L’Assemblea nazionale vota contro l’approvazione del «diritto umano di matrimonio egualitario». A Roma un popolo costituito da famiglie manda un segnale alla politica
In questi ultimi giorni si sono verificati due eventi significativi e inaspettati, che sono un segno di speranza che potrebbe cambiare il corso delle cose.
Il primo è un evento che è passato completamente sotto silenzio.
In Austria, il 18 giugno, l’Assemblea nazionale, che è l’organo legislativo della Repubblica austriaca, ha votato contro una proposta legislativa che intendeva concedere alle coppie gay e lesbiche «il diritto umano di matrimonio egualitario». Su 136 votanti, solo 26 hanno votato a favore, il resto dei rappresentanti, cioè 110, ha votato contro.
L’organo legislativo austriaco ha rigettato la proposta di delibera, con il voto contrario anche dei socialdemocratici, che erano stati, tra l’altro, i promotori dell’iniziativa legislativa.
È importante rilevare che la decisione dell’Assemblea nazionale austriaca è avvenuta proprio qualche mese dopo il rapporto del Parlamento Europeo in seduta plenaria del 12 marzo 2015, che incoraggiava le istituzioni Ue e gli Stati membri – pur non potendoli vincolare – «a contribuire ulteriormente alla riflessione sul riconoscimento dei matrimoni omosessuali e delle unioni dello stesso sesso come questione politica, sociale e di diritti umani e civili».
È significativo che l’organo legislativo austriaco nonostante l’incoraggiamento del Parlamento Europeo abbia ritenuto di non approvare i matrimoni egualitari e ciò che meraviglia di più è che questo esito sia avvenuto con una schiacciante maggioranza trasversale. L’Austria, peraltro, non può certamente essere considerato un Paese “omofobo”. La legislazione austriaca, infatti, dal 2010 riconosce ai partner omosessuali il diritto di costituire una partnership registrata; conseguenza di tale riconoscimento, tra l’altro, è stata la decisione della Corte Costituzionale, dell’11 dicembre 2014, che ha rimosso definitivamente il divieto di adozione per i partner omosessuali facenti parte di una partnership registrata. Nonostante tali aperture, però, l’organo legislativo austriaco ha deciso di non andare oltre; come mai? Come mai l’esito della votazione è stato così chiaro e insindacabile?
Quello che proviene dall’Austria è un forte segnale che dovrà far riflettere quei ben pensanti nostrani che sul piano dei diritti civili soffrono di un atavico complesso d’inferiorità con il resto dei Paesi europei, che ritengono più civili, solo perché il loro ordinamento riconosce dei diritti che sono in realtà degli autentici anti-diritti.
Quest’evento, tuttavia, dovrà essere motivo di riflessione, soprattutto per i nostri parlamentari, affinché guardino al vero bene dell’Italia, che non equivale certamente a trasformare desideri velleitari di pochi in presunti diritti.
L’altro evento avvenuto in questi giorni è stato il grande successo della manifestazione del 20 giugno a Roma, in piazza San Giovanni, che ha sorpreso più di qualcuno, tanto da indurlo a sostenere che il raduno di sabato scorso apre uno scenario inaspettato.
Chi ha mostrato sorpresa per tale evento è soltanto perché ignora che esiste un’Italia profonda, fatta di famiglie, che con i sacrifici di ogni giorno mandano avanti il Paese reale, che è radicalmente diverso da quello artificiale descritto dai mezzi di comunicazione e dalle speculazioni dei maître à penser.
Da oggi, si dovrà tenere conto di un popolo che vive di vita propria e non desidera sottostare al diktat del pensiero unico e del politically correct.
Tale popolo ha mostrato una reazione significativa all’omologazione totalitaria che la “dittatura del pensiero unico” sta perseguendo in modo sempre più aggressivo e capillare in ogni ambito della società.
Forti e potenti lobby culturali, politiche e finanziarie favoriscono, da tempo, una cultura che vuole propiziare l’edificazione di una società sempre più liquida, priva di punti di riferimento, profondamente individualista, deprivata di una base valoriale comune.
E, così, anche la comunicazione profonda tra le persone, basata su principi condivisi, ne risente e, ormai, diventa sempre più precaria.
Il malcelato intento delle lobby è, difatti, quello di indebolire, qualsiasi comunicazione condivisa di principi tra i consociati, tale da poter generare una reazione popolare; in definitiva, l’intento è quello di renderci sempre più delle monadi; appariamo vicini gli uni agli altri, ma non stiamo insieme, perché non ci deve legare alcuna base valoriale comune.
Queste forze, infatti, stanno perseguendo un’aggressiva decostruzione della struttura antropologica della società, con lo scopo, altresì, di propiziare la costruzione di un nuovo ordine mondiale, non rispettoso, però, della legge naturale.
Per perseguire tale obiettivo è usato il diritto come strumento per manipolare la realtà.
Il vero merito di quel popolo che sabato scorso è sceso in piazza è di essersi posto controcorrente a questa violenta colonizzazione ideologica, che vuole renderci tutti omologati, tutti sottomessi a una vincente e coinvolgente “democrazia totalitaria”.
Qualcuno potrebbe domandarsi: com’è stata possibile una tale reazione in una società che le forti lobby hanno in gran parte anestetizzato?
La risposta la troviamo nell’osservare quel popolo.
Il popolo che è sceso in piazza non è una massa amorfa, che casualmente si è ritrovato per una manifestazione colorata e folcloristica, ma è un popolo fatto di famiglie, costituite da nonni, padri, madri, figli, nipoti, che con sacrifici e per anni si sono preparate a propiziare un cambiamento di rotta della nostra nazione che si è incamminata, purtroppo, da tempo, verso un forte declino culturale e morale.
Tali famiglie, sono considerate un corpo estraneo dai cosiddetti maître à penser, che si meravigliano di come sia possibile, che dopo anni di bombardamento culturale di tipo relativista, possa esistere ancora un’opposizione che enunci e testimoni una base valoriale comune.
Qualcuno, come dicevo, ha paventato acutamente che dall’evento del 20 giugno potranno sorgere scenari inaspettati.
È vero! Il popolo che è sceso in piazza si è preparato per molto tempo e in modo silenzioso, per favorire una rinascita della nostra nazione, che sia rispettosa del bene umano oggettivo.
La manifestazione del 20 giugno è, infatti, soltanto l’inizio di una nuova stagione che si sta schiudendo davanti a noi e che mira a propiziare la costruzione di una società a misura d’uomo e secondo il piano di Dio; vale a dire di una società rispettosa di quella grammatica umana e sociale iscritta in ognuno di noi.
È molto forte, però, anche tra alcuni cattolici, la tentazione di cedere al mito illuminista di una storia lineare, pilastro della dittatura del relativismo, che presenta la verità come figlia del tempo e certi processi come irreversibili.
La storia, però, non ha nessun senso umano predeterminato e necessario – il suo unico senso è che Cristo ha vinto il mondo una volta per tutte –, le battaglie le vincono e le perdono gli uomini e le donne, e per il cristiano nessuna vittoria del male è ineluttabile o irreversibile.
Il cattolico che pensa diversamente è vittima, per dirla con papa Francesco, di quella «mondanità spirituale» che perde la fiducia in Dio e segue le vie e il consenso del mondo, e di quella disperazione storica che, come non si stanca di spiegarci il Pontefice, viene molto spesso dal diavolo.
L’evento austriaco e quello italiano ci confermano che non dobbiamo cedere allo scoraggiamento, la vittoria è nelle nostre mani e in quelle di Dio.
@GianCerrelli
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