lunedì 31 ottobre 2011

Brain Imaging per la comunicazione dei pazienti in stato vegetativo di Cristina Gandola, GIOVEDÌ 25 MARZO 2010 18:16 - http://www.scienzenews.it

E' possibile che le persone in stato vegetativosiano più coscienti di quanto si pensasse. Recenti studi hanno usato la risonanza magnetica funzionale per mettere in evidenza che alcuni tra questi pazienti sono in realtà capaci di pensare e di comunicare. Si aprono quindi nuove opportunità per tutti i malati prima considerati totalmente incoscienti.
Lo studio, pubblicato sulla rivista New England Journal of Medicine (NEJM), è stato condotto da due team di ricercatori presso Cambridge in Inghilterra e Liegi in Belgio che hanno dimostrato come alcuni pazienti in stato vegetativo riuscissero a pensare in risposta ad uno stimolo. In particolare uno tra questi pazienti è stato capace di rispondere “si o no” in modo corretto ad una serie di domande.
L'interpretazione delle risposte è stata possibile grazie all'impiego delle tecniche di brain imaging.
Il brain imaging o neuroimaging include tutte le tecniche di analisi del cervello sia in caso di stati patologici sia durante il suo normale funzionamento.
Le tecniche non sono invasive e permettono di ottenere immagini "in vivo" quindi rappresentano un valido strumento sia per la prevenzione e la diagnosi delle patologie neurologiche sia per il miglioramento delle conoscenze mediche e scientifiche.
Le tecniche di brain imaging includono ad esempio latomografia ad emissione di singolo fotone (single photon emission computerized tomography - SPECT), latomografia ad emissione di positroni (positron emission tomography - PET), la risonanza magnetica funzionale(functional magnetic resonance imaging - fMRI) e lamagnetoencefalografia (magnetoencephalography – MEG).

I pazienti in stato vegetativo sono spesso difficili da trattare principalmente perché non sono disponibili strumenti diagnostici adeguati per queste particolari condizioni cliniche. La diagnosi differenziale di questo tipo di disturbi porta spesso ad errori con una percentuale pari al 40% di diagnosi sbagliate.

I recenti sviluppi delle tecnologie in ambito medico risultano quindi fondamentali per migliorare la capacità diagnostica e di conseguenza la qualità della vita dei pazienti in stato di incoscienza. Si tratta di nuovi metodi che andranno ad affiancare gli attuali strumenti diagnostici in tutti quei casi in cui il malato mostra esteriormente una ridotta capacità di effettuare comportamenti coscienti.
Numerose condizioni di incoscienza vengono spesso confuse con uno stato di coma. In realtà il coma dura in genere alcuni giorni o settimane, dopo questo periodo il paziente si sveglia oppure entra in uno stato di minima coscienza – in cui può occasionalmente ridere o piangere e rispondere a semplici domande – oppure in unostato vegetativo – in cui è totalmente inconsapevole di ciò che accade.
La diagnosi viene formulata dopo aver eseguito una serie di test atti a verificare il livello di coscienza e consapevolezza di ciò che accade nell'ambiente circostante.

Questo studio ha coinvolto 54 pazienti in stato di minima coscienza e in stato vegetativo. I ricercatori si sono avvalsi dellarisonanza magnetica funzionale (MRI) per verificare sia la capacità di generare pensieri neuroanatomicamente specifici sia i livelli di ossigenazione del sangue delle diverse aree durante i test.
Ai soggetti è stato chiesto di immaginare di giocare a tennis (esercizio motorio) o di camminare in un luogo noto come la propria casa (esercizio spaziale).
L'esercizio coinvolge anche la sfera cognitiva poiché il paziente deve capire la richiesta, ricordarla durante il test e portare a temine la visualizzazione nel suo immaginario.

I ricercatori hanno verificato che 5 dei 54 soggetti con diagnosi di presunto stato vegetativo erano capaci di controllare volontariamente la loro attività cerebrale, suggerendo che, sebbene sia raro, alcuni pazienti mostrano segnali misurabili di coscienza.
I 5 pazienti in stato vegetativo che riuscivano a rispondere ai test proposti nello studio avevano tutti subito lesioni cerebrali da trauma e questo fa pensare che i soggetti colpiti da tali lesioni abbiano maggiore probabilità di guarigione.
Tre di questi 5 pazienti mostravano lievi segni di coscienza durante i test tradizionali mentre gli altri due non avevano dato alcun segnale durante questi test clinici.
Uno tra i 5 pazienti, un ventiduenne in stato vegetativo in seguito ad incidente automobilistico, risultava particolarmente reattivo ai nuovi test proposti dai ricercatori: l'esercizio richiesto era di immaginare di giocare a tennis nel caso in cui voleva rispondere “si” alla domanda e di immaginare la sua casa se voleva rispondere “no”. Il paziente è riuscito a rispondere a 5 domande su 6 e tutte le risposte erano corrette. All'ultima domanda, al posto di dare una risposta sbagliata, il paziente non ha mostrato attività cerebrale; l'ipotesi formulata dai ricercatori è che si sia addormentato o che abbia deciso di non rispondere.

