giovedì 28 giugno 2012

Le staminali del futuro sulla ribalta



Il crimine è "malattia" Serve la giustizia? - Più si approfondiscono gli studi sul cervello, più diventa labile il concetto di «capace di intendere e volere». E c’è il rischio di un ritorno lombrosiano di Matteo Sacchi - 28 giugno 2012, http://www.ilgiornale.it

Delitto e castigo: la base del diritto. Ragione e azione: la base presunta della libertà umana. Volontà e pulsioni: la base della psicologia, come la conoscono i più. E questi tre binomi normalmente sembrano potersi sovrapporre abbastanza facilmente.
Ingrandisci immagineTant’è che per essere punibili di un delitto, in quasi tutti gli ordinamenti giuridici del mondo, bisogna essere considerati capaci di intendere e di volere, non sottoposti, durante la sua esecuzione, a cause di forza maggiore. Ecco perché se una persona in preda a uno stato allucinatorio picchia un vicino di casa credendolo Bin Landen finisce all’ospedale psichiatrico e non in prigione, o un cassiere di banca che apre la cassaforte sotto la minaccia di una pistola non è un ladro. Negli ultimi vent’anni però la possibilità di stabilire solidi confini, tra lucida volontà di far del male e pulsione incontrollabile, è diventata più labile. Un esempio noto agli esperti del settore: nel 1999 un tranquillo insegnante della Virginia, che mai aveva dato segni di comportamenti devianti, iniziò a molestare la figliastra. Venne immediatamente denunciato, condannato, allontanato dalla famiglia e dalla scuola. Ogni tentativo di riabilitazione all’inizio sembrò vano... Poi all’improvviso i medici gli diagnosticarono un tumore, comprimeva la parte destra del lobo frontale (zona del cervello dove si trovano le funzioni superiori di cognizione). Appena operato il suo carattere tornò normale, scomparvero le tendenze pedofile, scattò il senso di colpa... Tornò a casa. Meno di due anni dopo l’irrefrenabile impulso si presentò di nuovo. Fu un enorme trauma per la famiglia, però il professore si recò immediatamente all’ospedale... Il tumore era tornato, lo operarono di nuovo, «guarì» immediatamente.
Ma se in questo caso, grazie alle nuove tecnologie, la differenza tra sanità e malattia è immediatamente e (quasi) univocamente percepibile, in altri le nuove cognizioni provenienti dalle neuroscienze creano situazioni ambigue. Ci sono scienziati che cercano di dimostrare che la presenza di una variante genetica (localizzata nel gene MAOA) aumenta la propensione alla violenza.
Ma allora scatta il dilemma. Il giudice che deve fare? Considerare questa variante genetica un’attenuante, dare base scientifica alla frase di Dostoevskij: «Il criminale, nel momento in cui compie il delitto, è sempre un malato»? Oppure all’estremo opposto della scala del diritto «scietifizzato», dove si preferisce la sicurezza dei molti alla tutela dei pochi, si deve decidere che tutte le persone che hanno quella caratteristica devono essere sorvegliate o private del diritto di portare armi? Sono domande difficilissime e che per il momento non sfiorano la mente dei legislatori, spesso in tutt’altro affaccendati, però rischiano di diventare sempre più pressanti visto il ritmo del progresso scientifico... Ecco il senso del saggio di Andrea Lavazza (filosofo esperto di neuroscienze) e Luca Sammicheli (giurista e psicologo) intitolato Il delitto del cervello (Codice edizioni, pagg. 280, euro 15; sarà presentato oggi, alle 18, alla Feltrinelli di via Manzoni a Milano). I due hanno voluto indagare il complesso rapporto tra il diritto della società a difendersi dai criminali e ciò che ci dice la scienza sulla responsabilità del singolo. E i discrimini sono sottili.
Come spiega Andrea Lavazza: «La scienza ci dice che dobbiamo cambiare il nostro modo di intendere il libero arbitrio... Molti dei nostri processi cerebrali sono più automatici di quanto siamo soliti immaginare. Le nostre capacita decisionali molto meno razionali di quanto sembrino. Sono fattori in cui allo stato attuale delle nostre conoscenze il giudice deve decidere ancora caso per caso... non c’è ancora una giurisprudenza». Però esistono già dei rischi: «Sì, per come la vedo io gli scienziati troppo deterministi rischiano di riproporre teorie di stampo lombrosiano... o comunque di trascurare fattori come quelli ambientali nel delineare la propensione al delinquere».

Però entrambi gli autori, da scienziati, pur difendendo l’esistenza di ampi margini di autodeterminazione dell’individuo e rifiutando determinismi genetici, pensano che il diritto debba prepararsi a una corsa in avanti: «Se sulla genetica del cervello siamo agli inizi, in altri settori di studio siamo più avanti. Invece ciò che le persone pensano nella loro “psicologia ingenua” su come si determinino nel cervello i concetti di Bene e Male è rimasto legato a concetti vecchi... È inevitabile che il modo di giudicare cambi». Un esempio? Per Maometto a un ladro si tagliava la mano. Se qualcuno gli avesse spiegato l’esistenza della cleptomania magari ci avrebbe pensato su. Pare esistano molte cleptomanie che non siamo ancora abituati a vedere, ma i neuroscienziati iniziano a scorgerle... Forse anche la giustizia dovrà levarsi la benda e smettere di essere ceca.

DIETA MISTICA – Fonte di Mariapia Veladiano – La Repubblica, 28 GIUGNO 2012, http://www.dirittiglobali.it/

