giovedì 30 settembre 2010

Perché la società tace di fronte all’uomo-cavia - Michele Aramini - Avvenire, 30 settembre 2010
La cronaca di questi ultimi giorni ha registrato le ru morose manifestazioni contro la vivisezione degli animali, svoltesi in molte città europee (in Italia a To rino). Scopo delle associazioni ver di e animaliste era la contestazione della nuova di rettiva europea sulla ricerca, che consente, in parti colari casi, l’uso di animali per la ricerca scientifica sulle malattie e sulla produzione di nuovi farmaci. Per inciso va detto che la protesta adotta il termine 'vivisezione' per drammatizzare la questione, quan do la prassi corretta della ricerca ricorre a metodi e attenzioni per gli animali che consentono di evitare dolori inutili.
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all’altra parte del mondo, in Australia, sempre in questi giorni sono state diffuse notizie circa alcuni progressi nella conoscenza del morbo di Huntington ottenuti attraverso studi su embrioni do nati per la ricerca da coppie che hanno effettuato la fecondazione artificiale. Anche da noi questo tipo di ricerca gode di largo favore da parte dei media, che tentano di condurre in questa direzione l’opinione pubblica. Sembra tutto normale. In realtà si stanno usando due pesi e due misure, a sfavore dell’uomo. Il primo peso e la prima misura è quella relativa a gli animali. La giusta considerazione del loro valore nel pensiero di molti contemporanei sta sbandando verso una sorta di intoccabilità, una salvaguardia a tutti i costi che non si ferma neppure di fronte alle necessità della ricerca con finalità terapeutiche a fa vore dell’uomo. Non possiamo non rilevare anche una certa mancanza di spirito critico, in quanto so lo alcuni animali vengono difesi così strenuamente. E tutti gli altri che vengono allevati, uccisi e mangia ti? Forse non si ha il coraggio di andare fino in fon do sulla questione del rapporto e della distinzione
 fondamentale tra uomo e animale.
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all’altra parte troviamo il secondo peso e la se conda misura nella considerazione dell’em brione umano. In questo caso le finalità della ri cerca, quasi sempre frettolosamente e conveniente mente etichettate come terapeutiche, dovrebbero consentire qualunque tipo di azione sull’embrione, compresa la sua uccisione. E non c’è quasi nessuno che protesti. Lo smarrimento della giusta gerarchia dei valori, tipico del nostro tempo, trova qui il suo momento culminante. L’uomo diventa un oggetto sottoponibile a qualunque interesse, gli animali no. La soluzione va trovata nel ristabilimento dell’ordi ne dei valori. Al primo posto bisogna mettere sem pre l’uomo, ma possiamo persino accontentarci del piano di uguaglianza con gli animali. Quindi pro viamo a usare il metodo dei difensori degli anima li, affermando il loro alto valore morale e si chiede che la ricerca segua altre strade, anche se più labo riose o costose. Ebbene: si faccia lo stesso per il pic colo uomo allo stadio embrionale: stabiliamo anche il suo altissimo valore e chiediamo che la ricerca non si fermi ma che segua altre strade. Rispettose della sua vita. Alcuni scienziati seri l’hanno fatto e lo fan no. Possono farlo anche altri. Se sono uomini di
 buona volontà.
Michele Aramini
Credo animalista: il babbuino val più di un embrione - polemiche - La recente direttiva con cui la Ue non ha vietato gli esperimenti con l’uso di animali ha scatenato una parte del mondo ecologista. Che ha scoperto una volta ancora le sue tristi carte –Andrea Galli - Avvenire, 30 settembre 2010
Ratti, porcellini d’India, tamarini, quaglie, macachi, cani, anatre e oche non devono sentirsi soli. C’è un popolo che, fiero, lotta insieme a loro. Tanto più dopo lo scorso 8 settembre, quando il parlamento europeo ha approvato il testo di revisione della Direttiva 86/609 CEE sulla protezione degli animali utilizzati a fini scientifici, che ha scatenato le polemiche degli ambientalisti e non solo. La direttiva stabilisce limiti più severi e controlli più rigorosi nell’utilizzo degli animali per la sperimentazione in laboratorio e si pone come «un passo importante verso il conseguimento dell’obiettivo finale della completa sostituzione delle procedure su animali vivi a fini scientifici ed educativi non appena ciò sia scientificamente possibile». Secondo la Lega Antivivisezione, tuttavia, presenta anche diversi passi indietro rispetto alla bozza approntata nel 2008, come «la possibilità di poter ricorrere, anche se in deroga, a gatti e cani randagi, la possibilità di utilizzare specie in via d’estinzione e/o catturate in natura, compresi i primati e in particolare le grandi scimmie». Il che ha dato la stura alle proteste. Sabato a Roma si è svolta la manifestazione «Salviamo i cani di Green Hill», contro l’ampliamento dell’allevamento omonimo a Montichiari (Bs), trasformatasi in una protesta contro la Ue e la vivisezione tout court. Europarlamentari di sinistra come Luigi Berlinguer (Pd) e Vincenzo Iovine (ex Idv), che hanno votato a favore della direttiva, sono stati subissati di mail di accuse. Giornali solitamente ai ferri cortissimi si sono ritrovati uniti nella buona battaglia («Altra vergogna europea. Ora gli animali randagi possono essere 'cavie'» Il Giornale, «Vivisezione, l’inganno dell’Unione europea: prendi un animale e lo torturi tre volte» Il Fatto ). Il sito della fondazione finiana Farefuturo, visitato in questi giorni per altri motivi da migliaia di persone, fa pubblicità sul proprio sito all’ultimo numero della rivista Charta Minuta, diretta dal finiano Adolfo Urso, «Dalla parte degli animali».


Ansia e preoccupazione debordanti per la sorte di piccioni e babbuini. Serenità olimpica, invece, e mutismo, per la sorte degli embrioni umani. La direzione in cui si muove la contestata direttiva europea, infatti, resta pur sempre quella del graduale superamento degli esperimenti sugli animali in favore di «metodi alternativi». E tra questi – seppur la loro menzione esplicita sia stata espunta dal testo poi approvato l’8 settembre a Strasburgo – sono presenti anche le cellule staminali derivate da embrioni umani. Come ha ricordato un lancio dell’agenzia di stampa Zenit , un rapporto della Commissione Europea dello scorso anno, intitolato «Strategie di test alternativi», presenta 21 progetti di ricerca, 5 dei quali prevedono l’uso di staminali embrionali umane: «1) ReProtect: l’obiettivo è sviluppare test sulla tossicità riproduttiva utilizzando cellule staminali embrionali umane trattate chimicamente durante la loro differenziazione a livello neuronale e cardiaco.

2) Vitrocellomics: si propone di sviluppare test preclinici su medicinali utilizzando modelli epatici umani in vitro derivati dalle cellule staminali embrionali umane.

3) Invitroheart: vuole sviluppare un modello in vitro derivato dalle cellule staminali embrionali umane rappresentando fedelmente i cardiomiociti umani per provare i medicinali.

4) Esnats: mira a sviluppare una nuova piattaforma di test di tossicità, basata in particolare sulle cellule staminali embrionali umane, per razionalizzare il processo di sviluppo di farmaci e valutarne la tossicità negli studi clinici.

5) carcinoGenomics: vuole sviluppare un test per valutare le proprietà genotossiche e cancerogene di composti chimici in vitro, utilizzando cellule hepatocite-like derivate da cellule staminali embrionali umane».

Ricerche che hanno ricevuto il sostegno finanziario dell’Unione Europea attraverso i programmi quadro di ricerca 6º e 7º.

A parlare chiaro su questo tema, come al solito, sono i Radicali. Che ieri hanno comunicato di aver presentato degli emendamenti al testo in discussione alla commissione Sanità del Senato sulla sperimentazione animale. «Un testo che – ha detto Donatella Poretti – è migliorativo dell’attuale legge nella giusta direzione di limitare sofferenze inutili agli animali e soprattutto di promuovere metodi alternativi riconosciuti come più efficaci e più affidabili». Che per Poretti dovrebbero essere, ovviamente, «anche test su cellule staminali embrionali umane, sperimentazioni contrastate ideologicamente».


Poretti & co non ricordano, forse, come sul tema si sia espresso lo scorso dicembre anche il Comitato nazionale di bioetica, con un parere dal titolo «Metodologie alternative, comitati etici e obiezione di coscienza alla sperimentazione animale». E In cui si leggeva: «Il Cnb rileva che in certi ambiti anche istituzionali l’espressione 'metodi di sperimentazione alternativi a quelli animali' comprende anche test su cellule staminali embrionali umane [...] Il Cnb ritiene inaccettabile considerare 'alternativi' nel senso di 'scientificamente ed eticamente equivalenti' metodi di sperimentazioni su organismi animali adulti e cellule staminali embrionali umani». Parere che fu approvato dal Cnb nella sua interezza, inclusi nomi come Carlo Flamigni, Demetrio Neri e Luisella Battaglia. Unica eccezione, Cinzia Caporale. Catto-ideologizzati anche costoro? Andrea Galli

«L’Umbria non ricorra al day hospital per la Ru486» di Fabrizio Assandri – Avvenire, 30 settembre 2010 - Il presidente del Consiglio regionale dell’Umbria, Eros Brega (del Pd), critica con decisione la scelta della giunta di somministrare la pillola abortiva dimettendo immediatamente le pazienti, in violazione delle linee guida nazionali che prevedono il ricovero per l’intera procedura «Così non si tutela la donna, e io voglio obbedire anzitutto alla mia coscienza Il partito? Con me già altri due consiglieri»
«Per l’aborto farmacologico ci vuole il ricove ro ospedaliero ordinario». Non si attenua in Umbria l’onda del sasso gettato dal presidente del Consiglio Regionale Eros Brega, in compagnia dei consiglieri del Pd e compagni di partito Luca Barberini e Andrea Smacchi, che invitano a un ri pensamento del protocollo per l’uti lizzo della Ru486. Brega, classe ’68, sposato e padre di una bambina, ex Dc, Popolari e Margherita, non pare turbato dal fuoco amico all’interno della maggioranza. E va per la sua stra da. 

Se la posizione dell’assessore alla Sanità Riommi in materia di pillola abortiva (day hospital) è nota da mesi, perché rompere il ghiaccio solo ora? 

«In realtà l’Umbria, unica Regione che non ha ancora un protocollo defini tivo, non aveva finora reso ufficiale la sua posizione. È passata molto sotto silenzio, il 26 luglio, la delibera che adotta il day hospital deciso dal co mitato scientifico, e noi non ne sa pevamo nulla. Questo perché, ci è sta to detto, si vuole discuterne con le as sociazioni e i cittadini. La delibera di ce di volere un percorso partecipati vo, ma nei fatti le decisioni sono già prese. Mi sarei almeno aspettato un coinvolgimento della maggioranza, al cui interno ci sono sensibilità di verse, che vanno rispettate». 

Cosa pensa dell’operato della sua giunta? 

«Credo che le linee guida ministeria li, che parlano di ricovero ordinario, siano molto chiare. Penso, per il be ne della donna, che far passare l’idea che la pillola sia come un chewing gum sia profondamente sbagliato. È una mia idea, che potrebbe non es sere condivisibile, ma ritengo che pro prio a tutela della donna si debba ri correre al ricovero. Non certo come punizione, come obietta qualcuno, ma piuttosto come garanzia». 

C’è chi sostiene che manchino strutture ospedaliere adeguate. 

«Questo non riguarda solo l’Umbria, e fa parte di un altro ordine di pro blemi, che va risolto senza affermare in modo ipocrita che la mancanza di strutture adeguate sia umiliante per la donna e per questo si debba fare tut to in giornata, con le dimissioni im mediate ». 

Teme una domiciliazione dell’aborto? 

