primo giorno dopo il rapporto a rischio, sia che esso sia assunto invece nel secondo, nel terzo, nel quarto o addirittura nel quinto giorno dopo il rapporto stesso, l’efficacia nel prevenire la gravidanza indesiderata si mantiene costantemente elevata;
se il meccanismo contraccettivo fosse davvero correlato all’inibizione dell’ovulazione ci si attenderebbe un progressivo calo della sua efficacia col passare dei giorni, man mano che il momento dell’ovulazione si approssima. Invece l’efficacia di ellaOne rimane costantemente elevata. Ciò evidenzia che il meccanismo contraccettivo va ricondotto ad altro, in particolare alla sua azione di inibizione dell’endometrio;
l’assunzione di una sola dose di Ulipristal, infatti, altera profondamente la recettività del tessuto endometriale, sia che essa avvenga a metà della fase follicolare, prima ancora che inizino i giorni fertili, sia che essa avvenga a metà ciclo nei giorni immediatamente successivi all’ovulazione (a concepimento avvenuto), sia che essa avvenga, infine, a metà della fase luteale, proprio nei giorni in cui l’embrione dovrebbe annidarsi;
l’effetto inibitorio sulla maturazione dell’endometrio è diretto ed è legato all’inibizione dei recettori tissutali per il progesterone (è esattamente lo stesso meccanismo con cui agisce la pillola RU486). In sostanza, ellaOne occupa quelle strutture cellulari alle quali il progesterone dovrebbe legarsi per poter espletare la sua funzione pro-gestazione. Il progesterone è presente ma non può agire, venendo meno così l’espressione di quelle proteine che rendono l’endometrio ospitale e l’organismo materno accogliente nei confronti del figlio;
questi effetti sono sovrapponibili a quelli osservati dopo somministrazione di Mifepristone (RU486), la pillola utilizzata per interrompere la gravidanza, ma UPA è efficace a dosaggi ancora inferiori;
questa inibizione si osserva anche quando alla donna vengono somministrati dosaggi di Ulipristal sensibilmente più bassi di quanto è contenuto nella pillola ellaOne: per rendere l’endometrio ostile all’embrione bastano dosi anche cinque volte inferiori a quelle assunte, con scarso successo, a fini anti-ovulatori. È documentato, infatti, che la soglia di farmaco sufficiente per alterare l’endometrio è inferiore a quella richiesta per interferire col normale sviluppo dei follicoli ovarici. Negli studi sperimentali, già alle dosi di 50 e 100 mg, UPA non micronizzato determina una riduzione nello spessore endometriale e un incremento dei recettori progestinici (che indicano il prevalere dell’effetto estrogenico), effetti che impediscono l’annidamento dell’embrione;
quanto a ellaOne, la cui compressa contiene 30 mg di UPA micronizzato, occorre ribadire che tale dose equivale esattamente ai SO mg di UPA non micronizzato che sono stati somministrati nello studio della Stratton e che, di conseguenza, non può che avere gli stessi effetti anti-annidamento sull’endometrio;
con ellaOne, dunque, l’endometrio sarà sempre inospitale ed ogni volta che avverrà un concepimento l’embrione, inevitabilmente, non potrà sopravvivere;
in sintesi, le donne che assumono Ulipristal dopo un rapporto sessuale avvenuto nel periodo fertile del ciclo prevalentemente ovulano e possono concepire. Gli spermatozoi saranno già entrati e l’uovo viene liberato: nulla osta al concepimento. L’endometrio, però è irrimediabilmente compromesso, indipendentemente dal momento in cui Ulipristal venga assunto;
d’altra parte, la grande e reclamizzata novità di ellaOne, presentata come «la pillola dei cinque giorni dopo», è proprio quella di essere totalmente efficace anche se presa cinque giorni dopo il rapporto sessuale avvenuto nel periodo fertile del ciclo. Se immaginiamo un rapporto sessuale avvenuto il giorno prima dell’ovulazione, con il concepimento entro le successive 24 ore (e quindi 48 ore dopo quel rapporto sessuale), come potrà invocarsi un’azione anti-ovulatoria e anticoncezionale per un agente chimico assunto con immutata efficacia fino a cinque giorni da quel rapporto e quindi fino a quattro giorni dopo l’ovulazione e fino a tre giorni dopo il concepimento ? Si avrà esclusivamente un’azione anti-annidamento;
è evidente da tutte le considerazioni esposte che questi farmaci agiscono prevalentemente impedendo l’annidamento dell’embrione in utero, ma questo effetto non è compatibile, come si è detto all’inizio, con i principi fondamentali su cui si fondano le nostre leggi e la nostra stessa Costituzione;
nel recente documento «Levonorgestrel and Ullpristal remain suitable emergency contraceptives for all women, regardless of bodyweight» (EMA/631408/2014), rilasciato dall’EMA il 30 settembre 2014 a seguito della «Artiche 31 referral procedure» relativa all’efficacia dei contraccettivi di emergenza nelle donne in sovrappeso, si è preteso di confermare per i contraccettivi di emergenza il solo meccanismo d’azione anti-ovulatorio. In quel documento, alla fine del capitolo diretto ai medici «Information to healthcare professionals», sono riportate sei voci bibliografiche. La referenza n. 6 di pagina 3 richiama, attualizzandolo, un precedente documento dell’EMA: «CHMP Assessment Report for Ellaone» (EMEA-261787-2009), dal quale si evince che EMA è ben consapevole del fatto che:
a) l’efficacia di Ulipristal Acetato (UPA) e l’efficacia del Mifepristone (RU486) nell’interrompere la gravidanza nei primati sono equivalenti (pag. 10);
b) nella contraccezione d’emergenza «alterazioni dell’endometrio possono contribuire all’efficacia di Ulipristal» (pagina 23), riconoscendosi così un meccanismo d’azione post-concezionale che, tuttavia, non viene mai riportato nel foglietto illustrativo di ellaOne;
c) è concreta la possibilità che UPA sia utilizzato off-label per interrompere la gravidanza, ma non si riesce a immaginare come ciò possa essere evitato, se non, forse, attraverso un attento controllo delle prescrizioni (pagina 45) (quelle prescrizioni che EMA propone di eliminare);
sono dati noti già dal 2009, epoca d’iniziale approvazione del prodotto ellaOne con procedura centralizzata EMA. Già da allora EMA sapeva cose che non ha ritenuto opportuno comunicare;
i tre studi sull’endometrio che in questa interrogazione sono citati (due della Stratton e uno della Passaro) sono gli stessi richiamati nel documento EMA del 2009, esattamente a pagina 22: la sigla che li individua nella sperimentazione HRA Pharma è «HRA2914» seguita dal numero specifico. Sulla loro base è espressa la conclusione di pagina 23 che ammette un verosimile effetto post-concezionale, mai comunicato nei documenti informativi ufficiali;
non sono seguiti, negli anni successivi, altri studi sperimentali. Tutti tre gli studi – evidentemente non superati – evidenziano che per deprimere l’endometrio e renderlo inospitale bastano dosaggi di Ulipristal Acetato largamente inferiori a quelli contenuti in ellaOne (Stratton «HRA2914-505». Human Reproduction 2000; 1092-1099, si veda pagina 1098, primo paragrafo della discussione). Ma questi studi evidenziano anche che, quanto a capacità di inibire la maturazione secretiva dell’endometrio, Ulipristal è praticamente sovrapponibile alla RU486 e agisce a dosaggi anche molto inferiori (Stratton «HRA2914-506» Fertility & Sterility 2010; 93:2035-2041, si veda pagina 2039, colonna sinistra, ultime sette righe) e (Passaro «HRA2914-503». Human Reproduction 2003; 18:1820-1827, si veda pagina 1826, primo paragrafo);
questi tre studi evidenziano che in caso di concepimento l’endometrio sarà sempre inospitale e l’embrione non potrà annidarsi né, evidentemente, sopravvivere;
l’EMA, agenzia chiamata a tutelare, a livello europeo, la salute dei cittadini e le libertà professionale dei medici, manca di richiamare, quel che essa stessa conosce ed esplicitamente ammette già dal 2009: e cioè che Ulipristal possa agire con meccanismo post-concezionale e abbia effetti anche francamente abortivi con la stessa efficacia del Mifepristone (RU486);
che gli effetti di Ulipristal e Mifepristone siano largamente sovrapponibili nell’apparato riproduttivo femminile è ampiamente noto dalla letteratura e documentato nella pratica clinica. Mifepristone è utilizzato come contraccettivo di emergenza a dosi di 25-50 mg in Cina. Se somministrato a metà della fase follicolare, prima ancora che inizino i giorni fertili, i suoi effetti sull’ovulazione sono simili a quelli di UPA, anche se UPA è efficace a dosaggi molto inferiori;
parimenti, nella fase luteale iniziale, 200 mg di Mifepristone sono altamente efficaci nell’impedire la gravidanza; è superfluo sottolineare che in quella fase del ciclo ovulazione e concepimento sono già avvenuti. È lo stesso effetto riscontrato con dosaggi di Ulipristal largamente inferiori;
infine, somministrato nella fase medio-luteale, anche il Mifepristone come Ulipristal non micronizzato, alla medesima dose di 200 mg, determina costantemente un sanguinamento endometriale anticipato;
Mifepristone (RU486) alla dose di 200 mg è il farmaco che si usa per interrompere la gravidanza. Ulipristal non è mai stato utilizzato per l’interruzione della gravidanza nella donna. I due farmaci, tuttavia, condividono le stesse attività sia sullo sviluppo dei follicoli ovarici, sia sull’endometrio, a dosaggi che sono sostanzialmente sovrapponibili. Inoltre, sia Ulipristal sia Mifepristone, sempre alle medesime dosi (5 mg al giorno per trattamenti di tre mesi), sono in grado di ridurre il volume dei fibromi uterini e di ridurre l’intensità delle emorragie uterine;
attualmente Ulipristal micronizzato è disponibile in farmacia per il trattamento pre-operatorio dei fibromi uterini. Il nome del preparato commerciale è Esmya: una confezione contiene un blister con 28 compresse da 5 mg ognuna, per un totale complessivo di 140 mg (ellaOne ne contiene 30 mg);
preme solo ricordare che 120 mg di Ulipristal micronizzato (dosaggio inferiore a quanto contenuto in una confezione di Esmya ed ottenibile con sole quattro compresse di ellaOne) equivalgono a 200 mg di Ulipristal non micronizzato: la dose equivalente a quei 200 mg di Mifepristone che si usano nei protocolli per l’interruzione della gravidanza. Entrambi i farmaci, a questi dosaggi, somministrati sette giorni dopo l’ovulazione e il concepimento, esattamente nei giorni in cui si perfeziona l’annidamento, determinano costantemente una mestruazione anticipata;
questo dato andrebbe considerato con estrema attenzione nel decidere le modalità e i limiti di prescrizione dei preparati che contengono Ulipristal Acetato;
in questa luce appare ancora più grave che lo scorso 21 novembre 2014 la stessa EMA abbia deliberato la richiesta di liberalizzare completamente la distribuzione di ellaOne, rendendo così vendibile, senza necessità di alcuna prescrizione medica, un principio attivo – Ulipristal Acetato – idoneo a interrompere la gravidanza. Il «consumatore» (la donna), a quel punto, non dovrà fare altro che procurarsi alcune confezioni di ellaOne per disporre del dosaggio di Ulipristal sufficiente a provocarsi, con efficacia, un aborto autogestito in evidente contrasto anche con la legislazione vigente -:
se non ritenga opportuno fornire una maggiore informazione in relazione a quanto esposto in premessa, al fine di tutelare i consumatori e i professionisti nonché l’esercizio costituzionale delle libertà del cittadino sia esso medico o paziente;
se il meccanismo d’azione antinidatorio dei farmaci usati nella contraccezione d’emergenza non si ponga in contrasto con le leggi e con i principi che le fondano e, in particolare, se il loro uso, soprattutto ove al di fuori di ogni controllo medico, non si ponga in conflitto:
a) con l’articolo 1, comma 1, lettera c) della legge 405 del 1975, in base al quale lo Stato italiano finalizza la procreazione responsabile alla tutela del prodotto del concepimento, oltre che ovviamente della salute della donna;
b) con l’articolo 1, comma 1, della legge 194 del 1978 dove afferma che lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, ma tutela la vita umana dal suo inizio (cioè dal concepimento) e che l’interruzione volontaria della gravidanza non è mezzo per il controllo delle nascite;
c) con l’articolo 1, comma 1, della legge 40 del 2004, che assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti nelle procedure di fecondazione medicalmente assistita, compreso il concepito;
quali siano le ragioni per le quali l’Italia non si sia avvalsa, al momento di decidere la disponibilità di ellaOne, della clausola di salvaguardia prevista dall’articolo 4, comma 4, della direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, nel quale si afferma che la direttiva stessa «non osta all’applicazione delle legislazioni nazionali che vietano o limitano la vendita, la fornitura o l’uso di medicinali a fini contraccettivi o abortivi. Gli Stati membri comunicano alla Commissione il testo delle legislazioni nazionali in questione»;
se, nel caso in cui la Commissione europea ratifichi la proposta dell’EMA di dispensare ellaOne senza prescrizione medica, l’Italia intenda adeguarsi totalmente o non intenda avvalersi della predetta clausola, al fine di evitare la diffusione dell’aborto autogestito e clandestino.
(2-00800) «Gigli, Dellai».

