giovedì 27 ottobre 2011


La "Borsa dell'ambiente" paradosso ecologista di Fabio Spina, 27-10-2011, http://www.labussolaquotidiana.it

La superficie boschiva italiana è in costante aumento. Ormai siamo a quota 10,6 milioni di ettari, con una crescita negli ultimi 25 anni del 19 per cento. Questo patrimonio, se utilizzato al meglio e in modo corretto, potrebbe rappresentare una grande opportunità. Maurizio Gardini, presidente di Fedagri, parte dai numeri: «La superficie boschiva italiana copre ben il 34,7% del territorio nazionale, una percentuale superiore a quelle di Paesi tradizionalmente considerati “verdi” come la Germania (31%) o la Francia (28,6%)».

E’ difficile far credere alle persone ormai convinte dell’imminente catastrofe ambientale che in Italia la superficie forestale da anni è in costante aumento, è opportuno quindi segnalare che i dati riportati sopra hanno finalmente trovato spazio, dovremmo scrivere purtroppo solo, sul sito del quotidiano “Terra” dei Verdi il 14 ottobre 2011, in un articolo a firma di Michele Fiorito.
Per non perdere l’abitudine al catastrofismo l’articolo ha il titolo: «La metà dei boschi italiani è abbandonata». Al suo interno si può anche leggere: "Peccato che «oltre la metà dei boschi e delle foreste del nostro Paese è abbandonato e versa in uno stato di degrado che espone il territorio al forte rischio di sviluppare incendi, i cui effetti sono amplificati dalla mancanza di manutenzione, e di gravi dissesti idrogeologici», ha denunciato ieri Fedagri-Confcooperative, la maggiore federazione delle coop agricole e agroalimentari italiane, all’assemblea annuale del settore Forestazione e Multifunzionalità che si è tenuta ieri a Orsara di Puglia (Fg)”. 

Il problema non è la deforestazione, semmai è che le superficie alberata  «attualmente versa in uno stato di conservazione insoddisfacente e inadeguato». Gli addetti ai lavori puntano il dito contro l’abbandono, «poiché risultano irreperibili i proprietari dei terreni e manca la manutenzione».
Finalmente anche i Verdi si accorgono che la natura da sola, senza attività dell’uomo degrada. Non è vero, come fatto credere finora, che l’uomo è il cancro del pianeta, che per la salvaguardia del Creato è indispensabile far scomparire l’uomo. Semmai è vero il contrario: serve l’uomo che segua dei comportamenti  giusti. Come già scritto in una precedente occasione, la cultura contadina sapeva che la natura senza l’uomo degrada: un bosco abbandonato si ammala prima e s’incendia con maggiore facilità, il vigneto abbandonato non produce, sull’orto non lavorato prende il sopravvento l’erbaccia, i canali di scolo non puliti con il tempo creano la palude e la malaria.

Molto interessante anche l’informazione riportata nella seguente frase dell’articolo: "C’è poi l’industria italiana del mobile che, secondo Fedagri, «pur potendo contare sull’81% della superficie boschiva disponibile al prelievo del legname, senza intaccare il patrimonio vegetale e di biodiversità, importa per il 90% il legno dell’estero». Infine le centrali a biomasse che «acquistano legna da Canada, Brasile e da tutto il sud del mondo, col paradosso che incentivi per la riduzione della CO2, pagati dagli utenti italiani, vengono usati per produrne altra con i viaggi transoceanici».”

Avete letto bene: ”Col paradosso che incentivi per la riduzione della CO2, pagati dagli utenti italiani, vengono usati per produrne altra con i viaggi transoceanici”. Grazie ai meccanismi messi in atto dalla finta finanza ecologista, quella del “Protocollo di Kyoto”, quella ad esempio pubblicizzata da organizzazioni che vorrebbero imporre il cibo a “Km 0” e contemporaneamente festeggiano quando il vino italiano è venduto in tutto il mondo, conviene produrre legname all’estero e poi importarlo emettendo CO2.

Possibile che nessuno si chieda, tra i tantissimi ambientalisti in buona fede, come mai quella che loro ritengono la salvezza del pianeta, la riduzione delle emissioni di CO2, alla fine è stata riposta nelle mani delle speculazioni in “Borsa”? Come mai gli “indignati” ed i “black bloc” di oggi manifestano contro la finanza, mentre gli “ecologisti” e “no global” di ieri hanno fatto di tutto per favorirla creando in borsa una nuova commodity, i cosiddetti “carbon credit”?

Chissà quanti decenni serviranno prima che questa informazione e queste domande potranno raggiungere il grande pubblico e i libri di testo scolastici.

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