«Preferirei rispondere a chi sostiene che siccome l’aborto chirurgico si fa in giornata si dovrebbe fare lo stesso con la pillola. Certo, se l’aborto fos se già avvenuto e la donna non aves se problemi, sarebbe assurdo impri gionarla in ospedale. Peccato però che per la pillola il procedimento duri tut ti i tre giorni del ricovero. È impor tante far capire che per una donna che abortisce è fondamentale l’assi stenza sanitaria e psicologica. Anche perché della pillola non conosciamo tutte le reazioni, visto che gli studio si dicono molte cose diverse. Non cre do sia giusto obbligare al day-hospi tal: credo che si voglia aprire uno scontro ideologico su questo terreno, ma così non si fa il bene delle don ne ». 

In Umbria si registra un empasse sulla pillola abortiva... 

«Su questo la Regione è stata attenta, non ci sono stati salti in avanti. Il mio invito sta a dire che come c’è stata pru denza in questo periodo, dovrebbe esserci anche nel fare scelte che po trebbero avere effetti negativi sulla donna e sulla società in tera ». 

Non si sente a disagio nel partito di cui è membro autorevole? 

«Non credo che il mio par tito, a cui ho aderito spe rando di poter portare i miei valori e le mie idee, mi metta in difficoltà. An zi, ciò che dico potrebbe arricchire il Pd. Peraltro non mi sento solo, perché ci sono anche due consi glieri sulla mia stessa po sizione. Mi sento onorato nel portare avanti questa battaglia, cosa che farò fi no in fondo, per cercare una soluzione a un pro blema che, se affrontato male, porterà effetti nega tivi sulla società, anche al di là della pillola. So che queste battaglie si posso no vincere o perdere, ma il mio obiettivo è far capi re il valore che sta dietro la mia posizione. Quello di cui sono certo è che non rinuncerò alla mia co scienza, anche se ciò do vesse portare a forti con flitti ». 

In che clima vive questi giorni? 

«C’è stato nel Pd un con fronto sereno. Una parte della coalizione ha però alzato barricate ideologi che...». 

Si riferisce alle critiche del l’assessore Vinti? 

«Cosa vuole, è di Rifon dazione... Sappiamo bene che su questo tema ci tro­viamo su posizioni com pletamente diverse. Ritengo invece che questa sia una questione di co scienza che supera gli schieramenti. Non a caso ho avuto la solidarietà di diversi consiglieri anche dell’opposi zione, sia dell’Udc che del Pdl». 

Crede che nelle altre Regioni in cui si è scelto il day-hospital possano emergere posizioni come la sua da parte di esponenti Pd? 

«Posso solo dire che ho chiesto ad a mici e colleghi di capire che è im portante mettere paletti fermi per e vitare derive pericolose, specie ora che il farmaco è stato appena introdotto. Da vicepresidente della conferenza dei presidenti delle assemblee legi slative delle Regioni, ho sentito alcu ni colleghi in giro per l’Italia. E siamo giunti alle stesse conclusioni». 

Come fa una Regione a far diminuire gli aborti? 

«La parola d’ordine è prevenzione, e devo dare atto che l’Umbria ha inve stito molto nei consultori e nel rap porto con le associazioni vicine alle donne. Siamo una realtà con pochi a borti in percentuale rispetto agli abi tanti. Al contrario, su questo fronte, il governo è ancora latitante. Manca no adeguati e concreti interventi. Credo, pertanto, che anche il governo do vrebbe impegnarsi per applicare me glio la 194». 

contromano - Gli «ibridi» che declassano l’uomo di Domenico Delle Foglie– Avvenire, 30 settembre 2010
Fra i linguaggi dell’uomo, certamente l’arte occupa un posto di rilievo, anche per la sua capacità di visitare il futuro sin nei suoi luoghi più oscuri e inquietanti. È per questo che ci incuriosisce una personale di scultura dell’artista polacca Monica Grycko che fra qualche giorno si aprirà a Milano. Già il titolo della mostra ci introduce direttamente nel cuore del problema: «Dall’animale all’uomo: una storia incredibile». Un titolo dal sapore evoluzionistico che però nasconde qualcosa di nuovo. Infatti, per la scultrice il percorso dell’evoluzione non ha termine con l’homo sapiens sapiens, ma va oltre. Sin dove si spinge? Sino alla legittimazione, nell’immaginario artistico, degli«esseri ibridi». Tappa ulteriore di un’evoluzione senza fine che l’artista interpreta come un adattamento della natura umana ai cambiamenti non solo naturali ma anche «indotti». a questa premessa la creazione di sculture in ceramica in cui al corpo Dumano, prevalentemente femminile, si associa un volto animale. Scimmia, pellicano o cane, poco importa. L’effetto è sinceramente inquietante, ma è quello che l’artista cerca: stupire per far parlare di sé.

Lo stesso meccanismo, se ci pensate, che ha portato una casa produttrice di alimenti per animali, a percorrere lo stesso tragitto per una maxicampagna pubblicitaria che ha invaso le nostre città: uomini e donne nudi con i volti di animali.

Ma veniamo alle considerazioni che questa scelta espressiva reca con sé. La storia dell’arte è piena di figure antropomorfe.

Pensiamo al Medioevo fantastico di Baltrušaitis, e alle sculture arroccate sulle facciate delle più affascinanti cattedrali d’Europa. Ma per quella cultura e per quel tempo l’assoluta supremazia intellettuale e morale dell’uomo non era in discussione, così come la sua finitezza, ovvero la consapevolezza del limite della condizione umana. Oggi tutto questo è messo in discussione tanto dalla cultura del nostro tempo, quanto dallo sviluppo scientifico tecnologico. 

L’uomo immerso nella post modernità è il primo, nella storia dell’umanità, in grado di sfidare la natura e progettare il superamento della sua stessa condizione fisica. Insomma di intervenire su se stesso, come materia vivente e intelligente. Glielo consentono le capacità scientifico-tecnologiche da lui acquisite e che prefigurano un potenziamento radicale della nostra specie, o addirittura un suo miglioramento e anche un suo superamento. Qui sta la chiave di interpretazione: ci troviamo dinanzi a un passaggio epocale nel rapporto fra l’uomo e la sua finitezza. Ecco perché il pensiero post-moderno incomincia a operare nel campo della cultura di massa per rendere plausibile questa cultura del superamento della condizione umana. Di qui lo sdoganamento, anche artistico, ad esempio degli «esseri ibridi» perché se ne cominci a parlare, così da affievolire le coscienze.

Forse non tutti sanno che il Comitato nazionale per la bioetica ha approvato a maggioranza un documento che impedisce la «produzione di ibridi citoplasmatici (detti cibridi) ottenuti attraverso la tecnica di trasferimento del nucleo di una cellula umana somatica in una cellula uovo animale privata del nucleo, ma nella quale restano i mitocondri animali». In sostanza, per semplificare, viene vietata la possibilità di mescolare materiali genetici umani e animali. Ma queste decisioni vengono prese a maggioranza, e in democrazia le maggioranze cambiano. Del resto, ci sono altri Paesi, vedi l’Inghilterra, che lavorano alla produzione di ibridi.

Ci associamo alla posizione del Cnb che osserva come «gli organismi creati risultano di identità incerta, in quanto portano al superamento delle barriere tra la specie umana e le specie animali». Ecco, il superamento di una barriera che predisporrebbe alla nuova tappa evoluzionistica. È il mondo post-umano, che già molti scienziati, artisti e intellettuali sognano. Ma che per noi tutti può diventare un incubo.

Quanti «risvegli» dal coma. E dall’ignoranza – Avvenire, 30 settembre 2010
Alcuni anni fa al servizio Comaiuto dell’associazione «Gli amici di Luca» la figlia di una persona in stato vegetativo persistente segnalava che suo padre mostrava segnali di risveglio. Lamentava anche, nonostante questa sua osservazione, che i medici stentavano a crederle rispondendo con la ormai stereotipata frase: «movimenti riflessi». La sua convinzione, la sua appassionata voglia di non cedere, unita alla nostra esperienza maturata con altre famiglie capaci di essere protagoniste del percorso di cura e di affinare consapevolezze oggettive, aiutò a riaprire una valutazione clinica sulla nuova situazione di suo padre. Gli esami dimostrarono che aveva ragione. Suo padre non era più in stato vegetativo.
L’errore diagnostico e il monitoraggio periodico di questi pazienti fanno parte di alcune delle numerose richieste presenti nel «Libro bianco sugli stati vegetativi e di minima coscienza», realizzato dal seminario permanente istituito dal Ministero della Salute (per iniziativa del sottosegretario Eugenia Roccella) che per la prima volta trasmette il punto di vista delle associazioni (laiche, cattoliche e di tutte le religioni) che oggi in Italia fanno capo ai maggiori coordinamenti presenti (La Rete, associazioni riunite per il trauma cranico e le gravi cerebrolesioni acquisite; Fnatc, Federazione associazioni trauma cranico; Vi.ve, Vita vegetativa). Ma l’errore diagnostico è solo uno dei tanti problemi che affliggono la costellazione del 'coma', una sintomatologia della famiglia da mettere tra virgolette perché ormai tutti sappiamo (tutti dovremmo sapere) che il coma dura poche settimane per poi evolvere a volte in uno stato vegetativo che – non più permanente – può durare un numero di giorni/mesi/anni e condizionare una vita difficile, ma integrata a quella delle persone considerate normali.

Il problema è addentrarsi nella 'costellazione del coma' per capire che siamo ancora indietro nella conoscenza di questa condizione. Che la rete sanitaria è solo una componente rispetto alla rete familiare, affettiva, amicale, sociale e del volontariato.

Che dobbiamo fare una battaglia a tutto campo orientandoci anche verso la definizione di 'malattia rara', di gravissima disabilità da inserire nei Lea (Livelli essenziali di assistenza), per poi orientarci verso un progetto di 'rete nazionale degli stati vegetativi' prendendo a modello la 'rete dei trapianti' e la 'rete per le cure palliative'. Su questo dobbiamo ancora lavorare molto. Equilibrando le nostre attenzioni. Perché se ci focalizziamo troppo sugli stati vegetativi perdendo poi di vista la complessità delle gravi cerebrolesioni acquisite faremmo torto a tutti coloro che vivono questa condizione sempre più in solitudine. Per questo il Libro bianco oltre che un punto di arrivo è un punto di partenza. Per far maturare il movimento associativo e le capacità di dialogo tra le famiglie, le società scientifiche e le amministrazioni locali, così dissimili per servizi nelle diverse aree geografiche del nostro Paese. 
Nella dodicesima «Giornata nazionale dei risvegli per la ricerca sul coma. Vale la pena», giovedì 7 ottobre, affronteremo i percorsi di cura e riabilitazione, la ricerca scientifica e i bisogni delle famiglie, il parere di medici ed esperti di bioetica, il punto di vista delle associazioni ma anche quello di artisti, da Alessandro Bergonzoni a Mimmo Paladino ed Ettore Spalletti, impegnati in progetti di solidarietà e di arte per la salute: per far riflettere e creare un’alleanza terapeutica che riunisca strutture sanitarie, istituzioni, famiglie e terzo settore.