Quattro tesi per difendere la famiglia, 18-01-2015, http://www.lanuovabq.it/

Pubblichiamo la relazione introduttiva di Massimo Introvigne al convegno "Difendere la Famiglia per difendere la Comunità", promosso e organizzato dalla Regione Lombardia. Al convegno hanno partecipato circa 3mila persone, mentre qualche centinaio di attivisti pro-gay - che spalleggiati dal quotidiano "Repubblica" hanno montato una campagna menzognera contro il convegno - hanno manifestato all'esterno del Pirellone. All'interno, in prima fila a manifestare solidarietà alla Regione che non ha ceduto di fronte a contestazioni di ogni genere, oltre al governatore Maroni e al presidente del Consiglio regionale Cattaneo, c'erano il ministro Lupi, l'ex governatore Formigoni, Ignazio La Russa e il deputato siciliano Alessandro Pagano.

Buon pomeriggio dai mostri di Milano. 

Grazie alla Regione Lombardia per avere promosso e organizzato questa iniziativa, e ancora di più per avere tenuto duro di fronte a una colossale mistificazione che ha trasformato un convegno sulla famiglia in una sorta di clinica degli orrori dove si accusano gli omosessuali di essere malati e se ne organizza a forza la cura. Ma grazie anche ai mistificatori. Temevo di trovarmi di fronte a un convegno sulla famiglia come se fanno tanti, forse anche un po' noioso, e - da sociologo - mi si offre invece un'occasione straordinaria per studiare quello che ho sempre studiato, i panici morali alimentati dalla diffusione di notizie false.

Il pubblico però è qui per sentir parlare del tema del convegno, cioè della famiglia. Lo introduco proponendo quattro tesi.

La prima è che la famiglia non è solo - come ha detto Papa Francesco - «il motore del mondo e della storia» ma è anche, forse più modestamente, l'ancora di salvezza dell'Italia. Le statistiche sul nostro Paese sono terrificanti. Siamo ai primi posti tra i Paesi industrializzati nelle classifiche sul debito pubblico, sulla corruzione, sull'inefficienza della pubblica amministrazione, sui ritardi burocratici, sul cattivo funzionamento della scuola. Nonostante tutto questo, il nostro tenore di vita e la nostra economia, pure aggredite dalla crisi, rimangono tra le prime dieci al mondo. Com'è possibile questo? È la nostra fortuna, il famoso stellone d'Italia? No, c'è una spiegazione. Finora ci ha salvato la famiglia. Il debito pubblico mostruoso è stato compensato dal credito privato, cioè dal risparmio di tante famiglie, e la famiglia si è fatta carico delle inefficienze dello Stato, tanto spesso assistendo in casa i suoi anziani e curando i suoi malati. In Italia non abbiamo né oro né argento, ma abbiamo l'oro del XXI secolo che non è il petrolio, ma la famiglia: non l'oro nero, ma l'oro blu, blu come i nostri cieli e i nostri mari e blu, per i cattolici, come il manto della Madonna Regina della Famiglia.

La seconda tesi - cito ancora Papa Francesco, nel suo discorso al Movimento di Schoenstatt - è che oggi la famiglia è "bastonata da tutte le parti". Anche qui non cedo alla tentazione professionale di proporvi delle statistiche, ma vi assicuro che fanno paura. Anche a Milano e in Lombardia, come in tutta Italia, diminuiscono a vista d'occhio i matrimoni, aumentano i divorzi, e quello della denatalità, con l'Italia fanalino di coda del mondo per numero di figli per donna, è ormai un dramma che giustifica la definizione di san Giovanni Paolo II, «suicidio demografico». Non è solo un problema morale, è il problema centrale della politica e dell'economia. Meno figli oggi significa domani meno produttori, meno consumatori, meno contributori per pagare le pensioni degli anziani, se non vogliamo ammazzarli tutti con l'eutanasia. E meno matrimoni significa meno figli. Trovo spesso, quando espongo questa tesi, chi alza la mano per comunicarmi che una donna non sposata ha la stessa capacità di fare figli di una donna sposata. Ringrazio sempre l'interlocutore per la rivelazione: se non me lo avesse detto lui, non lo avrei mai sospettato. Però questa è una verità da ginecologi. I sociologi hanno invece anche loro una rivelazione da fare: le donne sposate fanno più figli di quelle non sposate. Negli Stati Uniti il governo tiene serie statistiche da cento anni, e il dato è fra i più sicuri che conosca. Non perché siano fatte diversamente dalle donne non sposate, ma perché la stabilità del matrimonio aiuta a resistere alle sirene del «non conviene fare figli» e dell'aborto.

Terza tesi. La famiglia non si bastona da sola. C'è qualcuno che la aggredisce. Qui fuori stanno manifestando per assicurarci che il primo nemico della famiglia non sono i gay. Sono d'accordo anch'io. È il fisco. La Banca Mondiale ci informa che le famiglie italiane - calcolando tutte le forme di imposte dirette e indirette - hanno pagato in media negli ultimi cinque anni al fisco il 67% del loro reddito, contro il 46% degli Stati Uniti e della Germania e il 25% della Svizzera. Il nostro fisco è quello meno a misura di famiglia di tutta l'Europa Occidentale. Non vinciamo più i campionati del mondo di calcio, ma quelli per il fisco più vorace è più ostile alle famiglie sì.

