martedì 30 giugno 2015

La Francia abbandona il progetto gender. Hanno vinto le famiglie, di Mauro Zanon, 20 Giugno 2014, http://www.ilfoglio.it/


Parigi. Dovranno farsene una ragione le fanciulle di Osez le féminisme! e del Collectif éducation contre les LGBTphobies, che giovedì dalle pagine del Monde hanno chiesto al ministro dell’Educazione nazionale, Benoît Hamon, di ufficializzare quanto prima la generalizzazione del movimento “Abcd de l’égalité”. Perché il programma scolastico pro gender – promosso dall’ex ministro Vincent Peillon e dall’attuale ministro per i diritti delle Donne, Najat Vallaud-Belkacem, con il pretesto di decostruire gli stereotipi sessuali e di lottare contre le disuguaglianze tra maschi e femmine – non andrà oltre lo stadio della sperimentazione (attualmente sono 275 le scuole coinvolte). Stando a quanto riportato giovedì dal settimanale Express, a conferma delle indiscrezioni diramate dal Figaro qualche settimana fa, Hamon avrebbe deciso di ritirare il programma, sfiancato dalle crescenti proteste dei movimenti di boicottaggio e alla luce dei problemi economici attuativi emersi dal pre-rapporto ministeriale che doveva valutare lo stato della sperimentazione, mettendo così una pietra tombale sull’ipotesi di estenderlo a tutti gli istituti scolastici in vista della prossima rentrée. La decisione, che sempre secondo l’Express avrebbe trovato d’accordo la stessa Belkacem, sarebbe già stata presa il 27 maggio, in seguito a un faccia a faccia a Matignon tra il ministro dell’Educazione nazionale e il premier Valls. Ieri l’entourage di Hamon ha fatto sapere che il ministro si pronuncerà definitivamente a riguardo nei primi giorni di luglio, ma tutto fa pensare che non ci sarà nessuna marcia indietro last minute. Manca solo l’ufficialità dell’ennesimo cambio di rotta del governo, dopo il rinvio sine die della loi famille e il fallimento della legge sul mariage pour tous, certificato dal numero irrisorio di matrimoni omosessuali celebrati fino a oggi.

Hanno vinto le famiglie, che da gennaio rispondono compatte all’appello di boicottaggio pacifico lanciato da Farida Belghoul e dal suo movimento antigender Giornate di ritiro dalla scuola (Jre). Da quel 24 gennaio, prima giornata di boicotaggio dell’“Abcd de l’égalité”, le adesioni all’iniziativa della Belghoul non hanno mai smesso di crescere, nonostante i reiterati tentativi di ostruzionismo da parte dell’esecutivo. Indifferente alle critiche piovute dai giornali della gauche, Farida, la storica leader del “movimento beur”, ha continuato a marciare e a lottare, con la stessa determinazione di quando, negli anni Ottanta, sbertucciava a Place de la République gli antirazzisti del Ps e di Sos Racisme. E a nemmeno sei mesi dal lancio dell’iniziativa ha già costretto il governo a fare marcia indietro sul suo progetto di rifondazione della scuola. “Sono felice, è sicuramente una vittoria importante, ma non definitiva. La mobilitazione resta necessaria”, dice al Foglio Farida Belghoul. “‘L’Abcd de l’égalité’ è solo il primo tentativo del governo d’introdurre l’ideologia del gender a scuola. Ne seguiranno altri e saranno ancora più insidiosi e surrettizi”. “L’impatto del movimento è marginale”, diceva un certo Vincent Peillon, prima di ricevere il benservito da Hollande, e la penetrazione della teoria del genere nelle scuole è solo “un folle rumor, inventato e alimentato dai reazionari”. A questo proposito, l’ex ministro farebbe bene a rinfrescarsi le idee, dando un’occhiata a un video pubblicato mercoledì sul sito dell’associazione politica Egalité et réconciliation, dove le relatrici del programma di cui è stato il promotore spiegano quali sono, o meglio quali erano, gli obiettivi concordati. Di seguito una breve selezione delle frasi pronunciate dalle relatrici: “La riproduzione degli stereotipi educativi è una cospirazione della società”, “bisogna evitare che la socializzazione differenziale penetri nelle scuole”, “il lavoro di decostruzione deve iniziare dalla tenera età”, “gli stereotipi sono evidenti fin dalla materna: i bambini indossano i pantaloni, le bambine le gonne”. Vedere per credere.

domenica 28 giugno 2015

Nozze gay, primo sì. Negli Usa vince la tecnocrazia di Massimo Introvigne, 27-06-2015,http://www.lanuovabq.it/


Corte Suprema Usa

Con la maggioranza di un solo giudice – cinque contro quattro – il 26 giugno la Corte Suprema di Washington ha dichiarato che tutti gli Stati degli Stati Uniti sono obbligati a introdurre il «matrimonio» omosessuale. I giuristi americani analizzeranno nei promossi giorni la sentenza e le possibilità di resistenza di qualche Stato, che sembrano limitatissime. Ma fin da ora si possono formulare cinque commenti di carattere generale.

Primo. Non era mai capitato nella storia degli Stati Uniti che un presidente scendesse in campo per «consigliare» energicamente ai giudici della Corte Suprema come votare. L’indipendenza delle supreme toghe di Washington è sacra. Il presidente Obama lo ha fatto, esprimendo apertamente le sue preferenze in modo perfino tracotante, così come Hillary Clinton, che si sente già l’erede designata per le prossime elezioni. Questo dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, che le lobby LGBT sono così potenti da far svanire come neve al sole qualunque principio e anche qualunque forma di correttezza istituzionale. Tanto i grandi media sono tutti dalla parte del «matrimonio» gay: e nessuno ha criticato il presidente.

Secondo. Si legge che cinque giudici hanno cambiato la nozione costituzionale del matrimonio e della famiglia negli Stati Uniti. Per la verità è stato uno solo. Tutti sapevano che quattro giudici progressisti erano a favore del «matrimonio» omosessuale e quattro giudici conservatori contrari. E che tutto dipendeva da un singolo giudice, Anthony Kennedy, un ottantenne – compirà gli ottanta l’anno prossimo – bizzoso e imprevedibile, che ha votato con i progressisti. Un uomo solo ha rovesciato la storia e la Costituzione di un’intera grande nazione. Si tratta di un libero pensatore, di un laicista arrabbiato? Al contrario: Kennedy è un cattolico che si vanta di essere stato un chierichetto modello e che fu nominato giudice della Corte Suprema dal presidente Ronald Reagan, che ne apprezzava le idee conservatrici. In materia di aborto e di droga ha votato con i conservatori. Ma con gli anni è diventato sempre più imprevedibile, e su questioni che riguardano gli omosessuali si è sempre schierato con i progressisti. Per la prima volta nella sua storia, la Corte Suprema aveva una maggioranza di cinque cattolici su nove. A loro onore, quattro giudici cattolici su cinque hanno votato contro il «matrimonio» omosessuale. Il quinto era Kennedy.