Prima dei test effettuati dal team di ricercatori belgi e inglesi, nessuno era stato in grado di comunicare con il paziente ventiduenne.
“Questo significa che il paziente non può produrre comportamenti che si manifestano con le normali funzioni cognitive sebbene sia chiaramente capace di sentire e di capire un discorso, inoltre riesce ad immaginare cose e situazioni. Questi sono tutti comportamenti abbastanza complessi” spiega Martin Monti ricercatore del Medical Research Council (MRC) e autore dello studio.

"Si tratta solo del primo caso, ma ci permette di capire che gli sviluppi tecnologici stanno migliorando le possibilità di diagnosi. Sono convinto che dovremmo adattare le tipologie di cura, le nostre regole di etica e le norme di legge in base a queste nuove scoperte dettate dal progresso tecnologico” afferma Steven Laureys a capo del gruppo di “scienza del coma” presso l'Università di Liegi in Belgio e coautore di questo studio.  
Per il momento i ricercatori hanno portato avanti la sperimentazione solo su un paziente, gli altri 4 con buone capacità di immaginazione mentale devono ancora essere sottoposti ad indagini a causa dell'estrema difficoltà nel condurre questo tipo di test.

Nel 2006 Adrian Owen, neurologo del Medical Research Council di Cambridge in Inghilterra, pubblicò un lavoro sulla risonanza magnetica funzionale (fMRI) come strumento per misurare in modo indiretto l'attività cerebrale, e mostrò che un paziente privo di segni visibili di coscienza era capace di rispondere mentalmente ad una serie di comandi complessi quasi come può farlo una persona in piena salute.
Lo studio di Laureys dimostra che il paziente di Owen non era un caso isolato e che il brain imaging può realmente essere impiegato come strumento efficace per comunicare con i pazienti in stato di incoscienza.
I ricercatori stanno ora cercando di sviluppare metodi alternativi per misurare l'attività cerebrale dei pazienti in stato vegetativo.
La tecnica fMRI è molto costosa, richiede molto tempo ed è complessa dal punto di vista tecnico mentre l'elettroencefalografia, tecnica che misura l'attività elettrica del cervello mediante l'impiego di sensori posti sulla superficie del cuoio capelluto, è decisamente meno costosa e più pratica rispetto agli scanner MRI perciò potrebbe essere lo strumento migliore per proseguire gli studi.

I ricercatori stanno sviluppando anche una serie di interfacce cognitive con lo scopo di facilitare l'interazione tra i pazienti in stato vegetativo e il mondo esterno. Si tratta di sistemi molto simili a quelli in fase di sviluppo per i pazienti gravemente paralizzati.
“Spero che questi strumenti vengano realizzati in tempi brevi. Desideriamo fortemente sapere quanto questi pazienti siano capaci di comunicare perciò dobbiamo fornire loro più metodi differenti affinché la comunicazione risulti più semplice” spiega Nicholas Schiff che conduce una ricerca simile presso il Weill Cornell Medical College di New York.
I risultati dello studio, seppur parziali, aprono nuove e interessanti prospettive: alcuni dei pazienti in stato vegetativo potrebbero essere capaci di compiere decisioni riguardo alle cure mediche a cui sottoporsi. Tale possibilità implica il superamento di un gran numero di problemi scientifici, etici e legali.
I ricercatori ad esempio non hanno chiesto al paziente se sentiva dolore, si sono limitati a domande semplici le cui risposte potevano essere facilmente confermate da amici e parenti del malato.
“Prima di sollevare questioni importanti come il dolore, il tipo di trattamenti medici, il fine vita, ci sono molti aspetti che richiedono una seria discussione da parte della comunità medica” spiega Laureys.

Quanto siano coscienti questi pazienti in stato vegetativo rimane ancora da scoprire.
I soggetti in stato di minima conoscenza tendono a mostrare livelli di attenzione molto fluttuanti e rispondono in modo poco attendibile a semplici domande o richieste.
Bisogna infatti considerare che i pazienti che hanno subito lesioni cerebrali possono risultare severamente compromessi dal punto di vista cognitivo.
“Anche se questi pazienti riescono a rispondere si o no a semplici domande, non sappiamo se le loro capacità cognitive permettano di rispondere a domande più complesse” afferma Martin Monti.

Questa ricerca dimostra che, in una piccola percentuale di pazienti, lo stato vegetativo o di minima coscienza non preclude la capacità dell'individuo di comunicare con il mondo esterno, infatti, grazie all'impiego delle opportune tecnologie per lo studio del cervello, è possibile verificare un'attività cerebrale che permette di ipotizzare un certo livello di coscienza.
Nel prossimo futuro, studi clinici più approfonditi permetteranno di riclassificare questi pazienti e l'impiego delle tecniche di brain imaging sarà utile per stabilire una comunicazione di base con il paziente in tutti quei casi in cui si ha una mancata risposta dagli altri test.