POLITICO, RELIGIOSO E PROFANO LE MILLE ANIME DEL DIGIUNO

Paradossale nell’età e nelle terre dell’opulenza il tempo speso a parlare di diete, a leggere libri di diete, ad acquistare “cibi senza” (grassi, zuccheri, calorie comunque) che costano più dei “cibi con”. A cercare la più “veloce”, a non temere dolori e allucinazioni. Diete-digiuno che ci seducono, parlano a qualcosa di profondo e insuperabile. Quanto tempo della nostra unica vita se ne va così?
In natura il digiuno non è una scelta. Può essere strategico: il letargo, per non disperdere le energie alla ricerca di cibo che d’inverno non c’è. Oppure necessario: si digiuna se non si trova di che mangiare. Oppure ancora è sintomo: non si mangia quando si sta male, nel corpo e nello spirito. E basta convivere con un animale da compagnia e lo si sa per certo che non solo di noi umani questo si può dire. Anche se un po’ bisogna intenderci sui termini.
Di certo tutti conosciamo l’inappetenza da dolore: inflitto, subito, temuto, pena d’amore.
Solo per noi uomini il digiuno può esser scelta. A volte strumento, drammatico, di protesta: dalle suffragette che rifiutavano il cibo per affermare il diritto di voto, ai digiuni per i diritti civili nei nostri anni ancora così segnati dall’ingiustizia.
Digiuno con valore politico e culturale e, spesso, strettamente culturale, legato alla religione: nella forma attenuata dell’astensione da alcuni cibi oppure in forme più radicali che hanno attraversato anche la storia del cristianesimo portandosi appresso un sospetto di patologia. Sì, perché il cibo è vita, benedizione,
salute, ospitalità, allegria condivisa, dono di Dio, Dio stesso addirittura. Il profeta Ezechiele che mangia il rotolo della Parola è sia realtà dell’uomo che assimila quel che Dio gli dà sia, visto dalla parte di Dio, un consegnarsi senza trattenere nulla di sé.
Per questo gli ordini monastici e la tradizione della chiesa sono sempre stati prudenti sul digiuno. Gli eccessi erano sospettati di autocompiacimento, di un voler accampar meriti davanti a Dio.
Oggi molte di quelle che chiamano diete somigliano a un laico, ostinato digiunare.
Certo che la dieta non è un digiuno, in senso stretto. O almeno non dovrebbe esserlo. È un mangiar corretto. Come un mangiar corretto doveva essere quello di Adamo ed Eva. Tutto tranne il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male. Dieta di salute spirituale, molto prudente. In realtà esercizio di fiducia in Dio: tutto bene è stato fatto nella creazione, possiamo fidarci di un divieto dal senso oscuro? La Bibbia è attraversata da cibi fatali. Se il frutto di Adamo ed Eva e il piatto di lenticchie di Esaù sono stati infausti, i pani e i pesci del Vangelo o la meravigliosa manna dell’Antico Testamento, che si trovava al mattino nella misura giusta e non si poteva conservare per il giorno dopo, ci raccontano invece la bontà del cibo, vero e metaforico. La libertà di saper vivere il giorno che ci è dato nella fiducia di un pane che viene.
La dieta di oggi sembra il contrario, un digiuno appunto che è un giocar d’anticipo per la paura del pane che non verrà. Forse perché non è venuto e temo che non verrà. Ho paura e allora lo rifiuto. Non verrà e allora non mi serve, angelo divento.
Certo che nel parlare di cibo oggi si deve essere prudenti, perché anoressia e bulimia sono malattie vere, che devastano il corpo e lo spirito, se stessi e gli altri.
Eppure, tutto intorno a questi abissi della malattia, c’è un collettivo “giocare con il pane” che, ci è stato detto fin da piccoli a tavola, non si fa, non si dovrebbe fare.
Ma quale pane? Il pane-cibo o il pane-affetto? Se il primo affetto per tutti noi passa attraverso la cura del corpo, e attraverso il cibo che lo fa vivere, quando questo manca allora il rifiuto del cibo diventa insieme rifiuto del corpo e protesta, potere con cui punire chi il cibo non ha dato. O non abbastanza, senza colpa, o non nel momento giusto, per incapacità o impossibilità.
Forse qualcosa di quel che è capitato alle “sante anoressiche”, secondo l’espressione di Rudolph Bell, può raccontarci un pezzo di noi. Il digiuno da “preghiera del corpo”, come era inteso dalla tradizione cristiana sia occidentale che orientale, diventa in loro un mezzo per esercitare il “potere attraverso il corpo”.
Il controllo del corpo era una delle pochissime forme di potere in mano anche alle donne in un tempo di guerre sante e santi poteri maschili. E infatti sono soprattutto le donne a praticare l’ascesi del cibo nella storia passata, e anche recente: da S. Caterina da Siena (muore nel 1380) a Teresa Neumann (muore nel 1962, dopo aver vissuto per 35 anni di solo pane eucaristico). Una scelta che sfiora il sogno di anticipare, nel corpo fatto sottile quasi come l’anima, la sua stessa incorruttibilità.
Forse le donne lo conoscono per natura il potere del corpo. Che possono esser mangiate lo sanno da sempre. Esser cibo senza che sia una metafora. Lo sanno ben prima che il corpo lo insegni con la maternità. Il trattenersi dal cibo le sottraeva a questa storia scritta, sia nella realtà che nella metafora.
Anche oggi un sogno anoressico accompagna consapevolmente tanti giovanissimi e inconsapevolmente un po’ tutti, senza più guardare al genere. Le diete-digiuno che ammiccano dalle classifiche dei libri, dai reparti light dei supermercati, dalle vetrine tutte taglie-mini dei negozi, ci raccontano un desiderio ormai nostro.
Forse ancora c’entra il potere, che non sappiamo ben più dove risieda, ma certo non in noi. E c’entra anche la fiducia, che non coltiviamo più, per paura. E certamente il corpo. Assillo presente oggi come nel medioevo. Una diversa, strumentale, malata, costruita e bugiarda devozione del corpo ci obbliga ancora. Corpo esibito, giudicato, rifatto, perfetto sennò rifiutato. Un’ossessione che ci rende giudicati e infelici. E allora forse proprio il corpo che ci occupa, invade l’esistenza fino all’ultimo interstizio, conquista il pensiero, ci impedisce la vita sociale, sempre visto con gli occhi degli altri e soppesato, non nostro, non alleato in quel che desideriamo, e noi a percepire ogni centimetro che deborda dalla cintura, dai pantaloni che pure vogliamo mettere stretti come tutti, proprio il corpo è il nemico. Un altro paradosso, e non solo del nostro oggi ma della vita tutta che è corpo in noi, di certo. Quale che sia la nostra speranza che ci porta oltre. Così il tempo della dieta in forma di digiuno diventa un tempo del bisogno dei bisogni, quello dell’affetto in forma di cibo, sentito potentemente e negato, per non sentirlo più un giorno. Fame d’amore, di esser visti, amati, riconosciuti. Di potersi fidare e affidare a un futuro di pane che c’è. La manna del credere. Ma se prevale la paura, ci resta allora il potere sul corpo. Pieni del proprio essere vuoti, nemici a se stessi per diventare forse finalmente amici, un giorno. Nella forma di una leggerezza sognata. E così, angeli diventiamo. Come le sante mistiche anoressiche. Leggerissimi da volare via.

Aborto, dopo 30 anni serve una riflessione condivisa



Controllo delle nascite, l'Onu frena. Forse


I diritti riproduttivi, minestrone indigesto


La parola salute in cinese


Usa ed Europa, fronte comune sulla vita



Sla, la speranza della scienza etica



Sla, staminali da un feto possono sconfiggerla, 28 giugno 2012, http://affaritaliani.libero.it

Per il momento e' solo uno studio di fase I, ma potrebbe preannunciare una svolta rivoluzionaria per curare la Sla: un'equipe di ricercatori italiani ha trapiantato per la prima volta al mondo in un malato cellule staminali cerebrali, sperando rallentino o frenino la morte dei motoneuroni, che porta alla paralisi dei pazienti. E' successo lunedi' scorso, ma la notizia e' stata diffusa solo oggi: l'equipe coordinata dal Prof. Angelo Vescovi, direttore dell'IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza di San Pio (San Giovanni Rotondo) e, per la parte neurologica, dalla Dr.ssa Letizia Mazzini Responsabile del Centro SLA dell'Ospedale Maggiore della Carita' (Novara), ha portato a termine il trapianto di cellule staminali del cervello umano nel midollo spinale del primo dei diciotto pazienti affetti da Sclerosi Laterale Amiotrofica, reclutato nel trial clinico di fase 1 autorizzato dall'Istituto Superiore di Sanita'.

A questo seguiranno gli interventi sui rimanenti pazienti, con cadenza inizialmente mensile. Il trapianto delle cellule, prodotte nella Banca delle Staminali Cerebrali di Terni e' avvenuto a opera dell'equipe di Neurochirurgia dello stesso ospedale, diretta dal Dr. Sandro Carletti, coadiuvato dal Dr. Cesare Giorgi e dal neurochirurgo Prof. Nicholas Boulis, della Emory University Clinic di Atlanta, Georgia. Grazie ad una tecnica tutta italiana, messa a punto nel 1996 da Vescovi, professore di biologia cellulare all'universita' Bicocca di Milano, e' stato quindi realizzato il primo trapianto al mondo che impiega cellule staminali cerebrali scevre da qualunque problematica etica, poiche' provenienti da un frammento di tessuto cerebrale prelevato daun singolo feto deceduto per cause naturali, utilizzando una procedura analoga a quella della donazione volontaria di organi negli individui adulti. Le cellule da questo donatore saranno sufficienti per l'intera sperimentazione e per quelle successive che la stessa equipe sta gia' organizzando su altre malattie neurodegenerative, in collaborazione anche con cliniche europee e statunitensi.

Il paziente affetto da SLA, dell'eta' di 31 anni, ha ricevuto tre iniezioni nel lato sinistro del midollo spinale lombare, ciascuna di un volume di 15 millesimi di millilitro, che contenevano in totale poco meno di due milioni e mezzo di cellule staminali cerebrali. Le cellule staminali sono state trapiantate in prossimita' delle cellule nervose chiamate motoneuroni, che nella SLA muoiono gradualmente, paralizzando progressivamente i muscoli, fino a causare la morte del paziente. Si spera che questo possa rallentare la morte dei motoneuroni e quindi la malattia. Il paziente si e' risvegliato dal trapianto in buone condizioni, respira autonomamente e le sue condizioni cliniche e psicologiche sono al momento piu' che soddisfacenti. Gli scienziati sottolineano che questa sperimentazione, come ovvio per una fase I, e' mirata specificamente a valutare la sicurezza delle procedure di trapianto e dell'innocuita' delle cellule. Non si tratta, quindi, di una cura per la SLA. La condizione clinica dei pazienti assoggettati a trapianto sara' monitorata nei mesi e anni a seguire documentando l'evoluzione della malattia. Questa e' la prima sperimentazione al mondo di questo genere di natura interamente filantropica e quindi non-profit, ed e' stataconcepita e sviluppata dall'Associazione Neurothon Onlus (www.neurothon.com), presidente Mons. Vincenzo Paglia Vescovo di Terni, e supportata, oltre che dagli enti sopracitati, dalla Fondazione Cellule Staminali (www.cellulestaminaliterni.it), presidente Prof. Enrico Garaci. Ulteriore e generoso supporto e' stato fornito dall'Associazione Pro Roberto Onlus di Gavoi (Nuoro), dalla Fondazione Stefano Borgonovo (Milano) e dalla Fondazione Milan A.C.