Vivere accanto a una persona con esiti di coma, convivere con la malattia, vuol dire essere coinvolti in una dimensione complessa dove la riabilitazione non finisce nei luoghi deputati ma si prolunga al domicilio, nelle unità speciali di assistenza permanente, nella vita di tutti i giorni, coinvolgendo le famiglie e l’intera società. Con la «Giornata dei risvegli» ancora una volta daremo voce a chi vive nella sua drammaticità l’esperienza del coma, per creare un sistema di cura efficiente attorno alle migliaia di persone che ogni anno entrano in coma per incidenti sul lavoro e nelle strade, per ictus, arresti cardiaci, aneurismi e altre cause.
In particolar modo parleremo di 'disturbi cognitivi nelle gravi cerebrolesioni' nel convegno del 2 ottobre a San Pellegrino Terme (promosso dall’associazione Genesis) e di 'ricerca e sperimentazione' in quello del 5 ottobre a Bologna, in cui si farà il punto sui bisogni dei pazienti e delle loro famiglie. A quest’ultimo verrà presentato un progetto di ricerca sull’accuratezza delle diagnosi negli stati vegetativi, che verrà realizzato dagli Ordini dei medici di 16 provincie italiane (coordinatore del progetto di ricerca Roberto Piperno, capofila l’Ordine dei Medici di Bologna, per iniziativa del suo presidente Giancarlo Pizza). Perché l’errore diagnostico (che si attesta oltre il 40%) è ancora troppo alto e per ricavare «elementi di conoscenza sul possibile potenziale di cambiamento nelle fasi di cronicità irreversibile» bisogna salvaguardare pazienti e famiglie e condividere il progetto con le associazioni che le rappresentano. L’obiettivo è aumentare il benessere del contesto familiare, delle relazioni, del reinserimento sociale per accompagnare e condividere un percorso di cura. Ci sta a cura l’evidenza scientifica e la valutazione degli esiti ma sempre in virtù della ricaduta sull’utente finale. Molte famiglie si chiedono infatti quali vantaggi organizzativi e gestionali abbiano le sperimentazioni cliniche sui loro cari, quale sarà il cambiamento nella loro vita quotidiana. Noi a queste domande cerchiamo di rispondere alimentando il miracolo del cambiamento. Il numero verde per contattare l’associazione «Gli amici di Luca» è 800998067

Cronaca | 29/09/2010 Roma, - (Adnkronos/Adnkronos Salute) - Approvato al Senato la legge sulla dislessia, che riconosce ufficialmente questo e altri disturbi come specifici problemi di apprendimento. La settima Commissione di Palazzo Madama 'Istruzione pubblica, beni culturali' ha dato il via libera all'unanimita' al testo che "riconosce la dislessia, la disgrafia/disortografia e la discalculia, denominate 'Dsa', quali difficolta' specifiche di apprendimento, che si manifestano in presenza di capacita' cognitive adeguate, in assenza di patologie neurologiche e di deficit sensoriali", si legge nel testo presentato dalla relatrice Vittoria Franco (Pd).

Obiettivi del Ddl sono quelli di: a) garantire il diritto all'istruzione e i necessari supporti agli alunni con Dsa; b) favorire il successo scolastico e prevenire blocchi nell'apprendimento dei ragazzi con questi problemi, agevolandone la piena integrazione sociale e culturale; c) ridurre i disagi formativi ed emozionali; d) assicurare una formazione adeguata e lo sviluppo delle potenzialita'; e) adottare forme di verifica e di valutazione adeguate alle necessita' degli alunni con Dsa; f) sensibilizzare e preparare gli insegnanti e i genitori; g) assicurare adeguate possibilita' di diagnosi precoce, anche a partire dalla scuola dell'infanzia, e di riabilitazione; h) incrementare la comunicazione e la collaborazione tra famiglia, scuola e servizi sanitari durante tutto l'arco dell'istruzione scolastica.

"Non potevamo sperare di aprire l'anno scolastico in maniera migliore", dice Diomira Pizzamiglio, mamma di un ragazzo disgrafico e Fondatrice del gruppo Dislessia su Facebook. "Quasi non ci si crede ma, dopo tanti anni di attesa, tante richieste d'aiuto ignorate, e dopo che diverse leggi regionali l'hanno preceduta rimanendo puntualmente disattese, finalmente e' nata una legge nazionale che tutela dislessici e Dsa", aggiunge Pizzamiglio ricordando che "noi genitori oramai eravamo disposti a tutto, persino scendere in piazza. Basta con le umiliazioni, i pregiudizi e le bocciature ingiuste e i ricorsi al Tar: cinque i ricorsi vinti quest'anno". Per la mamma "questo e' un punto di partenza importante e determinante", perche' "sono state gettate le basi per costruire insieme il futuro della scuola. La collaborazione e la cooperazione di tutti i soggetti e' indispensabile perche' si realizzino gli obiettivi e le finalita' di questa legge".

Vescovi americani: la maternità non è una malattia. Il rifiuto di considerare Contraccezione e Sterilizzazione come una pratica di Prevenzione Sanitaria. - 23-09-2010 – da http://www.vanthuanobservatory.org
Il Dipartimento per i servizi sanitari americano ha recentemente deliberato una lista completa dei servizi preventivi che singoli o gruppi di individui possono richiedere vengano eseguiti come stipulato dal Patient Protection and Affordable Care Act: tra questi risultano compresi anche contraccezione e sterilizzazione.

Con una lettera datata 17 settembre e indirizzata al Dipartimento in questione, i Vescovi americani, si oppongono a tale decisione e affermano con forza che la maternità non è e non può essere considerata una malattia.
Nel documento, firmato dal Consulente legale della Conferenza episcopale, Antony Picarello, e dal suo Vice, Michael Moses, i presuli sostengono l’assoluta infondatezza delle motivazioni che rendono la contraccezione e la sterilizzazione operativa o chimica candidate ideali per essere ricomprese nella categoria dei servizi preventivi per la salute pubblica. Se così fosse, argomentano gli autori della lettera, si affiancherebbe concettualmente la prevenzione ad una gravidanza con gli esami per la pressione sanguigna, quelli per controllare il colesterolo e l’ipertensione, gli esami per prevenire le malattie sessualmente trasmesse o alcuni tipi di tumore: compiendo un errore inqualificabile. Mentre infatti questi esami servono per prevenire malattie gravi che attentano alla vita dell’essere umano e che quando disgraziatamente occorrono, necessitano di trattamenti e cure per essere debellate, nel caso di contraccezione e sterilizzazione non ci sono “ragioni mediche” che ne giustifichino l’applicazione.
Nella lettera si riconosce che vi possono essere delle “motivazioni personali” per cui una donna in uno specifico momento della propria vita desidera non affrontare una gravidanza, ma queste motivazioni non possono mai trasformare una temporanea o permanente condizione di infertilità in un prerequisito per la salute o al contrario una situazione di fertilità in una malattia”.
Non è neppure possibile, specifica ulteriormente la lettera, ricomprendere la contraccezione come un servizio preventivo all’aborto, poiché “l’aborto non è esso stesso una condizione di malattia, ma una procedura specifica concordata tra la donna e il personale medico”.
Per visionare la Lettera:  www.usccb.org/ogc/preventive.pdf

mercoledì 29 settembre 2010

Assessore-choc: "Fuori i disabili dalle classi" - Bufera sull’amministratore che conferma: "I ragazzi con handicap disturbano, servono le comunità" FEDERICO GENTA CHIERI (TO) - da http://www3.lastampa.it
Basta disabili a scuola. Non imparano e disturbano. Meglio per tutti una comunità, dove mandarli seguiti da personale specializzato. Parole dell’assessore all’Istruzione di Chieri, comune torinese di 36 mila anime adagiato sulle colline verso l’Astigiano. Parole pronunciate durante il Consiglio comunale aperto dell’altra sera, che indignano i genitori di bimbi portatori di handicap. Famiglie che sognano per i loro figli un futuro fatto di integrazione, non di isolamento. Frasi che fanno accapponare la pelle al sindaco, pediatra in pensione, che dice: «Lo hanno frainteso. Io lo conosco bene Giuseppe Pellegrino è una persona sensibile. Intelligente. Non intendeva offendere ma sollevare un problema». 

Ed eccolo qui l’assessore finito nel mirino. Avvocato civilista di 64 anni, console onorario della Repubblica Slovacca per Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta. Vedovo e con tre figli. L’altra sera durante l’incontro sulla scuola, è andato giù duro. E, a freddo, continua a non comprendere il motivo di tanto scandalizzarsi. «Qualche genitore si è sentito offeso? E perché mai? Ho detto soltanto quel che pensano tutti: quei ragazzi a scuola disturbano». Il sindaco Francesco Lancione cerca di mediare: «Pellegrino ha sbagliato e glielo ho detto alla fine della riunione. Il clima era teso e ha parlato a sproposito, fuori luogo. Né io e nemmeno questa amministrazione condividiamo ciò che ha detto. Capisco che tanti genitori possano essersi sentiti umiliati. Sono persone che devono essere aiutate, non allontanate dalla comunità». 

E in paese è rivolta. Sulle barricate sale per prima Barbara Zamboni, presidente del III° Circolo scolastico, e mamma di due bambine diversamente abili. «Mi chiedo dove quel politicante trovi la faccia tosta di esprimersi in questo modo? Affrontiamo ogni giorno mille difficoltà. E secondo l’assessore cosa dovremmo fare? Tenere i nostri bambini fuori dai luoghi pubblici, perché non pesino sui bilanci e non disturbino? Dobbiamo forse metterli in lager perché sono più sfortunati degli altri?» 

Lui, il Console onorario, Giuseppe Pellegrino, ascolta le critiche, e non fa una piega. «ma di cosa si lamentano? Noi facciamo tantissimo per questi studenti. Ma anche i genitori devono rendersi conto che sono tempi duri per tutti». E ribadisce il concetto. «Aiutiamo i genitori e gli consigliamo il percorso migliore per i propri figli». E secondo lei dove dovrebbe portare questa strada? «A creare luoghi adeguati ai reali bisogni di questi ragazzi. Oggi ci sono comunità specializzate. Non sempre mamma e papà sono d’accordo, ma è nostro compito convincerli». La scuola, secondo lui non serve. «Lasciarli in classe con gli altri compagni è inutile? Ci sono ragazzi, qui da noi, che passano la mattina a dare calci e pugni ad un muro. Disturbano e non imparano nulla». E gli insegnati di sostegno che dovrebbero assisterli non bastano? «Non possono fare nulla. E questi ragazzi con l’istruzione non hanno nulla a che fare».

La preoccupante apoteosi del maschio femminilizzato - Di Giuliano Guzzo (del 29/09/2010) dal sito http://www.libertaepersona.org
Allarme rosso. Anzi no, allarme rosa: gli uomini si stanno femminilizzando. Sarà capitato un po’ a tutti, in tempi recenti, di imbattersi in baldi giovani dal look sempre più sofisticato e variopinto - in tutto e per tutto simile a quello delle loro coetanee -, intenti a disquisire, possibilmente in falsetto, dell’ultima moda. Attenzione: qui le tendenze sessuali non c’entrano e nemmeno il sacrosanto culto dell’eleganza. La femminilizzazione del maschio non ha infatti nulla a che vedere né col dandysmo, né con l’esser effeminati: riguarda lo smarrimento lato sensu dell’identità maschile. Merito, si fa per dire, del successo della “teoria del gender”, secondo la quale la differenza sessuale tra donna e uomo sarebbe una trovata ancestrale da rimpiazzare con orientamenti sessuali a piacimento, senza più barriere o convenzioni. Ma non solo.

A decretare l’estinzione del genere maschile ci sta pensando pure un crescente narcisismo. Lo dimostrano quanti, anziché farsi una famiglia e inseguire il sogno della paternità, si dedicano in modo quasi maniacale alla cura del corpo. Lo sanno bene i medici chirurghi che, con chi lamenta un collo troppo rilassato sul colletto della camicia e chi vorrebbe addominali che tardano, nonostante la palestra, a scolpirsi, stanno facendo una fortuna. Per non parlare del ricorso ai tatuaggi, all’abbronzatura artificiale, alla cosmetica: ormai è impossibile, obbiettivamente, individuare ambiti della cura del corpo nei quali le donne non siano affiancate da maschietti desiderosi di rimanere al passo coi tempi.