Lo sviluppo tecnologico ha permesso di oltrepassare quello che veniva considerato il limite tra coscienza e incoscienza, sarà quindi necessario prendere in considerazione nuove questioni etiche per ridefinire “lo stato di coscienza” di un individuo. Questi temi andranno affrontati in modo pacato valutando sia gli aspetti scientifici e medici sia quelli morali e religiosi, ricordando sempre l'importanza della “libera scelta” a cui ogni persona ha diritto.
“Questo lavoro di ricerca è un passo avanti negli studi di neurologia e scienze cognitive, probabilmente rappresenterà la base su cui sviluppare una più ampia e consapevole discussione su ciò che significa veramente essere coscienti” afferma Allan Ropper, neurologo del Brigham and Women's Hospital di Boston.



Ossa sono ghiandole,regolano metabolismo

Scheletro 'attore'insospettabile in malattie anche molto diverse

31 ottobre, 14:37
Ossa sono ghiandole,regolano metabolismo(ANSA) - ROMA, 31 OTT - Malattie molto diverse come il diabete e l'infertilita' sono unite da un 'attore' insospettabile, lo scheletro, attraverso gli ormoni prodotti dall'osso che ha, dunque, anche funzione di ghiandola. Il punto sulle ultime scoperte in questo campo, e sulle possibili terapie, e' stato fatto a Roma durante il convegno organizzato da Andrea Lenzi dell'universita' Sapienza e Paolo Pozzilli del Campus Biomedico.
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Oms,entro 2050 piu' vecchi che bambini

Gli over-60 diventeranno due miliardi

31 ottobre, 16:25
Oms,entro 2050 piu' vecchi che bambini(ANSA) - ROMA, 31 OTT - Anche se oggi è nato il bambino che ci ha fatto superare quota 7 miliardi di popolazione, il mondo presto sarà abitato più da anziani che da bambini. Secondo le stime dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), la popolazione dai 60 anni in su, che attualmente è pari a 650 milioni, entro il 2050 raggiungerà i 2 milardi. L'invecchiamento è un fenomeno globale, non solo tipico dei Paesi ricchi. Entro il 2050, infatti, circa l'80% degli anziani vivrà nei Paesi meno sviluppati.
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Scoperto meccanismo per bloccare tumori

Studio gruppo ricerca canadese

31 ottobre, 17:20
Scoperto meccanismo per bloccare tumori(ANSA) - ROMA, 31 OTT - La chiave per bloccare la crescita di un tumore nell'organismo, interrompendo il processo di conversione delle cellule normali in cellule neoplastiche, potrebbe essere nei macrofagi, cellule della linea di difesa primaria dell'organismo. La scoperta e' di un gruppo di ricerca canadese ed e' stata pubblicato sulla rivista Cancer Research.

Si studia l'azione di una proteina posta sulla superficie dei macrofagi che, se bloccata, interrompe il sostegno di queste cellule a quelle tumorali.

LE STAMINALI DEL CORDONE OMBELICALE BLOCCANO IL CANCRO AL SENO di Paolo De Lillo

ZI11103018 - 30/10/2011
Permalink: http://www.zenit.org/article-28530?l=italian

La terapia del cancro rappresenta uno dei settori della ricerca in cui le staminali del cordone ombelicale umano già in passato avevano portato ad importanti risultati dalle leucemie ai linfomi, dal glioma al mieloma. Però ultimamente le ricerche coronate da successo si susseguono l' una all' altra; sono diventate numerosissime: neoplasie dei polmoni e dei bronchi, pancreas, carcinoma della cervice uterina, melanoma, metastasi, tumori delle ovaie, della prostata e del seno.

Riguardo quest'ultima malattia la prima sperimentazione di grande rilievo è apparsa su numero di Marzo 2009 della rivista scientifica Cancer Research. E' stata realizzata dal Dottor Chanran Ganta con la sua equipe del Departments of Anatomy and Physiology and Diagnostic Medicine/Pathobiology, nel College of Veterinary Medicine, presso la Kansas State University, a Manhattan (USA), un ateneo che si sta rapidamente specializzando nelle terapie cellulari contro il cancro con l' uso dellestaminali del cordone ombelicale. Questi scienziati sono riusciti a bloccare completamente la crescita del carcinoma mammario in animali da esperimento, senza che si presentassero recidive o metastasi a breve termine.

Il cancro del seno rappresenta il tumore più diffuso in assoluto nella donna tra quelli invasivi, raggiungendo la percentuale del 22,9% di tutte le neoplasie femminili, con maggior incidenza in Europa e, soprattutto Nord America. Nonostante i grandi passi in avanti nella diagnosi precoce, nel 2008 ha causato la morte di 458.500 persone: il 13,7% dei decessi dovuti al cancro nelle donne.1 Inoltre si pensa vi siano quasi 20.000 casi all' anno anche nei maschi.2

Tra i molti fattori di rischio vi sono il non aver avuto figli, alti livelli ormonali, l' obesità dopo la menopausa, il fumo, il non aver allattato, una storia famigliare in parenti di Io grado, l' uso anche moderato di alcool, una dieta ricca di grassi e povera di iodio, alterazioni endocrine, il livello economico elevato, la terapia ormonale sostitutiva, il menarca sotto i 12 anni e le radiazioni.3

