lunedì 27 settembre 2010

La pillola dell’eterna giovinezza: Un’agenzia e due articoli sul tema – Se anche fosse possibile arrestare l’invecchiamento o addirittura sconfiggere la morte, proiettando l’esistenza umana in una dimensione di immortalità, questo basterebbe a garantire la felicità, se poi a questa esistenza non si riuscisse a dare un significato?

La pillola dell’eterna giovinezza: dalla Russia tra due anni - Lunedì 27 Settembre 2010
Creata dallo scienziato Vladimir Skulachev la pillola che allungherebbe l’aspettativa di vita.
Intervistato dal Daily Mirror, Skulachev sostiene che il principale alleato dell’invecchiamento è un meccanismo attraverso il quale “nel 99% dei casi l'ossigeno nelle cellule si trasforma in acqua ma c'è una percentuale di casi in cui diventa un superossido potenzialmente velenoso” che può logorare l’organismo.
Il team russo ha così creato un antiossidante – Sqk1 – che, durante alcuni test cominciati circa 40 anni fa, ha rallentato il processo di degenerazione cellulare di tutte le cavie animali, raddoppiandone in alcuni casi la longevità senza importanti effetti collaterali.


La scienza per l'eterna giovinezza: la pillola-elisir si vende in farmacia di Stefano Zecchi Sabato 15 maggio 2010 .- © IL GIORNALE ON LINE S.R.L
La pastiglia promette di combattere le malattie principali dell'invecchiamento. I primi test già fra due anni. Ma l'ossessione per l'immortalità resterà
Adesso non possiamo neppure più invecchiare in pace. Ci si è messa per prima la chirurgia estetica a promettere altre pance, altri sederi, altre facce da quelle che gli anni ci propinano. Però dalle lusinghe del bisturi, usate dal chirurgo come la bacchetta magica che promette di restituire proporzioni adeguate alle simmetrie classiche e pelli vellutate, ci si riesce ancora a difendere. Ci teniamo lontano proprio perché un sano timore ci fa capire che il bisturi non è proprio una bacchetta magica con quel suo tagliare indiscriminatamente e rincollare pezzi di plastica un po’ dappertutto. E poi basta guardare alla televisione le facce disastrose di vip per nutrire qualche sospetto sui miracoli della chirurgia estetica.
Ma come si fa a rifiutare una pillola che si butta giù con un sorso d’acqua? La pillola magica è già in via di sperimentazione (sui topi) e si prevede che nel 2012 sarà pronta per i primi test, non solo per migliorare la longevità del topo, ma anche la nostra. Aumenterà il ciclo di vita delle cellule, modificherà (in meglio) il metabolismo, controllerà il grado di colesterolo. La pillola viene presentata come un toccasana per la salute generale, ma non è questa la sua funzione: chiunque senza avere approfondite cognizioni in materia, sa che il medico se trova il colesterolo alto e il metabolismo sballato prescrive delle medicine ormai in commercio da vecchia data.
La pillola in questione non si limita a curare i soliti disturbi che aumentano con l’età, promette di essere, in realtà, quell’elisir di lunga vita che il genere umano cerca da quando ha messo piede su questa terra. Ovviamente senza mai trovarlo, o meglio, senza mai accontentarsi di essere quello che è.
Le più elementari statistiche ci dicono che gli anni di vita sono progressivamente aumentati con il trascorrere del tempo, semplicemente perché si sta meglio, si mangia bene, si ha qualche comodità in più e qualche bravo medico sa come intervenire quando la salute traballa.
Ma il professor Nir Barzilai dell’Albert Einstein College of Medicine di New York non è un medico della mutua che si accontenta di prescrivere dei farmaci senza neppure guardarci in faccia. In una conferenza alla Royal society di Londra, come dire il tempio della cultura e della sua comunicazione, ha spiegato di aver scoperto la pillola della longevità capace di combattere in una volta sola tutte le malattie dell’invecchiamento per far vivere sani più a lungo. Testualmente, il professore ha dichiarato a chiare lettere che «la specie umana è fatta per vivere oltre cento anni».
C’è un unico vero problema: chi pagherà le pensioni. Sembra infatti che i ministri economici, dopo aver risolto la crisi della Grecia, abbiano preso in disparte il professor Barzilai per chiedergli di prolungare la sperimentazione della sua pillola, facendogli capire che per adesso ci si può accontentare del tempo che ci è già dato da vivere. Ma Barzilai è stato irremovibile, con l’immediata conseguenza di far scendere sul piede di guerra i sindacati, pronti a resistere contro qualsiasi riforma delle pensioni.
È ovvio che la ricerca scientifica non si arresti di fronte a contingenti quisquilie socio-economiche. L’elisir di lunga vita è a portata di mano, pronto a trasformare in realtà un mito millenario che ha affascinato e lusingato il genere umano. Ma la pillola del professor Barzilai curerà il colesterolo ed altro, tuttavia non farà tornare i conti della vita come lui vorrebbe: il mito resterà mito per la tranquillità dei sindacati e dei ministri economici. Perché, se proprio vogliamo capire cosa dice, quel mito racconta il sogno di una lunga vita che però... non ha mai fine. È il mito dell’immortalità o, se si vuole, dell’eterna giovinezza: una vita, insomma, senza tempo e senza vecchiaia. Se mai fosse, bisognerebbe dire al professor Barzilai che noi vorremmo una pillola contro la morte: è la morte la vera seccatura; dalla vecchiaia ci possiamo già difendere discretamente se non abbiamo troppe pretese.