Quel che è peggio è che oltre che quella culturale, gli uomini potrebbero, almeno in teoria, rischiare pure l’estinzione fisica. Questo per il semplice motivo che le donne vivono sempre più a lungo: di circa sei anni nei paesi industrializzati, di 8 in Asia Centrale e addirittura 10 nell’ex Unione Sovietica. E se si pensa che la tendenza demografica, almeno in Europa, ripercorre quella della peste nera, lo sconforto appare del tutto comprensibile. Sarà per questo che gli scienziati della Newcastle University da tempo si interessano, con tanto di annunci ad effetto, alla creazione artificiale dello sperma umano. Da maschio, la cosa inizia a preoccuparmi, soprattutto quando penso alle generazioni future. Bette Davis, attrice americana scomparsa oltre venti anni fa, diceva che gli uomini scarseggiano ma i maschi abbondano. Oggi, probabilmente, sarebbe costretta a ricredersi.

Eutanasia, il Western Australia boccia proposta di legge per legalizzarla - Articolo di redazione ADUC 27 settembre 2010 - http://avvertenze.aduc.it
Il parlamento dello Stato del West Australia ha respinto la proposta di legge dei Verdi per la legalizzazione dell'eutanasia volontaria. Il primo firmatario della proposta, Robin Chapple, ha detto che continuerà la sua battaglia per far approvare una legge per dare ai pazienti terminali piena autodeterminazione.
Ai parlamentari era stato concesso un voto di coscienza, una procedura che permette ad ognuno di votare senza tener conto delle indicazioni dei gruppi politici di appartenenza.
Il disegno di legge avrebbe permesso alle persone di età superiore ai 21 anni con una malattia terminale e sani di mente di chiedere ad un medico di porre fine alla loro vita.
Dopo due giorni di dibattito - il primo su questo tema nella storia parlamentare del Western Australia- il disegno di legge è stato sconfitto con 24 voti contrari e 11 favorevoli. La votazione finale ha avuto luogo alle 1 di notte di giovedì scorso.
Il premier Colin Barnett ha dichiarato che i parlamentari sono stati eletti per rappresentare le loro comunità e che, secondo lui, questa decisione rispecchia la volontà degli elettori.
Intanto Chapple ha detto che avrebbe reintrodotto il disegno di legge ove fosse rieletto. Si è detto "deluso" del risultato, ma felice che fosse stato oggetto di discussione e di opinioni finalmente messe ufficialmente agli atti. "La cosa fantastica è che abbiamo avuto il dibattito, che era sempre stato il nostro principale obiettivo", ha detto all'agenzia di stampa AAP. 
Il deputato laburista Kate Doust, che si oppone all'eutanasia, ha detto a AAP di essere sempre stata "abbastanza fiduciosa" sul fatto che la normativa sarebbe stata respinta. "E 'un risultato molto buono. Il voto dovrebbe dare un chiaro segnale che i membri del parlamento non considerano (l'eutanasia) una buona politica", ha detto. "Quello che Robin Chapple ha proposto era una semplice soluzione a ciò che invece è una questione complessa. Sono molto felice che la questione sia stata messa a tacere".
Il parlamentare dei Liberal Nick Goiran, che ha votato contro il disegno di legge, si è detto "rallegrato" dalla decisione, ma non crede che il voto porrà fine al dibattito. 
"I Verdi hanno l'abitudine di presentare questi disegni di legge ripetutamente ... non ho alcun dubbio che accadrà di nuovo", ha detto Goiran.
La decisione arriva dopo che il ministro della Salute e vice premier, il medico Kim Hames, ha rivelato di aver aiutato un malato terminale a morire con una dose letale di morfina.
"Ho avvertito la famiglia che la dose di antidolorifico che stavo per somministrare era un inibitore della respirazione che avrebbe potuto causare il blocco della respirazione nel paziente," ha detto a ABC Radio. "Volevano che io lo facessi? Il paziente lo voleva?", gli era stato chiesto dal giornalista. "Il paziente e la famiglia hanno detto di sì, così ho somministrato la dose di antidolorifico". Hames ha affermato che le sue azioni erano perfettamente legali e ha respinto l'idea che si trattasse di eutanasia. "Quello che ho fatto è dare sollievo dal dolore, e l'effetto collaterale di tale sollievo ha provocato la morte istantanea di quel paziente, che comunque sarebbe morto mezz'ora dopo", ha detto. "E' molto diverso dal mettere il paziente sotto flebo e somministrare una mistura di farmaci in modo deliberato per togliergli la vita."
Chapple ha però sollevato dubbi sull'ipocrisia del ragionamento di Hames, mentre il premier Barnett ha difeso il suo ministro a spada tratta. "Non è una decisione deliberata di porre fine alla vita, è solo semplicemente un modo per rendere gli ultimi momenti più vivibili", ha detto a Fairfax Radio. "Non è la stessa cosa di colui che ha ancora due anni di vita e sceglie di farsi fare una iniezione letale."

CONSIGLIO D'EUROPA: L'OBIEZIONE DI COSCIENZA È MINACCIATA - La Fondazione Lejeune ritiene inaccettabile un progetto di risoluzione (ZENIT.org)
ROMA, martedì, 28 settembre 2010 (ZENIT.org).- “Consiglio d'Europa: l'obiezione di coscienza minacciata”, titola “Gènéthique”, la rassegna stampa della Fondazione Jérôme Lejeune di Parigi (Francia).
Su richiesta dei membri dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa (APCE), il Centro Europeo per la Legge e la Giustizia (ECLJ) ha preparato un memorandum esaminando le disposizioni principali del progetto di risoluzione intitolato “Accesso delle donne alle cure mediche legali: problema del ricorso non regolato all'obiezione di coscienza”, presentato da Christine McCafferty.

Il memorandum avvertiva i membri dell'APCE che varie raccomandazioni di questa risoluzione violano seriamente la libertà di coscienza dei medici, per com'è garantita dalla legge europea e internazionale.

Tra le altre disposizioni “inaccettabili”, afferma il memorandum, il progetto di risoluzione chiede agli Stati europei di:

- “Costringere i professionisti sanitari a fornire il trattamento desiderato al quale il paziente ha legalmente diritto [ad esempio l'aborto] a detrimento della propria obiezione di coscienza”.

- “Costringere il professionista sanitario a provare che la sua obiezione è fondata sulla coscienza o sulle credenze religiose e che il suo rifiuto è in buona fede”.

- Privare le “istituzioni pubbliche o dello Stato, come ospedali e cliniche pubbliche nel loro insieme”, della “garanzia del diritto alla difesa della coscienza”.

- Creare un “registro di obiettori di coscienza”.

- Creare un “efficace meccanismo di lamentele” contro gli obiettori di coscienza.

Il memorandum dell'ECLJ ricorda gli aspetti principali del diritto all'obiezione di coscienza dei professionisti sanitari, basandosi su una vasta indagine sulle leggi che difendono la coscienza degli stessi nei 47 Stati membri del Consiglio d'Europa e nei 50 Stati degli Stati Uniti.

In queste legislazioni emerge chiaramente che il diritto all'obiezione di coscienza è garantito nelle leggi europee e internazionali e da regolamentazioni internazionali di etica professionale, indipendentemente dal fatto che si applichi agli individui o alle istituzioni, e che è ben regolamentato nella maggior parte delle società democratiche.

lunedì 27 settembre 2010

Quale risposta al desiderio di un figlio? di Francesco Agnoli - 25/09/2010, in Bioetica, - http://www.libertaepersona.org)
Due giorni fa, giovedì 23/2010 il Corriere recitava: “E’ morta a 37 anni, per un’emorragia, dopo aver dato alla luce con parto cesareo tre gemelli concepiti grazie a una fecondazione assistita.

E’ accaduto martedì sera, alle 19.30 circa, all’ospedale Buzzi a Milano. A denunciare l’episodio alla polizia è stato il marito 40enne della vittima. ..”.

Si tratta di uno dei drammi tipici della fecondazione artificiale: parto multiplo, rischio vita per la mamma, rischio vita e salute per i figli, solitamente prematuri.

Lo stesso giorno scrivevo sul Foglio:

C’è una esperienza molto dolorosa che diviene sempre più comune: quella di coppie che vorrebbero avere un figlio, e non riescono. In questi casi si rimane senza parole. Dare un consiglio è difficile. Se l’amico sa che siamo cattolici, magari ci chiede: “tu la faresti la fecondazione artificiale?”. Le parole ci rimangono allora in bocca. Non è facile, infatti, dinanzi ad un dolore così grande, dire la verità: e cioè che il pensiero della Chiesa è contrario al ricorso a qualsiasi tecnica extracorporea, e non certo per il gusto dei divieti. Non è neppure facile spiegare razionalmente il perché, che pure esiste, in certe situazioni. Per questo ritengo sia necessario che il mondo cattolico si organizzi sempre di più per rispondere veramente ad un problema impellente, dimostrando maggior attenzione per una vera e propria emergenza sociale (sebbene per certi cattolici “progressisti”, vita, morte, fertilità, figli, famiglia, siano problemi di secondo piano).


Occorre, anzitutto, impegnarsi nella prevenzione. Perché l’infertilità, nel mondo occidentale, cresce? Non perché sia cambiato qualcosa nella struttura dell’uomo, nella sua composizione genetica. Accanto a casi di sterilità genetica, esistenti da sempre, crescono infatti le sterilità dovute all’ambiente e alla libera scelta degli individui. Infatti la fertilità umana diminuisce per alcune cause ben precise: l’abuso di alcol, droghe, fumo; la contraccezione prolungata ed eventuali aborti procurati precedenti; l’eccessivo stress, la vita troppo sedentaria e, molto di più, l’età sempre più avanzata dei matrimoni… Importantissimo anche l’impatto sulla salute umana fisica, oltre che psichica, del diffondersi di stili di vita che sino a ieri sarebbero stati definiti “innaturali” o “peccaminosi”: è un dato conclamato che la sterilità crescente è collegata all’aumentare delle malattie veneree dovute al diffondersi di rapporti sessuali sempre più precoci, mutevoli, e con persone dello stesso o di entrambi i sessi. Far sapere queste verità alle giovani generazioni è già un’opera importante. Che va affiancata ad un’altra. Bisogna far capire che non è come i media vogliono far credere. Che non si deve pensare: “tanto, se non ce la farò, c’è sempre l’ausilio del medico, delle cliniche, della ‘procreazione medicalmente assistita’ (PMA)”.

Perché la realtà di queste tecniche che pretendono di sostituire l’atto coniugale, la sua straordinaria valenza, e i procedimenti naturali che Dio stesso ha creato, è molto più complicata di quanto sembri: la fecondazione artificiale, per comune ammissione, porta con sé alte percentuali di insuccessi, di mortalità embrionaria, di mortalità fetale (circa il 20% di aborti spontanei, e un discreto numero di aborti procurati) e neonatale, di gravidanze tubariche, di gravidanze multiple (con relative morti o malformazioni), di parti pre-termine, di nati con basso peso, di anomalie genetiche o malattie degenerative...

Un rinomato neonatologo italiano, Carlo Bellieni, nel suo sito http://carlobellieni.splinder.com/ riporta sovente ricerche scientifiche effettuate in vari paesi, che dimostrano la crescente consapevolezza presente nella comunità scientifica dei rischi fisici, oltre che psicologici, insiti nelle moderne tecniche di PMA. Consapevolezza che però non è affatto presente nel grande pubblico, ostile agli ogm, ma fiduciosissimo nella fecondazione artificiale. Di fronte a questi dati inequivocabili occorre offrire, oltre ad una informazione che può aiutare a prevenire, anche un’ alternativa. E’ necessario cioè far sapere alle persone che vivono questo dolore, o che lo vivranno, che vi sono delle modalità naturali per provare a far fronte all’infertilità. Ne elenco alcune. La prima sono i metodi naturali di regolazione della fertilità. Angela Maria Cosentino, nel suo “Testimoni di speranza. Fertilità ed infertilità: dai segni ai significati” (Cantagalli), racconta come “in questi ultimi dieci anni sono diminuite le coppie che hanno usato i Metodi Naturali per distanziare le nascite e sono aumentate quelle che li richiedono perché vivono il dramma dell’infertilità”.