Già da alcuni anni è stato scoperto che le staminali cordonali hanno la predisposizione a raggiungere in modo preferenziale i siti di neoplasie. I segnali più significativi, che innescano questa facoltà, sono dello stesso tipo di quelli che permettono l' attivazione delle cellule difensive dell' organismo affetto da un tumore. Alcuni ricercatori hanno pubblicato studi, i quali dimostrano che staminali geneticamente modificate riescono a trasportare in modo efficace proteine con capacità terapeutiche nelle regioni colpite da infiammazione o dal cancro.4 Ugualmente le cellule mesenchimali della gelatina di Wharton, anch'esse ottenute dal cordone ombelicale, hanno manifestato questa importante caratteristica. Quando queste staminali cordonali sono state modificate geneticamente, in modo da secernere una citochina, l' interferone INF- beta, e sono state infuse per via endovenosa, hanno potuto inibire il carcinoma metastatico della mammella in un modello murino.5

In questa sperimentazione gli scienziati americani volevano inizialmente utilizzare le staminali mesenchimali del cordone ombelicale contro il carcinoma del seno, proprio sfruttando tale prerogativa. Tuttavia, per avere un ulteriore gruppo di controllo, in una fase preliminare, hanno adoperato le staminali cordonali non modificate geneticamente su modelli tumorali sia in vitro, che in vivo. Con loro grande sorpresa esse hanno dimostrato un forte effetto anti-neoplastico anche senza miglioramenti artificiali del patrimonio genetico.6

In due gruppi diversi il trapianto è stato effettuato sia per via intra-tumorale, sia per iniezione. Le staminali del cordone ombelicale umano si sono indirizzate selettivamente verso l'adenocarcinoma mammario dal 4° giorno e sono state rilevate, con un' elevata concentrazione, nelle immediate vicinanze del tessuto tumorale oppure al suo interno.

Questa importante caratteristica era già stata evidenziata in diversi studi precedenti.7 Sembra essere mediata da chemochine e fattori di crescita8, secreti dal carcinoma o dallo stroma, il tessuto di sostegno ad esso associato.9

Hanno attenuato la crescita dell' adenocarcinoma in modo significativo dal giorno 14 in poi. A seguito di ciò si è determinata una forte riduzione di volume e di peso della massa neoplastica.

Nessuna staminale cordonale è risultata presente in altri organi, come reni, fegato, polmoni o milza fin dal quarto giorno.

Per di più il Dottor Ganta ha riscontrato una maggiore inibizione del carcinoma dose dipendente nei soggetti infusi per via intra-tumorale con 1x106staminali del cordone ombelicale, rispetto a quelli trattati con 0.5x106. Ciò ha riguardato sia le dimensioni, che il peso.

Le neoplasie sono regredite in misura sempre maggiore, fino a non risultare più palpabili dal 34° giorno nei ratti trapiantati attraverso infusione endovenosa e dal 38°, in quelli per cui è stato usato il metodo intra-tumorale.

Da un punto di vista istopatologico gli adenocarcinomi dei soggetti non trasfusi contengonouno strato molto sottile di tessuto di granulazione, un piccolo numero di linfociti, alcuni macrofagi e neutrofili, mamolte cellule tumorali anaplastiche, che hanno perso le loro caratteristiche specifiche di forma, organizzazione e differenziazione funzionale. Invece in ambedue i gruppi, che hanno ricevuto le staminali cordonali, sono state individuate poche isole di cellule neoplastiche con un fitto tessuto di granulazione, infiltrato da un numero di linfociti moderato o elevato, spesso mescolati con le plasmacellule.6

Nella sperimentazione degli scienziati americani le staminali mesenchimali del cordone ombelicale inibiscono sia la crescita dipendente dal contatto cellulare dell' adenocarcinoma, sia quella indipendente.

I ricercatori della Kansas State University hanno verificato l' eventuale formazione di recidive a distanza di tempo. Anche in questo caso i risultati sono promettenti: non si è riscontrato alcun segno del possibile ripetersi della malattia nei cento giorni successivi. Certo, sarebbe molto importante continuare la sperimentazione ed iniziarne delle altre per accertasi che la patologia non si ripresenti anche dopo intervalli di tempo molto più lunghi: ciò darebbe un rilievo ancora più eccezionale alle scoperte ottenute.

In vitro, poste nello stesso terreno di coltura tridimensionale con agar soffice, le staminali del cordone ombelicale inibiscono il numero di colonie, che si formano dalle cellule carcinomatose, in modo davvero consistente, a differenza di altri tipi cellulari usati come controllo. Lo stesso avviene in modo significativo per la crescita delle colonie, se il medium è influenzato dalla presenza precedente delle staminali cordonali o se si attua una co-coltura di queste con le cellule tumorali. In esse viene attivata intensamente l' apoptosi, la morte programmata della cellula, meccanismo naturale di autodistruzione, che mette in atto in risposta a specifici stimoli esterni: funge da barriera alla proliferazione neoplastica.