Quarta tesi. Il 12 gennaio il Papa ha ricevuto il Corpo Diplomatico e ha denunciato le «legislazioni che privilegiano diverse forme di convivenza piuttosto che sostenere adeguatamente la famiglia per il bene di tutta la società». Lo stesso Papa Francesco l'11 aprile 2014, ricevendo l'Ufficio Internazionale Cattolico dell’Infanzia, ha affermato che «occorre ribadire il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma capaci di creare un ambiente idoneo al loro sviluppo e alla loro maturazione affettiva. Continuando a maturare in relazione alla mascolinità e alla femminilità di un padre e di una madre». Si dirà che sono citazioni del Papa: che c'entrano con lo Stato o la regione che sono laici? Ma sono citazioni del buon senso, che non è né laico né cattolico né buddhista. 

So che questo è il tema più controverso. Ne dirò tre cose. 

Primo: non so voi, ma io mi identifico con la famosa battuta dello stesso Papa Francesco, «chi sono io per giudicare le persone omosessuali?». Come cattolico so che le persone non vanno mai giudicate in quanto persone. Abbiamo spiegato fino alla noia che l'omosessualità in quanto tale non è mai stata e non è il tema del convegno, ma - come si dice - mi è gradita l'occasione di dire che non considero l'omosessualità una malattia. Ne avessi avuto bisogno, questa tesi me l'hanno insegnata, per il poco che conosco la loro associazione, gli amici di Obiettivo Chaire e anche un medico straordinario e indimenticabile, un amico che non c'è più, il dottor Bruto Bruti, che ha fatto tanto per spiegare i problemi dell'omosessualità all'interno della mia associazione, Alleanza Cattolica. Qualche mese fa, intervistata da me per un quotidiano, un'esponente di Obiettivo Chaire ha dichiarato di considerare «ridicola» la tesi che equipara l'omosessualità a una malattia. Bruti scriveva nel libro che ci ha lasciato in preziosa eredità: «l'orientamento omosessuale non è dovuto a una malattia fisica, né mentale». Se poi invece si vuole impedire a quella frazione di omosessuali che si sentono a disagio con la loro omosessualità di rivolgersi a Obiettivo Chaire per un accompagnamento pastorale e spirituale allora sì, c'è in giro una malattia, ma non è né l'omosessualità né l'omofobia, è una vecchia malattia e si chiama totalitarismo, dittatura del pensiero unico, negazione della libertà religiosa.

Secondo: chi sono io per giudicare le persone omosessuali? Ma chi sono io per non giudicare le leggi, venendo meno al mio dovere di cristiano e di cittadino? Non si manca di rispetto a nessuno se si ripete, con lo stesso Papa Francesco del «chi sono io per giudicare?» - non è un altro, non è un omonimo - che i bambini hanno diritto a crescere con un papà è una mamma.

Terzo: ma allora i conviventi sono figli di un dio minore? Nossignore. Il cartello di associazioni che rappresento, Sì alla famiglia, ha presentato mercoledì a Roma un disegno di legge in trentatré articoli. Un testo unico che mette insieme tutti i diritti di cui i conviventi già godono in Italia, coordinandoli con piccoli aggiustamenti ma senza introdurre nulla di nuovo rispetto alle leggi e alla giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Cassazione. Sono elencati tutti i diritti dei conviventi relativi agli ospedali, alle carceri, ai contratti di locazione. Perfino i risarcimenti per le vittime della mafia defunte vanno al convivente, anche omosessuale. Ci sono già queste cose nelle leggi? Ci sono. Pochi le conoscono? È vero. Volete questi diritti - s'intende per tutte le convivenze stabili, perché non c'è nessuna ragione di discriminare chi convive con una persona di sesso diverso? Li vogliamo anche noi, ecco qui la nostra proposta di testo unico.

Se invece volete il «matrimonio» omosessuale, con le adozioni di bambini che avranno due mamme e due papà, anziché un papà e una mamma, allora non siamo d'accordo. Se volete impedirci di dirlo, introducendo nelle vostre leggi sull'omofobia norme non contro chi picchia le persone omosessuali - quelle sono sacrosante - ma contro chi organizza convegni come il nostro o ne sostiene le tesi, allora non siamo d'accordo e siamo tutti Sentinelle in piedi. Se volete chiamare «unioni civili» i matrimoni omosessuali non siamo d'accordo, e per questo noi parliamo di convivenze e non di unioni civili. Lo diciamo noi? No, lo dite voi, lo dice l'onorevole Scalfarotto intervistato da «Repubblica» il 16 ottobre 2014: «L’unione civile non è un matrimonio più basso, ma la stessa cosa. Con un altro nome per una questione di realpolitik».

Noi vogliamo riconoscere i diritti e i doveri che nascono dalla convivenze, nel rispetto delle persone conviventi omosessuali e non. Ma non vogliamo il «matrimonio» omosessuale con le adozioni, né sotto vero nome né sotto falso nome. Perché la compresenza di diversi tipi di matrimonio - ci sarebbe anche quello poligamo, praticato in Europa da tanti musulmani, ma ne parliamo un'altra volta - fa male al matrimonio. Perché parlare di famiglie e non di famiglia fa male alla famiglia. E chi fa male alla famiglia fa male alla società e fa male all'Italia, che è stata salvata dalla famiglia e sarà salvata solo dalla famiglia. 

Ieri il Papa nelle Filippine ha denunciato le «colonizzazioni ideologiche che cercano di distruggere la famiglia» e che pretendono di «ridefinire la stessa istituzione del matrimonio mediante il relativismo». Ha anche esaltato una figura molto legata a Milano e alla Lombardia, il beato Paolo VI, che nella sua enciclica «Humanae vitae», da buon pastore, «allertò le sue pecore sui lupi in arrivo». Ora i lupi sono arrivati.

È sempre Papa Francesco, ma non quello dei giornali: quello vero. Che dalle Filippine ci manda una cartolina, ci lancia un appello. Ascoltiamolo: «Proclamate la bellezza e la verità del matrimonio cristiano ad una società che è tentata da modi confusi di vedere la sessualità, il matrimonio e la famiglia. Come sapete queste realtà sono sempre più sotto l’attacco di forze potenti che minacciano di sfigurare il piano creativo di Dio e di tradire i veri valori che hanno ispirato e dato forma a quanto di bello c’è nella vostra cultura». Questo convegno vuole parlare esattamente di queste cose. Sì alla famiglia!

venerdì 16 gennaio 2015

Il Comitato "Sì alla Famiglia" si oppone a matrimoni e adozioni omosessuali "anche mascherati da unioni civili" - 16 gennaio 2015 - http://www.siallafamiglia.it/testo-unico-sui-diritti-dei-conviventi/

Sì alla famigliaTESTO UNICO SUI DIRITTI DEI CONVIVENTI

 Sì alla famiglia ha presentato a Roma in una riunione con parlamentari di diversi partiti, e propone con un comunicato del 16 gennaio, un testo unico sui diritti dei conviventi. Il testo elenca e ribadisce quanto l’ordinamento italiano già prevede, esplicitamente o implicitamente, per le persone impegnate in convivenze. Tra questi l’assistenza del partner in ospedale e in carcere e la successione nei contratti di locazione. Il testo ribadisce che il partner di fatto ha titolo, a determinate condizioni, al risarcimento del danno subito dall’altro partner e all’indennizzo che spetta al partner vittima di delitti di mafia o di terrorismo. Tutto questo per le convivenze tra persone sia di sesso diverso, sia dello stesso sesso.
Lo scopo è quello di distinguere con estrema chiarezza il cosiddetto “matrimonio” omosessuale, con la conseguente possibilità di adottare figli, cui siamo assolutamente contrari anche qualora lo si nasconda pudicamente sotto il nome di “unioni civili”, dal riconoscimento dei diritti e doveri che derivano dalle convivenze. Per questo, a differenza di quanto fa il disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili, non parliamo di unioni civili – una sigla che in tutta Europa significa qualcosa di analogo in tutto al matrimonio tranne che nel nome – e non prevediamo né l’adozione né la riserva di legittima per la successione né la reversibilità delle pensioni, che sono cose tipiche dei matrimoni o almeno di simil-matrimoni. Sì alla Famiglia ricorda che non sono oppositori del disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili o delle proposte annunciate da Renzi a sostenere che le unioni civili sono matrimoni sotto altro nome. Lo ha affermato in un’intervista a «Repubblica» del 16 ottobre 2014 lo stesso sottosegretario Scalfarotto, dichiarando che «l’unione civile non è un matrimonio più basso, ma la stessa cosa. Con un altro nome per una questione di realpolitik». E se anche si costruisse un istituto presentato come “la stessa cosa” del matrimonio senza adozioni, è certo che le adozioni, com’è avvenuto in Germania e in altri Paesi, sarebbero rapidamente introdotte dalla Corte Costituzionale in nome del principio di uguaglianza.
Questo testo, che rende maneggevoli e coordina disposizioni che l’ordinamento italiano già comprende , permetterà ai parlamentari di schierarsi e agli elettori di comprendere le loro posizioni. Chi vuole il “matrimonio” omosessuale, completo di adozioni subito o tra qualche anno, potrà votare le unioni civili della Cirinnà o di Renzi. Chi vuole ribadire che ai conviventi, dello stesso sesso o di sessi diversi, sono riconosciuti i diritti e i doveri relativi alla sanità, alle carceri, alla locazione, ai risarcimenti, ma vuole chiudere la porta al “matrimonio” e alle adozioni, ora ha un testo su cui convergere.