I Metodi Naturali, cioè, si sono dimostrati efficaci nel favorire gravidanze insperate, senza nessuna delle controindicazioni presenti nel ricorso alla PMA, e con un tasso di successi persino superiore. Anche i computerini Pearly, LadyComp e BabyComp, reclamizzati soprattutto come metodi per la contraccezione naturale, sono sempre di più utilizzati, spesso con successo, per uno scopo nuovo: ottenere il figlio tanto desiderato. Infine, tra le alternative possibili, vi è quella di centri specializzati in “cure dolci per l’infertilità”, come l’Health Center Marc Messèguè Melezzole, diretto dal dottor Giancarlo Balzano, di Terni, in cui si persegue il tentativo di ripristinare la naturale fertilità attraverso uno sguardo d’insieme al paziente. Non dribblando il problema del mancato concepimento tramite il ricorso a pipette, siringhe, terapie ormonali invasive o quant’altro, ma affrontandolo con uno scopo: rimuovere le cause dell’impedimento, riportare il fisico e la psiche alla loro naturale capacità di concepire, nel modo più umano e naturale possibile.

Riassumendo: prevenzione, metodi naturali, computer solitamente utilizzati per sostituire la pillola anticoncezionale, e centri di salute come quello indicato (speriamo ne nascano molti altri…), sono tre ottime strade da perseguire per chi cerchi un figlio e non voglia ricorrere a pratiche spesso aleatorie, innaturali, invasive e pericolose.

La pillola dell’eterna giovinezza: Un’agenzia e due articoli sul tema – Se anche fosse possibile arrestare l’invecchiamento o addirittura sconfiggere la morte, proiettando l’esistenza umana in una dimensione di immortalità, questo basterebbe a garantire la felicità, se poi a questa esistenza non si riuscisse a dare un significato?

La pillola dell’eterna giovinezza: dalla Russia tra due anni - Lunedì 27 Settembre 2010
Creata dallo scienziato Vladimir Skulachev la pillola che allungherebbe l’aspettativa di vita.
Intervistato dal Daily Mirror, Skulachev sostiene che il principale alleato dell’invecchiamento è un meccanismo attraverso il quale “nel 99% dei casi l'ossigeno nelle cellule si trasforma in acqua ma c'è una percentuale di casi in cui diventa un superossido potenzialmente velenoso” che può logorare l’organismo.
Il team russo ha così creato un antiossidante – Sqk1 – che, durante alcuni test cominciati circa 40 anni fa, ha rallentato il processo di degenerazione cellulare di tutte le cavie animali, raddoppiandone in alcuni casi la longevità senza importanti effetti collaterali.


La scienza per l'eterna giovinezza: la pillola-elisir si vende in farmacia di Stefano Zecchi Sabato 15 maggio 2010 .- © IL GIORNALE ON LINE S.R.L
La pastiglia promette di combattere le malattie principali dell'invecchiamento. I primi test già fra due anni. Ma l'ossessione per l'immortalità resterà
Adesso non possiamo neppure più invecchiare in pace. Ci si è messa per prima la chirurgia estetica a promettere altre pance, altri sederi, altre facce da quelle che gli anni ci propinano. Però dalle lusinghe del bisturi, usate dal chirurgo come la bacchetta magica che promette di restituire proporzioni adeguate alle simmetrie classiche e pelli vellutate, ci si riesce ancora a difendere. Ci teniamo lontano proprio perché un sano timore ci fa capire che il bisturi non è proprio una bacchetta magica con quel suo tagliare indiscriminatamente e rincollare pezzi di plastica un po’ dappertutto. E poi basta guardare alla televisione le facce disastrose di vip per nutrire qualche sospetto sui miracoli della chirurgia estetica.
Ma come si fa a rifiutare una pillola che si butta giù con un sorso d’acqua? La pillola magica è già in via di sperimentazione (sui topi) e si prevede che nel 2012 sarà pronta per i primi test, non solo per migliorare la longevità del topo, ma anche la nostra. Aumenterà il ciclo di vita delle cellule, modificherà (in meglio) il metabolismo, controllerà il grado di colesterolo. La pillola viene presentata come un toccasana per la salute generale, ma non è questa la sua funzione: chiunque senza avere approfondite cognizioni in materia, sa che il medico se trova il colesterolo alto e il metabolismo sballato prescrive delle medicine ormai in commercio da vecchia data.
La pillola in questione non si limita a curare i soliti disturbi che aumentano con l’età, promette di essere, in realtà, quell’elisir di lunga vita che il genere umano cerca da quando ha messo piede su questa terra. Ovviamente senza mai trovarlo, o meglio, senza mai accontentarsi di essere quello che è.
Le più elementari statistiche ci dicono che gli anni di vita sono progressivamente aumentati con il trascorrere del tempo, semplicemente perché si sta meglio, si mangia bene, si ha qualche comodità in più e qualche bravo medico sa come intervenire quando la salute traballa.
Ma il professor Nir Barzilai dell’Albert Einstein College of Medicine di New York non è un medico della mutua che si accontenta di prescrivere dei farmaci senza neppure guardarci in faccia. In una conferenza alla Royal society di Londra, come dire il tempio della cultura e della sua comunicazione, ha spiegato di aver scoperto la pillola della longevità capace di combattere in una volta sola tutte le malattie dell’invecchiamento per far vivere sani più a lungo. Testualmente, il professore ha dichiarato a chiare lettere che «la specie umana è fatta per vivere oltre cento anni».
C’è un unico vero problema: chi pagherà le pensioni. Sembra infatti che i ministri economici, dopo aver risolto la crisi della Grecia, abbiano preso in disparte il professor Barzilai per chiedergli di prolungare la sperimentazione della sua pillola, facendogli capire che per adesso ci si può accontentare del tempo che ci è già dato da vivere. Ma Barzilai è stato irremovibile, con l’immediata conseguenza di far scendere sul piede di guerra i sindacati, pronti a resistere contro qualsiasi riforma delle pensioni.
È ovvio che la ricerca scientifica non si arresti di fronte a contingenti quisquilie socio-economiche. L’elisir di lunga vita è a portata di mano, pronto a trasformare in realtà un mito millenario che ha affascinato e lusingato il genere umano. Ma la pillola del professor Barzilai curerà il colesterolo ed altro, tuttavia non farà tornare i conti della vita come lui vorrebbe: il mito resterà mito per la tranquillità dei sindacati e dei ministri economici. Perché, se proprio vogliamo capire cosa dice, quel mito racconta il sogno di una lunga vita che però... non ha mai fine. È il mito dell’immortalità o, se si vuole, dell’eterna giovinezza: una vita, insomma, senza tempo e senza vecchiaia. Se mai fosse, bisognerebbe dire al professor Barzilai che noi vorremmo una pillola contro la morte: è la morte la vera seccatura; dalla vecchiaia ci possiamo già difendere discretamente se non abbiamo troppe pretese.


Quei Nobel per la medicina che giocano ad essere Dio di Gianfranco Amato - 6 Ottobre 2009 da http://www.loccidentale.it
Anche per il 2009 il governo svedese ha assegnato il Nobel per la medicina.
Si divideranno il premio di dieci milioni di corone svedesi (circa 980.000 euro) gli scienziati statunitensi d’adozione Elizabeth H. Blackburn, Carol W. Greider e Jack W. Szostak.
Per la prima volta nella storia dell’ambito riconoscimento, due donne hanno avuto l’onore di essere premiate. Non è, però, questa circostanza – seppure di un certo rilievo – a destare l’interesse dell’opinione pubblica non erudita sul Nobel di quest’anno.

In realtà, è proprio l’oggetto della scoperta premiata a stimolare la curiosità della common people, normalmente poco avvezza ai vetrini dei microscopi.
Sì perché il Nobel questa volta è stato conferito ai tre accademici per le loro ricerche sulle funzioni delle strutture che proteggono le estremità dei cromosomi, i cosiddetti telomeri, e sull’enzima che li costituisce, ovvero la telomerasi. Detta così la scoperta non desta molto appeal. La cosa si fa, invece, più interessante quando al profano viene spiegato che i telomeri sono la difesa più significativa contro i danni che i cromosomi possono subire nella fase di divisione cellulare e costituiscono, quindi, la protezione più importante contro la degradazione e l'invecchiamento. Da qui il tripudio collettivo. La Scienza sta finalmente sconfiggendo l’odiosa vecchiaia e forse, chissà, anche la stessa morte.
L’eccitazione è però destinata presto a smorzarsi. Dal coro degli scienziati entusiasti, infatti, si leva qualche voce stonata dettata da maggiore prudenza e realismo. Il professor Roberto Bernabei, geriatra al policlinico Gemelli ed ex Presidente della Società italiana di Gerontologia e Geriatria, ad esempio, si mostra assai cauto: «Sono scoperte indubbiamente interessanti, ma l'applicazione pratica è straordinariamente lontana».
Per ora, coloro che sono affetti dalla sindrome di Dorian Gray ed i fanatici della anti-aging medicine devono rinviare le speranze.
In attesa di verificare quali reali vantaggi la nuova scoperta possa davvero portare nel campo terapeutico, soprattutto per quanto riguarda il campo oncologico, si può riflettere sull’opportunità che la scienza interferisca nei processi biologici, playing God.
Gli studiosi premiati sul punto hanno le idee molto chiare.
Elizabeth Blackburn è un’accanita sostenitrice della ricerca sulle cellule staminali embrionali, convinta che da essa possa ricavarsi una moderna lapis philosophorum capace di donare vita eterna ed immortalità. Un approccio ideologico che ricorda più l’ermetismo alchemico che la prospettiva razionale di una moderna mente scientifica. Nel 2004, del resto, la Blackburn fu allontanata dal Council on Bioethics, il comitato scientifico sulla bioetica degli Stati Uniti. Indispettita per quel provvedimento, la scienziata non esitò a firmare un editoriale di fuoco sul New England Journal of Medicine in cui sosteneva chiaramente di essere stata licenziata dal comitato scientifico solo perché le proprie idee contrastavano con la linea anti-staminali embrionali dell’allora presidente americano George W. Bush.
Il collega scopritore Jack Szostak è, invece, uno sfegatato darwiniano ossessionato dall’idea di riprodurre in laboratorio la cellula primordiale per dimostrare l’assurdità della teoria dell’intelligent design. Le sue ultime ricerche, infatti, sono essenzialmente focalizzate sul tentativo di creare un sistema vivente sintetico in grado di evolversi in senso darwiniano. Il Prof. Szostak non gioca ad essere Dio, pensa semplicemente di esserlo.
Resta da capire che senso abbia tentare di creare una vita biologicamente perfetta, arrestarne l’invecchiamento o addirittura sconfiggere la morte, proiettando l’esistenza umana in una dimensione di immortalità, se poi a questa esistenza non si riesce a dare un significato.
E’ curioso il timore, diffuso a tutti i livelli della società, di diventare vecchi e l’irrefrenabile desiderio di prolungare il più possibile la vita, senza soffermarsi a riflettere se poi esista davvero un motivo per cui valga la pena viverla. Ed è curioso vedere la girandola degli enormi interessi economici, medici, scientifici, politici che ruota attorno al sogno di sconfiggere l’invecchiamento.
Quanto siano ambiziose le speranze in questo settore lo ha evidenziato Leonard Hayflick, geriatra della University of California in una sua celebre metafora: «Quando un’auto esce dal concessionario inizia ad invecchiare, perdendo la sua integrità. La ripariamo, ma a un certo punto diventerà inservibile perché i guasti saranno troppi: proprio come accade all’uomo. Poiché nessuno è stato finora capace di fermare il declino di un oggetto semplice come l’auto, pensare di riuscirci con l’uomo appare tuttora come un’utopia». Forse qualche Premio Nobel, prima o poi, riuscirà nell’impresa, realizzando quell’antica utopia. Ma ne varrà davvero la pena?

