mercoledì 26 agosto 2015

Il gender nella "Buona Scuola" c'è eccome, di Gianfranco Amato, 26-08-2015, la nuova bussola quotidiana

Esiste o no un riferimento al “gender” nella legge sulla cosiddetta “Buona Scuola”? Cerchiamo di rispondere a questa che pare essere la domanda del momento.
Il pericolo gender, in realtà, si annida nel sedicesimo comma dell’art. 1 della legge, che testualmente recita così: «Il piano triennale dell'offerta formativa assicura l'attuazione dei principi di pari opportunità promuovendo nelle scuole di ogni ordine e grado l'educazione alla parità tra i sessi, la prevenzione della violenza di genere e di tutte le discriminazioni, al fine di informare e di sensibilizzare gli studenti, i docenti e i genitori sulle tematiche indicate dall'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n.119, nel rispetto dei limiti di spesa di cui all'articolo 5-bis, comma 1, primo periodo, del  predetto decreto-legge n. 93 del 2013».
L’insidia sta in due punti di questa disposizione normativa: il termine «violenza di genere» e il richiamo all’art. 5 della Legge 119/2013, la cosiddetta “Legge sul femminicidio”. Vediamo attentamente come stanno le cose.
Violenza di genere

L’esperienza ha ampiamente dimostrato che è proprio attraverso questa espressione che vengono surrettiziamente introdotti nelle scuole i corsi sulla teoria gender. La “violenza di genere” è diventata quello che il Cardinal Angelo Bagnasco, con un’espressione efficacemente evocativa, ha lucidamente denunciato come un cavallo di Troia. Qualcuno sostiene che il Cardinale abbia preso lucciole per lanterne, ma non è così. Che non si tratti di un abbaglio del Presidente della Conferenza Episcopale Italiana lo dimostra l’ordine del giorno n. 9/2994-B/5 approvato dalla Camera dei Deputati lo scorso 8 luglio. Con quel documento parlamentare, infatti, la Camera dei Deputati, dopo aver preso atto, nella premessa, del fatto che proprio il concetto di “violenza di genere” del citato comma 16, «ha comportato una serie di storture applicative, che sono andate ben al di là dell’istanza, da tutti condivisa, di prevenire la violenza di genere e le discriminazioni», ha impegnato il Governo «in sede di applicazione del comma 16 del provvedimento in esame, ad escludere ogni interpretazione che apra alle cosiddette “teorie del gender”». Per gli increduli ed i negazionisti facciamo presente che il citato ordine del giorno si trova pubblicato a pagina 87 dell’allegato “A” ai resoconti stenografici della Camera dei Deputati relativi alla seduta dell’8 luglio 2015.
La Legge sul Femminicidio

La seconda insidia sta nel richiamo espresso all’art.5 della cosiddetta “Legge sul femminicidio”, articolo che porta il titolo di “Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere”. In pratica la legge sulla “Buona Scuola” dice che il piano triennale dell’offerta formativa deve «informare e sensibilizzare gli studenti, i docenti  e  i  genitori sulle tematiche indicate nel Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere». Ma cosa prevede quel Piano d’azione espressamente richiamato nel sedicesimo comma dell’art.1? Al punto 5.2 (Educazione), il Piano recita testualmente così: «(…) Obiettivo prioritario deve essere quello di educare alla parità e al rispetto delle differenze, in particolare per superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne e uomini, ragazzi e ragazze, bambine e bambini nel rispetto dell’identità di genere, culturale, religiosa, dell’orientamento sessuale (…) sia attraverso la formazione del personale della scuola e dei docenti, sia mediante l’inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa e didattica».
Identità di genere