Editoriale: i pro life italiani giocano in difesa e la Corte Costituzionale salva la 194,  27 giugno 2012 Corrispondenza romana - http://www.corrispondenzaromana.it

(di Mario Palmaro) Erano in molti, fra gli storici oppositori alla 194 e all’aborto legale, a temere una sentenza di rigetto da parte della Corte Costituzionale italiana. E così è stato: la Consulta ha per l’ennesima volta rispedito al mittente un’eccezione di incostituzionalità alla legge 194. Chiamati a pronunciarsi dal giudice di Spoleto sulla costituzionalità della legge sull’aborto, i membri della suprema Corte hanno proseguito sulla linea piratesca tenuta da quando in Italia l’aborto è legale: evitare di entrare nel merito della legge, e così facendo renderla intoccabile.
Stiamo parlando di una legge che in 30 anni ha fatto 5 milioni di morti innocenti, abortiti a spese dello Stato negli ospedali pubblici. Ma questa strage non sembra turbare il sonno dei giudici, cattolici compresi, che in tutti questi lustri si sono susseguiti nella prestigiosa funzione di difensori della Costituzione e dei suoi principi. Qualcuno dovrebbe pubblicamente denunciare questa impressionante notte della coscienza, che impedisce in particolare ai credenti – ma anche i laici sono dotati di coscienza morale – di alzarsi e prendere le distanze da un’orribile legge di morte.

Esiste dunque una ormai consolidata, squalificante complicità della Corte Costituzionale nel garantire la sopravvivenza di una legge gravemente ingiusta, cioè di una “non-legge” in base alla dottrina del diritto naturale. Ma, detto questo, c’è un’altra fondamentale considerazione da svolgere, e cioè chiedersi che cosa è stato fatto in questi ultimi decenni in Italia, in termini culturali, politici e giuridici, dal cosiddetto mondo pro life ufficiale.

Tutti sanno, infatti, che la Corte Costituzionale è esposta a molteplici forme di pressione politica e culturale che ne orientano le decisioni. Questo avviene non solo in Italia. Negli Stati Uniti, ad esempio, la Corte Suprema fu l’artefice della legalizzazione dell’aborto quando, nel 1973, scrisse la storica sentenza Roe vs. Wade. Da quel giorno i pro life americani iniziarono una battaglia pubblica formidabile, che continua ancora oggi, condotta nelle piazze, nelle chiese, nelle aule parlamentari, nelle campagne per le presidenziali. Nessun esponente della cultura per la vita statunitense si è mai sognato di dire che «la sentenza Roe vs Wade è stata applicata male, ma in realtà era a favore della vita».

Nessun esponente del mondo pro life d’oltreoceano si è mai sognato di dire che l’importante è «garantire il diritto della donna di scegliere di non abortire». Nessun presidente della conferenza episcopale degli Stati Uniti si è mai sognato di dire a milioni di telespettatori che «noi la legge sull’aborto non vogliamo toccarla». In quarant’anni di aborto legale, i pro life americani – e non solo quelli americani – hanno sempre tenuto alto il livello dello scontro, ripetendo a chiare lettere: «stop abortion», cioè no all’aborto legalizzato.

Lo scenario italiano è sotto questo profilo totalmente diverso: da molti, da troppi anni, autorevoli esponenti del mondo cattolico e del mondo pro life hanno smesso di attaccare la legge 194, sostenendo che essa è una legge «che contiene parti buone»; che «va applicata tutta»; che «è stata applicata male»; che «non vogliamo cambiare o abolire la 194». Questo festival del compromesso politico ha generato un clima surreale, nel quale gli oppositori della legge sono rimasti un’esigua minoranza, censurata dagli stessi organi di informazione di area cattolica.

La pavidità della Corte Costituzionale è indubbiamente anche il frutto del progressivo processo di omologazione del movimento pro life in Italia. Alfredo Mantovano, in una coraggiosa intervista rilasciata a una giornalista intelligente come  Benedetta Frigerio di “Tempiˮ, ha usato un’immagine efficacissima per descrivere questo lento suicidio della cultura della vita in Italia: «il mondo pro life, confessionale e non, gioca in difesa». Mantovano lamenta nella stessa intervista di essere stato inascoltato dal Movimento per la Vita italiano, e conclude: «spero che chi preferisce giocare in difesa finalmente ci ripensi».

Dobbiamo dire con molta chiarezza che, per paradosso, i più preoccupati del ricorso del Giudice di Spoleto erano proprio gli ambienti cattolici compromissori: infatti, se la Corte Costituzionale avesse dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 4 della 194, ne sarebbe scaturito un terremoto politico e giuridico. Sarebbe sorto il problema di come riscrivere la legge sull’aborto, vietando almeno in parte ciò che oggi è permesso; ma per vietare occorre minacciare sanzioni per chi contravviene alla norma; e dunque sarebbe stato necessario riprendere in mano il tema della punibilità dell’aborto; ma una fetta importante del mondo cattolico e del mondo pro life non vuole nemmeno sentir parlare di “punibilità dell’aborto”.

Aggiungiamo che la cultura teologico-penalistica prevalente nel cattolicesimo contemporaneo disprezza la dottrina classica della retribuzione, e insegna che al delitto e al reato non si debba rispondere con una pena, appunto, retributiva, soprattutto di fronte a quei delitti che l’opinione pubblica considera ormai dei diritti. Così, su aborto, fecondazione artificiale, eutanasia, il Magistero della Chiesa esige dallo Stato il divieto e la sanzione; ma il mondo cattolico e pro life “ufficiale”, le conferenze episcopali e i loro giornali, predicano comprensione, perdono giuridico, assistenza sociale. In una parola: depenalizzazione.

Questa è, purtroppo, la sconcertante conclusione cui dobbiamo giungere oggi: il mondo pro life ufficiale vuole che lo status quo non sia modificato, vuole proseguire con le azioni – meritorie – di aiuto socio-economico-psicologico alla maternità; ma non vuole promuovere uno scontro pubblico culturale e politico intorno al principio di autodeterminazione della donna. La «scelta» è diventata il paradigma fondamentale di non pochi operatori pro life, seppure declinata nella versione della “scelta per la vita”.

Ecco perché, per paradosso, la non-decisione della Corte Costituzionale ha fatto tirare un sospiro di sollievo a quegli ambienti che, teoricamente, dovevano tifare per la dichiarazione di incostituzionalità.

Una piccola prova del nove: i giornali laici e abortisti hanno dedicato alla decisione della Corte moltissimo spazio, mentre “Avvenireˮ ‒ il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana – ha trattato il ricorso del Giudice di Spoleto con imbarazzata discrezione. Unica positiva eccezione, un (tardivo e forse riparatorio) editoriale di Francesco D’Agostino che domenica 24, molti giorni dopo la sentenza, criticava apertamente la legge 194 e la non-decisione della Consulta.

All’indomani della sentenza, invece, sempre sul giornale della Cei si poteva leggere una rassicurante intervista al Ministro della Salute Renato Balduzzi – in “quota cattolica” al Governo tecnico Monti – che diceva: «la legge 194 è una legge dello Stato, e quindi va applicata in tutte le sue parti». Titolo dell’articolo: «Balduzzi: applicare tutta la 194».

Ecco: questa è diventata la “linea” da tenere. E chi non la rispetta – come i 15.000 scesi in piazza a Roma per la Marcia Nazionale per la Vita – semplicemente non esiste. “Avvenireˮ ha censurato quella Marcia, così come continua a censurare chi, sull’aborto, vorrebbe provare a giocare all’attacco.

In uno scenario del genere, nessun giudice della Consulta alzerà la mano per dire “io non ci sto”. L’ultimo in ordine di tempo a farlo fu il Presidente della Corte, Antonio Baldassarre. Significativamente, non si trattava di un cattolico, ma di un laico coraggioso e onesto, in quota alla sinistra. (Mario Palmaro)

mercoledì 27 giugno 2012


In Italia è boom di baby-mamme. "Colpa della scarsa informazione" - Mercoledì, 27 giugno 2012 - http://affaritaliani.libero.it

Crescono le coppie infertili. Ma è boom di baby-mamme. Sembrerebbe un paradosso, ma non è così. Si è discusso proprio di questo all'Esc di Atene nel convegno organizzato dalla European Society of Contraception and Reproductive Health. E l'Italia occupa una posizione particolare in questo panorama, perché di figli se ne  fanno sempre meno e sempre più tardi.

Ma se le coppie adulte hanno problemi di fertilità, si sta assistendo nell'ultimo periodo a una grande crescita di gravidanze tra i giovani. Delle 360mila pillole del giorno dopo vendute in Italia, quasi il 55% viene utilizzato dalle under 20. Ogni anno sono circa 10mila le gravidanze indesiderate in questa fascia di età.

La causa? Secondo gli esperti alla base c'è una scarsa informazione in materia di contraccezione. Al convegno di Atene è stato ribadito che le false credenze a generare una scarsa adesione ai metodi contraccettivi. Per esempio, molte giovanissime credono che al primo rapporto sessuale non si possa rimanere incinta.