IL CASO/ Come farà la povera Lily May a chiamare "padre" Elizabeth? - Gianfranco Amato - lunedì 27 settembre 2010 – ilsussidiario.net
Nel 1837, l’anno in cui salì al trono la regina Vittoria, furono introdotte, in tutto il Regno Unito, ferree disposizioni sulla compilazione dei certificati di nascita. Persino il tipo di inchiostro indelebile da utilizzare fu oggetto di specifiche disposizioni. La certezza circa le proprie origini non rivestiva un’importanza solamente giuridica ma anche sociale. Allo Stato spettava il compito di certificare paternità e maternità dei sudditi britannici.
Questa centenaria tradizione si è interrotta il 18 aprile 2010 quando per la prima volta in Gran Bretagna un certificato di nascita ha indicato due donne come genitori di una bambina. Si tratta di Natalie Woods, madre biologica di Lily May, e della sua partner omosessuale Elizabeth Knowles, che nella coppia rivestirebbe il ruolo di “padre”, al posto dell’anonimo donatore di sperma che ha consentito la fecondazione.
Ovviamente l’evento è stato definito dagli attivisti gay una «tappa fondamentale» nell’evoluzione del concetto di famiglia, non più legato al mero aspetto biologico.
Come tutto ciò sia potuto accadere è presto detto. Lo scorso primo aprile è entrata in vigore in Gran Bretagna quella parte della legge sulla fecondazione in vitro e l’embriologia del 2008 che consente il rilascio di certificati di nascita relativi a figli di coppie omosessuali, sostituendo i termini “padre” e “madre” con quello più neutro di “genitore”.
Ora, a prescindere da ogni considerazione di carattere morale, ciò che appare sconcertante in questa vicenda, dal punto di vista giuridico, è che le autorità britanniche si prestino a manipolare la realtà, attraverso una certificazione pubblica. Un falso di Stato.
Un certificato di nascita, infatti, dovrebbe contenere dati autentici e corrispondenti alla verità circa l’origine biologica, laddove conosciuta, di un determinato individuo e non situazioni derivanti dai desideri o dalle fantasie di presunti genitori.
Ciò dovrebbe valere ancora di più in una società dominata da una diffusa cultura genetica che, proprio attraverso la fecondazione in vitro, sembra ossessionata dal desiderio di una discendenza che condivida legami di sangue e Dna.

Elisabeth Knowles non ha nessun rapporto biologico con la piccola Lily May, e dichiararla genitore in un certificato di nascita integra semplicemente un falso. Anche se un falso di Stato.
In realtà, nel riconoscere i presunti “diritti” delle due donne omosessuali, si sono violati i diritti di un terzo soggetto più debole: la figlia.
Oggi la legislazione internazionale e nazionale di molti Paesi riconosce, infatti, il diritto all’identità di un individuo e alla conoscenza dei propri antefatti biologici.
Si può ricordare, in proposito, l’art. 20 della Convenzione europea di Strasburgo sull’adozione dei minori, o gli articoli 7 e 8 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, oppure l’art. 30 della Convenzione dell’Aja sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale. Proprio quest’ultima disposizione, in particolare, sancisce che le autorità competenti degli Stati contraenti debbano «conservare con cura le informazioni in loro possesso sulle origini del minore, in particolare quelle relative all'identità della madre e del padre ed i dati sui precedenti sanitari del minore e della sua famiglia», e consentire l’accesso a tali informazioni.
È per questo che in Italia la legge 28 marzo 2001, n. 149, per esempio, garantisce agli adottati «il diritto incondizionato a conoscere le proprie origini biologiche».
Lo Stato non può manipolare la realtà confondendo la parentela biologica con la parentela sociale. E un cittadino che avanza il diritto di chiedere informazioni sulle proprie origini biologiche, non può leggere in un atto pubblico la favoletta secondo cui risulta essere nato da due madri o da due padri.
Oggi per generare un essere umano sono ancora necessari due gameti: uno femminile ed uno maschile. Questa realtà, per ora, non riescono a modificarla neppure gli ufficiali di Stato Civile di Sua Maestà britannica.

I CONSULTORI SERVONO A FAVORIRE LE NASCITE NON AD AUTORIZZARE ABORTI di Marina Casini (ricercatore all'Istituto di Bioetica dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma) - ROMA, domenica, 26 settembre 2010 (ZENIT.org).
Dagli articoli 1, 2, 5, 9 della L. 194/1978 si ricava che il compito essenziale dei Consultori è operare affinché la donna in difficoltà per una gravidanza problematica o indesiderata prosegua la gestazione e non ricorra all’IVG.
L’art. 2, al primo comma, precisa che resta fermo quanto stabilito dalla Legge 405/1975 che ha istituito i Consultori[1]. L’ art. 1 lettera c) di tale normativa dichiara che lo scopo dei Consultori è tutelare la salute non solo della madre, ma anche del concepito. Se ne deduce che lo scopo di “tutela anche del concepito” è attualmente in vigore.
Inoltre, i compiti di “assistenza della donna in stato di gravidanza” assegnati ai Consultori dall’art. 2 lasciano chiaramente supporre l’obiettivo di evitare l’aborto. Essi riguardano:
a. l’informazione “sui diritti a lei spettanti in base alla legislazione statale e regionale, e sui servizi sociali, sanitari e assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti nel territorio”;
b. l’informazione “sulle modalità idonee a ottenere il rispetto delle norme della legislazione sul lavoro a tutela della gestante”;
c. l’impegno ad attuare “direttamente o proponendo all’ente locale competente o alle strutture sociali operanti nel territorio speciali interventi, quando la gravidanza o la maternità creino problemi per risolvere i quali risultino inadeguati i normali interventi di cui alla lettera a;
d. offrire collaborazione per “far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza. I Consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita. La somministrazione su prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei Consultori, dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile è consentita anche ai minori”.
Dunque, il ruolo specifico del Consultorio non è quello di allinearsi con il percorso abortivo, ma soprattutto quello di offrire, da parte dello Stato, alternative all’aborto a concepimento avvenuto.
Questa interpretazione è presente anche nella sentenza costituzionale n. 35 del 1997[2]. La Consulta, dopo aver affermato il significato normativo dei principi contenuti nell’art. 1 L. 194/78 (dunque anche della “tutela della vita umana fin dal suo inizio”) aggiunge, al paragrafo n. 4, che “gli articoli 4 e 5 sono diretta espressione non solo del diritto del concepito alla vita, ma anche di quella tutela della maternità che pure è iscritta tra gli impegni fondamentali dello Stato (art. 31, comma 2, Cost.)”.
Altrimenti: perché introdurre i Consultori familiari nella Legge che permette l’aborto sulla base di un “documento” o di un “certificato”, che qualsiasi medico può rilasciare? Sembrerebbe chiaro che il ruolo dei Consultori dovrebbe essere quello di porre a disposizione della donna in difficoltà strumenti a favore della prosecuzione della gravidanza, offrendole ogni opportuno aiuto per raggiungere questo obiettivo.
Inesistenza di un obbligo dei Consultori di rilasciare il “titolo” che autorizza ad effettuare l’IVG
D’altra parte, quando il legislatore ha voluto porre a carico delle strutture pubbliche l’obbligo di attuare la decisione della donna di abortire, lo ha stabilito espressamente.
Ne viene conferma dall’art. 9, che prevede il diritto di sollevare obiezione di coscienza. Esso, infatti, al comma 4 si preoccupa degli effetti di tale obiezione prevedendo che: “gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate, sono tenuti in ogni caso, ad assicurare l’espletamento delle procedure previste dall’art. 7, e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli art. 5, 7 e 8. La Regione ne controlla e ne garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale”. Con riferimento all’attività consultoriale, manca del tutto una disposizione di analogo tenore circa l’obbligo a carico del Consultorio di rilasciare il documento o il certificato finalizzato all’aborto.
Si potrebbe osservare che un obbligo per i Consultori si rintraccia nell’art. 5 al terzo e al quinto comma, quando si afferma che, al termine del colloquio il medico del consultorio “rilascia” alla donna il “certificato attestante l’urgenza” o il “documento attestante lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta”. Tuttavia, si replica che tale disposizione riguarda anche il medico di fiducia e il medico della struttura socio-sanitaria, per i quali, nel caso in cui abbiano sollevato obiezione di coscienza, non esiste affatto l’obbligo di rilasciare il “titolo” per l’aborto, Perché, dunque, il medico del consultorio dovrebbe essere trattato diversamente rispetto alle altre figure di medici?
Inoltre, il rilascio del “titolo” è compito del medico del consultorio, ma non del consultorio come tale. Pertanto, al consultorio possono partecipare sia medici non obiettori, tenuti perciò al rilascio del documento o del certificato che autorizza l’aborto, sia medici obiettori. Certamente, questo duplicità rende ambigua la “preferenza per la nascita” affidata ai Consultori ed è perciò auspicabile una riforma che renda questo compito più limpido e lineare[3],ma allo stato attuale dovrebbe essere comunque lasciato al medico che opera in un consultorio lo stesso diritto di sollevare obiezione di coscienza che ha il medico di fiducia o il medico inserito un un’altra struttura. Se il medico accetta l’incarico nel consultorio, non deve essere costretto a rinunciare all’obiezione di coscienza, e, se si avvale di questo diritto, non deve vedersi decaduto dall’incarico, in quanto non costituisce compito specifico dei consultori rilasciare le autorizzazioni all’aborto.

1) Legge n. 405 del 29 luglio 1975 n. 405, Istituzione dei consultori familiari. Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 227 del 27.08.1975.
2) CORTE COSTITUZIONALE. Sentenza n. 35 del 10 febbraio 1997. Giurisprudenza costituzio-
nale 1997; 1: 281-293.
3) CASINI C. Possibili cambiamenti della legge sull’aborto oggi in Italia. Studia Bioetica
2008; 2-3: 121-132.