Quei Nobel per la medicina che giocano ad essere Dio di Gianfranco Amato - 6 Ottobre 2009 da http://www.loccidentale.it
Anche per il 2009 il governo svedese ha assegnato il Nobel per la medicina.
Si divideranno il premio di dieci milioni di corone svedesi (circa 980.000 euro) gli scienziati statunitensi d’adozione Elizabeth H. Blackburn, Carol W. Greider e Jack W. Szostak.
Per la prima volta nella storia dell’ambito riconoscimento, due donne hanno avuto l’onore di essere premiate. Non è, però, questa circostanza – seppure di un certo rilievo – a destare l’interesse dell’opinione pubblica non erudita sul Nobel di quest’anno.

In realtà, è proprio l’oggetto della scoperta premiata a stimolare la curiosità della common people, normalmente poco avvezza ai vetrini dei microscopi.
Sì perché il Nobel questa volta è stato conferito ai tre accademici per le loro ricerche sulle funzioni delle strutture che proteggono le estremità dei cromosomi, i cosiddetti telomeri, e sull’enzima che li costituisce, ovvero la telomerasi. Detta così la scoperta non desta molto appeal. La cosa si fa, invece, più interessante quando al profano viene spiegato che i telomeri sono la difesa più significativa contro i danni che i cromosomi possono subire nella fase di divisione cellulare e costituiscono, quindi, la protezione più importante contro la degradazione e l'invecchiamento. Da qui il tripudio collettivo. La Scienza sta finalmente sconfiggendo l’odiosa vecchiaia e forse, chissà, anche la stessa morte.
L’eccitazione è però destinata presto a smorzarsi. Dal coro degli scienziati entusiasti, infatti, si leva qualche voce stonata dettata da maggiore prudenza e realismo. Il professor Roberto Bernabei, geriatra al policlinico Gemelli ed ex Presidente della Società italiana di Gerontologia e Geriatria, ad esempio, si mostra assai cauto: «Sono scoperte indubbiamente interessanti, ma l'applicazione pratica è straordinariamente lontana».
Per ora, coloro che sono affetti dalla sindrome di Dorian Gray ed i fanatici della anti-aging medicine devono rinviare le speranze.
In attesa di verificare quali reali vantaggi la nuova scoperta possa davvero portare nel campo terapeutico, soprattutto per quanto riguarda il campo oncologico, si può riflettere sull’opportunità che la scienza interferisca nei processi biologici, playing God.
Gli studiosi premiati sul punto hanno le idee molto chiare.
Elizabeth Blackburn è un’accanita sostenitrice della ricerca sulle cellule staminali embrionali, convinta che da essa possa ricavarsi una moderna lapis philosophorum capace di donare vita eterna ed immortalità. Un approccio ideologico che ricorda più l’ermetismo alchemico che la prospettiva razionale di una moderna mente scientifica. Nel 2004, del resto, la Blackburn fu allontanata dal Council on Bioethics, il comitato scientifico sulla bioetica degli Stati Uniti. Indispettita per quel provvedimento, la scienziata non esitò a firmare un editoriale di fuoco sul New England Journal of Medicine in cui sosteneva chiaramente di essere stata licenziata dal comitato scientifico solo perché le proprie idee contrastavano con la linea anti-staminali embrionali dell’allora presidente americano George W. Bush.
Il collega scopritore Jack Szostak è, invece, uno sfegatato darwiniano ossessionato dall’idea di riprodurre in laboratorio la cellula primordiale per dimostrare l’assurdità della teoria dell’intelligent design. Le sue ultime ricerche, infatti, sono essenzialmente focalizzate sul tentativo di creare un sistema vivente sintetico in grado di evolversi in senso darwiniano. Il Prof. Szostak non gioca ad essere Dio, pensa semplicemente di esserlo.
Resta da capire che senso abbia tentare di creare una vita biologicamente perfetta, arrestarne l’invecchiamento o addirittura sconfiggere la morte, proiettando l’esistenza umana in una dimensione di immortalità, se poi a questa esistenza non si riesce a dare un significato.
E’ curioso il timore, diffuso a tutti i livelli della società, di diventare vecchi e l’irrefrenabile desiderio di prolungare il più possibile la vita, senza soffermarsi a riflettere se poi esista davvero un motivo per cui valga la pena viverla. Ed è curioso vedere la girandola degli enormi interessi economici, medici, scientifici, politici che ruota attorno al sogno di sconfiggere l’invecchiamento.
Quanto siano ambiziose le speranze in questo settore lo ha evidenziato Leonard Hayflick, geriatra della University of California in una sua celebre metafora: «Quando un’auto esce dal concessionario inizia ad invecchiare, perdendo la sua integrità. La ripariamo, ma a un certo punto diventerà inservibile perché i guasti saranno troppi: proprio come accade all’uomo. Poiché nessuno è stato finora capace di fermare il declino di un oggetto semplice come l’auto, pensare di riuscirci con l’uomo appare tuttora come un’utopia». Forse qualche Premio Nobel, prima o poi, riuscirà nell’impresa, realizzando quell’antica utopia. Ma ne varrà davvero la pena?

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