Secondo il Dottor Ganta la capacità di eliminare completamente l' adenocarcinoma mammario con staminali cordonali non modificate geneticamente è un ulteriore e specifico vantaggio, perché qualsiasi manipolazione dei cromosomi, che costringa le cellule ad esprimere un carattere esogeno, sarebbe in grado di alterarne in qualche modo il comportamento e le risposte. Ciò, almeno potenzialmente, potrebbe renderle meno sicure per i trapianti, soprattutto se fossero necessari numerosi cambiamenti di geni.6La sua scoperta sarebbe in accordo con una recente ricerca, in cui si osserva che staminali mesenchimali umane non modificate riescono a ridurre il sarcoma di Kaposi del 50% in vivo, anche se in questa sperimentazione le cellule sono state somministrate in elevate quantità e non hanno completamente eradicato i tumori, a differenza delle staminali cordonali.10

Il risultato antitumorale mostrato nello studio della Kansas State University può essere dovuto all'effetto combinato di una potente azione anti-proliferativa e di un' attività a favore dell' apoptosi, mediate dalle staminali del cordone ombelicale. Ciò porta alla completa eliminazione di tutte le cellule neoplastiche, tanto che negli animali da esperimento non risultano recidive dell' adenocarcinoma, almeno a breve termine.
Inoltre gli scienziati americani hanno raccolto prove di una forte componente indipendente da meccanismi immunitari nell' effetto anti-tumorale contro il cancro del seno manifestato dalle staminali del cordone ombelicale. Dovrebbero produrre fattori diffusibili, molecole relativamente stabili e di piccole dimensioni, poiché riescono ad inibire intensamente la crescita di colonie, formate dalle cellule neoplastiche, anche quando non vengono direttamente a contatto con esse, ma sono state solamente, in tempi diversi, nello stesso terreno di coltura. Questa conclusione è confermata anche dalla intensa efficacia delle staminali cordonali quando sono inserite nello stesso medium con le cellule tumorali, nonostante che queste ultime siano molto più numerose: il semplice contatto staminale-cellula non sarebbe sicuramente sufficiente.6

Un ruolo rilevante potrebbe averlo la secrezione di consistenti quantità di citochine, già evidenziate da altri ricercatori.11 La riduzione della crescita cellula-dipendente sarebbe dovuta, almeno in parte alla ridotta fosforilazione dell' Akt, la Protein Chinasi B, caratterizzata da un' azione favorente l' angiogenesi o la proliferazione cellulare neoplastica, oltre che inibente l' apoptosi, e delle ERK1 e 2, le Mitogen-Activated Protein (MAP) Kinases, che influenzano la proliferazione e la differenziazione, attivate da fattori di crescita e sostanze che inducono le neoplasie. Importante dovrebbe essere anche la diminuzione della procaspasi-3 e l' aumento della caspasi-3 scissa, enzima proteolitico endo-cellulare, fondamentale per l' apoptosi.

Le nuove ricerche in corso da parte della Kansas State University sono dirette verso un ulteriore chiarimento dei meccanismi che possono essere coinvolti nell' efficace soppressione dell' adenocarcinoma della mammella da parte delle staminali cordonali, compresa una potenziale modulazione del sistema immunitario nell' ospite.6

Esse possono essere raccolte in elevato numero, in un breve intervallo di tempo, senza metodiche invasive, non presentano problematiche etiche, né problemi di sicurezza per cancerogenicità o frequenti rischi di rigetto immunitario, se autologhe.

Ancora una volta si sono dimostrate estremamente valide alivello terapeutico contro una malattia molto grave e diffusa e hanno contribuito a importanti progressi per la terapia cellulare.5


1) "World Cancer Report". International Agency for Research on Cancer. 2008.

2) "Male Breast Cancer Causes, Risk Factors for Men, Symptoms and Treatment on". Medicinenet.com.

3) Breast Cancer Risk Factors – Breastcancer.org

4) Rachakatla RS, Marini F, Weiss ML, et al. Development of human umbilical cord matrix stem cell-based gene therapy for experimental lung tumors. Cancer Gene Ther 2007; 14: 828–35.

5) Mitchell KE, Weiss ML, Mitchell BM, et al. Matrix cells from Wharton's jelly form neurons and glia. Stem Cells 2003; 21: 50–60.

6) Ganta C, Chiyo D, Ayuzawa R, Rachakatla R, Pyle M, Andrews G, Weiss M, Tamura M, Troyer D. - Rat umbilical cord stem cells completely abolish rat mammary carcinomas with no evidence of metastasis or recurrence 100 days post-tumor cell inoculation. - Cancer Res. 2009 Mar 1;69(5):1815-20. Epub 2009 Feb 24

7) Aboody KS, Najbauer J, Danks MK, et al. Stem and progenitor cell-mediated tumor selective gene therapy. Gene Ther 2008; 15: 739–52.

8) Muller A, Homey B, Soto H, et al. Involvement of chemokine receptors in breast cancer metastasis. Nature 2001; 410: 50–6.

9) Arbab AS, Janic B, Knight RA, et al. Detection of migration of locally implanted AC133+ stem cells by cellular magnetic resonance imaging with histological findings. FASEB J 2008; 22: 3234–46.

10 ) Khakoo AY, Pati S, Anderson SA, et al. Human mesenchymal stem cells exert potent antitumorigenic effects in a model of Kaposi's sarcoma. J Exp Med 2006; 203: 1235–47.