giovedì 23 settembre 2010

Consiglio d’Europa contro l’obiezione? «È gravissimo» di Andrea Galli – Avvenire, 23 settembre 2010 - Le unioni mondiali di medici, farmacisti e infermieri cattolici scrivono all’assemblea parlamentare che il 7 ottobre si pronuncerà su una risoluzione che restringe il diritto a poter obiettare contro l’aborto
Si avvicinano giorni caldi al Consiglio d’Europa, con una serie di votazioni su temi eticamente sensibili e dall’impatto potenzialmente pesante sui rapporti tra entità sovranazionali e autonomia degli Stati membri. Giorno-clou sarà giovedì 7 ottobre, quando l’assemblea parlamentare del Consiglio dovrà pronunciarsi sulla possibile restrizione all’obiezione di coscienza del personale medico e paramedico di fronte all’aborto, sollecitata da una risoluzione di cui è relatrice la socialista inglese Christine McCafferty. La bozza è stata approvata a maggioranza il 22 giugno nella commissione Affari sociali dell’assemblea. Il documento richiama, tra le altre cose, «l’obbligo per il Servizio sanitario di fornire il trattamento desiderato a cui il paziente ha diritto nonostante l’obiezione di coscienza» del personale medico. Il testo denuncia la mancanza di una regolamentazione «esaustiva e precisa» dell’obiezione nella maggior parte degli Stati membri che, soprattutto nel campo della «salute riproduttiva», bilanci l’obiezione di coscienza e il «diritto» delle pazienti ad abortire. Viene proposto anche un monitoraggio per verificare che quanto prescritto dalla risoluzione sia adempiuto, annunciando in caso contrario «un meccanismo efficace di ricorsi». L’obiezione di coscienza inoltre, secondo la McCafferty, andrebbe consentita in circostanze molto ristrette solo al medico che effettua l’aborto ma non al personale sanitario che lo assiste. Andrebbe inoltre cancellata la possibilità che possa essere un’intera istituzione sanitaria a obiettare. A far la voce grossa su questo passaggio delicatissimo sono stati ieri, con una lettera aperta, i presidenti della Federazione mondiale delle associazioni dei medici cattolici Josè Maria Simon, della Federazione internazionale dei farmacisti cattolici, l’italiano Piero Uroda, e del Comitato cattolico internazionale degli infermieri e assistenti medico-sociali, Marylee Meehan. I tre definiscono la risoluzione in esame «una gravissima violazione della deontologia professionale e della libertà dei cittadini europei, che, secondo i nostri rappresentanti, non dovrebbero tener conto degli aspetti morali della loro attività professionale, ma essere semplici esecutori delle direttive politiche». Ricordano che «se gli operatori sanitari vengono costretti ad agire contro la vita c’è il rischio di disumanizzare la medicina» e che «gli avvenimenti del XX secolo hanno dimostrato quello che può accadere quando gli Stati si arrogano il diritto di decidere a quali individui va concessa la piena dignità, e quali invece non hanno il diritto all’esistenza». I rappresentanti delle massime associazioni mediche cattoliche a livello internazionale ritengono «inaccettabile, poi, che sanitari non disposti a venire a compromessi quando si tratta del diritto alla vita vengano discriminati sul posto di lavoro e la loro obiezione di coscienza possa riportare di fatto all’impossibilità di esercitare la professione». «Già oggi, in diversi Paesi, per un medico obiettore di coscienza è molto difficile, se non impossibile, specializzarsi in ginecologia.
Questo lede non solo il diritto del medico, ma anche quello di tutte quelle donne che rifiutano l’aborto e vorrebbero essere curate da ginecologi che condividano i loro principi morali».
Ma è sul nesso inscindibile tra medicina ed etica che la lettera pone soprattutto l’attenzione: «si vuole garantire il pieno accesso delle donne a interventi come l’aborto o tecniche speciali per la riproduzione», ma «questi non sono strettamente problemi di salute, la gravidanza non è una malattia»; mentre «l’aborto dopo il concepimento è comunque un omicidio e tali sono anche gli interventi sugli embrioni prodotti in vitro». Quella che il Consiglio d’Europa rischia di varare sarebbe quindi una «una violazione della Dichiarazione del diritti dell’uomo del 1948; del Patto internazionale sui diritti civili e politici; della Convenzione europea sui diritti dell’uomo e le libertà fondamentali e della risoluzione del Parlamento europeo del 1993». La parola passa ora all’assemblea parlamentare di Strasburgo.

mercoledì 22 settembre 2010

IL CASO/ I giudici sventano il golpe abortista di Vendola - Luigi Santambrogio - mercoledì 22 settembre 2010 – ilsussidiario.net
Quel giudice di Berlino reso famoso da Brecht perché castigò il re di Prussia in causa contro un povero mugnaio deve avere qualche parente pure a Bari, dentro il Tar della Puglia. Stavolta, a coprire il ruolo dell’arrogante re di Prussia c’era il governatore Nichi Vendola, stella nascente del nuovo Pd eco-movimentista e movimentato che mai si sarebbe immaginato d’essere sbugiardato proprio sul terreno che vorrebbe okkupare (la kappa con uno come lui è d’obbligo): quello delle libertà civili e di coscienza.

A mandare in crusca la farina di Terlizzi, i nove mugnai, cioè 9 medici cattolici obiettori anti abortisti, esclusi dai concorsi per l’accesso ai Consultori per real editto di Nicola detto Nichi, imperatore catto-gay-comunista di Puglia. “Una clausa espulsiva”, una “procedura selettiva, discriminatoria oltre che irrazionale”: un bello schiaffone democratico sul muso vendoliano, quello mollato dai giudici pugliesi che bollano il governatore, sempre pronto a impartire lezioncine di bon ton politico e consigli di resistenza antagonista al regime, con il marchio infamante del nazi-comunismo.

L’antefatto. Il governatore che gestisce la Puglia come lo Stato Libero di Bananas, una bella mattina di quasi primavera (è il 13 marzo scorso) si sveglia e dice ai suoi che bisogna assolutamente garantire negli ambulatori e nei consultori famigliari della Puglia l’effettiva applicazione della legge 194 sull’aborto. Ecco dunque l’opportunità di assumere nuovo personale che non abbia limitazioni morali ed etiche, e professi la fredda e razionale religione del laicismo estremo, o comunque non abbia l’etica del “bigotto” cristiano che considera ogni feto di età inferiore ai tre mesi (i limiti della legge per abortire) una vita umana da salvare.

In altre parole, viene espressa l’esigenza di assumere solo personale non obiettore di coscienza; personale che - laddove fosse richiesto dalla donna che vuole disfarsi del frutto del proprio rapporto amoroso - sia disposto a operare l’aborto senza se e senza ma. Così, ecco che, in un atto di vera maestria comunista, la giunta regionale governata di Nichi sul modello nepalese, emette un provvedimento da far vergognare pure l’Iran di Mahmud Ahmadinejad: nei prossimi concorsi pubblici per l’assunzione di personale medico nelle strutture anzidette, potranno partecipare solo i non obiettori di coscienza. Gli altri, medici e infermieri cattolici o comunque contrari all’aborto, dovranno stare a casa.
Con assoluto sprezzo del ridicolo, alla delibera viene appiccicato un titolo da barzelletta sovietica: “Potenziamento del percorso di nascita”. Una mattana in originale stile kapò che i giudici del Tribunale amministrativo ci mettono solo qualche secondo a disintegrare: la delibera 735 dello zar Nicola, sentenziano, fa a pezzi almeno almeno due articoli della Costituzione (il 3 e il 4) “oltre che i principi che stanno a fondamento dell'obiezione di coscienza, cioè la libertà religiosa e di coscienza e la libertà di manifestazione dei pensiero”.

Contrasta, inoltre, la Carta sul diritto al lavoro in quanto realizza “una inammissibile discriminazione” che mette in discussione il principio di parità di trattamento nell’accesso al lavoro senza distinzione di religione, di convinzioni personali, di handicap, di età e di orientamento sessuale.

C’è dell’altro? Massì che c’è. “Una procedura selettiva”, scrivono i giudici del Tar, “che escluda aprioristicamente i medici specialisti obiettori dall’accesso ai Consultori appare discriminatoria oltre che irrazionale poiché non giustificata da alcuna plausibile ragione oggettiva”.

Per questo, il Tar obbliga la Regione Puglia a «riservare» il 50% dei posti nei consultori pubblici agli obiettori in quanto “la presenza o meno di medici obiettori” scrivono i giudici amministrativi “è assolutamente irrilevante visto che all’interno dei consultori non si pratica materialmente l’interruzione, bensì soltanto attività di assistenza psicologica e di informazione, consulenza della gestante, ovvero vengono svolte funzioni di ginecologo che esulano dall’iter abortivo”.

Vabbè, gli obiettori cattolici come i Panda del Wwf: occorrono le quote per difenderli dalle pallottole della gang abortista e salvarli dall’estinzione.
Battuto il governatore e gli ultrà abortisti pugliesi, il problema tuttavia resta, ed è quello del rispetto della 194 in tutte le sue parti. Vendola ha cercato di scardinarla: cacciati dai Consultori gli obiettori sarebbero stati espulsi anche dalle farmacie e dagli ospedali.

Impressiona pensare che i Consultori, nati per rimuovere le cause dell’aborto, oggi sono invece sempre più utilizzati come anticamera alla sala operatoria. Perché è questo che succede anche in altre regioni. Tuttavia, nessun amministratore era arrivato a mettere per iscritto la discriminazione e farne materia di legge. Ci ha pensato lui, il grazioso governatore Nichi(lista) con l’orecchino.

Per fortuna, il giudice di Berlino ha devoti fan anche a Bari. Così la crociata di Vendola è fallita. Stavolta, e per ora.

Biotecnologie e staminali tra illusioni e realtà - Autore: Tanduo, Luca e Paolo Curatore: Leonardi, Enrico - Fonte: CulturaCattolica.it - martedì 21 settembre 2010
L’estate 2010 è stata contrassegnata da un'ampia discussione sulle cellule staminali embrionali, soprattutto in conseguenza di due fatti accaduti entrambi negli USA. La FDA ha deciso di dare via libera agli esperimenti sull’uomo di cellule staminali embrionali. In direzione opposta invece la decisione di martedì 24 agosto 2010 di una corte distrettuale americana, di dire no ai finanziamenti pubblici per gli studi sulle cellule staminali embrionali, decisione confermata il 9 settembre da un giudice federale statunitense che ha respinto il ricorso presentato dell’amministrazione Obama, ma poi smentita dalla Corte d’appello federale di Washington il 10 settembre. La vicenda giudiziaria appare quindi complicata ma ha inizio col ricorso presentato da un ricercatore contrario a quanto il presidente degli Stati Uniti Barack Obama aveva invece concesso. Cioè il finanziamento con i soldi dei cittadini alle ricerche sulle cellule staminali embrionali. Ricordiamo che il precedente Presidente G. W. Bush aveva vietato l'uso di fondi federali per distruggere gli embrioni umani.