Testo unico dei diritti riconosciuti
ai componenti di una unione di fatto


Capo 1- Regolamento anagrafico
Art. 1 – Convivenze e iscrizione anagrafica
1. Ai sensi degli articoli 1, 4, 6 e 13 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989 n. 223, l’anagrafe della popolazione residente è la raccolta sistematica dell’insieme delle posizioni relative, fra le altre, ai componenti di una convivenza che hanno  fissato nel comune la propria residenza.
2. L’anagrafe è costituita da schede individuali, di famiglia e di convivenza. In tali schede sono registrate le posizioni anagrafiche desunte dalle dichiarazioni degli  interessati, dagli accertamenti d’ufficio e dalle comunicazioni degli uffici di stato civile.
3. Agli effetti anagrafici, per convivenza si intende l’unione fra due persone legate da stabili vincoli affettivi, coabitanti e aventi dimora abituale nel medesimo comune, insieme con i familiari di entrambi che condividano la dimora.
4. Ciascun componente della convivenza come sopra definita è responsabile per sé e per le persone sulle quali esercita la potestà o la tutela delle dichiarazioni anagrafiche di cui al comma 5. Ciascun componente può rendere inoltre le dichiarazioni  relative alle mutazioni delle posizioni degli altri componenti del nucleo di convivenza.
5. Le dichiarazioni anagrafiche di cui al comma precedente concernono i seguenti fatti: a) trasferimento di residenza da altro comune o dall’estero ovvero trasferimento di residenza all’estero; b) costituzione di nuova  convivenza, ovvero mutamenti intervenuti nella composizione della convivenza; c) cambiamento di abitazione.
6. La vigilanza sulla corretta tenuta degli adempimenti anagrafici, anche per la parte riguardante le dichiarazioni riguardanti le convivenze e la verifica della loro rispondenza al vero, e le relative sanzioni, sono regolate dagli articoli da 51 a 56 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989 n. 223.

Capo 2 – Assistenza socio-sanitaria e per i detenuti
Articolo 2 – Convivenze e assistenza sanitaria
In presenza di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1, ciascun convivente ha diritto di assistere l’altro in ospedali, case di cura o strutture sanitarie, nel rispetto delle disposizioni interne a tali strutture.
Ciascun convivente può delegare l’altro perché, nei limiti delle norme vigenti:  a) adotti le decisioni necessarie sulla salute in caso di malattia da cui derivi incapacità di intendere e di volere; b) riceva dal personale sanitario le informazioni sulle opportunità terapeutiche; c) decida in caso di decesso sulla donazione di organi, sul trattamento del corpo e sulle celebrazioni funebri, in assenza di previe disposizioni dell’interessato.
La delega di cui al comma 2 avviene con atto scritto autenticato ovvero, nel caso di impossibilità, con volontà comunicata a un pubblico ufficiale che forma un processo verbale.
La revoca, anche parziale, della delega avviene con le medesime modalità di cui al comma 3.
Articolo 3 – Convivenze e accesso alla cartella clinica
Ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196, in presenza di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1, ciascun convivente ha accesso ai dati personali del convivente contenuti nella cartella clinica della struttura sanitaria nella quale è stato ricoverato, e dei documenti che a essa si riferiscono, se il paziente è incapace di intendere e di volere o è deceduto.
                            Articolo 4 – Convivenze e congedi per salute
1. Ai sensi dell’articolo 4 della legge 8 marzo 2000 n. 53, in presenza di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1, il permesso retribuito di tre giorni lavorativi all’anno è riconosciuto alla lavoratrice e al lavoratore in caso di documentata grave infermità del convivente ovvero di decesso.
2. In casi di documentata grave infermità, il lavoratore e la lavoratrice concordano con il datore di lavoro diverse modalità di espletamento dell’attività lavorativa.
Articolo 5 – Convivenze e accesso ai servizi dei consultori
Ai sensi dell’art. 1 della legge 29 luglio 1975, n. 405, l’assistenza psicologica e sociale per la preparazione alla maternità ed alla paternità responsabile e per i problemi della coppia e della famiglia sono garantiti anche ai componenti di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1.

Articolo 6 – Convivenze e colloqui con i detenuti

Ai sensi dell’art. 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354, in presenza di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1, i colloqui e la corrispondenza telefonica sono permesse con la persona con la quale prima della detenzione sussisteva la convivenza, a parità delle condizioni previste per i familiari.
Articolo 7 – Convivenze e permessi per i detenuti
Ai sensi dell’art. 30 della legge 26 luglio 1975, n. 354, in presenza di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1 e nel caso di imminente pericolo di vita del convivente, i condannati e gli internati ricevono dal magistrato di sorveglianza il permesso di recarsi a visitare il convivente infermo, nei limiti e con le cautele previste dal regolamento penitenziario.
 Analoghi permessi possono essere concessi per eventi eccezionali di particolare gravità.
Capo 3 – Filiazione, interdizione, inabilitazione, adozione, procreazione medicalmente assistita
Articolo 8 – Convivenze e filiazione
Ai sensi dell’articolo 315 del codice civile, tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico, indipendentemente dalla esistenza di un rapporto di coniugio fra i genitori.
Articolo 9 – Convivenze e tutela, curatela e amministrazione di sostegno
Ai sensi dell’art 408 comma 1 del codice civile, il giudice tutelare, nella scelta dell’amministratore di sostegno, preferisce, ove possibile, il coniuge che non sia separato legalmente, la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, il figlio o il fratello o la sorella, il parente entro il quarto grado.
Ai sensi dell’’art. 410, comma 3, del codice civile l’amministratore di sostegno non è tenuto a continuare nello svolgimento dei suoi compiti oltre dieci anni, ad eccezione dei casi in cui tale incarico è rivestito dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dagli ascendenti o dai discendenti.
Ai sensi dell’art. 411, comma 3, del codice civile sono in ogni caso valide le disposizioni testamentarie e le convenzioni in favore dell’amministratore di sostegno che sia parente entro il quarto grado del beneficiario, ovvero che sia coniuge o persona che sia stata chiamata alla funzione in quanto con lui stabilmente convivente.
Ai sensi dell’’art. 417 del codice civile, in materia di interdizione e inabilitazione, le relative istanze possono essere promosse anche dalla persona stabilmente convivente.
Ai sensi dell’art. 426 comma 1 del codice civile nessuno è tenuto a continuare nella tutela dell’interdetto o curatela dell’inabilitato oltre i 10 anni, ad eccezione del coniuge, della persona stabilmente convivente, degli ascendenti o dei discendenti.
Articolo 10 – Convivenze e idoneità all’adozione
1. Ai sensi dell’articolo 6, comma 4, della legge 4 maggio 1983 n. 184, il requisito della stabilità del rapporto ai fini della determinazione della idoneità della coppia si ritiene realizzato anche quando i coniugi hanno convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni, nel caso in cui il tribunale per  i  minorenni  accerti  la continuità e la stabilità della convivenza, avuto riguardo a  tutte le circostanze del caso concreto.
Articolo 11 – Convivenze e adozione
1. Ai sensi dell’articolo 44, comma 3, della legge 4 maggio 1983 n. 184, l’adozione dei minori e’ consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato, se si tratta di persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando  il minore sia orfano di padre e di madre, ovvero quando il minore si trova nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992 n. 104 e sia orfano di padre e di madre, ovvero quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.
Articolo 12 – Convivenze e procreazione medicalmente assistita
1. Ai sensi dell’articolo 5 della legge 19 febbraio 2004 n. 40, l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è permessa anche a due maggiorenni di sesso diverso fra loro conviventi.
Capo 4 – Contrasto degli abusi nell’ambito della convivenza
Articolo 13 – Convivenza e protezione contro gli abusi nell’ambito di essa.
Ai sensi dell’articolo 342-bis del codice civile, quando la condotta del convivente è causa di grave pregiudizio per l’integrità fisica o morale ovvero per la libertà dell’altro convivente, il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all’articolo 342-ter.
Articolo 14 – Convivenza e ordine di allontanamento
Ai sensi dell’articolo 342-ter del codice civile, col decreto di cui all’articolo 342-bis il giudice ordina al convivente che ha tenuto la condotta pregiudizievole, la cessazione della stessa condotta e dispone l’allontanamento dalla casa familiare del convivente che ha tenuto la condotta pregiudizievole prescrivendogli altresì, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall’istante, ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d’origine, ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia, salvo che questi non debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze di lavoro. Valgono per il convivente tutte le disposizioni contenute nel medesimo articolo 342-bis del codice civile.
 Articolo 15 – Convivenza e decadenza della potestà di genitore
Ai sensi dell’articolo 330 del codice civile il giudice può pronunziare la decadenza dalla responsabilità genitoriale quando il genitore viola o trascura i doveri a essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio. In tal caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore.