Chi ha seguito le vicende americane sa che non si può imputare nulla in questa materia ai vescovi cattolici. Si sono sempre pronunciati in modo chiarissimo. E, dopo il passaggio da Papa Benedetto XVI a Papa Francesco, hanno interpretato il messaggio del nuovo Pontefice sull’autonomia dei singoli episcopati intensificando la loro opposizione e passando dai documenti all’intervento diretto nelle aule giudiziarie, insieme ad altre comunità religiose, partecipando a una causa promossa dagli Stati dello Utah e dell’Oklahoma, particolarmente ostili al «matrimonio» omosessuale. Tutto bene, dunque, per i vescovi di oggi. Ci si può chiedere però se un uomo come Kennedy non risenta del clima che predominava nel mondo cattolico degli Stati Uniti negli anni della sua maturazione come giurista e come intellettuale, improntato a un ampio «lassez faire» in campo morale. Peraltro, non si può neppure speculare troppo su quella che, alla fine, è stata la scelta personale di un singolo giudice. Gli auguriamo lunga vita – si ritirasse ora, Obama nominerebbe un giudice peggiore – ma, considerata l’anagrafe, presto risponderà delle sue scelte di fronte a tutt’altro tribunale.

Terzo. È comune nel diritto americano che le decisioni della Corte Suprema siano combattute e che cinque giudici votino contro altri quattro. Chi vota contro la maggioranza motiva la sua decisione con una «dissenting opinion» scritta, che è resa pubblica. Di solito, però, le opinioni contrarie sono redatte con grande cortesia. I giudici della Corte Suprema passano gran parte del loro tempo insieme. Alcuni vivono negli appartamenti della Corte, sono vicini e colleghi in alcuni casi da trent’anni. Questa volta i dissidenti hanno scritto parole di fuoco, aprendo una lacerazione nella Corte e nel Paese che impiegherà anni a rimarginarsi. In un’opinione firmata da tutti e quattro gli oppositori, con alla testa il presidente della Corte Suprema, anche lui cattolico, John Roberts, hanno scritto che «si è trattato di un atto di imperio, non di una sentenza fondata sul diritto». Se siete a favore, si legge nel documento, «celebrate la sentenza di oggi. Ma per favore non celebrate la Costituzione, non ha niente a che fare con essa».

Ancora più dure le parole dei singoli giudici, che hanno redatto anche opinioni di dissenso individuali. Il giudice Samuel Alito ha scritto che «la decisione di oggi usurpa il diritto costituzionale del popolo di decidere se mantenere e modificare la nozione tradizionale del matrimonio. Tutti gli americani, comunque la pensino sul punto, dovrebbero preoccuparsi delle implicazioni della sentenza e del potere straordinario che conferisce a una maggioranza dei membri della Corte». Il giudice Anthony Scalia ha scritto che la sentenza minaccia la democrazia, sovverte la Costituzione, maltratta il diritto in un modo tale che se l’avesse firmata, scrive, «dovrei nascondere la mia testa in un sacco» e che, più che sul «ragionamento legale», sembra fondarsi su sciocchezze romantiche «del tipo che si leggono nei bigliettini nascosti nei dolci della fortuna cinesi».

Al di là del sarcasmo amaro di Scalia, i giudici hanno, per la seconda volta nella storia degli Stati Uniti, cambiato la Costituzione in modo radicale. Lo fecero una prima volta nel 1973 con la sentenza «Roe versus Wade» in cui, introducendo l’aborto, modificarono la nozione costituzionale di diritto alla vita, escludendo i bambini non nati. Nessun Parlamento americano ha mai votato una legge sull’aborto. L’hanno introdotta i giudici, che ora modificano anche le nozioni costituzionali di matrimonio e famiglia. E tutto questo dopo che, in trenta Stati su trentadue dove si erano celebrati referendum, gli elettori americani avevano detto «no» al matrimonio omosessuale. Le schede di quei referendum sono ora carta straccia.

Benedetto XVI lo aveva scritto con molta chiarezza nella «Caritas in veritate»: non c’è solo la tecnocrazia degli scienziati. Quando i giudici si affermano detentori di un sapere superiore, in nome del quale «correggono» le decisioni sbagliate di elettori giudicati retrogradi e ignoranti, la democrazia è sostituita dalla tecnocrazia. Anche chi non apprezza altri passaggi dell’enciclica «Laudato si’» di Papa Francesco dovrebbe ringraziare il Pontefice per avere ripreso e rilanciato la dottrina di Benedetto XVI sulla tecnocrazia. Francesco si rende conto che solo nel quadro di questa dottrina è possibile dare un solito fondamento magisteriale alla sua critica delle «colonizzazioni ideologiche» del gender, che altrimenti qualcuno in Europa potrebbe ridurre a esternazioni estemporanee tipiche di una certa mentalità sudamericana. Anzi, l’enciclica «Laudato si’» fonda in modo teologico la critica della tecnocrazia nel pensiero di Romano Guardini, maestro sia di Benedetto XVI sia di Papa Francesco.

Quarto. Nel giorno della decisione della Corte Suprema, Papa Francesco ha ricevuto la Conferenza Internazionale Cattolica delle Guide, cui ha detto che «siamo in un mondo in cui si diffondono le ideologie più contrarie al disegno di Dio sulla famiglia e sul matrimonio». Non solo ideologie contrarie ma «le ideologie più contrarie». Le più contrarie nella storia: parole che fanno eco, anche qui, a quelle di Benedetto XVI quando definì la teoria del gender la maggiore sfida per la Chiesa e per la società. Sullo sfondo si sentono rumori molto sospetti. Con una «excusatio non petita» i consiglieri del presidente Obama assicurano che la libertà religiosa non è in pericolo e che le Chiese e comunità religiose non saranno costrette dai giudici a «sposare» persone dello stesso sesso. Lo precisano, perché sanno bene che gli attivisti LGBT, con poca prudenza ma con il pregio della chiarezza, annunciano già che questa è la prossima battaglia: obbligare le Chiese a celebrare «matrimoni» gay.

Nel mese di aprile è morto il cardinale Francis George, che fu arcivescovo di Chicago e presidente della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti. Ha detto che moriva nel suo letto, ma che il suo successore sarebbe morto in prigione e il suo ulteriore successore su un patibolo. Forse aboliranno la pena di morte, ma la prigione per chi si rifiuta di celebrare matrimoni gay è già stata minacciata ieri dalle voci più estreme, o forse solo più sincere, della lobby LGBT.