11 ) Friedman R, Betancur M, Boissel L, et al. Umbilical cord mesenchymal stem cells: adjuvants for human cell transplantation. Biol Blood Marrow Transplant 2007; 3: 1477–86.

Manifesti contro l'aborto? E io ti faccio licenziare.

La vicenda di Giorgio Celsi - di Paolo Deotto, 

http://www.riscossacristiana.it/


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Oportet ut scandala eveniant

di Paolo Deotto
(in calce all'articolo trovate la documentazione)

giorgio celsi
Giorgio Celsi, infermiere, fondatore del gruppo "Ora et Labora in Difesa della Vita"

Questa è una storia davvero brutta, una di quelle storie che non si vorrebbero mai raccontare, perché prendono lo stomaco, angosciano. Ma è una storia vera, e gravissima, e quindi va raccontata, anche se l'ipocrisia, il sopruso, l'arroganza del potere e il disprezzo per la vita umana sono protagonisti.
Molti conoscono Giorgio Celsi, fondatore del gruppo Ora et Labora in difesa della Vita. Lo conoscono perché questo infermiere quasi cinquantenne è stato ed è presente davanti a tanti ospedali a manifestare contro l'aborto. Giorgio ha scelto una professione sanitaria, quindi ha scelto di tutelare la vita e la salute. Inoltre ha un difetto imperdonabile per questa Società sempre più immersa nella cloaca del relativismo: è cattolico. Non solo, ma è un cattolico che vuole gridare la Verità sui tetti, che non ha paura. E, non avendo paura, che fa? Dice la Verità. Orrore!
Dire la Verità, nell'Italia 2011, è la cosa più ardita che si possa fare.
E la Verità è che l'aborto è un crimine, perché consiste nell'uccisione di un essere umano innocente, che vive e cresce nel grembo della madre. L'aborto è il più vigliacco degli omicidi, commesso contro chi è totalmente indifeso, e fa sempre due vittime: il bimbo ucciso e la madre, la cui coscienza prima o poi si risveglia, e tante donne sanno i tormenti in cui si trovano.
Da tempo Giorgio Celsi distribuisce volantini di fronte agli ospedali in cui la macelleria è sciaguratamente attiva. Indossa la divisa da infermiere, né in questo c'è nulla di strano, essendo lui infermiere, ed espone una croce sulla quale sono attaccati tanti piccoli feti di plastica, come potete vedere dalla fotografia.
Più volte Giorgio, e con lui gli altri volontari di Ora et Labora in Difesa della Vita, sono stati attaccati. Ad esempio, ci sono spiriti delicati a cui non interessa che un bimbo sia gettato a pezzi nel secchio dei rifiuti, ma che provano terribile angoscia nel vedere quella Croce, che è un vero colpo di mazza sulle coscienze assopite degli abortisti. Poiché siamo un Paese democratico (non libero, ma democratico) bisogna però mantenere un minimo di rispetto delle forme, e così finora nessuno era riuscito a tacitare questa voce scomoda e imbarazzante, perché la libertà di espressione è un po' pericoloso attaccarla frontalmente.
Ma, pensa e ripensa, a qualcuno è venuto in mente un sistema per intimidire Giorgio Celsi, anche se chi lo conosce sa che intimidirlo non è cosa facile. Pensa e ripensa, i cultori della legalità hanno detto: ma questo rompiscatole manifesta indossando a divisa da infermiere. Ecco come colpirlo! Il dott. Giovanni Muttillo, presidente del Collegio degli infermieri di Milano e Lodi, aderente al gruppuscolo di Di Pietro detto “IdV”, scrive a Celsi e lo ammonisce: “La scelta di utilizzare simboli come la croce con finti feti, e farsi ritrarre al fianco di essa, sempre indossando il camice,certamente offende il decoro, la dignità e l'immagine della professione infermieristica”.
Inevitabile, seppur detta con vaselinosi toni, la minaccia finale del provvedimento disciplinare. Ovvero: attento a quello che fai, perché se ti cancelliamo dal Collegio, resti disoccupato.
La Società degli ipocriti ha orrore della pena di morte, figuriamoci. Ma dice al dissidente: ti togliamo il lavoro. Bello vero?
Il dott. Muttillo non spiega perché mai Celsi offenda il decoro della professione. Non ci risulta che Celsi, indossando il camice, inviti la popolazione ad atti immorali o sovversivi. Semplicemente, ricorda quella Verità che disturba le delicate orecchie dei moralisti legalisti, per i quali la più grande porcheria diventa lecita se prevista dalla legge. Possiamo dedurre che le persecuzioni antiebraiche adottate nella Germana hitleriana erano giuste e lecite, essendo state decise con regolari procedimenti legislativi. E non è che un esempio, tra moltissimi.
Giorgio Celsi incarica l'avv. Pietro Guerini di rispondere al Collegio. Il legale scrive al Presidente del Collegio, ricordando che (almeno per ora, n.d.r.) l'Italia è un Paese in cui la libera espressione del proprio pensiero è costituzionalmente garantita.
Ed ecco la risposta del Collegio alla lettera dell'avv. Guerini: il solerte presidente annuncia che proporrà al Consiglio direttivo l'apertura del procedimento disciplinare per violazione degli obblighi deontologici.
Insomma, si viola la deontologia professionale facendo un'attività del tutto lecita, quale è la manifestazione del proprio pensiero, senza fare alcuna violenza o coercizione contro chi diversamente la pensa. Questo è scandaloso, e il fatto di volersi aggrappare all'uso di Celsi a manifestare con la divisa indosso sta a dimostrare la pervicace volontà di trovare argomenti per attaccarlo. Perché, ripetiamo, si disonora una divisa se indossandola si compiono atti immorali, riprovevoli. Ma, signor Presidente del Collegio, Celsi che ha fatto di illegale, immorale, riprovevole?
Una curiosità, signor Presidente: se Celsi avesse partecipato in divisa a un “Gay Pride”, Lei sarebbe stato così solerte? Lo so, è una domanda bislacca, perché manca la situazione specifica (Celsi, grazie al Cielo, è un uomo normale), ma tutto in questa vicenda è bislacco, per dirla con garbo.
Per ora comunque una certezza è acquisita: secondo il Presidente del Collegio infermieri di Milano e Lodi è illecito manifestare il proprio pensiero in uniforme. Fantastico. Un argomento che starebbe in piedi se Celsi facesse queste manifestazioni durante gli orari di servizio, creando così disservizio, con danno per la salute dei malati. E invece no: Celsi il suo lavoro lo fa, poi, quando avrebbe il diritto di riposare, va a manifestare, perché è così matto da essere convinto che la Vita vada rispettata.
Siamo seri: ora Giorgio Celsi rischia il posto di lavoro. Lo rischia perché “è andato al macello per tutti noi” perché è un Uomo che non ha cercato la sua convenienza, ma la difesa del Bene e della Verità.
Riscossa Cristiana nei prossimi giorni promuoverà azioni a solidarietà di questo indomito testimone. Intanto è importante che questa vicenda sia conosciuta, perché il silenzio è sempre desiderato da chi commette soprusi: così li compie senza seccature.
Non possiamo accettare che Giorgio Celsi rischi il lavoro perché ha detto la Verità. Se lo abbandoniamo, accettiamo vilmente che un Uomo libero possa essere censurato e privato del lavoro perché non è in linea col pensiero dominante, tanto minoritario quanto arrogante e prepotente. E se accettiamo questa vergogna, perdiamo ogni diritto di dolerci dei prossimi, inevitabili, soprusi.