Capo 5 – Accesso all’abitazione e tutela civilistica

Articolo 16 – Convivenza e successione nella locazione
Ai sensi dell’articolo 6 della legge 27 luglio 1978 n. 392, come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale del 7 aprile 1988 n. 404, in presenza di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1, succede nella titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente ovvero colui che abbia cessato la convivenza si vi è prole naturale nata dalla loro unione.
Articolo 17 – Convivenza e assegnazione degli alloggi economici-popolari
Ai sensi dell’articolo 13 comma 2 del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008 n. 133, gli accordi raggiunti in sede di Conferenza unificata Stato-regioni ed enti locali aventi ad oggetto la semplificazione delle procedure di alienazione degli immobili di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, tengono conto, fra gli altri, del criterio del riconoscimento del diritto di opzione all’acquisto in favore dell’assegnatario unitamente al proprio coniuge, qualora risulti in regime di comunione dei beni, ovvero, in caso di rinunzia da parte dell’assegnatario, in favore del coniuge in regime di separazione dei beni, o, gradatamente, del convivente, purché la convivenza duri da almeno cinque anni, dei figli conviventi, dei figli non conviventi.
Articolo 18 – Convivenza e impresa familiare
Ai sensi dell’articolo 230 bis del codice civile, in presenza di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1, le prestazioni lavorative svolte nell’ambito di essa non hanno il requisito della subordinazione se è dimostrata la comunanza di vita e di interessi tra i conviventi che dia luogo alla partecipazione, effettiva ed equa, del convivente alle risorse della famiglia di fatto.
Articolo 19 – Convivenza e risarcimento per fatto illecito
Ai sensi degli articoli 2043 e 2059 del codice civile, in presenza di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1, il convivente ha diritto al risarcimento del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale in caso di morte dell’altro convivente provocata dal fatto ingiusto altrui.
Articolo 20 – Convivenza e contratti di assicurazione
Ai sensi dell’articolo 5 comma 4 bis del decreto-legge 31 gennaio 2007 n. 7, convertito nella legge 2 aprile 2007 n. 40, in presenza di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1, l’impresa di assicurazione, in tutti i casi di stipulazione di un nuovo contratto, relativo a un ulteriore veicolo della medesima tipologia, acquistato dalla persona fisica già titolare di polizza assicurativa o dal suo convivente, non può assegnare al contratto una classe di merito più sfavorevole rispetto a quella risultante dall’ultimo attestato di rischio conseguito sul veicolo già assicurato.

Capo 6 – Tutela penalistica
Articolo 21 – Convivenza e circostanze aggravanti dei reati
Ai sensi dell’articolo 61 del codice penale, l’aggravante per chi abbia commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione, o di ospitalità si applica anche in presenza di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1.
Articolo 22 – Convivenza e casi di non punibilità
Ai sensi dell’articolo 384 del codice penale, l’espressione “prossimo congiunto” deve ritenersi estesa anche coloro che compongono una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1.
Articolo 23 – Convivenza e rapporto di parentela penalmente rilevante
Ai sensi dell’articolo 540 del codice penale, l’espressione “rapporto di parentela” include anche il legame di convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1.
Articolo 24 – Convivenza e violazione degli obblighi di assistenza familiare
Nell’articolo 570 del codice penale dopo l’espressione “qualità di coniuge” va inserita “o di componente di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1”.
Articolo 25 – Convivenza e reato di maltrattamento
Ai sensi dell’articolo 572 del codice penale il reato di maltrattamenti in famiglia o verso i congiunti sussiste anche nei riguardi di una persona che compone una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1.
Articolo 26 – Reati commessi da un convivente in danno dell’altro convivente
 1. Nell’articolo 649 del codice penale, dopo l’espressione “coniuge non legalmente separato” va inserita “e del componente di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1” della presente legge.

Capo 7 – Tutela processualpenalistica
Articolo 27 – Convivenza e obbligo di testimoniare
Ai sensi dell’articolo 199 comma 1 del codice procedura penale fra i prossimi congiunti dell’imputato devono ritenersi inclusi coloro che compongono una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1.
Ai sensi dell’art. 199 comma 3 del codice procedura penale il testimone ha facoltà di astenersi dalla testimonianza limitatamente ai fatti verificatisi o appresi dall’imputato durante la convivenza se, pur non essendo coniuge dell’imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso.
Articolo 28 – Convivenza e ordine di allontanamento dalla casa comune
Ai sensi dell’articolo 282 bis comma 3 del codice procedura penale, il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può ingiungere all’imputato cui rivolge il provvedimento di allontanamento dalla casa familiare il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto della misura cautelare disposta, rimangano prive di mezzi adeguati.
Ai sensi dell’articolo 282 bis comma 6 del codice procedura penale, se si procede per uno dei delitti previsti dagli articoli 570, 571, 600 bis, 600 ter, 600 quater, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies e 609 octies del codice penale, commesso in danno del convivente, la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’articolo 280 del codice di procedura penale.
Articolo 29 – Convivenza e domanda di grazia
Ai sensi dell’articolo 681 comma 1 del codice procedura penale, la domanda di grazia, diretta al presidente della Repubblica, può essere sottoscritta anche da colui che compone una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1.
Articolo 30 – Convivenza e indagini antimafia
Ai sensi dell’articolo 19 del decreto legislativo 6 settembre 2011 n. 159, le indagini finalizzate all’applicazione di misure di prevenzione riguardanti il tenore di vita, le disponibilità finanziarie e il patrimonio dei soggetti nei cui confronti possa essere proposta la misura di prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, e quelle riguardanti l’attività economica facente capo agli stessi soggetti allo scopo anche di individuare le fonti di reddito, sono effettuate anche nei confronti di coloro che nell’ultimo quinquennio hanno convissuto con i soggetti indicati al comma 1 dello stesso articolo 19 nonché nei confronti delle persone fisiche o giuridiche, società, consorzi od associazioni, del cui patrimonio i soggetti medesimi risultano poter disporre in tutto o in parte, direttamente o indirettamente.

Capo 8 – Tutela delle vittime di reati
Articolo 31 – Convivenza ed elargizioni alle vittime di terrorismo e di criminalità organizzata
Ai sensi dell’articolo 4 della legge 20 ottobre 1990 n. 302, in presenza di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1, il convivente ha diritto alla elargizione di cui al comma 1 del menzionato articolo 4, alla condizioni e secondo l’ordine di precedenza ivi indicati.
Articolo 32 – Convivenza ed elargizioni alle vittime di racket e di usura
Ai sensi dell’articolo 8 della legge 23 febbraio 1999 n. 44 se, in conseguenza dei delitti previsti dagli articoli 3, 6 e 7 della menzionata legge n. 44, i soggetti ivi indicati perdono la vita, l’elargizione è concessa, nell’ordine, ai soggetti di seguito elencati a condizione che la utilizzino in un’attività economica, ovvero in una libera arte o professione, anche al di fuori del territorio di residenza: a) coniuge e figli; b) genitori; c) fratelli e sorelle; d) convivente more uxorio e soggetti, diversi da quelli indicati nelle lettere a), b) e c), conviventi nei tre anni precedenti l’evento a carico della persona.
Articolo 33 – Convivenza e protezione dei collaboratori di giustizia
Ai sensi dell’articolo 9 comma 5 della legge 13 febbraio 2001 n. 45 le speciali misure di protezione di cui al comma 4 possono essere applicate anche a coloro che convivono stabilmente con le persone indicate nel comma 2 nonché, in presenza di specifiche situazioni, anche a coloro che risultino esposti a grave, attuale e concreto pericolo a causa delle relazioni intrattenute con le medesime persone.
Relazione