Quinto. Come in Irlanda, anche negli Stati Uniti la battaglia non è stata persa in un giorno e non c’entra solo il giudice Kennedy. Si è cominciato a perderla quando, Stato dopo Stato, ben prima del «matrimonio» sono state riconosciute forme di unione civile che assomigliavano tanto al regime matrimoniale. Poi sono state ammesse anche le adozioni. «Purché non si chiamino matrimonio»: così qualche «moderato» giustificava la sua non opposizione. Ma, una volta introdotta una forma identica al matrimonio, la strada è tracciata e la sorte è segnata. Un proverbio americano dice che se un animale cammina come un’anatra e starnazza come un’anatra tanto vale chiamarlo anatra.

Questa, alla fine, è la lezione per l’Italia. Sentiamo strane voci per cui alcuni parlamentari «cattolici», forse benedetti da qualche ecclesiastico, voterebbero la legge Cirinnà purché con una clausola che precisi in modo solenne che non si tratta di matrimonio ma solo del riconoscimento di una «formazione sociale» diversa. Anche il caso americano dimostra che i nomi contano poco. Posso scrivere sulla bottiglia «champagne» ma se dentro c’è della gazzosa non si trasforma miracolosamente in Dom Perignon. Con qualunque clausola cosmetica a uso degli ingenui, la legge Cirinnà è un’anatra che cammina come il matrimonio e dà i diritti del matrimonio, adozioni comprese. Dopo un po’ la chiameranno anatra, cioè matrimonio. Ma non subito. Prima, perché l’anatra spicchi il volo, chiederanno a qualcuno di fare la figura del pollo.

Usa, la libertà di religione è ora in pericolo, di Massimo Introvigne, 28-06-2015, www.lanuovabq.it


Protesta cattolica di fronte alla Corte SupremaIl giorno dopo la sentenza della Corte Suprema che ha imposto a tutti gli Stati degli Stati Uniti d’introdurre nelle loro leggi il «matrimonio» omosessuale, l’America s’interroga: «è in pericolo la libertà religiosa? Si potrà ancora parlare male delle “nozze” tra omosessuali senza essere arrestati i base alle leggi sull’omofobia? Preti e pastori saranno costretti a “sposare” persone dello stesso sesso?». La sentenza fa seguito a una del tutto analoga della Corte Suprema messicana dello scorso 19 giugno, contro cui hanno protestato con una durissima lettera i vescovi cattolici del Messico, i cui argomenti sono così simili a quelli della decisione di Washington da fare fortemente sospettare che i due tribunali siano ispirati dalle stesse fonti e lobby

Ora dopo ora emerge come il quesito sia molto serio. Il giudice Kennedy, il magistrato cattolico che con il suo voto ha fatto pendere l’ago della bilancia – cinque giudici hanno votato a favore, quattro (tutti a loro volta cattolici) contro – dalla parte del “matrimonio” omosessuale, se n’è subito preoccupato. Scrive infatti nella sentenza che «le religioni, e coloro che aderiscono con sincera convinzione a dottrine religiose, potranno continuare a sostenere che per precetto divino il matrimonio fra persone dello stesso sesso non può essere ammesso».

Questa frase, che ha tutta la forza di una sentenza della Corte Suprema, ha già cominciato a essere oggetto di studio da parte dei giuristi, tanto più che molti Stati americani hanno leggi sull’omofobia. La sentenza, dunque, afferma che tesi contrarie al «matrimonio» omosessuale potranno continuare a essere sostenute dalle «religioni» e da «coloro che aderiscono con sincera convinzione a dottrine religiose». E la tesi che si potrà sostenere senza andare in prigione è che il «matrimonio» gay non può essere ammesso «per precetto divino». Queste affermazioni vanno lette con attenzione. La Costituzione americana prevede una fortissima protezione della libertà religiosa, non facile da erodere neppure da parte della Corte Suprema. Ma questa protezione tutela, appunto, le religioni. E le tutela quando si comportano da religioni. Se dunque un non credente volesse sostenere che il «matrimonio» omosessuale è inammissibile sulla base di argomenti puramente laici, rischierebbe di cadere sotto le leggi sull’omofobia. Ma anche se un prete, un pastore, un laico cristiano invocassero argomenti di buon senso e di bene comune anziché i «precetti divini» non starebbero esercitando la libertà religiosa, e dunque cadrebbero fuori dall’eccezione.

Nella sua opinione in dissenso che accompagna la sentenza contro la quale ha votato, non un neo-laureato in legge ma il presidente della Corte Suprema degli Stati Uniti, il giudice John Roberts, svela il trucco. Insiste sul fatto che mentre la Costituzione tutela due cose, la libera espressione e il «libero esercizio» della religione, qui con un gioco di prestigio il «libero esercizio» sparisce. «Bontà sua – scrive Roberts – la maggioranza dei miei colleghi afferma che le persone religiose potranno continuare a “pensare” e “insegnare” la loro dottrina sul matrimonio. Però il Primo Emendamento della Costituzione Americana prevede il loro libero “esercizio” della religione. In un modo che non lascia bene sperare per il futuro, la maggioranza si astiene scrupolosamente dall’usare questa parola».

Detto in altre parole, preti e pastori potranno predicare dal pulpito che il «matrimonio» omosessuale è sbagliato, facendo molta attenzione a usare come argomento i «precetti divini» e non argomentazioni naturali, perché altrimenti cadrebbero fuori dal discorso strettamente religioso e dentro le leggi sull’omofobia. Ma potranno rifiutarsi di «sposare» due persone dello stesso sesso? O di accoglierli come padrini o madrine di battesimo? Nulla è meno certo, e in America non c’è un Concordato che regoli i rapporti fra Stato e Chiesa.

Il nostro giornale ha già dato conto della causa pendente a Coeur d’Alene, nell’Idaho, la capitale americana dei matrimoni, dove il sindaco cerca di obbligare i pastori di una comunità pentecostale a celebrare «matrimoni» omosessuali perché la loro chiesa sul lago è un luogo ideale per le fotografie ed escludere i gay dalle nozze nuoce al turismo. Prima di arrivare a questo, come succede già in Canada – il caso della Trinity Western University, di cui pure abbiamo parlato su queste colonne, insegna –, si cercherà di ritirare il riconoscimento legale e le esenzioni fiscali alle università dove s’insegnano tesi ostili al «matrimonio» omosessuale o dove gli studenti dello stesso sesso, ancorché «sposati», non possono dormire nella stessa stanza. 