APPENDICE - DOCUMENTI

La prima lettera del Collegio degli Infermieri
collegio1
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lettera di riscontro dell'avv. Pietro Guerini
STUDIO LEGALE AVV. PIETRO GUERINI
PIAZZA OROLOGIO 60
24023 CLUSONE ( BG )
TEL. 335 5458280
FAX 035 361639
Raccomandata a.r.
Clusone , 11 ottobre 2011
EGR. DOTT.
GIOVANNI MUTTILLO
PRESSO IPASVI
VIA ADIGE 20
20135 MILANO
Sono stato incaricato dal sig. Giorgio Celsi di riscontrare la Sua lettera di diffida rivoltagli con
raccomandata spedita il 9-9-2011 ,ed avente come testuale oggetto “Manifestazioni avanti
l’Ospedale S.Anna– Uso del camice professionale “ .
Diffida con la quale si è inteso e s’intende contrastare sia il diritto alla libera manifestazione del
pensiero del mio assistito , tutelato costituzionalmente dall’art. 21 , che i diritti riconosciuti a tutti i
lavoratori dal relativo Statuto , tradottosi nella L. 300/ 1970 .
Evidente è il carattere politico delle Sue contestazioni , essendo pacifico il contrasto tra le
posizioni che il sig. Celsi assume quale attivista “ pro life “ e quelle che Lei notoriamente esprime
nei Suoi articoli , quale , ad esempio , quello di recente pubblicato sul DDL Calabrò , ed introdotto
dalle significative parole “ DDl Calabrò : l’unica speranza è quella di prendere un treno per
Lugano ! “ .
Orbene , ciò che accomuna quest’ultimo pezzo ( intitolato “ La posizione degli infermieri sulle
problematiche di fine vita “ ) e la diffida rivolta al mio cliente , nella quale contesta allo stesso di
assumere posizioni non condivise dal restante personale della struttura presso la quale opera , è la
Sua convinzione di esprimere l’opinione unanime di una categoria professionale , opinione
perfettamente coincidente con la Sua .
Fortunatamente il nostro è un paese libero e pluralista , il che consente a soggetti come il mio
assistito di liberamente combattere la propria battaglia a difesa del diritto alla vita degli ultimi , i
concepiti , che non godono di alcuna tutela nel nostro ordinamento giuridico , alla luce della
vigenza della L. 194/78 , per l’abrogazione referendaria della quale ho costituito l’associazione
no194 ( di cui al sito www. no194. org ) , della quale sono Portavoce nazionale , onorandomi di
aver scelto il Celsi stesso quale Referente per la provincia di Monzabrianza .
Onorato dovrebbe essere pure Lei della circostanza che un infermiere intenda con il Suo
comportamento fornire un’immagine diversa da quella oggettivamente percepibile da molti ,
secondo i quali le strutture sanitarie sarebbero luoghi ove , tra l’altro , si sopprimerebbero , sia pur
legalmente , concepiti , tanto più se tale comportamento , a quanto Lei riferisce , si esprimesse
adottando l’abbigliamento tipico del personale ospedaliero , con un positivo impatto visivo sulla
collettività .
Se Lei non ravvisa alcun motivo per essere onorato di ciò , consenta comunque ad un cittadino di
esprimere liberamente le proprie opinioni , anche se da Lei non condivise .
In caso contrario , ognuno si assumerà le sue responsabilità , in ogni sede .
Distinti saluti .
AVV. PIETRO GUERINI