I dati, riportati da la Stampa, parlano però anche di una coppia su sette con problemi di fertilità. Anche per questo c'è un continuo aumento del numero di persone che si sottopongono in maniera ossessiva alle tecniche di procreazione medicalmente assistita. Dalle 46 mila coppie nel 2005 si è arrivati oggi a toccare quota 65 mila. Su questo influisce anche l'innalzamento dell'età media dei neo-papà e neo mamme, che oggi è intorno ai 31 anni di media.

Ci sono comunque altri fattori. Negli uomini, soprattutto, una delle cause principali dell'infertilità è uno stile di vita non corretto. La causa possono essere infezioni, varicocele, alterazionio ormonali e problemi di metabolismo. La vita sedentaria e un'alimentazione senza frutta incidono notevolmente. Secondo gli esperti, smettere di fumare e controllare il peso possono migliorare la situazione.

Consigliata prudenza anche pe rl'abitudine di tenere il computer portatile sulle gambe, anche se la correlazione tra questa azione e l'infertilità ancora non trova riscontro. Obesi e persone con varicocele hanno temperature elevate ai testicoli, più elevate di quelle dovute dai computer

Malato di Sla, sceglie di moriresuicidio assistito per l’ex assessore - Vittorio Bisso, esponente del Pdci veneziano, raccontò il suo male in Facebook. Il viaggio in una clinica svizzera: «Noi per lo Stato non esistiamo», Monica Zicchiero,27 giugno 2012©, http://corrieredelveneto.corriere.it

DOLO - L’annuncio è arrivato dal sindaco Maddalena Gottardo ieri alle 17, all’inizio del consiglio comunale. «E’ mancato un caro amico e una persona importante per la città, il consigliere dei Comunisti Italiani Vittorio Bisso», ha detto visibilmente provata. E’ rimasta nell’aria la notizia che tutti gli amici sapevano: Vittorio, 55 anni, era ammalato di Sla ed era partito lunedì per la Svizzera per porre fine alle sue sofferenze. Non aveva fatto mistero delle sue intenzioni, postate ciclicamente sul profilo Facebook dove lo seguivano parenti, amici e collaboratori. Lo scorso febbraio aveva raccontato alla sua città che non aveva intenzione di lasciare che il suo alito restasse attaccato ad un respiratore slegato dalla sua consapevolezza e dalla sua volontà e aveva scelto di spiegare la sua battaglia lo stesso giorno nel quale aveva nominato la moglie Marisa Piovesan amministratore di sostegno con un atto presentato dal suo legale, Massimiliano Stiz, al Tribunale di Dolo.

Bisso durante le cure
Nel documento anche il suo testamento biologico che scandisce la sua volontà: non subire «accanimento terapeutico». La moglie dovrebbe tornare oggi, per la cerimonia laica di commiato gli amici e compagni attenderanno qualche giorno. Ufficialmente, Vittorio è andato in una clinica in Svizzera. Punto. Suicidio assistito è espressione che non si pronuncia, neanche il suo avvocato Massimiliano Stiz parla di scelta di fine vita. La legge italiana non tollera certe iniziative, ma quella svizzera si adegua alle norme che prevedono di comunicare subito all’anagrafe delcomune di residenza il decesso di un cittadino straniero. Così ieri mattina la notizia è arrivata a Dolo e gli amici hanno postato su Facebook il loro saluto sulla sua bacheca. Nel suo profilo le info sono un testamento laico. Citazione preferita: «Voglio decidere io della mia vita…» e i puntini di sospensione dicono nella grafia ciò che è la sospensione a fine vita per alcuni destini. Destino non è la parola che Vittorio avrebbe scelto, «ateo e poi ateo» si definisce nel suo profilo sul social network, lui che si era fatto pure «sbattezzare perché era avvelenato dal fatto di non poter disporre della propria vita e aveva detto a tutti che non voleva finire intubato senza coscienza», racconta l’ex consigliere regionale Nicola Atalmi. Ma se non chiami destino il fatto che ti comunichino di essere ammalato di Sclerosi laterale amiotrofica praticamente lo stesso giorno in cui ti riconoscono la pensione anticipata per essere stato esposto all’amianto, allora bisogna dire sfortuna. Si può dire, ma è una parola che si pronuncia una sola volta nell’esistenza di chi si è messo sempre dalla parte degli ultimi, nel partito da sempre come assessore comunale allo Sport a Dolo, come consigliere in Provincia con la giunta di sinistra di Davide Zoggia, ancora consigliere a Dolo e un impegno nel gruppo di Comunisti Italiani in Regione fino alla scorsa legislatura.
Una volta sola, sfortuna, come a definire un dato di fatto, una constatazione, poi si va avanti. «Ha sempre affrontato con grande ottimismo la malattia - racconta il compagno mestrino di partito Francesco Di Cataldo - la sua passione erano le maratone e la motocicletta e ha continuato a correre finché ha potuto. Era sereno, si muoveva, si informava e si proponeva per ogni nuova sperimentazione, nuove terapie». La scorsa estate era stato in Thailandia per un trapianto di staminali, le foto su Facebook lo ritraggono in piscina durante la sua permanenza in ospedale. Nella galleria di immagini ci sono anche gli articoli di giornale nei quali reclama la possibilità di fare testamento biologico e le foto di atleti in lotta contro la Sla come Hemerson. Dopo l’estate la malattia ha preso il sopravvento, il lento fermo del corpo, i muscoli che non rispondono e a febbraio la decisione di nominare la moglie amministratore di sostegno.

L’associazione Luca Coscioni ha lanciato la sua denuncia sul testamento biologico: «Oggi è Vittorio Bisso malato di Sla che da Dolo, in provincia di Venezia, reclama inmodopubblico per sé, ma anche per tutti i cittadini, il diritto di poter decidere sul proprio fine vita attraverso il testamento biologico. Anche in Veneto non mancano i comuni che hanno voluto negare questo diritto lasciando inascoltate le richieste dei cittadini per l’istituzione del registro comunale dei testamenti biologici». «Vittorio è un uomo e un compagno che combattuto malattia con un coraggio invidiabile - sospira ora l’avvocato Stiz -. In questo Paese malattia e sofferenza sono all’ordine del giorno ma c’è un’ispirazione religiosa che muove il Parlamento che non sente la necessità di intervenire su questo tema che interessa chi soffre, ma la cosa non è nella sensibilità di chi governa. Vittorio ha vissuto in grande coerenza con i suoi principi, fino alla fine».


Cultura - 27 giugno 2012 – DIBATTITO - Geni & universo, un nuovo Tommaso? Andrea Galli, http://www.avvenire.it

Il problema della separazione tra sapere scientifico e riflessione teologica è uno dei temi che stanno più a cuore a Michael Heller, sacerdote e illustre cosmologo nato nel 1936 a Tarnow, in Polonia, membro della Pontificia accademia delle Scienze e della Specola vaticana. Insignito del premio Templeton nel 2008, Heller ha devoluto la somma di denaro ricevuta (un milione e seicentomila dollari) al nuovo Centro Copernico per gli studi interdisciplinari di Cracovia, che ha la scopo di formare personalità che sappiano superare lo iato tra fede e scienza.

E sempre da questo punto dolente prende avvio la stimolante intervista che ha rilasciato a Giulio Brotti, pubblicata dall’editrice La Scuola (Dio e la scienza) e anticipata ieri da "Avvenire". «Se la conoscenza scientifica è impresa di verità – ed in buona parte lo è, al di là delle inevitabili incompletezze del formalismo scientifico – non può essere ignorata o ridimensionata, semplicemente perché non si sa maneggiarla». Così Giuseppe Tanzella-Nitti, ordinario di Teologia fondamentale alla Pontificia Università della Santa Croce, oltre che ideatore del miglior portale in Italia su scienza e fede, Disf.org, commenta le dichiarazioni di Heller. «Si tratta di una preoccupazione che condivido e di cui ho parlato più volte con Heller, in diverse occasioni. La necessità di un dialogo più fruttuoso fra teologia e pensiero scientifico fu percepita con chiarezza da Giovanni Paolo II e, con linguaggio diverso, è stata espressa a suo tempo anche da Joseph Ratzinger, adesso da Benedetto XVI».


Gianfranco Basti, decano della facoltà di Filosofia della Pontificia Università Lateranense, dove insegna Filosofia della scienza, nota che «è rinascente, purtroppo, nelle nostre istituzioni accademiche ecclesiastiche una certa insensibilità – dopo il felice periodo degli scorsi vent’anni – verso la ricerca e la pratica scientifica, come se si potesse parlare sensatamente di scienza da parte di filosofi e teologi, senza aver mai, non dico fatto ricerca scientifica, ma neanche collaborato ad un progetto di ricerca scientifica, come invece il sempre più sterminato e multiforme campo della cosiddetta interdisciplinarietà oggi richiede, ma dove le nostre facoltà e istituti ecclesiastici, filosofici e teologici, sono sempre depressivamente assenti».