Anche qui non si tratta di speculazioni, ma di parole del presidente della Corte Suprema Roberts, il quale paventa che dopo la sentenza del 26 giugno le università cristiane statunitensi non potranno più adottare regole di comportamento che implichino un giudizio negativo sull’omosessualità e le agenzie di adozione, molte delle quali cattoliche, non potranno rifiutarsi di consegnare bambini alle coppie omosessuali. Dal canto loro, nelle opinioni in dissenso il giudice Scalia ha scritto che «la sentenza minaccia la libertà religiosa che la nostra nazione ha cercato tanto a lungo di proteggere» e il giudice Thomas che ci sono «conseguenze potenzialmente rovinose per la libertà religiosa».

Thomas prevede che si partirà dal ritirare i benefici fiscali a istituzioni religiose che rifiutano il «matrimonio» omosessuale – l’avvocato generale dello Stato, su incarico del presidente Obama, ha già annunciato che procederà in questo senso – e che presto i giudici passeranno a occuparsi delle «chiese che rifiutano di accettare e di celebrare matrimoni omosessuali». «La maggioranza dei miei colleghi – scrive Thomas – non sembra turbata da questa conseguenza inevitabile. Fa solo un debole gesto verso la libertà religiosa in un singolo paragrafo. E anche quel gesto indica un equivoco su che cos’è la libertà religiosa nella nostra tradizione nazionale. La libertà religiosa è più della protezione della possibilità per le organizzazioni e persone religiose di “parlare e insegnare” (…) È libertà di “agire” nelle materie che in modo molto generale hanno a che fare con la religione». Per questo, conclude Thomas, la materia del «matrimonio» omosessuale avrebbe dovuto essere lasciata ai parlamenti federale e statali, dove almeno i parlamentari avrebbero potuto inserire clausole di salvaguardia specifica per la libertà religiosa.

Ma questo non è avvenuto. I giudici americani hanno già deciso che i fotografi sono obbligati a fotografare un «matrimonio» omosessuale, i pasticceri a preparare torte per «John e Jim sposi», e che una fioraia non può rifiutarsi di preparare una composizione con un festone che inneggia alle «nozze» tra due lesbiche. I giudici dissidenti della Corte Suprema – che non sono «fondamentalisti» allarmisti ma alcune delle menti giuridiche più note degli Stati Uniti – sembrano non avere torto quando concludono che il prossimo passo sarà obbligare anche università cristiane, agenzie di adozione, preti e pastori a obbedire alla nuova dittatura dell’omosessualismo. O a finire in prigione. Altro che diritti riconosciuti agli omosessuali che non minacciano né fanno del male a nessun altro!

giovedì 25 giugno 2015

Gender & neuroscienze - http://www.avvenire.it/ - 25.6.2015

​Le polemiche sul “gender”, che vede schierati da un lato quanti sostengono che le differenze tra i due sessi dipendono dalla natura e, dall’altro, chi sostiene che le differenze tra i due sessi sono fondamentalmente dipendenti da fattori culturali, sono spesso viziate da salti logici o verità incomplete.



Per fare chiarezza, cominciamo dalle ovvie diversità di natura biologica che fanno parte del cosiddetto dimorfismo sessuale. Le caratteristiche dei due sessi dipendono da fattori genetici e cromosomici e non interessano soltanto gli organi genitali ma anche la struttura del corpo e del cervello. Per quanto riguarda il sistema nervoso esiste un dimorfismo (diversità tra i sessi) che riguarda sia le strutture, sia alcuni aspetti delle funzioni cerebrali. Vi sono caratteristiche delle emozioni, dei comportamenti aggressivi, delle capacità spaziali eccetera che sono diverse nei due sessi sia in quanto esistono differenze a livello cerebrale, sia in quanto gli ormoni, maschili e femminili, agiscono sul nostro comportamento. 


È ben noto che gli androgeni, (gli ormoni sessuali maschili) potenziano l’aggressività e fanno sì che, in genere, i ragazzi siano più violenti delle ragazze. Queste differenze non sono omogenee, come ogni aspetto della biologia: esistono forti differenze individuali che possono essere potenziate o indebolite dalla cultura ma è semplicistico negare che esse siano inizialmente un fatto biologico. 


Così come esistono differenze cerebrali e comportamentali tra i due sessi ve ne sono tra i cervelli degli eterosessuali, degli omosessuali e dei transgender? Le impostazioni delle ricerche in questo campo sono spesso viziate dall’atteggiamento dei ricercatori o dalla loro appartenenza a uno schieramento piuttosto che a un altro. Ad esempio, una delle ricerche che aveva avuto maggiore penetrazione mediatica era stata svolta da un ricercatore dichiaratemene gay e fautore della naturalità dei comportamenti omosessuali su cervelli di persone morte per Aids e quindi probabilmente modificati da questa malattia.


In seguito, gran parte delle ricerche sono state concentrate sull’ipotalamo, un nucleo nervoso che regola, tra l’altro, la produzione di ormoni e che, negli animali, è soggetto a nette differenze tra maschi e femmine. Negli esseri umani l’area preottica dell’ipotalamo contiene un nucleo – INAH-3 – che è più grande negli uomini che nelle donne ed è anche più grande negli uomini eterosessuali che negli uomini omosessuali. Tuttavia non è detto che queste differenze siano necessariamente primarie, potrebbero anche dipendere da esperienze e fattori ambientali. Gli psicobiologi sanno infatti che l’esperienza precoce può alterare la struttura del cervello e avere un’influenza sul comportamento successivo. Insomma, è possibile che le esperienze sociali influiscano sullo sviluppo dell’INAH-3 per determinare più tardi l’orientamento sessuale.


Al momento, è azzardato, anche a mio parere, attribuire l’omosessualità a fattori biologici, anche se molto spesso può manifestarsi molto precocemente. Per compiutezza, vale la pena di notare che questa precocità è al centro di ipotesi sulle cause dell’orientamento omosessuale: una delle più accreditate è l’ipotesi immunologica secondo cui vi sarebbe una reazione della madre nei confronti di antigeni presenti nei feti di sesso maschile. Secondo questa ipotesi la memoria immunologica accentuerebbe la reazione dopo ogni gravidanza maschile, riducendo il processo di mascolinizzazione cerebrale nel feto durante la fase critica dello sviluppo. Di conseguenza, l’ipotesi prevede che gli omossessuali possiedano un numero di fratelli maschi maggiori superiori alla media degli eterosessuali.