Ora, chi pretende di trovare nella legge la parola inglese “gender” è destinato a rimanere inesorabilmente deluso. Per il semplice fatto che in Italia i documenti del governo e le leggi vengono redatte rigorosamente in lingua italiana. Nonostante l’ostentata anglofilia del Premier Renzi e la sua spiccata propensione per l’idioma di Shakespeare – in cui, però, è bravo negli scritti ma zoppicante in orale – oggi nel nostro Paese le leggi vengono ancora scritte con la lingua di Dante. La traduzione ufficiale della parola “gender” che il governo ed il legislatore utilizza è “identità di genere”.
Lo spiega bene, ad esempio, il documento governativo intitolato “Linee guida per un’informazione rispettosa delle persone LGBT”, redatto dall’U.N.A.R., Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale, un ufficio del Dipartimento delle Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. A pagina 7, quel documento del Governo definisce l’identità di genere come «il senso intimo, profondo e soggettivo di appartenenza alle categorie sociali e culturali di uomo e donna, ovvero ciò che permette a un individuo di dire: “Io sono un uomo, io sono una donna”, indipendentemente dal sesso anatomico di nascita».
Quel documento del governo specifica bene la differenza tra genere e sesso, precisando che mentre il sesso è costituito dalle «caratteristiche biologiche e anatomiche del maschio e della femmina, determinate dai cromosomi sessuali», il genere è, appunto, «la percezione soggettiva di appartenere ad una delle categorie sociali e culturali di uomo e donna, indipendentemente dal sesso anatomico».
Utile evidenziare anche quanto si leggeva all’art.1, lett. b), del testo unificato adottato come testo base il 9 luglio 2013 dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, recante norme in materia di discriminazioni motivate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere. Questo era il tenore letterale di quella disposizione: «Ai fini della legge penale si intende per “identità di genere” la percezione che una persona ha di sé come appartenente al genere femminile o maschile, anche se opposto al proprio sesso biologico». Anche in questo caso, increduli e negazionisti possono trovare il testo a pagina 73 del Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari del 9 luglio 2013.
In realtà è proprio l’erronea considerazione che uomo e donna siano semplici categorie sociali e culturali, unita all’idea che si possa scegliere di appartenere all’una o all’altra categoria indipendentemente dal sesso biologico, che sta alla base della teoria gender, così duramente ed aspramente condannata da Papa Francesco, al punto da essere stata da lui definita «uno sbaglio della mente umana che crea tanta confusione», il 21 aprile 2015 durante il suo incontro con i giovani di Napoli nel Lungomare Caracciolo.
All’Udienza Generale tenuta in Piazza San Pietro il 15 aprile 2015, il Santo Padre si è chiesto pubblicamente quanto segue: «Io mi domando, se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione, che mira a cancellare la differenza sessuale perché non sa più confrontarsi con essa. Sì, rischiamo di fare un passo indietro. La rimozione della differenza, infatti, è il problema, non la soluzione».
Ed è proprio il tentativo odioso di indottrinamento di questa teoria nelle scuole che continua ad essere una costante preoccupazione di Papa Francesco, che non perde occasione per esprimere la sua dura denuncia a riguardo. Durante il discorso alla Delegazione dell’Ufficio Internazionale Cattolico dell’Infanzia (BICE) tenuto l’11 aprile 2015, il Santo Padre ha affermato che «occorre sostenere il diritto dei genitori all’educazione dei propri figli, e rifiutare ogni tipo di sperimentazione educativa sui bambini e giovani, usati come cavie da laboratorio, in scuole che somigliano sempre di più a campi di rieducazione e che ricordano gli orrori della manipolazione educativa già vissuta nelle grandi dittature genocide del secolo XX, oggi sostitute dalla dittatura del “pensiero unico”».