E sul rischio segnalato dallo scienziato polacco, ovvero che «una teologia disinteressata alle acquisizioni della scienza possa auto-relegarsi ai margini della vita culturale, in un futuro non distante», Basti è tranchant: «Credo che qui Heller pecchi di ottimismo: tutto questo già sta avvenendo sotto i nostri occhi. Quel futuro è già presente. Il grido di dolore di Heller verso una teologia e anche una filosofia delle nostre facoltà ecclesiastiche, fortemente tentate di ripiegarsi su se stesse a "parlarsi addosso" deve farci riflettere. Soprattutto perché le sfide oggi vengono non tanto dalla vera scienza e dai veri scienziati, ma dalla falsa divulgazione scientifica.

Si pensi, per esempio, allo sciocchezzaio mediatico su temi di cosmologia e di genetica di cui vengono sistematicamente nutrite le nostre famiglie, grazie alla televisione. Ma non saper distinguere fra falsa divulgazione scientifica e vera scienza è sintomo di quella mancanza di cultura scientifica che affligge l’Italia, e che è una delle cause del nostro declino, anche economico. Il fatto che, allora, in Italia, sempre gli stessi imbonitori laicisti tengano banco sui media quando si parla di scienza dipende anche e forse soprattutto dalla grave latitanza di pensatori cattolici in grado di porsi autorevolmente a fare da interfaccia fra laboratori e accademia scientifica, da una parte, e opinione pubblica dall’altra».


Registrata la spaccatura, altra questione è però l’impianto filosofico sui cui fare leva per superarla. Tanzella-Nitti ci tiene a sottolineare un fraintendimento in cui sembra cadere il cosmologo polacco: «Dobbiamo ricordare che Aristotele non è Tommaso, né il superamento della fisica aristotelica, al quale Heller fa riferimento nel passaggio in cui ricorda la nascita del metodo scientifico, vuol dire superamento della metafisica o della filosofia della natura. Le scienze della natura si poggiano implicitamente su una filosofia della natura e quest’ultima si poggia implicitamente su un’ontologia.

È probabilmente questo, ridotto all’osso, il suggerimento di Maritain ed è quello che Tommaso stesso ricorderebbe se potesse parlare il linguaggio dei nostri tempi. Il teologo ed il filosofo possono imparare molto dagli uomini di scienza, ma al tempo stesso possono anche aiutarli a riconoscere quella filosofia implicita senza della quale la scienza stessa non potrebbe lavorare. La scienza del XX secolo lo ha confermato, quando essa torna a percepire il "problema dei fondamenti", ad esempio in cosmologia e nella matematica, oppure quando percepisce l’irriducibilità della vita o l’insufficienza del riduzionismo. Personalmente ritengo che la metafisica di Tommaso d’Aquino, in particolare la filosofia dell’actus essendi e la sua dottrina della causalità, conservino ancora considerevoli virtualità per impostare correttamente il rapporto fra scienze, filosofia e teologia».


Per Basti, anche lui fine conoscitore di Tommaso, non è accettabile confondere costui con la neoscolastica: «Sebbene io sia perfettamente d’accordo con Heller che quello che serve alla teologia e in genere alla cultura è una filosofia completamente nuova, in continuità con la ricerca scientifica, e che affronti da un punto di vista diverso antiche questioni, non sono d’accordo col suo giudizio sulla filosofia tommasiana, da lui identificata con una particolare versione tomista di essa, quella di Jacques Maritain». Sulla strada da percorrere, poi, Basti ricorda l’importanza del filone a cui si è dedicato come pochi altri in Italia, ossia quello di una formalizzazione del discorso filosofico, più precisamente di un ’«ontologia formale» che abbia «basi logiche distinte e complementari da quelle della logica matematica, non correndo così il rischio di cadere nelle secche del riduzionismo neo-positivista».


Sergio Galvan, ordinario di Logica all’Università Cattolica di Milano, partendo dalla provocazione di Heller, sintetizza così la sua posizione: «Concordo apertamente sull’insufficienza dei modelli classici di analisi del rapporto tra fede e scienza. Il modello fideistico, da una parte e il modello neoscolastico, dall’altra». Quale può essere un modello soddisfacente alternativo ai due precedenti? «In accordo con la concezione espressa da Heller, ritengo che un modello epistemologico adeguato debba essere capace di interpretare le istanze di apertura presenti nella scienza e non debba avvallare un’immagine dualistica della realtà che si giustapponga a quella della scienza. In conformità a tale modello il sapere scientifico verrebbe per sua natura ad interagire con un sapere razionale di carattere metascientifico, entro il cui orizzonte sarebbero collocabili anche i contenuti di una fede teologica matura.

Entro il contesto di un simile modello troverebbero, infatti, probabile risposta le istanze di una fede ragionevole, in quanto ogni forma di sapere presuppone qualche forma di fede e, d’altro lato, una fede teologica vissuta e pensata in coesione con l’intero corpus delle proprie credenze razionali, anche scientifiche, sarebbe per ciò stesso ragionevole e quindi giustificata in misura adeguata».

Il razzismo è inciso nel nostro cervello - Così si scatena la paura del diverso



La guerra ai super-batteri




Il Cnr distratto sulla cultura umanista, Tullio Gregory, 27 giugno 2012, http://www.corriere.it

Il Cnr ha pubblicato il «Documento di visione strategica» per il prossimo decennio: documento importante nelle sue scelte e raccomandazioni, redatto da una commissione - nominata dal ministro Profumo - composta di 16 membri, dei quali due stranieri. In larga maggioranza autorevoli esperti delle cosiddette scienze dure, con un solo rappresentante delle scienze filologiche, storiche, filosofiche, Michel Gras, studioso francese di primo piano nel campo della ricerca archeologica: di questo «equilibrio imperfetto» il documento porta le conseguenze, come si vedrà.

Poiché il presidente Nicolais, presentando il Documento, ha auspicato che si apra un dibattito, cerchiamo qui di avviarlo.

Tra le proposte molto positive e innovative mi sembra da segnalare l'istituzione di Scuole internazionali di dottorato presso i Dipartimenti e le aree di ricerca Cnr: si avrebbero finalmente scuole con corsi regolari, di alta specializzazione, con laboratori e biblioteche, cosa che avviene raramente nelle università dove i dottorandi sono per lo più abbandonati a se stessi, al massimo affidati a un tutor, senza corsi regolari.

Molto spazio è giustamente dato alle tecnologie informatiche e al trasferimento tecnologico. Ma quando si passa alla definizione delle aree tematiche (differentemente presentate nel Documento e nella I appendice) ci si trova innanzi a un elenco piuttosto disordinato di buone intenzioni, di saggi consigli, che prescindono del tutto dal bilancio del Cnr (la spesa per le iniziative proposte non è mai quantificata) e soprattutto sembrano ignorare le ricerche in corso presso i vari Istituti. Siamo di fronte a programmi che potrebbero trovare forse spazio in una rinata Casa di Salomone, di baconiana memoria.

Già qualche perplessità desta la serpeggiante insofferenza per la ricerca di base, riconosciuta come caratteristica del Cnr, insistendo piuttosto sul rapporto con il mondo dell'impresa, che è come dire vincolare la ricerca a commesse esterne per un immediato utile economico, mettendo in crisi quelle attività che garantiscono il progresso del sapere, come già era posto in evidenza dal panel generale di valutazione.

In questa prospettiva non stupisce l'emarginazione delle discipline umanistiche: in tutto il Documento di 63 pagine, i cenni a queste discipline (accorpate nell'ambigua dizione «scienze sociali e umane e patrimonio culturale») se fossero raccolti tutti insieme non occuperebbero più di una pagina; delle stesse discipline si torna a parlare nella I appendice, occupando due pagine su quindici complessive. Si aggiunga che in tutto il Documento sono ignorate le ricerche storiche, filologiche, filosofiche, la cui presenza nel Cnr e il cui valore sul piano internazionale era stato messo in evidenza dal panel di valutazione dell'ente collocando al vertice, su 107 istituti, proprio i due istituti che svolgono ricerche in questo campo. Dato del tutto ignorato nel Documento che pur utilizza, per altri settori, le valutazioni del panel.

Peraltro, quando definisce le aree tematiche, il Documento propone per le scienze economiche, sociali e umane e il patrimonio culturale (inserite nell'area intestata alla «sicurezza e inclusione sociale») temi di una genericità significativa: «innovazioni sociali creative», «lotta contro il crimine e il terrorismo», «libertà di accesso a Internet», «sensori per stati di crisi», «coesione sociale», «pace», «legalità e sicurezza», «la rappresentazione dei beni», «l'eredità storica», «le strategie territoriali». Il tutto servito con affermazioni di assoluta ovvietà: «il patrimonio culturale va valorizzato», «il patrimonio culturale immateriale va incrementato».