   On. Colleghi! Da tempo – per lo meno della metà degli anni 1980 – si discute sulla necessità di introdurre nell’ordinamento italiano una legge che disciplini le c.d. unioni di fatto. Quasi sempre la discussione trascura che i diritti che sono già riconosciuti ai componenti di una coppia di fatto, per via di intervento legislativo o giurisprudenziale, sono numerosissimi; una disamina attenta e oggettiva fa scoprire, per esempio (si riprende una delle voci evocate con maggiore frequenza), che non vi è nessun ostacolo all’assistenza in qualunque struttura sanitaria del convivente nei confronti del proprio partner. Addirittura – quando il paziente non è in condizioni di decidere e in assenza di coniuge – in base a una legge del 1999, il convivente viene informato e può decidere un’operazione di trapianto di organo. Norme di parificazione del convivente al coniuge, derivanti dalla legge ordinaria o dalla giurisprudenza, ci sono in tema di assistenza da parte dei consultori, di interdizione e inabilitazione, di figli, di successione nella locazione e nell’assegnazione di un alloggio popolare; il partner di fatto ha titolo, a determinate condizioni, al risarcimento del danno subito dall’altro partner; perfino la legislazione sulle vittime di mafia o terrorismo equipara il convivente al coniuge. Tutto ciò accade perché, a partire dagli anni 1980, ogniqualvolta la legge ordinaria ha sancito un diritto per il coniuge, di regola lo ha previsto anche per il convivente; questo modo di procedere è stato affiancato, in parallelo, da numerose sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione intervenute nella materia. E questo accade sia che la convivenza riguardi persone di sesso diverso sia che riguardi persone del medesimo sesso.
Alla fine, è più facile elencare quello che resta ancora fuori: a) la riserva di legittima per la successione; b) la possibilità per i conviventi di adottare figli; c) una parte delle disposizioni penali e processualpenalistiche che toccano le relazioni familiari (se si considerano una per una, esse però non giustificano la costruzione di un modello alternativo di famiglia, bensì – al più – un più modesto intervento di estensione di garanzie e di tutele: ciò che viene fatto in questo testo unico); d) un regime pensionistico di reversibilità in favore del convivente.
La premessa di questo testo è che, a differenza di quanto prevede qualche disegno di legge già in fase di avanzata discussione – si pensi al “d.d.l. Cirinnà” pendente in Commissione Giustizia al Senato, che nella sostanza parifica il regime delle unioni civili a quello matrimoniale –, la tutela che l’articolo 29 della Costituzione riserva alla “famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” è più specifica rispetto a quella che l’articolo 2 della stessa Carta fondamentale riserva alle “formazioni sociali intermedie”, fra le quali la giurisprudenza colloca le convivenze. Il buon senso, il senso di realtà e la Costituzione non possono equiparare in tutto e per tutto istituti che pari non sono, come il matrimonio e l’unione di fatto.
Lo scopo di questo testo, composto da 33 articoli suddivisi in 8 capi, è far emergere tutto ciò che l’ordinamento già prevede, esplicitamente o implicitamente, in tema di tutela dei diritti dei conviventi: lo raccoglie e lo rende ordinato, fino a costituire un vero e proprio statuto della convivenza, sulla scorta di ciò che è già diritto vivente, o può diventarlo con leggeri aggiustamenti. Il dibattito sulle unioni civili sarà certamente meno ideologizzato se resterà ancorato ai testi in vigore e avrà piena consapevolezza del tanto che già esiste.
 1. Collegamento con il regolamento anagrafico. Ogni disposizione di questo testo unico contiene un espresso richiamo a una norma vigente, che ovviamente non si riporta per intero, bensì solo per la parte che fa riferimento alle convivenze, e un espresso aggancio alla convivenza come definita dall’articolo 1. Con quattro deroghe: a) si afferma in esplicito il diritto all’assistenza del partner nelle strutture sanitarie, certamente contenuto nel sistema, per quanto osservato prima, ma non espresso in una norma di legge; b) in taluni articoli del testo unico si interviene ex novo per estendere al convivente norme del codice penale e del codice di procedura penale riguardanti i rapporti fra imputati e gli stretti familiari; b) in altri articoli, quando la relazione di convivenza vale in quanto inserita in un ordine di preferenza che comprende altri familiari, si preferisce riportare l’intera sequela, per evitare confusioni; c) per alcuni specifici interventi legislativi – per es., in tema di risarcimenti alle vittime dei reati – si prevede un periodo più lungo di convivenza; si è ritenuto di lasciarlo inalterato perché risponde a logiche proprie di quel tipo di legislazione.
Il punto di partenza, all’articolo 1, è l’aggancio del rapporto di convivenza al regolamento anagrafico: rimodulando gli articoli 1, 4, 6 e 13 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989 n. 223, Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente, dopo aver ricordato che “l’anagrafe della popolazione residente è la raccolta sistematica dell’insieme delle posizioni relative, fra le altre, ai componenti di una convivenza che hanno  fissato nel comune la residenza”, e che “l’anagrafe è costituita da schede individuali, di famiglia e di convivenza. In tali schede sono registrate le posizioni anagrafiche desunte dalle dichiarazioni degli  interessati, dagli accertamenti d’ufficio e dalle comunicazioni degli uffici di stato civile”, si fornisce la definizione anagrafica di convivenza, adattando – tenuto conto degli effetti che produce – quella dell’originaria stesura del d.p.r.: “per convivenza si intende l’unione fra due persone legate da stabili vincoli affettivi, coabitanti e aventi dimora abituale nel medesimo comune, insieme con i familiari di entrambi che condividano la dimora”. Non è individuato il tempo minimo di coabitazione idoneo a qualificare la convivenza come “stabile”, poiché ci si affida all’accertamento che è chiamato a svolgere ciascun Comune sulla base di elementi di fatto, il cui apprezzamento non è preventivabile in modo eguale per tutti.
Sono pienamente operative le disposizioni del d.p.r. e delle norme secondarie e regolamentari a esso collegate, in ordine agli accertamenti della veridicità delle dichiarazioni rese. Al comma 6 si richiamano in proposito gli articoli da 51 a 56 del d.p.r., riguardanti la vigilanza sulla corretta tenuta degli adempimenti anagrafici, anche per la parte delle dichiarazioni di convivenza e per la loro rispondenza al vero, con le relative sanzioni. I precedenti commi 4 e 5 descrivono i soggetti abilitati a rendere le dichiarazioni anagrafiche e il contenuto di esse.

 2. Assistenza sanitaria e per i detenuti. Le norme che seguono il capo 1 sono raccolte per voci. Quella che interessa il capo 2 attiene a uno degli argomenti maggiormente utilizzati per sostenere la necessità di costruire un regime para-matrimoniale delle convivenze: l’assistenza sanitaria e ai detenuti. È un argomento che – come e più degli altri – si infrange di fronte al diritto vigente: come prima si ricordava, l’articolo 3 della legge 1 aprile 1999, n. 91, Disposizioni in materia di trapianti e di prelievi di organi e di tessuti, prevede che, “all’inizio del periodo di osservazione ai fini dell’accertamento di morte (…), i medici (…) forniscono informazioni sulle opportunità terapeutiche per le persone in attesa di trapianto nonché sulla natura e sulle circostanze del prelievo al coniuge non separato o al convivente more uxorio”. E’ uno degli esempi del coinvolgimento di quest’ultimo nelle decisioni in ordine alla salute del partner: riguarda una materia impegnativa e complessa, e ben può orientare, per analogia, il comportamento dei responsabili degli ospedali e delle case di cura a proposito dell’assistenza al malato ivi ricoverato da parte del convivente. Premesso che oggi nessuna disposizione di legge impedisce al partner di fatto di fare visita e/o di assistere il compagno mentre è degente (non si ha notizia di Carabinieri che allontanino i conviventi dalle stanze di ospedale; è più frequente che cerchino i familiari che mancano!), la circostanza che il convivente diventa parte di decisioni di tale peso, come quelle relative ai trapianti, a fortiori lo legittima a qualsiasi forma di vicinanza al convivente durante il ricovero.
Per eliminare qualsiasi dubbio, l’articolo 2, sul presupposto di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1, stabilisce che ciascun convivente ha diritto di assistere l’altro in ospedali, case di cura o strutture sanitarie, nel rispetto delle disposizioni interne a tali strutture. Viene altresì individuato lo strumento della delega con la quale ciascun convivente può disporre che l’altro adotti le decisioni necessarie sulla salute in caso di malattia da cui derivi incapacità di intendere e di volere, e riceva dal personale sanitario le informazioni sulle opportunità terapeutiche. Ciò nei limiti delle norme vigenti: non è ammissibile alcuna delega, per es., per interventi eutanasici o per impedire un soccorso medico quando ci sono margini di successo. Oggetto della delega può essere anche la scelta in caso di morte sulla donazione di organi, sul trattamento del corpo e sulle celebrazioni funebri, se l’interessato non ha impartito disposizioni. La forma della delega è quella, semplice e garantita, di un atto scritto autenticato ovvero, nel caso di impossibilità, di comunicazione a un pubblico ufficiale che forma un processo verbale. La delega può essere ovviamente revocata, in tutto o in parte.
Restando sul fronte sanitario, l’articolo 3 trasforma in norma una deliberazione del Garante per la protezione dei dati personali del 17 settembre 2009 sulla disponibilità dei dati contenuti nella cartella clinica e nei documenti che a essa si collegano; sul presupposto che il paziente sia incapace di intendere e di volere o sia deceduto, si prevede che il convivente abbia accesso ai dati in questione.
L’articolo 4 del testo unico riprende l’articolo 4 della Legge 8 marzo 2000 n. 53, Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città, che riconosce il permesso retribuito di tre giorni lavorativi all’anno alla lavoratrice e al lavoratore in caso di documentata grave infermità del convivente ovvero di decesso, e prevede pure l’accordo col datore di lavoro per modalità differenti di svolgimento della prestazione in casi di documentata grave infermità del medesimo convivente.
L’articolo 5 richiama la disciplina sui consultori familiari, di cui alla legge 29 luglio 1975, n. 405, Istituzione dei consultori familiari, per ribadire che l’assistenza psicologica e sociale per la preparazione alla maternità ed alla paternità responsabile e per i problemi della coppia e della famiglia sono garantiti anche ai componenti di una convivenza.
La parte relativa al rapporto col convivente detenuto include la possibilità di colloqui e di corrispondenza telefonica, alle stesse condizioni stabilite per i familiari (articolo 6), e il rilascio di permessi in caso di imminente pericolo di vita e in altre ipotesi di particolare gravità (articolo 7): ciò sulla scorta di quanto stabilito dagli articoli 18 e 30 della legge 26 luglio 1975 n. 354, Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.