Nel suo viaggio di ritorno dalle Filippine, il 19 gennaio 2015, Papa Francesco, rispondendo ad una domanda di Jan-Christoph Kitzler, giornalista della radio tedesca Ard, è tornato ancora una volta a parlare della teoria gender definendola «una colonizzazione ideologica» identica a quella praticata attraverso l’indottrinamento della «Gioventù Hitleriana» durante gli anni bui del regime nazionalsocialista del Terzo Reich. Queste le sue parole testuali pronunciate rievocando un ricordo personale: «Vent’anni fa, nel 1995, una Ministro dell’Istruzione Pubblica aveva chiesto un grosso prestito per fare la costruzione di scuole per i poveri. Le hanno dato il prestito a condizione che nelle scuole ci fosse un libro per i bambini di un certo grado di scuola. Era un libro di scuola, un libro preparato bene didatticamente, dove si insegnava la teoria del gender. (…) Questa è la colonizzazione ideologica: entrano in un popolo con un’idea che non ha niente a che fare col popolo; con gruppi del popolo sì, ma non col popolo, e colonizzano il popolo con un’idea che cambia o vuol cambiare una mentalità o una struttura. (…) Perché dico “colonizzazione ideologica”? Perché prendono proprio il bisogno di un popolo o l’opportunità di entrare e rafforzarsi, per mezzo dei bambini. Ma non è una novità questa. Lo stesso hanno fatto le dittature del secolo scorso. Sono entrate con la loro dottrina. Pensate ai “Balilla”, pensate alla Gioventù Hitleriana... Hanno colonizzato il popolo, volevano farlo. Ma quanta sofferenza!».
Papa Francesco ha, inoltre, ben chiara quale sia l’attuale situazione delle scuole italiane riguardo all’indottrinamento gender. Lo ha dimostrato quando, nel discorso di apertura del convegno ecclesiale della Diocesi di Roma, tenuto in Piazza San Pietro il 14 giugno 2015, ha pronunciato queste parole: «I nostri ragazzi, ragazzini, che cominciano a sentire queste idee strane, queste colonizzazioni ideologiche che avvelenano l’anima e la famiglia: si deve agire contro questo. Mi diceva, due settimane fa, una persona, un uomo molto cattolico, bravo, giovane, che i suoi ragazzini andavano in prima e seconda elementare e che la sera, lui e sua moglie tante volte dovevano “ri-catechizzare” i bambini, i ragazzi, per quello che riportavano da alcuni professori della scuola o per quello che dicevano i libri che davano lì. Queste colonizzazioni ideologiche, che fanno tanto male e distruggono una società, un Paese, una famiglia. E per questo abbiamo bisogno di una vera e propria rinascita morale e spirituale».
Abbiamo appreso che la Diocesi di Padova, con un proprio comunicato, ha rassicurato i fedeli sul fatto che la legge sulla cosiddetta “Buona Scuola” non contenga alcun riferimento al “gender”. Colpisce il fatto che questa affermazione non si sia basata su un’attenta analisi critica del testo normativo ma sulle rassicurazioni ottenute dagli esponenti del governo. Una Chiesa che non vaglia la realtà alla luce della fede e della ragione ma si affida alle rassicurazioni del potere civile, forse non è una Chiesa attenta agli ammonimenti del Vicario di Cristo. La Diocesi di Padova afferma, confidando sulle parole del governo, che nelle scuole non viene e non verrà mai introdotta alcuna teoria gender, mentre il Papa denuncia il fatto che già oggi genitori siano costretti a “ri-catechizzare” «i bambini, i ragazzi, per quello che riportano da alcuni professori della scuola o per quello che dicono i libri che danno lì». Uno dei due non ha l’esatta percezione di quello che sta accadendo. E noi non abbiamo alcun dubbio che, in questo caso, a sbagliare sia la Diocesi di Padova e non Papa Francesco.