Né maggiore chiarezza troviamo nella I appendice, dedicata alle aree tematiche, ove - ancora una volta ignorando settori di ricerca nei quali l'ente ha posizioni di prestigio - si indicano alcune priorità: per il patrimonio culturale, «conoscenza approfondita dei litorali», «turismo planetario, «miglioramento della rappresentazione e dell'immagine dei beni culturali, in relazione soprattutto alla persona umana e alla natura». Per le scienze sociali e umane le priorità sono: «cambiamenti demografici», «coesione sociale e culturale, legalità e sicurezza», «competitività del sistema economico», «pace», «pensare il futuro della città». Affermazioni tutte che si commentano da sole per la loro banalità.

Come spiegare questa disattenzione del Documento per le discipline umanistiche senza riaprire un inutile dibattito - del tutto privo di senso - sulle cosiddette due culture? Semplicemente ricordando l'endemica indifferenza, a volte diffidenza, di larghi settori del Cnr verso le discipline umanistiche (ammesse nell'ente cinquanta anni orsono) che, come ho avuto altra volta occasione di ricordare, sono state recentemente «compresse» dal nuovo CdA del Cnr in un unico Dipartimento, così da mettere insieme l'archeologia micenea con il diritto privato europeo, la psicologia con il restauro, la filologia classica con la sociologia industriale. Va anche riconosciuto che la prospettiva del Documento non differisce dalla politica del Miur e del Cipe (come si rileva anche dal Piano nazionale della ricerca 2011-2013), espressione del più miope aziendalismo, tutto volto al prodotto (tanto caro all'Anvur) vendibile sul mercato e valutabile con criteri «quantitativi» (oggi ampiamente criticati da tutte le grandi istituzioni scientifiche europee); di qui l'emarginazione della ricerca di base, scientifica e umanistica, e più ancora di una cultura che crei valori, non commerciabili ma essenziali per la crescita della società civile. Dimenticavo: il Documento auspica l'avvento di apostoli specialisti di «analisi bibliometriche» per «posizionare la ricerca del Cnr nell'ambito europeo ed internazionale»; per i direttori scientifici di dipartimenti e istituti richiede «esperienze gestionali e manageriali», come vuole l'Anvur per i professori universitari, con i noti risultati.

I tagli alla Sanità così logici che forse non li vedremo neanche stavolta


Solo magre consolazioni





Algoritmi voce spia diagnosi Parkinson - Matematico cerca 10mila volontari nel mondo, 26 giugno, http://www.ansa.it

 (ANSA) - MILANO, 26 GIU - Il morbo di Parkinson potra' essere diagnosticato dalla voce del malato. Il matematico Max Little, infatti, ha messo a punto un test non invasivo ed economico per rilevare la malattia, che funziona tramite algoritmi informatici che analizzano la voce registrata. Il sistema e' stato presentato in occasione della TedConference in corso a Edimburgo, come riporta la Bbc. Il sistema messo a punto da Little, un database, 'impara' a rilevare le differenze nella voce.

NON C'È SVILUPPO VERO SENZA DOTTRINA SOCIALE - Una riflessione sui risultati della conferenza internazionale Rio +20 di Carmine Tabarro Comunità Cattolica Shalom

 ZI12062616 - 26/06/2012
Permalink: http://www.zenit.org/article-31413?l=italian

ROMA, martedì, 26 giugno 2012 (ZENIT.org).- La crisi di cui si è discusso a Rio+20 è figlia a quella di cui si parla al G20: difatti anche Rio+20 è frutto di un modello di sviluppo che non tiene in considerazione il bene comune ne dal un punto di vista economico, finanziario, sociale e ambientale.
Invece il mondo globalizzato ha bisogno di un nuovo modello fondato sulla sostenibilità rispetto dell'uomo e del creato.
A distanza di 20 anni dal Earth Summit di Rio del 1992, i dirigenti del mondo politico ed economico si sono ritrovati nella stessa città per una conferenza mondiale sullo Sviluppo Sostenibile, denominata Rio+20, con la missione di riprendere il cammino per promuovere lo sviluppo senza danneggiare l’ambiente e cercare nuove strategie per il perseguimento di uno sviluppo sostenibile a livello globale.
Purtroppo, lo sviluppo sostenibile viene declinato solo dal punto di vista ambientale, dimenticando come affermava già Paolo VI nella sua Populorum Progressio, "tutta la Chiesa, in tutto il suo essere e il suo agire, quando annuncia, celebra e opera nella carità, è tesa a promuovere lo sviluppo integrale dell'uomo" e tale "autentico sviluppo dell'uomo", quando avvenga con le modalità su dichiarate, "riguarda unitariamente la totalità della persona in ogni sua dimensione".
Questa affermazione di Paolo VI suggerisce una prospettiva di lungo periodo, ma questa cultura della sostenibilità non è stato valutata dai policy-makers una priorità assoluta nell'agenda politica dia fronte di problemi economici ritenuti più urgenti.
In maniera profetica Paolo VI sempre nell'enciclica Populorum Progressio ricorda in tal senso che le Istituzioni in sé non sono garanzia di sviluppo, benessere e rispetto dell'uomo.
Difatti l'attuale recessione mostra quanto sia vero che le Istituzioni non sono state in grado né di dare vita ad una sostenibilità dello sviluppo, né di garantire uno sviluppo durevole. Questo è il problema che incide in maniera preponderante sulla salute del sistema economico globale.
Questo squilibrio ha provocato una riduzione tendenziale della domanda aggregata delle famiglie ed un conseguente rallentamento del tasso di crescita dell’economia nei paesi industrializzati.
La riduzione sistemica della domanda aggregata delle famiglie è stata in parte compensata dal crescente indebitamento delle stesse e da un impetuoso processo di finanziarizzazione che ha accresciuto progressivamente il contributo del settore FIRE (Finance, Insurance and Real Estate) alla formazione del reddito.
Il FIRE, dapprima ha sottomesso la politica e nonostante una legislazione mondiale di favore, non è riuscita a mantenere il tasso di crescita tendenziale dei paesi industrializzati al livello del periodo di Bretton Woods (1945-1971), dominato da una politica economico-sociale di tipo Keynesiano, ed hanno messo a repentaglio la stabilità finanziaria del sistema mondiale.
A sua volta la crisi finanziaria ha deteriorato considerevolmente gli indici di sostenibilità ambientale, economica, sociale, in un circolo vizioso che rischia di propagarsi per un lungo periodo di tempo.
Ma la crisi non sarebbe forse neppure iniziata se come ha scritto Benedetto XVI nel n. 67 dell’enciclica Caritas in veritate, si fosse dato vita ad un "governo dell'economia mondiale; per risanare le economie colpite dalla crisi, per prevenire peggioramenti della stessa e conseguenti maggiori squilibri; per realizzare un opportuno disarmo integrale, la sicurezza alimentare e la pace; per garantire la salvaguardia dell'ambiente e per regolamentare i flussi migratori, urge la presenza di una vera Autorità politica mondiale, quale è stata già tratteggiata dal mio Predecessore, il Beato Giovanni XXIII. Una simile Autorità dovrà essere regolata dal diritto, attenersi in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà, essere ordinata alla realizzazione del bene comune, impegnarsi nella realizzazione di un autentico sviluppo umano integrale ispirato ai valori della carità nella verità".
Ne è prova il picco del prezzo del petrolio del luglio 2008 non dovrebbe essere interpretato come un fenomeno casuale, ma come l’indice di un sistema energetico insostenibile basato sull’uso dei combustibili fossili che hanno vincoli di scarsità stringenti e sono i principali responsabili dell’inquinamento atmosferico e dei danni conseguenti all’alterazione della qualità dell’aria.
Inoltre, anche tenendo conto delle fonti di petrolio non convenzionali, la maggior parte degli studi esistenti prevedono che l'offerta di petrolio sia destinata a raggiungere negli anni a venire il picco della cosiddetta curva di Hubbert per poi cominciare a decrescere nel tempo.
In assenza di provvedimenti urgenti e massicci che accelerino la transizione ad un sistema energetico alternativo basato sulle fonti di energia rinnovabile, il prezzo del petrolio sarà presumibilmente un ostacolo insormontabile alla sostenibilità della ripresa economica.
Nonostante il cattivo giudizio espresso dalle associazioni ambientaliste, siamo convinti che bisogna guardare avanti con coraggio e speranza.
E’ molto positivo il punto di vista della Santa Sede che invece è riuscita nell’intento di separare le politiche di salvaguardia del creato dall’imposizione di programmi per la riduzione delle nascite.
Nel documento finale ci sono punti positivi sicuramente apprezzabili, come l’affermazione che l’uomo è il centro dell’economia e anche la definizione di ciò che va meglio compreso come l’economia sostenibile.
I tre punti di riferimento sono: lo sviluppo economico in quanto tale, lo sviluppo sociale che pone l’uomo, l’essere umano nel centro della preoccupazione e che l’economia sostenibile sia anche ecologicamente sostenibile, quindi che abbia sempre in considerazione anche l’ecosistema.
Altro dato positivo di questa Conferenza è stata la presenza di circa 190 rappresentanti di Paesi. Questo testimonia un crescente interesse della comunità internazionale sulle tematiche ambientali e dei vecchi e nuovi beni comuni. Questo fa cultura contribuisce a cambiare gli stili di vita.
Il rammarico nasce per l’assenza di alcuni capi di Stato, di Paesi importanti come la stessa Italia, gli Stati Uniti, il Giappone... I maggiori protagonisti sono stati i Paesi in via di sviluppo, sempre più leadership nel campo dei temi globali.
Un ruolo importante è stato svolto anche dalla Santa Sede, in cui sono stati ribaditi tutti i temi del Magistero Papale e in particolare di Benedetto XVI. E’ stato riaffermato il significato autentico del progresso come vocazione umana, un appello trascendente cui l'uomo non può e non sa rinunciare: in tal senso nascerebbe l'esigenza di coniugare la tecnica al suo significato.
Lo sviluppo umano integrale come vocazione esige anche che se ne rispetti la verità. La vocazione al progresso spinge gli uomini a “fare, conoscere e avere di più, per essere di più”; e, in tal senso, la Dottrina sociale della Chiesa ha il pregio di essere il viatico per questa affermazione integrale dello sviluppo umano.
Il Vangelo sarebbe elemento fondamentale dello sviluppo, perché in esso Cristo, “rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l'uomo all'uomo”. Infatti, “quando Dio viene eclissato, la nostra capacità di riconoscere l'ordine naturale, lo scopo e il bene comincia a svanire”.