Per quanto riguarda i transessuali (le persone che si sentono a disagio nel proprio corpo e nel proprio genere biologico) i risultati di diversi studi sono più a favore di fattori biologici che culturali. Il particolare, nei trans maschi (che si sentono femmine) esiste una dissociazione tra il differenziamento dei genitali e quello cerebrale: i caratteri sessuali e corporei sono di tipo prevalentemente maschile, quelli cerebrali sono ambigui o di tipo femminile. Nei trans, le differenze che esistono tra i cervelli di tipo maschile e quelli di tipo femminile non sono infatti evidenti in un nucleo nervoso implicato nella sessualità, l’ipotalamo, che è di tipo femminile anziché maschile. Questa viene considerata come una prova neurobiologica dell’alterazione di genere. Inoltre, il DNA dei transessuali presenta variazioni genetiche che rendono meno forti i segnali esercitati sul cervello dagli ormoni maschili.


In conclusione, le diversità tra i due sessi esistono anche a livello cerebrale e comportano differenze comportamentali e della personalità che non sono dettate soltanto dal modo in cui siamo allevati. Ciò non implica che le differenze di genere siano incompatibili con la parità tra i due sessi: la parità è un fatto essenzialmente culturale, anche se nel passato le differenze sessuali sono state all’origine di disuguaglianze e lo sono tuttora in molte culture. Ma imboccare la strada secondo cui la parità sarebbe negata dal riconoscere che esistono differenze biologiche, come sostengono numerosi fautori delle teorie del “gender”, è un corto circuito che va evitato. Educare alla parità non implica necessariamente negare le differenze.
*Professore emerito di Psicobiologia alla Sapienza di Roma,
e presidente della Società italiana di neuroetica

Austria e Family day, due eventi inaspettati e ricchi di speranza, Giugno 24, 2015, Giancarlo Cerrelli, http://www.tempi.it/

L’Assemblea nazionale vota contro l’approvazione del «diritto umano di matrimonio egualitario». A Roma un popolo costituito da famiglie manda un segnale alla politica

In questi ultimi giorni si sono verificati due eventi significativi e inaspettati, che sono un segno di speranza che potrebbe cambiare il corso delle cose.
Il primo è un evento che è passato completamente sotto silenzio.
In Austria, il 18 giugno, l’Assemblea nazionale, che è l’organo legislativo della Repubblica austriaca, ha votato contro una proposta legislativa che intendeva concedere alle coppie gay e lesbiche «il diritto umano di matrimonio egualitario». Su 136 votanti, solo 26 hanno votato a favore, il resto dei rappresentanti, cioè 110, ha votato contro.
L’organo legislativo austriaco ha rigettato la proposta di delibera, con il voto contrario anche dei socialdemocratici, che erano stati, tra l’altro, i promotori dell’iniziativa legislativa.
È importante rilevare che la decisione dell’Assemblea nazionale austriaca è avvenuta proprio qualche mese dopo il rapporto del Parlamento Europeo in seduta plenaria del 12 marzo 2015, che incoraggiava le istituzioni Ue e gli Stati membri – pur non potendoli vincolare – «a contribuire ulteriormente alla riflessione sul riconoscimento dei matrimoni omosessuali e delle unioni dello stesso sesso come questione politica, sociale e di diritti umani e civili».
È significativo che l’organo legislativo austriaco nonostante l’incoraggiamento del Parlamento Europeo abbia ritenuto di non approvare i matrimoni egualitari e ciò che meraviglia di più è che questo esito sia avvenuto con una schiacciante maggioranza trasversale. L’Austria, peraltro, non può certamente essere considerato un Paese “omofobo”. La legislazione austriaca, infatti, dal 2010 riconosce ai partner omosessuali il diritto di costituire una partnership registrata; conseguenza di tale riconoscimento, tra l’altro, è stata la decisione della Corte Costituzionale, dell’11 dicembre 2014, che ha rimosso definitivamente il divieto di adozione per i partner omosessuali facenti parte di una partnership registrata. Nonostante tali aperture, però, l’organo legislativo austriaco ha deciso di non andare oltre; come mai? Come mai l’esito della votazione è stato così chiaro e insindacabile?

 Quello che proviene dall’Austria è un forte segnale che dovrà far riflettere quei ben pensanti nostrani che sul piano dei diritti civili soffrono di un atavico complesso d’inferiorità con il resto dei Paesi europei, che ritengono più civili, solo perché il loro ordinamento riconosce dei diritti che sono in realtà degli autentici anti-diritti.
Quest’evento, tuttavia, dovrà essere motivo di riflessione, soprattutto per i nostri parlamentari, affinché guardino al vero bene dell’Italia, che non equivale certamente a trasformare desideri velleitari di pochi in presunti diritti.
L’altro evento avvenuto in questi giorni è stato il grande successo della manifestazione del 20 giugno a Roma, in piazza San Giovanni, che ha sorpreso più di qualcuno, tanto da indurlo a sostenere che il raduno di sabato scorso apre uno scenario inaspettato.
Chi ha mostrato sorpresa per tale evento è soltanto perché ignora che esiste un’Italia profonda, fatta di famiglie, che con i sacrifici di ogni giorno mandano avanti il Paese reale, che è radicalmente diverso da quello artificiale descritto dai mezzi di comunicazione e dalle speculazioni dei maître à penser.
Da oggi, si dovrà tenere conto di un popolo che vive di vita propria e non desidera sottostare al diktat del pensiero unico e del politically correct.
Tale popolo ha mostrato una reazione significativa all’omologazione totalitaria che la “dittatura del pensiero unico” sta perseguendo in modo sempre più aggressivo e capillare in ogni ambito della società.
Forti e potenti lobby culturali, politiche e finanziarie favoriscono, da tempo, una cultura che vuole propiziare l’edificazione di una società sempre più liquida, priva di punti di riferimento, profondamente individualista, deprivata di una base valoriale comune.
E, così, anche la comunicazione profonda tra le persone, basata su principi condivisi, ne risente e, ormai, diventa sempre più precaria.
Il malcelato intento delle lobby è, difatti, quello di indebolire, qualsiasi comunicazione condivisa di principi tra i consociati, tale da poter generare una reazione popolare; in definitiva, l’intento è quello di renderci sempre più delle monadi; appariamo vicini gli uni agli altri, ma non stiamo insieme, perché non ci deve legare alcuna base valoriale comune.
Queste forze, infatti, stanno perseguendo un’aggressiva decostruzione della struttura antropologica della società, con lo scopo, altresì, di propiziare la costruzione di un nuovo ordine mondiale, non rispettoso, però, della legge naturale.
Per perseguire tale obiettivo è usato il diritto come strumento per manipolare la realtà.
Il vero merito di quel popolo che sabato scorso è sceso in piazza è di essersi posto controcorrente a questa violenta colonizzazione ideologica, che vuole renderci tutti omologati, tutti sottomessi a una vincente e coinvolgente “democrazia totalitaria”.
Qualcuno potrebbe domandarsi: com’è stata possibile una tale reazione in una società che le forti lobby hanno in gran parte anestetizzato?
La risposta la troviamo nell’osservare quel popolo.
Il popolo che è sceso in piazza non è una massa amorfa, che casualmente si è ritrovato per una manifestazione colorata e folcloristica, ma è un popolo fatto di famiglie, costituite da nonni, padri, madri, figli, nipoti, che con sacrifici e per anni si sono preparate a propiziare un cambiamento di rotta della nostra nazione che si è incamminata, purtroppo, da tempo, verso un forte declino culturale e morale.
Tali famiglie, sono considerate un corpo estraneo dai cosiddetti maître à penser, che si meravigliano di come sia possibile, che dopo anni di bombardamento culturale di tipo relativista, possa esistere ancora un’opposizione che enunci e testimoni una base valoriale comune.
Qualcuno, come dicevo, ha paventato acutamente che dall’evento del 20 giugno potranno sorgere scenari inaspettati.
È vero! Il popolo che è sceso in piazza si è preparato per molto tempo e in modo silenzioso, per favorire una rinascita della nostra nazione, che sia rispettosa del bene umano oggettivo.
La manifestazione del 20 giugno è, infatti, soltanto l’inizio di una nuova stagione che si sta schiudendo davanti a noi e che mira a propiziare la costruzione di una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio; vale a dire di una società rispettosa di quella grammatica umana e sociale iscritta in ognuno di noi.
È molto forte, però, anche tra alcuni cattolici, la tentazione di cedere al mito illuminista di una storia lineare, pilastro della dittatura del relativismo, che presenta la verità come figlia del tempo e certi processi come irreversibili.
La storia, però, non ha nessun senso umano predeterminato e necessario – il suo unico senso è che Cristo ha vinto il mondo una volta per tutte –, le battaglie le vincono e le perdono gli uomini e le donne, e per il cristiano nessuna vittoria del male è ineluttabile o irreversibile.
Il cattolico che pensa diversamente è vittima, per dirla con papa Francesco, di quella «mondanità spirituale» che perde la fiducia in Dio e segue le vie e il consenso del mondo, e di quella disperazione storica che, come non si stanca di spiegarci il Pontefice, viene molto spesso dal diavolo.
L’evento austriaco e quello italiano ci confermano che non dobbiamo cedere allo scoraggiamento, la vittoria è nelle nostre mani e in quelle di Dio.
@GianCerrelli