La seconda lettera del Collegio degli Infermieri
collegio2
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Articolo sul "Cittadino"
cittadino
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Articolo sul "Corriere della Sera"
corriere
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articolo sul "Giornale di Carate"
carate
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I rischi (che nessuno dice) della Fivet

Da circa sessant’anni, con Pio XII, la Chiesa si occupa di procreazione assistita. In genere si pensa che la Chiesa, oscurantista per definizione, sia contro il progresso per il semplice gusto di esserlo. In realtà non è affatto così, e diversi documenti, tra cui i recenti Donum vitae” ed Evangelium vitae” di Giovanni Paolo II, lo dimostrano. Oggi la ricerca scientifica aiuta a confermare pienamente la posizione ecclesiale.
Nella “Donum Vitae”, si accetta la procreazione assistita a tre condizioni:a) deve svolgersi all’interno di una coppia legata da un vincolo stabile, che generalmente è quello matrimoniale; b) deve essere effettuata con un comune rapporto sessuale, e non evitando il rapporto coniugale; c) non deve comportare interventi invasivi o rischi rilevanti a danno dell’embrione o del feto. Attualmente queste tre condizioni si verificano solo nella inseminazione artificiale tra marito e moglie conseguente a un rapporto sessuale. Ogni altro intervento che prevede una terza persona, o un danno all’embrione o al feto o alla madre, o che non preveda l’atto sessuale, è per la Chiesa inaccettabile. Da ciò derivano i sette motivi per cui la Chiesa è contraria alla Fertilizzazione in vitro con embryo transfer (Fivet): 1) l’insuccesso di questa metodica; 2) l’enorme spreco di embrioni; 3) l’alta abortività, dal momento che il successo è solo del 15-20%; 4) la frantumazione antropologica e affettiva del legame sessualità-procreazione; 5) la presenza di terze persone, nel caso di donatore di ovuli o di spermatozoi; 6) una più grande proporzione di malformazioni o di malattie congenite; 7) gli effetti economici degradanti, che non sono indifferenti.
E qui, arriviamo al nucleo della notizia di oggi. Davvero la Fivet ha questi effetti indesiderati che la Chiesa teme e per cui non l’accetta? A quanto pare, sì. La rivista scientifica «HEC Forum» è andata a leggere i commenti lasciati in forum specializzati di più di un centinaio di donne che si erano sottoposte alla Fivet ed è arrivata a questa conclusione«La Fivet ha strette regole che lasciano le donne fisicamente ed emotivamente esauste. Il trattamento di Fiv può avere un tremendo impatto sulle donne: è un iter assai impegnativo dal punto di vista fisico con effetti di vasta portata sul benessere psicologico di una donna [...] oltre a causare rotture nel rapporto con il partner e nelle relazioni sociali». Spesso poi le donne si trovano sole in questo percorso perché in genere si pensa che la fecondazione artificiale sia una tecnica semplice e dai risultati garantiti. La speranza di riuscita invece è intorno solo al 15-20% (Istituto Superiore della Sanità).
Inoltre la stimolazione ovarica può provocare: distensione addominale; ciste ovariche; ingrossamento abnorme delle ovaie; nausea; vomito e diarrea; accumulo di trasudato nel peritoneo e nella zona della pleura; alterazione della respirazione; ipercoagulazione, che a sua volta può causare trombi; patologie neurotiche; cancro al seno e all’utero e, anche la morte (Nygren in “Human Reproduction” 2001). Tutto l’iter è così pesante che il 25% delle pazienti rifiuta un secondo tentativo. Ma neanche il nato da provetta è esente da rischi, tra cui il più frequente è la morte: poco più del6% degli embrioni vedrà la luce. In particolare la mortalità perinatale è 4 volte superiore alle gravidanze normali. La mortalità neonatale è il doppio rispetto alle gravidanze normali (Olivennes, “Human Reproduction” 2002). Secondo uno studio condotto in Belgio, infine, su 2995 nati tramite Fivet il 30% nasce prematuro e con gravi problemi di peso, necessitando nel 25% dei casi di cure intensive. I ricoveri ospedalieri neonatali sono 3 volte superiori. La sindrome di Beckwith-Wiedman, che provoca malformazioni e tumori, nei bambini nati da Fivet è 6 volte superiore. Se mettiamo insieme tutti questi rischi, risulta che il 56% dei nati tramite Fivet ha o avrà qualche patologia. Ecco i rischi (che nessuno dice) della Fivet.
Claudio Gnoffo