giovedì 13 agosto 2015

13-08-2015 Poligamia gay - In Olanda sta cominciando di Tommaso Scandroglio, www.lanuonabq.it

In Olanda esiste la multigenitorialità gay o le plurifamiglie omosessuali. Si tratta di questo ed attenzione a non perdervi tra i legami di “parentela”. Jaco e Sjoerd sono una coppia di omosessuali maschi “sposati” tra loro. Hanno anche un altro amico omosessuale, Sean, che ha rapporti sessuali con loro. Jaco e Sjoerd vorrebbero sposare anche Sean ma purtroppo, loro dicono, la poligamia sia etero che omosessuale è vietata in Olanda: ”Jaco e io siamo sposati da otto anni. Purtroppo non possiamo sposare Sean, altrimenti lo avremmo già fatto in un batter d’occhio“. Ma proseguiamo. Daantje e Dewi sono una coppia lesbica. Anche loro sono “sposate”. I cinque si conoscono da anni. La coppia lesbica avrà un figlio tramite una sesta persona. Ora vogliono che questo figlio sia educato da tutti e cinque gli omosessuali. Dunque si sono recati dal notaio per sottoscrivere un regolare contratto di educazione multigenitoriale gay: “Cinque genitori con uguali diritti e doveri, divisi in due famiglie: queste sono le condizioni del contratto che tutti noi abbiamo firmato e sottoposto al notaio“.
Ma per i Paesi Bassi questo tipo di contratto non ha valore legale. Però dato che cinque teste gay pensano meglio di una etero, soprattutto quando è quella di un politico leguleio, le due “famiglie” hanno trovato la scappatoia. In Olanda c’è la possibilità che la madre biologica nomini, in sostituzione del padre biologico o del coniuge (anche gay), un altro genitore legale. E così Jaco è stato nominato genitore legale al posto di Dewi. “Abbiamo voluto fare in modo che ci fosse un genitore legale in entrambe le famiglie, perché divideremo anche l’educazione“, ha detto quest’ultima.
La vicenda olandese che pare presa di peso dal teatro dell’assurdo è in realtà molto educativa perché apre gli occhi sulla reale rivoluzione che il gender ha innescato nell’antropologia e nel tessuto familiare. Dietro tutto questo si nasconde una logica tanto demente quanto ferrea che, se accettata, non può che portare a legittimare la multi-omo-genitorialità. Primo: perché limitare il matrimonio a due persone se il cardine è l’affetto? Tre amici non si possono volere così bene da desiderare di sposarsi? Secondo: se due gay – così si sostiene – possono egregiamente tirare grande un pupo, perché devono essere presenti nella stessa famiglia? Terzo: se “famiglia” è anche quella composta da una coppia gay, perché famiglia non può essere anche quella composta da cinque gay? Quarto: se il figlio può venire al mondo con il concorso anche di quattro o cinque persone, tra madri e padri biologici, donne che danno l’utero ed altre che “donano” il dna mitocondriale, perché parimenti non può essere educato sempre da più persone? Più gente c’è meglio è, no? Lo ripetiamo: se fai tue le premesse non puoi che accogliere anche le conclusioni.
Queste quattro domande provocatorie possono coagularsi in un’unica riflessione. La storia made in Netherlands trova il suo cuore pulsante in una parola: “desiderio”. Il desiderio per sua natura si espande all’infinito. Se lo lasciate correre a briglie sciolte,  state pur certi che il desiderio non farà più ritorno a casa ma vi porterà lontano, molto lontano.
Ed infatti questa storia di genitori elevati alla “n” ha una dinamica centrifuga e al centro di questa omo-lavatrice c’è il desiderio. Un uomo desidera avere una relazione con un uomo. I due vogliono “sposarsi”. Questa coppia di “coniugi” conosce un terzo e avrebbero in animo di allargare la “famiglia”. I tre conoscono una coppia di lesbiche e desiderano allargare ancor di più la “famiglia”. La coppia lesbica anche lei vuole “sposarsi” e poi vuole un bambino. I cinque desiderano crescere tutti appassionatamente il pupo. E nessuno li ferma in questi loro propositi perché si pensa che siano desideri sacrosanti. Qualcuno all’opposto dice che vorrebbe vietare tutte queste cose. E no, questi tipi di desideri non devono essere assecondati. Liberals sì, ma fino ad un certo punto. Un punto ben piantato nel fondo della follia.

mercoledì 5 agosto 2015

Indottrinamento obbligatorio su linguaggi e categorie di pensiero, di Giovanni Lazzaretti, 24 luglio 2015, http://vanthuanobservatory.org/

Analizziamo insieme il DDL Fedeli sull'insegnamento Gender nelle scuole pubbliche