mercoledì 24 giugno 2015

Belgio. Concessa eutanasia a Laura, 24 anni, sana fisicamente ma depressa, giugno 23, 2015 Leone Grotti, http://www.tempi.it/

siringhe-eutanasia-shutterstock_249815845Laura (nome di fantasia) ha 24 anni, sta bene fisicamente, ha molti amici e tra pochi giorni morirà. La ragazza che vive nelle Fiandre, in Belgio, ha chiesto e ottenuto di essere uccisa con l’eutanasia. Laura vuole morire perché è depressa da troppo tempo e ritiene che «vivere non faccia per me». La legge introdotta nel paese nel 2002 lo consente.

FAMIGLIA SPACCATA. La storia di Laura, raccontata dal De Morgen, è terribile. Il padre, alcolista e violento, ha spaccato la famiglia fin da quando lei era piccola. Dopo la separazione dei genitori, ha passato sempre più tempo con i nonni materni, anche se a soli sei anni afferma di aver cominciato a pensare al suicidio.
Durante l’intervista, spiega il giornale belga, Laura parla «in modo calmo e tranquillo, è sicura di sé»: «Anche se la mia vicenda familiare ha contribuito alla mia sofferenza, sono convinta che avrei avuto questo desiderio di morire anche se fossi cresciuta in una famiglia tranquilla e stabile. Semplice, non ho mai voluto vivere».

AUTOLESIONISMO. Sui banchi di scuola, Laura fa fatica. A casa, di nascosto, è autolesionista, si taglia e si scaglia apposta contro i muri. Pensa spesso al suicidio. L’unica cosa che la rende contenta è «il teatro» e «una relazione amorosa» omosessuale con un’altra donna «davvero piacevole». Ma a causa delle continue depressioni, Laura rompe ogni tipo di legame e si fa convincere ad entrare in una clinica psichiatrica.
Qui comincia un periodo ancora più «difficile»: Laura inizia a pensare di avere dentro di sé un «mostro» che chiede di uscire e che «niente può guarire», «fonte di aggressività, collera e dolore». In clinica non riescono a curarla, anzi peggiorano le cose, e spesso la rimandano a casa per permettere al personale di «respirare un po’».

EUTANASIA. È proprio in clinica che Laura incontra Sarah (nome di fantasia), che stava organizzando la propria eutanasia. Affascinata da quel tentativo, Laura comincia a pensare di usare questo strumento per morire. Tre diversi medici, di cui uno appartenente a una famosa associazione pro eutanasia, le danno ragione: dal punto di vista psicologico, soffre in modo insopportabile e quindi deve poter morire se lo vuole. Per quanto riguarda la capacità di prendere una simile decisione, nessun dubbio: «È una persona equilibrata».
Lei spiega: «È da quando sono nata che la mia vita è una battaglia. Quotidiana. Certi giorni mi trascino secondo dopo secondo. I miei 24 anni, quindi, sono stati una eternità». Entro la fine dell’estate, Laura potrà morire come richiesto e concesso dalla legge. Nel frattempo, sta organizzando tutto: lo studio dove morirà fisicamente, i suoi funerali, la bara. «Sono tutte cose piacevoli a cui pensare». Perché dopo non ci sarà più niente.

@LeoneGrotti
Foto siringhe da Shutterstock

lunedì 22 giugno 2015

Francia. Cinque intellettuali non cattolici (e mangiapreti) contro l’utero in affitto, giugno 20, 2015 Lucetta Scaraffia, http://www.tempi.it/

utero-affitto-maternità-surrogata-shutterArticolo tratto dall’Osservatore romano – «Le leggi non sono fatte per coprire le ingiustizie, ma per prevenirle». Con questa indiscutibile affermazione si chiude un appello, firmato in Francia da cinque importanti intellettuali e politici, di diversa, anche opposta, provenienza, nessuno di loro cattolico. I filosofi Sylviane Agacinski e Michel Onfray, la scrittrice Eliette Abécassis, il deputato europeo José Bové e la giurista Marie-Anne Frison-Roche si oppongono a una forma di tacito consenso legale che si sta affermando nel paese sul riconoscimento del figlio nato dal ricorso alla madre surrogata, riconoscimento in realtà proibito dalla legge.