Ma cos’è una cellula staminale? E’ una cellula che ha due caratteristiche: 1) la capacità di auto-rinnovamento, cioè di riprodursi a lungo senza differenziarsi; e 2) la capacità di dare origine a cellule progenitrici di transito, dalle quali discendono popolazioni di cellule altamente differenziate (nervose, muscolari, ematiche, ecc.). Queste cellule sono presenti sia in tessuti adulti sia negli embrioni. Le prime sono pluripotenti, hanno possibilità di differenziarsi in molti organi o tessuti (ma non in tutti); le seconde totipotenti, cioè possono differenziarsi diventando qualsiasi tipo di cellula, ma hanno anche lo svantaggio di essere difficilmente controllabili. C’è poi una discriminante etica fondamentale: per ottenere le prime non si sopprime alcuna vita, le seconde invece richiedono la produzione di embrioni umani, il loro sviluppo fino allo stadio di iniziale blastocisti, e il prelevamento delle cellule, operazione che implica la distruzione dell’embrione stesso e quindi di una vita umana.
E’ necessario ricordare poi che molte cure si sono ottenute tramite l’utilizzo di cellule staminali adulte (ricostruzione di pelle, ricostruzione di cornee, ecc). Tra l’altro l’Italia è all’avanguardia nella ricerca, ricordiamo solo alcuni casi. Le cellule staminali di origine midollare ma che si ritrovano anche in tessuti, nel sangue periferico, nel cordone ombelicale, nel pancreas, nel fegato, nel polmone, sono all’origine dei tessuti solidi: fegato, reni, cartilagini, e possono essere utilizzate per la loro rigenerazione. Per esempio, le staminali ricreano i denti e la scoperta è tutta italiana: all’ospedale San Gerardo di Monza gli studiosi hanno dimostrato che le staminali del midollo sono in grado di produrre tessuto osseo che è stato poi utilizzato per rigenerare l’osso perduto nei soggetti con gravi atrofie dovute alla perdita dei denti, e proprio a partire dalle cellule degli stessi pazienti. Sono già stati eseguiti sette interventi e i risultati – dicono gli esperti - indicano che la rigenerazione è ottimale. “Le staminali restituiscono la vista, un successo italiano” articolo comparso su “IlSole24ore” del 24 giugno 2010 riportava la notizia che un'ottantina di persone che avevano perso o danneggiato gravemente la vista a causa di bruciature dovute a prodotti chimici sono tornate a vedere grazie a cellule staminali prelevate dai loro stessi occhi. Un successo che porta la firma di ricercatori italiani del Centro di Medicina Rigenerativa "Stefano Ferrari" dell'Università di Modena e Reggio Emilia. Sempre più interesse poi mostrano le ricerche sulle cellule staminali ricavate dal cordone ombelicale. E’ recente la notizia proveniente dall’Ohio dove si sono ottenuti globuli rossi sintetici a partire da cellule staminali ematopoietiche prelevate da cordone ombelicale e fatte crescere da una macchina. I primi test sull’uomo potrebbero iniziare nel 2013. E’ doveroso dire che analoghe ricerche sono state portate avanti utilizzando cellule staminali embrionali in Gran Bretagna (Edimburgo) con l’impatto etico che ne deriva e senza alcun vantaggio però in termini di risultato. Resta comunque il fatto che molti interventi e terapie sono già oggi a disposizione a partire da cellule staminali adulte e nessun risultato certo è ancora stato raggiunto utilizzando cellule staminali embrionali. Due gruppi di ricerca in Giappone e negli Stati Uniti hanno poi dimostrato la possibilità di riportare cellule umane adulte a uno stadio simile a quello delle staminali embrionali. Il ricercatore giapponese Shinya Yamanaka, ha ottenuto infatti cellule totipotenti derivate dalla trasformazione delle cellule staminali adulte, potremmo per semplificare dire che ha programmato le cellule in modo da poterle riprogrammare per diventare cellule del tipo richiesto. Una rivoluzione nella ricerca che ha spinto molti scienziati e ricercatori ad abbandonare l’utilizzo delle cellule staminali embrionali, tra questi anche il papà della pecora Dolly.
Ma perché allora questi continui interventi e scontri sulla ricerca a partire dalle cellule staminali embrionali? Il motivo è economico, come ricordava “Avvenire” il 29 gennaio 2009: subito dopo l’elezione di Obama le società che negli ultimi anni avevano dovuto trovare fondi privati per le loro ricerche e che ora invece possono contare sui finanziamenti federali, hanno avuto un balzo in borsa. Riportiamo alcuni esempi: grazie all’effetto-Obama le quotazioni della ditta Geron – che dalla nascita a oggi non ha mai prodotto utili –nel giro di tre giorni sono arrivate ad avere un incremento di +50% circa; Advanced Cell Technology di Robert Lanza, già nota per le mancate promesse sulle tecniche per prelevare staminali da un embrione senza danneggiarlo, da giovedì 22 gennaio 2009 a lunedì 26 è passata da una quotazione di 0,09 dollari a 0,29 dollari (+ 222%), o la Cord Blood America che dal 22 gennaio a martedì 27 ha messo a segno un balzo del 167%. Più in generale, a Wall Street si è scatenata una vera e propria caccia alle future stelle del biotech.

martedì 21 settembre 2010

FRANCO PANNUTI: LA PASSIONE DI CURARE E ASSISTERE I MALATI - di Francesca Pannuti
ROMA, martedì, 21 settembre 2010 (ZENIT.org).- “Ho un papà famoso". Questo pensiero si è fatto strada a poco a poco nella mia coscienza, nel corso della vita.
Quando passeggiavamo per strada, quante persone lo salutavano, quante telefonate cominciavano a disturbare i rari momenti in cui rimanevamo soli; i viaggi all'estero sempre più frequenti, i contatti con persone "importanti", i bagni di folla cui si sottoponeva volentieri mio padre, sempre così carico di umanità verso tutti; i discorsi pubblici, i riconoscimenti ufficiali della sua attività! Ma che significato dare a tutto ciò, che valore attribuirgli?
La risposta era evidentemente da ricercarsi nell'attività svolta dal professore a favore dei sofferenti di tumore, affinché questi potessero vivere i momenti più difficili della malattia e gli istanti più significativi della vita adeguatamente assistiti e circondati dall'affetto dei propri cari in un ambiente familiare.
Franco Pannuti (1932) e l'ANT costituiscono un binomio inseparabile: primario della Divisione di Oncologia dell'ospedale Malpighi di Bologna, nel 1978 egli fonda con altri dodici amici l'Associazione Nazionale per la Cura e lo Studio dei Tumori solidi, diventata poi, più brevemente, “Associazione Nazionale Tumori” (ANT). Trasformata nel 2002 in Fondazione ANT Italia Onlus, l'associazione si configura più chiaramente dandosi il Progetto Eubiosia (Progetto Vita buona). Finora l'ANT è riuscita ad assistere fino all'ultimo giorno più di 75.000 sofferenti di tumore e per circa 100 giorni ognuno.
E’ per raccontare questa bella storia che le Edizioni Dehoniane Bologna (EDB) hanno pubblicato il libro “Intervista a mio padre. Franco Pannuti, una vita spesa per i morenti”.
Quella che segue è l’intervista a ZENIT concessa dal prof. Franco Pannuti.
Che cosa le ha ispirato l’idea di fondare l’ANT?
Prof. Pannuti: Tre elementi hanno concorso a questo. Essendo primario della Divisione di Oncologia a Bologna, tutte le volte che dimettevo un paziente o una paziente che aveva effettuato chemioterapia ricevevo la fatidica domanda: "E dopo, a casa, chi lo segue?". Il secondo elemento è stato il fatto che nel ’78 avemmo una disgrazia in famiglia. Il nonno ebbe un tumore dello stomaco e dopo due anni dall’intervento morì. Morì a casa, assistito da me e da una mia “vecchia” infermiera assunta allo scopo. E allora, non vidi il motivo per cui non avrei potuto realizzare la stessa cosa anche per tutti gli altri nelle stesse condizioni.
Questo tipo di sofferenti, dopo la dimissione da un ospedale, “deve”, in collaborazione con i medici di famiglia, essere seguito in modo specialistico (chemioterapia o solo terapia palliativa e, quando necessario, gli esami quali quelli del sangue, le radiografie, gli ECG, le ecografie, ecc.) anche a domicilio, con la garanzia di una continuità assistenziale assicurata da persone esperte del settore e, fatto non secondario, a titolo completamente gratuito per tutti, indistintamente.
Ho sempre sostenuto, con grande convincimento, che negli ultimi cento giorni di vita ognuno di noi ha il “diritto” di ricevere dalla comunità della quale ha fatto parte, la massima assistenza possibile, sul piano tecnico, su quello sociale e spirituale e nel luogo desiderato, a casa o in una struttura ospedaliera, pubblica o privata che sia.
Il terzo elemento è stato il riavvicinamento a Dio. L’avere a che fare con la morte, giorno dopo giorno, e dovendo comunicare ai familiari le cattive notizie relative alla sofferenza, alla prognosi e all’imminente morte, mi spinse a riconsiderare il problema, a ritornare alle mie origini e a pensare che oltre questo limite ci deve essere qualche cosa.
L’anima non muore, Dio c’è e “credo” che ci sia anche una vita “infinita” tra le sue braccia. Insomma, si è realizzato un convinto riavvicinamento a Dio.
Dopo trent’anni dalla fondazione dell’ANT, che cosa le sembra di aver realizzato?
Prof. Pannuti: Secondo i dati aggiornati al 30 giugno 2010 gli assistiti sono 77.872 in 10 Regioni italiane, dove operano complessivamente 20 Ospedali Domiciliari Oncologici. Ogni sofferente assistito riceve nella propria casa, a titolo del tutto gratuito, un’assistenza specialistica che comprende anche la fornitura del materasso antipiaghe, degli esami necessari, dell’aiuto infermieristico, del sostegno di psicologi appositamente formati, e, nel caso di situazioni di indigenza, anche di un sostegno economico che ammonta, per le famiglie con un ISEE inferiore a euro 10.000, a euro 250 al mese per 6 mesi, nonché l’erogazione di un assegno fino a euro 300 per eventuali onoranze funebri. Il tutto secondo un progetto che deve seguire un decalogo di valori, stabilito in modo definitivo fin dalla nascita dell’ANT:
1) considera in ogni occasione la vita un valore sacro ed inviolabile;
2) considera l’EUBIOSIA (la buona-vita, la vita-in-dignità) un obiettivo primario da conquistare quotidianamente;
3) accogli la morte naturale come naturale conclusione dell’EUBIOSIA;
4) considera ogni evento della malattia reversibile;
5) combatti la sofferenza (fisica, morale e sociale) tua e degli altri con lo stesso impegno;
6) considera tutti i tuoi simili fratelli;
7) il Sofferente richiede la tua comprensione e la tua solidarietà, non la tua pietà;
8) evita sempre gli eccessi;
9) porta il tuo aiuto anche ai Parenti del Sofferente e non dimenticarti di loro anche “dopo”;
10) il nostro molto sarebbe niente senza il poco di tanti.
Tale decalogo può essere sottoscritto, per dare sempre più forza al nostro Progetto Eubiosia, nel sito dell’ANT: www.antitalia.org.
Come pensa di essere riuscito a realizzare tanto?
Prof. Pannuti: Innanzitutto, io credo che la Provvidenza esista e una prova l’ho avuta in tutto quello che ho fatto. Io avevo un’idea molto semplice: volevo aiutare i sofferenti di tumore e le loro famiglie. Quando sono entrato in campo, di volta in volta, mi sono adattato alle circostanze, cercando di fare tutto quello che potevo per individuare le necessità primarie di questi pazienti. Per realizzare questo, ricordo di aver bussato alla porta di molti "potenti" (si è trattato di una vera e propria questua) e di aver ricevuto in cambio molti no, ma detti sempre con tanta gentilezza ed apparente comprensione.
Tutti i no che ho ricevuto, soprattutto dalle pubbliche amministrazioni (Comune, Provincia e Regione e la mia amministrazione ospedaliera di cui facevo parte) non hanno fatto altro che rafforzarmi nei miei propositi. E soprattutto mi hanno fatto capire una cosa elementare: se vuoi lavorare per la gente, devi lavorare con la gente, devi chiedere alla gente di aiutarti per aiutare la gente. E questo io l’ho messo in atto, andando per le strade con i miei familiari e con gli amici per offrire stelle di Natale, uova di Pasqua allo scopo di raccogliere fondi.
Allora formulai una frase che poi divenne una sorta di bandiera per tutti i nostri volontari: "Il nostro molto sarebbe niente senza il poco di tanti", che significa privilegiare la partecipazione, significa non aver padroni, significa aver ricevuto molti soldi da chi ne aveva pochi e pochi soldi da chi ne aveva molti. Questo bellissimo gioco di affetti e di solidarietà è stato faticoso, ma non difficile, per due motivi. Primo, perché la gente mi ha creduto, e questo è stato un miracolo della Provvidenza. Secondo, perché hanno capito bene che il mio messaggio era semplice e sincero.
Che cosa l’ha spinto ad accettare di fare un’intervista con sua figlia?
Prof. Pannuti: Due sono stati i motivi: il primo motivo è che in un’intervista si deve essere assolutamente sinceri, senza equivoci. Questo rapporto di sincerità difficilmente è realizzabile nel corso di un’intervista “professionale”, mentre sincerità ed assenza di equivoci sono la base “naturale” di un corretto rapporto con i propri figli, che non sono mai disposti ad accettare e tanto meno a perdonare né le piccole o né le grandi falsità dei genitori.
Il secondo motivo è che ci si confessa pubblicamente con una figlia solo per un motivo, che è quello di volere coltivare e rafforzare una confidenza ed un affetto incondizionati, senza la pretesa di voler accreditare di se stessi un’immagine diversa da quella reale. Insomma, a pensarci bene, non si è trattato di una vera e propria intervista, ma di uno dei tanti episodi di dialogo, talora silenzioso, che ha preso l’avvio “naturale”, senza la necessità di alcuna registrazione, fin dal primo giorno di vita in comune.