martedì 26 giugno 2012

Il robot trapianta un fegato - E lo fa da solo




La mano bionica comandata dal cervello


La mano bionica comandata dal cervello


Il Primo Trapianto Fatto da Robot - La chirurgia per nativi digitali


Il Campus Bio-Medica fra i grandi del biotech



Decifrati a Bari i segreti del piccolo genoma dimenticato, 26 Giugno 2012, http://m.lagazzettadelmezzogiorno.it/

Partendo da frammenti di sequenze genomiche prodotte per tutt’altro scopo, è possibile recuperare le informazioni necessarie a ricostruire in maniera pressoché completa il genoma mitocondriale, ovvero il Dna di quegli organelli che rappresentano la «centrale energetica» delle cellule e che hanno un patrimonio genetico indipendente da quello nucleare racchiuso nei cromosomi. L’innovativa metodica bioinformatica è stata messa a punto da Ernesto Picardi e Graziano Pesole, rispettivamente ricercatore e direttore dell’Istituto di biomembrane e bioenergetica del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibbe-Cnr) e docenti di Biologia molecolare del dipartimento di Bioscienze, biotecnologie e scienze farmacologiche dell’Università di Bari. I risultati sono pubblicati sulla rivista «Nature Methods».

«Il genoma mitocondriale, questa piccola molecola di Dna, è rimasto finora quasi ignorato dai ricercatori che si sono dedicati al sequenziamento dell’esoma, ovvero delle regioni di Dna codificanti per proteine, allo scopo di trovare mutazioni associate a malattie genetiche», spiega Pesole. Questa «caccia» alle mutazioni finalizzata alla ricerca di possibili terapie ha portato quindi all’elaborazione di protocolli sperimentali che non contemplano tutte le informazioni disponibili e necessarie, come quelle riguardanti il Dna mitocondriale e il suo contributo nella patogenesi di molte malattie genetiche.

«Quello dei mitocondri costituisce circa il 2% del Dna cellulare e assolve funzioni di importanza vitale», prosegue il direttore dell’Ibbe-Cnr. «Mutazioni del genoma mitocondriale sono responsabili di malattie gravissime che compromettono la funzionalità del sistema muscolare e nervoso o che sono associate a processi di invecchiamento e tumorigenesi. Le malattie cosiddette mitocondriali, come la sindrome di Leigh, di Kearns-Sayre, di Pearson o diverse encefalopatie e neuropatie, hanno un’incidenza media di 1/4000, colpiscono soprattutto bambini e si distinguono per il fatto che, come il Dna mitocondriale, sono ereditate esclusivamente per via materna».

L’avvento delle piattaforme di sequenziamento di nuova generazione, pur determinando una trasformazione epocale nella ricerca biomolecolare, richiede l’elaborazione di strategie che consentano l’interpretazione biologica dell’enorme mole di dati prodotti. In questo ambito, la metodologia messa a punto dai ricercatori del Cnr e di Uniba, che consente di ricostruire l’intero Dna mitocondriale utilizzando l’enorme mole di dati di sequenziamento massivo già esistenti per moltissime patologie, apre un nuovo orizzonte per la ricerca sulle malattie genetiche.

«Sarà possibile, infatti - conclude Pesole - studiare il coinvolgimento del genoma mitocondriale in centinaia di malattie di cui non si conoscono il gene o i geni responsabili. Questo porrà le basi per la predisposizione di nuovi protocolli, sia diagnostici che prognostici, e per l’applicazione di nuove strategie terapeutiche». [r. sc.]

I GIUDICI CANADESI IMPONGONO L'EUTANASIA - Il parlamento avrà un anno per approvare la legge di padre John Flynn LC

 ZI12062511 - 25/06/2012
Permalink: http://www.zenit.org/article-31388?l=italian

ROMA, lunedì, 25 giugno 2012 (ZENIT.org) – Venerdì 15 giugno la Corte Suprema della provincia canadese della Columbia Britannica ha stabilito che l'attuale legge che proibisce il suicidio medicalmente assistito, è illegittima.
Al parlamento è stato dato un anno per abbozzare una nuova normativa che permetta l'eutanasia, sebbene il governo abbia l'opzione di appellarsi alla Corte Suprema federale canadese.
La sentenza è relativa a un caso portato in tribunale da Gloria Taylor, una donna sofferente di Sclerosi Laterale Amiotrofica.
La sentenza è stata accolta favorevolmente da taluni, tra cui Grace Pastine, dell'Associazione per le Libertà Civili della British Columbia, che ha definito il provvedimento “una grande vittoria per i diritti individuali sul fine-vita” (cfr. Globe and Mail, 15 giugno 2012).
Il verdetto del giudice Lynn Smith è stato descritto dal National Post come “basato sulle nuove interpretazioni della Carta dei Diritti e delle Libertà”, ha scritto Brian Hutchinson, il giorno della sentenza.
Due anni fa, ha osservato il giornalista, un progetto di legge personale con l'obiettivo di legalizzare il suicidio assistito è stato sconfitto 228 a 59. “Ma il parlamento eletto dal popolo non può competere con le Corti; la Carta solitamente prevale”, ha commentato.
Il giudice Smith ha anche stabilito che Taylor godrà dell'esenzione dalle leggi attuali, ovvero non dovrà attendere che il parlamento approvi la nuova legge, se la paziente desidera morire.
La bioeticista Margaret Sommerville descrive la sentenza come “una pessima idea ed un passo indietro per il Canada e i valori, l'etica e la legge canadesi” (cfr. Globe and Mail, 16 giugno 2012).
Violare il tabù
“Legalizzare il suicidio assistito/eutanasia significa violare il tabù secondo il quale non dobbiamo uccidere intenzionalmente, salvo quando farlo sia il solo ragionevole modo per proteggere la vita umana”, ha spiegato Sommerville.
La bioeticista ha anche spiegato che ci sono serie preoccupazioni riguardo l'abuso di eutanasia, in particolare per i più anziani, in un momento in cui il governo e gli ospedali sono sotto pressione per le crescenti richieste.
Perché, piuttosto, si è domandata Sommerville, non alleviare il dolore ed assistere i morenti, facendoli sentire dignitosi e rispettati?
La decisione della Corte di spazzare via la legge contro l'eutanasia “riflette tristemente una distorta visione dei diritti d'uguaglianza che enfatizzano l'autonomia sulla dignità umana e il valore della vita”, ha dichiarato l'Arcivescovo di Vancouver, J.Michael Miller, lo scorso 16 giugno.
“Abbiamo già percorso questa strada parecchie volte nel mondo e tutte le garanzie inizialmente poste, sono state liquidate, ignorate o addirittura dispensate”, ha detto il presule. “Il risultato è che l'eutanasia non è dannosa solo alle vite che si prende ma anche a chi se le prende”, ha aggiunto.
La Conferenza Episcopale Canadese ha deplorato la decisione, in un comunicato diffuso lunedì scorso.
I presuli canadesi hanno citato il Catechismo della Chiesa Cattolica (2280) che afferma: “Siamo amministratori, non proprietari della vita che Dio ci ha affidato. Non ne disponiamo”.
Ci troviamo di fronte a una opzione fondamentale, proseguono i vescovi: “Mostriamo preoccupazione per i malati, gli anziani, gli handicappati e i vulnerabili, incoraggiandoli a suicidarsi o uccidendoli deliberatamente con l'eutanasia? O, piuttosto, edifichiamo una cultura della vita e dell'amore in cui ogni persona, in ogni momento e in tutte le circostanze della propria vita, è valorizzata come un dono?”.
Difendere, non essere complici
Scrivendo sul National Post dello scorso 18 giugno, Will Johnston ha fatto notare che: “la Carta ha lo scopo di difenderci contro le violazioni perpetrate dallo stato, non quello di rendersi complice di lesioni autoinflitte o della morte”.
Nelle campagne contro la pena di morte, Johnston osserva che un argomento è che spesso vengono commessi errori e muoiono degli innocenti. Eppure non possiamo essere sicuri che non saranno commessi errori con l'eutanasia, specie con persone colpite da depressione. Inoltre, in alcuni paesi che hanno legalizzato l'eutanasia, le norme che la regolano sono spesso ignorate.
Gli ospedali olandesi hanno ammesso l'eutanasia a bambini con deformità e a persone con disturbi mentali ed incapaci di dare il consenso informato, sottolinea la columnist del Toronto Star, Rosie DiManno. “Il pendio scivoloso non è un'esagerazione; è la natura umana”, ha osservato.
Il bicchiere mezzo pieno
Non tutte le notizie recenti sull'eutanasia sono negative. Sempre il 15 giugno è stata emessa un'altra sentenza da parte del giudice di un'Alta Corte inglese, Peter Jackson, su una donna sofferente di una grave forma di anoressia e desiderosa di morire, obbligata ad alimentarsi.
“Viviamo una sola volta – una volta nasciamo e una volta moriamo – e la differenza tra morte e vita è la più grande differenza che conosciamo”, ha scritto Jackson nella sua sentenza.
Nel frattempo in Svizzera, più di 100 delegati di organizzazioni per il diritto alla morte si sono radunati a Zurigo per il Congresso della Federazione Mondiale delle Società per il Diritto alla Morte, tenutosi dal 13 al 16 giugno.
Successivamente, il 17 giugno, gli elettori del cantone svizzero di Vaud hanno approvato una legge che regola l'eutanasia.
Le nuove norme si propongono di contrastare una iniziativa dell'organizzazione pro-eutanasia Exit, che è andata oltre garantendo alle persone ricoverate in strutture sanitarie, il diritto incondizionato a morire. Gli elettori hanno comunque rigettato la proposta di Exit.
Una cosa è certa: la battaglia sul suicidio assistito proseguirà ancora per vari anni.
[Traduzione dall'inglese a cura di Luca Marcolivio]