Con la scusa di proteggere i figli nati da questa pratica all’estero si arriva infatti a riconoscere la paternità e la maternità a persone che secondo la legge non dovrebbero averla. I firmatari denunciano questa pratica che utilizza motivazioni falsamente pietose per avvalorare «l’applicazione della legge di mercato alla procreazione». In California, per esempio, Stato dove è legale la pratica dell’utero in affitto, la filiazione è stabilita «sulla base di uno scambio commerciale» fra le parti, e il bambino diventa il prodotto di una sorta di ordinazione, come una merce.

Gli autori dell’appello ricordano invece che la legge francese mantiene una differenza fra le cose — che possono essere donate o vendute — e le persone: il problema è decidere se la procreazione di un figlio può diventare oggetto di uno scambio mercantile. Decidere cioè se può essere negato il legame filiale, che unisce fisicamente, simbolicamente e giuridicamente il figlio alla madre che l’ha messo al mondo. In sostanza, se si può con tanta leggerezza negare lo stato di madre alle donne che hanno accettato di essere utilizzate in questo modo. No alle madri fantasma! titola «Le Monde» del 17 giugno, che accompagna l’appello a un articolo che sostiene invece la liceità di questa pratica se avviene in modo puramente disinteressato. Condizione, come ben si sa, che molto difficilmente si constata nella realtà.

In altri paesi (fra cui l’Italia) esiste lo stesso problema, ma non si è aperto un dibattito vero e i laici sembrano rassegnarsi tutti a quello che viene considerato un “progresso”. Ancora una volta i laici francesi hanno il coraggio di intraprendere una battaglia per difendere il rispetto dell’essere umano e un giornale laico come «Le Monde» di diffondere il loro punto di vista.

Foto maternità surrogata da Shutterstock

Londra. Professore ebreo: altro che «diritti Lgbt», questa è «persecuzione religiosa», giugno 22, 2015 Benedetta Frigerio, http://www.tempi.it/


omofobia-ansa
Secondo Geoffrey Alderman, ebreo britannico e noto professore di storia per diverse università in Inghilterra e Stati Uniti (dalla University of London al Touro College di New York), ci sono casi di discriminazione verso i cristiani in Gran Bretagna che hanno «tutti i tratti distintivi della persecuzione religiosa». Lo ha scritto in un articolo per il Jewish Chronicle tre settimane fa, e adesso ha accettato di spiegarlo anche a tempi.it. E comincia compilando questo elenco: «La compagnia Asher Baking, di proprietà della famiglia McArthur, è stata messa sotto accusa per essersi rifiutata di scrivere su una torta uno slogan a favore delle unioni fra persone dello stesso sesso. Lillian Ladele è stata licenziata dall’Islington Council per le sue posizioni sul matrimonio. Un’insegnante cattolica è stata licenziata per essersi rifiutata di leggere una storia che parla di coppie dello stesso sesso con figli. Un’agenzia adottiva cattolica ha dovuto chiudere i battenti perché si rifiutava di accettare di privare i bambini della madre o del padre. Daintree Paper è stato costretto a chiudere i battenti del suo negozio per non aver posto sopra una torta nuziale le sagome di due uomini. Adrian Smith ha avuto lo stipendio decurtato del 40 per cento per aver detto che il cambiamento della legge sul matrimonio si spingeva troppo in là. Peter e Hazelmary Bull hanno pagato una multa salata perché nel loro bed & breakfast a Cornwall offrivano stanze matrimoniali solo alle coppie sposate. L’infermiera Sarah Mbuyi di Londra è stata licenziata per aver risposto a una domanda sul matrimonio a partire dalla sua fede. Su un rapporto della Commissione inglese per l’uguaglianza emerge il caso di un bambino umiliato fino alle lacrime e rimproverato dal suo maestro dopo aver detto che il matrimonio è solo fra uomo e donna. Andrew McClintock è stato costretto a dimettersi da magistrato perché convinto che un bambino non possa essere cresciuto da persone dello stesso sesso. L’autista di pullman Arthur McGeorge ha subìto un’azione disciplinare per aver condiviso una petizione a sostegno del matrimonio naturale. Gordon Wilson è stato allontanato dal board di un’associazione no profit per aver criticato la ridefinizione del matrimonio da parte del governo scozzese. Bryan Barkley, volontario da 18 anni della Croce Rossa, da quando ha esposto un cartello con scritto “no same-sex marriage” non può più prestare servizio. Ma l’elenco è ancora lungo».
Professor Alderman, lei ha deciso di denunciare «la persecuzione religiosa subita dai cristiani in Gran Bretagna in questi anni». Non teme ritorsioni?
Quando ho visto com’è finito il caso del pasticciere condannato in Nord Irlanda ho capito che era stata davvero oltrepassata la linea. Credevo che le unioni civili servissero a tutelare i diritti delle persone, ma ora è palese che l’obiettivo è un altro: imporre una visione univoca attraverso il loro ottenimento.

Stando agli annunci, l’intenzione del legislatore è sempre quella di intervenire contro la discriminazione delle persone con tendenze omosessuali, non contro i cristiani. Ma allora come si giustificano gli episodi elencati?
Non c’è nessuna legge esplicita contro i cristiani, ma il fatto che ne esista una, l’Equality Act, in cui si ritiene discriminatorio pensare che lo stile di vita di questa minoranza di persone sia errato, di fatto mette in pericolo la loro libertà di espressione. L’odio, per essere precisi, è verso i cristiani che esprimono il proprio credo pubblicamente. Non li ho citati, ma ci sono casi dove le persone sono state licenziate solo per il fatto di indossare simboli religiosi. A dimostrare che l’accanimento è verso i cristiani c’è anche il fatto che, ad esempio, nessun musulmano è mai stato discriminato per le sue idee o per i simboli che indossa.

Eppure alcuni attivisti Lgbt arrivano a sostenere di essere i nuovi ebrei.
Questa propaganda è spazzatura! È falsa e offensiva. È vero il contrario. La minoranza Lgbt sta ingaggiando una vera e propria persecuzione nei confronti di altri gruppi religiosi. Sono tanti ad accorgersene: so che persino alcuni omosessuali, che non sposano le idee della lobby Lgbt, non sono contenti delle leggi sul matrimonio e non pensano di essere discriminati. Ma la lobby lo fa credere a tanti, e attraverso queste imposizioni normative vuole imporre la sua visione, senza che nessuno possa dissentire. Il fascismo è questo.

Oltre alle campagne per i “diritti”, con quali strumenti imporrebbero la loro visione?
Con la paura: per silenziare i dibatti basta accusare gli altri di omofobia. Voglio aggiungere che il primo ministro Cameron porta la responsabilità di tutto questo, perché lo ha permesso introducendo il matrimonio fra persone dello stesso sesso. E a questa colpa se ne aggiunge un’altra: nel 2010, in un’intervista a Sky, disse che non aveva la minima intenzione di legiferare in questo senso. Ci ha ingannati.