3.Rapporti con i figli. Questo capo del testo unico si apre, all’articolo 8, col riferimento all’articolo 315 del codice civile, che non pone distinzioni nello stato giuridico dei figli, qualunque sia la forma del rapporto fra i genitori, e quindi anche se essi siano conviventi e non uniti in matrimonio. L’articolo 9 tiene conto di un settore ordinariamente non considerato quando si parla di unioni di fatto, anche perché la gravosità dei doveri da espletare normalmente supera i diritti dei quali si può immaginare di godere. La legge 9 gennaio 2004, n. 6, Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all’istituzione dell’amministrazione di sostegno e modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizioni e di inabilitazione, nonché relative norme di attuazione, di coordinamento e finali, è intervenuta, a proposito della protezione delle persone prive di autonomia, su vari articoli del codice civile, realizzando una estensione dei soggetti interessati alla tutela o alla curatela. Fra essi, per il discorso che qui interessa, vanno ricordati: a) l’art. 408, in base al quale, al comma 1, il giudice tutelare, nella scelta dell’amministratore di sostegno, “preferisce, ove possibile, il coniuge che non sia separato legalmente, la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, il figlio o il fratello o la sorella, il parente entro il quarto grado (…)”; b) l’art. 410, comma 3, per il quale “l’amministratore di sostegno non è tenuto a continuare nello svolgimento dei suoi compiti oltre dieci anni, ad eccezione dei casi in cui tale incarico è rivestito dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dagli ascendenti o dai discendenti”; c) l’art. 411, comma 3: “sono in ogni caso valide le disposizioni testamentarie e le convenzioni in favore dell’amministratore di sostegno che sia parente entro il quarto grado del beneficiario, ovvero che sia coniuge o persona che sia stata chiamata alla funzione in quanto con lui stabilmente convivente”; d) l’art. 417, in materia di interdizione e inabilitazione, il quale prevede, al comma 1, che le relative istanze possono essere promosse anche “dalla persona stabilmente convivente”; e) l’art. 426 che, al comma 1, in merito alla “durata dell’ ufficio” di tutore o di curatore, dispone che “nessuno è tenuto a continuare nella tutela dell’interdetto o curatela dell’inabilitato oltre i 10 anni, ad eccezione del coniuge, della persona stabilmente convivente, degli ascendenti o dei discendenti”.
Gli articoli 10 e 11 trattano del rapporto fra convivenze e adozione. La legge 4 maggio 1983 n. 184, Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, valorizza la convivenza sotto due aspetti: in base all’articolo 6, comma 4, della stessa legge, l’avere i coniugi convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni integra il requisito della stabilità del rapporto ai fini della determinazione della idoneità della coppia; in base all’articolo 44, comma 3, l’adozione dei minori e’ consentita anche a chi non è coniugato in presenza di determinate condizioni: deve trattarsi di persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando  il minore sia orfano di padre e di madre, ovvero quando il minore si trova è portatore di disabilità e sia orfano di padre e di madre, ovvero quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.
Il capo della filiazione si completa, all’articolo 12, col richiamo alla legge 19 febbraio 2004 n. 40 Norme in materia di procreazione medicalmente assistita, che all’articolo 5 permette l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita anche a due maggiorenni di sesso diverso se sono fra loro conviventi.
 4.Contrasto degli abusi nell’ambito della convivenza. Questa voce non ha un peso marginale, pur non essendo ordinariamente considerata nelle varie proposte riguardanti le unioni di fatto. La legge 4 aprile 2001, n. 154, Misure contro la violenza nelle relazioni familiari, ha introdotto nel codice civile gli articoli 342 bis e ss., e ha esteso ai conviventi le forme di protezione contro gli abusi familiari. Ha così previsto il ricorso al giudice “quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’ integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente”. Ha aggiunto (articolo 342 ter) la possibilità di ottenere a vantaggio del convivente, vittima della condotta pregiudizievole, l’allontanamento dalla casa familiare del convivente che ha tenuto quella condotta; nell’ipotesi in cui la vittima sia sprovvista di adeguati mezzi propri, a ciò si aggiunge la fissazione di un assegno di mantenimento periodico, da porsi a carico del convivente allontanato. In tema di abusi familiari, la legge 28 marzo 2001 n. 149 Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori ha modificato diverse disposizioni del codice civile: fra esse gli articoli 330, comma 2, e 333, comma 2, che prevedono, a tutela del minore, l’allontanamento del genitore o del convivente che maltratta o abusa del minore medesimo. Tutto ciò è ripreso dagli articoli 13, 14 e 15 del presente testo unico.
 5.Tutela civilistica. Il capo 5 si apre con un’altra voce frequentemente evocata a sostegno di una legge sulle unioni civili: quella della successione nella locazione. È una questione che ha trovato soluzione da oltre un quarto di secolo, da quando – cioè – la Corte Costituzionale, con sentenza n. 404 del 7 aprile 1988 ha riconosciuto al convivente more uxorio il diritto di succedere nel contratto di locazione in caso di morte del compagno conduttore dell’immobile, ma anche quando costui si sia allontanato dall’abitazione per cessazione del rapporto di convivenza, in presenza di prole naturale. Lo ha fatto dichiarando costituzionalmente illegittimo l’articolo 6, comma 1 della legge 27 luglio 1978 n. 392 (la legge c.d. sull’equo canone), nella parte in cui non prevede tale possibilità di successione. Il riferimento per la determinazione della convivenza è il regolamento anagrafico prima ricordato. Per la Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. III, 25/05/1989, n. 2524) nell’ipotesi di allontanamento, per qualsiasi motivo, del conduttore dall’immobile locato, il diritto di succedere nel contratto per la convivente more uxorio che rimanga nell’immobile stesso con la prole nata dalla loro unione, persiste anche se la convivenza è sorta nel corso della locazione, e senza che il locatore ne abbia avuto conoscenza. Sempre per la Cassazione (Cass. civ., sez. III, 08/06/1994, n. 5544), in caso di morte del conduttore, il convivente succede nel contratto di locazione, a prescindere dalla situazione familiare del titolare del contratto di locazione e dalla presenza di eredi legittimi. L’articolo 16 del presente testo unico fa stato di tale giurisprudenza.
L’articolo 17 affronta la questione dell’assegnazione degli alloggi economici-popolari, la cui competenza è in capo alle Regioni e agli enti locali, ricordando che l’articolo 13 comma 2 del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008 n. 133, pone un criterio di priorità nell’ambito degli accordi raggiunti in sede di Conferenza unificata Stato-regioni ed enti locali aventi ad oggetto la semplificazione delle procedure di alienazione degli immobili di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari. Tali accordi devono tenere conto, fra gli altri, del diritto di opzione all’acquisto in favore dell’assegnatario unitamente al convivente, purché la convivenza duri da almeno cinque anni.
L’articolo 18 pone in relazione la convivenza con l’impresa familiare. L’introduzione dell’art. 230 bis nel codice civile ha eliminato il principio di gratuità in precedenza previsto, in virtù del vincolo affettivo, a proposito della remunerazione del familiare per la prestazione di lavoro resa nell’impresa familiare. Questa disposizione può essere utilizzata a favore del convivente: per la Corte di Cassazione (Cass. civ., Sez.lav., 13/12/1986, n.7486) “Al fine di stabilire se le prestazioni lavorative, svolte nell’ambito di una convivenza more uxorio, diano luogo ad un rapporto di lavoro subordinato oppure siano riconducibili ad una diversa relazione, dalla quale esuli il requisito della subordinazione, il giudice (…) può escludere l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato solo in presenza della dimostrazione rigorosa di una comunanza di vita e di interessi tra i conviventi (famiglia di fatto), che non si esaurisca in un rapporto meramente spirituale, affettivo e sessuale, ma, analogamente al rapporto coniugale, dia luogo anche alla partecipazione, effettiva ed equa, della convivente more uxorio alle risorse della famiglia di fatto”.
L’articolo 19 ricorda che anche il convivente ha diritto al risarcimento del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale in caso di morte dell’altro convivente provocata dal fatto ingiusto altrui, in base agli articoli 2043 e 2059 del codice civile. Ciò accade sulla base di una esegesi della Corte di Cassazione (cf. Cass. Civ., sez. III, 28 marzo 1994, n. 2988), che ha riconosciuto al convivente la risarcibilità del danno patrimoniale in caso di morte del partner provocata dal fatto ingiusto altrui. In particolare, “ritenuto che nell’ipotesi della c.d. famiglia di fatto (ossia di una relazione interpersonale, con carattere di tendenziale stabilità, di natura affettiva e parafamiliare, che si esplichi in una comunanza di vita e di interessi e nella reciproca assistenza materiale e morale) la morte del convivente provocata da fatto ingiusto altrui fa nascere nel “partner” il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. (per un “patema” analogo a quello che si ingenera nell’ambito della famiglia legittima) e del danno patrimoniale ex art. 2043 c.c. (per la perdita del contributo patrimoniale e personale apportato in vita, con carattere di stabilità, dal convivente defunto, irrilevante rimanendo, invece, la sopravvenuta mancanza di elargizioni meramente episodiche o di mera ed eventuale aspettativa), tanto l’art. 2043, quanto l’art. 2059 c.c. ricomprendono nell’ambito dell’obbligazione risarcitoria il danno risentito in modo immediato e diretto, sotto forma di deminutio patrimonii o di danno morale, da altri soggetti legati alla persona direttamente ed immediatamente lesa da rapporti di natura familiare o parafamiliare ed in quanto tali pregiudicati dall’altrui fatto ingiusto”. Ciò ha un riflesso anche sul piano processuale, se è vero che la stessa Cassazione (cf. Cass. Pen., sez. I, 4 febbraio 1994, De felice), ha ritenuto ammissibile la costituzione di parte civile del convivente della vittima del reato. La convivenza costituisce, infatti, secondo tale sentenza, esercizio di un diritto di libertà, attribuito direttamente dalla Costituzione, e, come tale, di carattere assoluto e tutelabile erga omnes, senza interferenze da parte dei terzi.