Vale la pena di analizzare il DDL Fedeli quando l’educazione di genere sembra ormai essersi infilata di straforo nel sistema scolastico, attraverso il voto di fiducia sulla cosiddetta “Buona Scuola”? Vale certamente la pena di analizzarlo.
Esaminiamolo dando innanzitutto il titolo esatto: “Introduzione dell’educazione di genere e della prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università”.
Porta la firma di Valeria Fedeli, vicepresidente del Senato; i firmatari sono in tutto 40: 35 senatori del PD, 1 dei “Conservatori, Riformisti Italiani”, 1 del PSI-Autonomie, 1 del gruppo Misto-SEL, 2 del gruppo Misto.
Rileviamo fin dal titolo che si rivolge al sistema nazionale di istruzione e alle università: quindi tutte le scuole, anche le materne, anche le scuole paritarie, anche le scuole paritarie cattoliche, anche le università dove si formano i futuri formatori. Punta alle attività e ai materiali didattici: non quindi i classici “corsi opzionali”, ma un inserimento nel cuore della formazione curriculare.
Una premessa e sei articoli
Il DDL Fedeli è costituito da una lunga premessa di presentazione e da 6 articoli.
Art. 1 - Introduzione dell’insegnamento dell’educazione di genere
Si parte nella maniera classica «per la realizzazione dei princìpi di eguaglianza, pari opportunità e piena cittadinanza nella realtà sociale contemporanea».
Al comma 2 si dà il primo “colpetto”: «promozione di cambiamenti nei modelli comportamentali al fine di eliminare stereotipi, pregiudizi, costumi, tradizioni e altre pratiche socio-culturali fondati sulla differenziazione delle persone in base al sesso di appartenenza». La corporeità sessuata come superficie neutra comincia a prendere consistenza.
Art. 2 - Linee guida dell’insegnamento dell’educazione di genere
Il sesso, citato all’art.1, sparisce. La citazione infatti serviva solo a “far credere” che si parlasse dei due sessi. Da qui in poi il sesso scompare (nei titoli non compare nemmeno) e si parla solo di genere. I numeri parlano da soli: il sesso compare 3 volte nella premessa (+ altre 5 volte in connotazione negativa: “sessismo” e simili) e 2 volte negli articoli del DDL; il genere compare 30 volte nella premessa, 4 volte nei titoli, 8 volte negli articoli.
La “parità dei sessi” è quindi il cavallo di Troia per far entrare il gender nelle scuole. I richiami continui alle linee europee (12 volte è citata l’Europa nella premessa) non lasciano dubbi in proposito.
Da adesso si parla di «linee guida dell’insegnamento dell’educazione di genere che forniscano indicazioni per includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado, tenuto conto del livello cognitivo degli alunni, i temi dell’uguaglianza, delle pari opportunità, della piena cittadinanza delle persone, delle differenze di genere, dei ruoli non stereotipati, della soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, della violenza contro le donne basata sul genere e del diritto all’integrità personale».
Art. 3 - Formazione e aggiornamento del personale docente e scolastico
«[…] corsi di formazione obbligatoria […] per il personale docente e scolastico». Indottrinamento gender obbligatorio: le organizzazioni che fanno questo tipo di corsi sono tutte di area LGBT.
Art. 4 - Università
«Le università provvedono a inserire nella propria offerta formativa corsi di studi di genere o a potenziare i corsi di studi di genere già esistenti, anche al fine di formare le competenze per l’insegnamento dell’educazione di genere di cui all’articolo 1».
Formare i formatori è l’ovvio corollario. Chi si occupa degli “studi di genere” sono solamente gli “ideologi del gender”, e saranno i padroni dell’Università in questo campo. Se non sei ideologizzato, come puoi occuparti di questi studi, che non tengono conto delle due cose basilari del sapere, ossia la realtà osservabile e la logica?
Art. 5 - Libri di testo e materiali didattici
«A decorrere dall’anno scolastico 2015/ 2016, le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado adottano libri di testo e materiali didattici corredati dall’autodichiarazione delle case editrici che attestino il rispetto delle indicazioni contenute nel codice di autoregolamentazione «Pari opportunità nei libri di testo» (POLITE)».
Anche in questo testo il genere domina e il sesso sparisce: 14 volte “genere”, 1 volta “sessi” (ma è in una frase subordinata al concetto di “identità di genere”). Cavallo di Troia è la frase “culture e competenze di ambedue i generi”.
Art. 6 - Copertura finanziaria
La copertura finanziaria non viene assicurata con nuove tasse, ma con la «riduzione complessiva dei regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale, di cui all’allegato C-bis del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98».
Minori detrazioni significa nuove tasse, ma i nostri parlamentari sono abili a giocare con le parole.
I cavalli di Troia e il vocabolario gender
Nel DDL Fedeli i cavalli di Troia per introdurre l’ideologia gender ci sono tutti: Pari opportunità (12 volte), Differenze (11 volte), Discriminazione (3 volte), Violenza [contro le donne] (8 volte).
Non si parla di “omofobia” per un motivo molto semplice: il DDL Fedeli lavora in sinergia col DDL Scalfarotto sulla cosiddetta omofobia. Ad esempio il DDL Fedeli non definisce la “identità di genere”, ma dà per scontata la definizione del DDL Scalfarotto: «identità di genere: la percezione che una persona ha di sé come uomo o donna, anche se non corrispondente al proprio sesso biologico».
Il vocabolario gender invade tutto il DDL Fedeli: Identità di genere (7 volte), Stereotipo, e varianti (18 volte), Decostruzione (2 volte), Sessismo, e varianti (5 volte), Ruoli stereotipati, ruoli non stereotipati (3 volte).
Sì, è un DDL molto pericoloso. Introduce dall’alto un linguaggio e una cultura che nelle scuole è già largamente presente, ma solo per “osmosi” attraverso la mentalità gender che gli insegnanti, come tutti, bevono da giornali e TV. Qui invece si passa all’indottrinamento obbligatorio su linguaggi e categorie di pensiero create da una piccola minoranza ideologizzata.
Giovanni Lazzaretti