Perché i governi avrebbero interesse a fare proprie queste pretese e a permettere la discriminazione dei cristiani?
È l’imposizione del “politically correct”. Il fascismo serve a controllare le persone.

@frigeriobenedet
Foto Ansa

mercoledì 3 giugno 2015

Che cosa è l'embrione? Parola alla scienza, di Matteo Casarosa, 1 giugno 2015, http://www.documentazione.info/

L'embrione è già un essere umano. L'embrione è già vita. La vita inizia sino dal concepimento. Sono frasi che abbiamo sentito più volte e che sicuramente attribuiamo a alla sfera delle affermazioni della Chiesa Cattolica o dei "principi non negoziabili" o dei "valori assoluti". Ma è davvero così? Queste affermazioni sull'embrione rientrano esclusivamente nell'ambito di una visione religiosa del mondo o c'è di più? olitamente chi sostiene il contrario afferma che la vita umana non inizierebbe al concepimento ma più tardi, oppure che un essere che non è autosufficiente non possa dirsi un organismo, e quindi l'embrione non potrebbe essere un “individuo” umano, ma al massimo “materiale” umano. Numerosi testi scientifici negano esplicitamente simili tesi, ed affermano in maniera ugualmente esplicita il fatto che l'embrione sia un essere umano. 

Alcuni siti hanno fatto un lavoro di raccolta delle citazioni di testi scientific, paper, pubblicazioni etc in cui si parla di questo argomento: dall'università di Princeton alle " 41 citazioni da manuali medici sul concetto di vita umana sin dal concepimento". 

 Li citiamo qui in lingua originale. Il corsivo usato per evidenziare alcune parti di alcune delle seguenti citazioni è aggiunto in questo articolo e non è usato nei testi stessi.

Al proposito dell'affermazione "La vita comincia al concepimento", ppinioni contrarie a questo dato vorrebbero ad esempio considerare come inizio della vita di un individuo il momento della raggiunta capacità di sopravvivere al di fuori del corpo materno o quello della nascita. Tuttavia la letteratura scientifica è chiara in proposito.

The development of a human begins with fertilization, a process by which the spermatozoon from the male and the oocyte from the female unite to give rise to a new organism, the zygote." [Sadler, T.W. Langman's Medical Embryology. Settima edizione. Baltimore: Williams & Wilkins 1995, p. 3]

"Almost all higher animals start their lives from a single cell, the fertilized ovum (zygote)... The time of fertilization represents the starting point in the life history, or ontogeny, of the individual."
[Carlson, Bruce M. Patten's Foundations of Embryology. Sesta edizione. New York: McGraw-Hill, 1996, p. 3]

“The life cycle of mammals begins when a sperm enters an egg.” Okada et al., A role for the elongator complex in zygotic paternal genome demethylation, NATURE 463:554 (Gennaio 28, 2010)

“Human life begins at fertilization […] A zygote is the beginning of a new human being”Keith L. Moore, The Developing Human: Clinically Oriented Embryology, settima edizione. Philadelphia, PA: Saunders, 2003. pp. 16, 2. 

 “It is the penetration of the ovum by a sperm and the resulting mingling of nuclear material each brings to the union that constitutes the initiation of the life of a new individual.” Clark Edward and  Corliss Patten’s Human Embryology, McGraw – Hill Inc., 30

"L'embrione è un organismo con la sua individualità"

Vi sono obiezioni da parte dei sostenitori dell'aborto anche su questo punto, che implicherebbe il rispondere dell'embrione alla definizione di “essere umano”, dal momento che quest'ultimo è appunto un organismo vivente appartenente alla specie umana. Tali obiezioni si basano sulla dipendenza da parte dell'embrione dal corpo materno, che rendendolo non-autonomo lo squalificherebbero dall'essere considerato organismo. Queste obiezioni tuttavia partono dalla confusione dei termini autonomia (http://www.treccani.it/vocabolario/autonomia/) e autosufficienza ( http://www.treccani.it/vocabolario/autosufficienza/).

“Although organisms are often thought of only as adults,
and reproduction is considered to be the formation of a
new adult resembling the adult of the previous generation, 
a living organism, in reality, is an organism for its entire
life cycle, from fertilized egg to adult, not for just one
short part of that cycle.”

—Encyclopedia Britannica 1998, v 26, p 611

"Embryo: An organism in the earliest stage of development; in a man, from the time of conception to the end of the second month in the uterus." [Dox, Ida G. et al. The Harper Collins Illustrated Medical Dictionary. New York: Harper Perennial, 1993, p. 146]

"Embryo: the developing organism from the time of fertilization until significant differentiation has occurred, when the organism becomes known as a fetus." [Cloning Human Beings. Report and Recommendations of the National Bioethics Advisory Commission. Rockville, MD: GPO, 1997, Appendice-2.]

"L'embrione è un essere umano"

 Questo è infine il punto fondamentale della questione, negato dalla maggior parte, ma non dalla totalità, come si vedrà in seguito, delle persone che considerano lecito l'aborto.

"Zygote. This cell, formed by the union of an ovum and a sperm (Gr. zyg tos, yoked together), represents the beginning of a human being. The common expression 'fertilized ovum' refers to the zygote." [Moore, Keith L. and Persaud, T.V.N. Before We Are Born: Essentials of Embryology and Birth Defects. Quarta edizione. Philadelphia: W.B. Saunders Company, 1993, p. 1]

“The zygote and early embryo are living human organisms.” Keith L. Moore & T.V.N. Persaud Before We Are Born – Essentials of Embryology and Birth Defects (W.B. Saunders Company, 1998. Quinta edizione.) Pagina 500

Ci credono davvero?

Un ultima obiezione che viene spesso fatta quando si cita uno dei molti testi di riferimento per l'embriologia che affermano l'umanità dell'embrione è che alcuni degli autori di simili autorevoli testi hanno anche lavorato nella ricerca sulle cellule staminali embrionali. Tuttavia, purtroppo, non tutto coloro che sono arrivati ad ammettere che embrione e feto sono esseri umani sono categoricamente contrari a causarne la morte, come mostra questa pagina del sito UCCR che raccoglie anche alcune citazioni di medici abortisti, o come si potrebbe constatare dalle argomentazioni poste dal filosofo abortista David Boonin in questo dibattito con il filosofo cattolico Peter Kreeft .



Allo stesso tempo, i brani sopra citati, che in alcuni casi sono delle esplicite definizioni, non lasciano dubbio, dal momento che chiamare “organismo umano” o “essere umano” qualcosa che non lo è, sarebbe stato da parte degli accademici citati un errore tanto grossolano quanto chiamare “essere vivente” un virus.