Agli effetti della legitimatio ad causam del soggetto che convive con la vittima del reato commesso dal terzo, viene in considerazione non il rapporto interno tra i conviventi di fatto, ma l’aggressione che tale rapporto ha subito a opera del terzo. La pronuncia della Cassazione precisa, tuttavia, che a rilevare non è qualunque convivenza, anche solo occasionale, bensì quella che abbia avuto un carattere di stabilità, tale da far ritenere ragionevolmente che essa sarebbe continuata nel tempo, ove non fosse intervenuta la condotta delittuosa. Sulla medesima linea, la Cassazione (Cass. Pen. sez. IV, 8 luglio 2002, n. 33305) aggiunge che “la lesione di qualsiasi forma di convivenza, purché dotata di un minimo di stabilità, tale da non farla definire episodica, ma idonea a ragionevole presupposto per un’attesa di apporto economico futuro e costante, costituisce legittima causa petendi di una domanda di risarcimento danni proposta di fronte al giudice penale chiamato a giudicare dell’illecito che tale lesione ha causato”. L’articolo 19 recepisce tali orientamenti.
Infine, sul punto della tutela civilistica, l’articolo 20 riprende l’articolo 5 comma 4 bis del decreto-legge 31 gennaio 2007 n. 7, convertito nella legge 2 aprile 2007 n. 40: è precluso all’impresa di assicurazione, in tutti i casi di stipulazione di un nuovo contratto relativo a un ulteriore veicolo della medesima tipologia, acquistato dalla persona fisica già titolare di polizza assicurativa o dal suo convivente, di assegnare al contratto una classe di merito più sfavorevole rispetto a quella risultante dall’ultimo attestato di rischio conseguito sul veicolo già assicurato.
 6.Tutela penalistica. Punto di partenza di questo capo, all’articolo 21,  è l’estensione alla situazione della convivenza dell’aggravante di cui all’articolo 61 n. 9 del codice penale, che riguarda chi abbia commesso il reato con abuso di autorità o di relazioni domestiche. L’articolo 22 riconosce al convivente la non punibilità di cui all’articolo 384 del codice penale: si tratta della norma che rende esenti da responsabilità penale condotte di favoreggiamento, falsa testimonianza, omessa denuncia, et similia, quando l’autore è stato costretto dalla necessità di evitare un grave danno a un prossimo congiunto; l’espressione “prossimo congiunto” viene intesa come comprendente coloro che compongono una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1. Il menzionato articolo 384 del codice penale recita testualmente: “Nei casi previsti dagli articoli 361, 362, 363, 364, 365, 366, 369, 371 bis, 372, 373, 374 e 378, non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare se medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà e nell’onore. Nei casi previsti dagli articoli 371 bis, 372 e 373, la punibilità è esclusa se il fatto è commesso da chi per legge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni ai fini delle indagini o assunto come testimonio, perito, consulente tecnico o interprete ovvero avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione”. La Corte Costituzionale, chiamata ad esprimersi sulla conformità alla Costituzione di tale ultima norma, ha dichiarato infondata la questione di legittimità, affermando che l’estensione delle cause di non punibilità implica un giudizio di ponderazione proprio del legislatore (Corte Cost., sent. n. 8 del 1996, e prima ancora nn. 352 del 1989 e 237 del 1986). Derogando alla natura meramente compilativa di questo testo unico, si ritiene opportuna l’estensione medesima.
 Considerazioni analoghe vanno svolte per la pluralità di norme del codice penale, nelle quali rilevano i rapporti familiari, e precisamente per gli articoli 540, Rapporto di parentela; 570, Violazione degli obblighi di assistenza familiare; 572, Maltrattamenti contro familiari e conviventi; 649, Non punibilità e querela della persona offesa, per fatti commessi a danno di congiunti. L’articolo 23, a proposito dell’articolo 540 del codice penale, include nell’espressione “rapporto di parentela” anche il legame di convivenza. L’articolo 24, a proposito dell’articolo 570 del codice penale aggiunge alla espressione “qualità di coniuge” la seguente: “o di componente di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1”. L’articolo 25 precisa, quanto all’articolo 572 del codice penale, che il reato di maltrattamenti in famiglia o verso i congiunti sussiste anche nei riguardi di una persona che compone una convivenza. Infine, l’articolo 26 estende la non punibilità per i reati commessi in ambito familiare all’ipotesi in cui responsabile e parte offesa siano un convivente in danno dell’altro convivente (articolo 649 del codice penale).
  7.Tutela processualpenalistica. Questo capo affronta anzitutto la questione del disagio e del conflitto interiore che agita i prossimi congiunti dell’imputato chiamati a testimoniare; e pertanto all’articolo 27 include il convivente nella categoria prevista dall’articolo 199 comma 1 del codice procedura penale, mentre già adesso l’art. 199 comma 3 del codice procedura penale riconosce al testimone la facoltà di astenersi dalla testimonianza limitatamente ai fatti verificatisi o appresi dall’imputato durante la convivenza se, pur non essendo coniuge dell’imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso.  L’articolo 28 affronta, con riferimento ai conviventi, le conseguenze e i casi di applicazione del provvedimento col quale il giudice penale dispone l’allontanamento dalla casa comune, mentre l’articolo 29 ricorda la legittimazione del convivente alla presentazione di una domanda di grazia in favore dell’altro convivente. Infine, l’articolo 30 riprende la più recente disciplina in tema di indagini patrimoniali antimafia per sottolineare come l’attività economica tale da far individuare le fonti di reddito è anche quelle di chi nell’ultimo quinquennio ha convissuto con i soggetti destinatari delle misure di prevenzione.
 8.Vittime di reati. L’ultimo capo riguarda l’estensione la legislazione per le vittime di mafia o terrorismo. La legge 20 ottobre 1990, n. 302, Norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, ha esteso anche al convivente more uxorio il diritto di richiedere le provvidenze accordate per le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata. All’articolo 4, dopo aver fissato l’entità del beneficio (comma 1), precisa (comma 2) che “L’elargizione di cui al comma 1 è corrisposta altresì a soggetti non parenti né affini, né legati da rapporto di coniugio, che risultino conviventi a carico della persona deceduta negli ultimi tre anni precedenti l’evento ed ai conviventi more uxorio; detti soggetti sono all’uopo posti, nell’ordine stabilito dal citato articolo 6 della legge 13 agosto 1980, n. 466, dopo i fratelli e le sorelle conviventi a carico”. A tale norma fa riferimento l’articolo 31 del presente testo unico.
Una disposizione analoga si trova nella legge 23 febbraio 1999, n. 44, Disposizioni concernenti il fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura, che all’art. 8 ha inserito nell’ambito dei soggetti aventi diritto alle elargizioni previste per le vittime di richieste estorsive e dell’usura i conviventi: “Se, in conseguenza dei delitti previsti dagli articoli 3, 6 e 7, i soggetti ivi indicati perdono la vita, l’elargizione è concessa, nell’ordine, ai soggetti di seguito elencati a condizione che la utilizzino in un’attività economica, ovvero in una libera arte o professione, anche al di fuori del territorio di residenza: a) coniuge e figli; b) genitori; c) fratelli e sorelle; d) convivente more uxorio e soggetti, diversi da quelli indicati nelle lettere a), b) e c), conviventi nei tre anni precedenti l’evento a carico della persona”. L’adattamento di tale disposizione si trova all’articolo 32 del presente testo unico.
La legge 13 febbraio 2001, n. 45, che innova il decreto legge 15 gennaio 1991, n. 8, Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la loro protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia, prevede che siano utilizzate le medesime misure di protezione dei collaboratori e dei testimoni di giustizia sia nei confronti del coniuge che del convivente. Così recita l’art. 9, comma 5: “Le speciali misure di protezione di cui al comma 4 possono essere applicate anche a coloro che convivono stabilmente con le persone indicate nel comma 2 nonché, in presenza di specifiche situazioni, anche a coloro che risultino esposti a grave, attuale e concreto pericolo a causa delle relazioni intrattenute con le medesime persone. Il solo rapporto di parentela, affinità o coniugio, non determina, in difetto di stabile coabitazione, l’applicazione delle misure”. È ripreso nell’articolo 33.