Teologi, andate a lezione di scienza




Fecondazione in vitro,giovani a rischio - Hanno piu' possibilita' di sviluppare un cancro al seno, 25 giugno, 2012, http://www.ansa.it

 (ANSA) - MELBOURNE, 25 GIU - Le giovani donne che ricorrono alla fecondazione in vitro avrebbero maggiori possibilita' di sviluppare un cancro al seno rispetto a quelle che optano per altri trattamenti di fertilita'. E' quanto emerge da uno studio dell' Universita' della Western Australia pubblicato sulla rivista "Fertility and Sterility", che ha coinvolto 21mila pazienti. Le donne giovani, secondo la ricerca, sarebbero esposte a più alti livelli di estrogeni durante i cicli di trattamento per la fecondazione in vitro.

“Il buon medico è obiettore”, parla Renzo Puccetti - Avviata la campagna UCCR in difesa della libertà di coscienza – 25 giugno, 2012, http://www.uccronline.it/

Come abbiamo già informato, il 6 giugno 2012 la Consulta di Bioetica Laica (già nota per altre vicende) ha avviato una crociata contro il diritto dei medici di essere obiettori di coscienza nei confronti dell’interruzione della vita dell’essere umano nella prima fase della sua esistenza (tecnicamente “aborto”). L’intollerante campagna è stata chiamata “Il buon medico non obietta”, e ha il chiaro intento di debellare l’obiezione di coscienza dei medici (grande ospitalità sui media e volantinaggio fin dentro gli ospedali).

UCCR ha voluto contattatare alcuni medici, giuristi ed esperti di bioetica per chiedere loro un parere su questa azione intimidatoria verso la libertà di coscienza

Il dott. Renzo Puccetti, è specialista in medicina Interna, membro della Research Unit della European Medical Association, referente per l’area bioetica della società medico-scientifica interdisciplinare Promed Galileo e socio fondatore dell’Associazione Scienza & Vita. Ha cortesemente risposto così ad alcune nostre domande:

“Dott. Puccetti, perché lei ha deciso di essere obiettore di coscienza?”
«Perché è la cosa più naturale che il medico non uccida gli esseri umani, così come è naturale che un ingegnere non progetti ponti destinati a crollare. La parola “medico” deriva dal sanscrito “madh” che indica colui che che sa e colui che cura. Questo è il medico, colui che cura perché sa farlo. L’aborto è l’uccisione di un essere umano su indicazione di un altro essere umano che stabilisce la diagnosi e che indica al medico come unica cura detta uccisione; beh, credo sia difficile negare che l’aborto abbia davvero poco a che fare con la vera medicina, per questo, appena laureato, scrissi al medico provinciale, allora si faceva così, la mia dichiarazione di obiezione di coscienza, una scelta che non mi ha portato alcun beneficio economico o di carriera, ma che ha portato un enorme beneficio alla mia coscienza.»

 “Cosa ne pensa di questi tentativi di limitare la libertà del medico, obbligandolo a compiere azioni contro la sua coscienza?”
«Sono la sostanza feroce che si cela dietro l’apparenza melliflua del buonismo relativista. Da un lato la bioetica relativista adotta il dogma dell‘assenza di verità ed il conseguente precetto assoluto che tutto è buono, purché liberamente scelto, ma dall’altra questa stessa bioetica si fa latrice di un attacco alla libertà di dire “no” di fronte a determinate richieste come quella di abortire. C’è qualcosa d’incoerente in tutto questo; sbaglierò, ma ho l’impressione che abbia a che fare con l’odio per colui che si sottrae alla logica del “tutti partecipi, tutti d’accordo, nessun misfatto, tutto è bene”, forse il medico obiettore disturba questo disegno.»

“I medici obiettori sono accusati di non essere dalla parte della donna, cosa ne pensa lei?”
«Questa è la più grossa sciocchezza sotto il profilo scientifico. Abbiamo una mole di dati a questo proposito. È stato dimostrato dallo studio STAKE, una valutazione di tutte le donne in Finlandia per un periodo di oltre 14 anni, che la mortalità totale delle donne che abortiscono ad un anno dall’evento è tre volte maggiore rispetto a quella delle donne che danno alla luce un figlio. È stato dimostrato sia dall’American Psychiatric Association che dal British Royal College of Psychiatrists che l’aborto non offre nessun beneficio effettivo in termini di salute mentale per la donna, l’aborto è cioè sotto questo profilo un intervento futile. Infine è da poco uscito su PlosOne, una delle riviste ad impatto scientifico più alto, uno studio che sfata un altro mito, quello per cui attraverso la legalizzazione dell’aborto si riduce la mortalità materna, cioè la mortalità entro 14 giorni dal termine della gravidanza: l’analisi condotta su 50 anni di mortalità materna in Cile ha mostrato che la proibizione legale dell’aborto ha condotto ad una riduzione delle donne morte. Per questi fatti, per delle evidenze scientifiche, posso affermare con serenità che la contrarietà all’aborto significa essere dalla parte delle donne.»

“Perché secondo lei ci sono così tanti medici obiettori (80% in Italia, 86% negli Usa)?”
«Ci sarebbe da stupirsi del contrario. Affermare che il buon medico non obietta significa sostenere che i medici obiettori non sono buoni medici? Se così è si tratta di un’affermazione offensiva nei confronti della quale sarebbe interessante valutare i profili di responsabilità legale. Significa che l’aborto è un bene perché è legale? Ma allora anche l’obiezione è legale, allora perché attaccarla? Forse la stragrande maggioranza dei medici non effettua né partecipa agli aborti perché la scienza ci ha dimostrato chiaramente che dal momento della fecondazione si è in presenza di un essere umano vivente unico ed irripetibile, cioè di un valore incondizionato, una preziosità che la maggioranza dei medici intende quale propria missione tutelare e non sopprimere.»