venerdì 17 settembre 2010

Per i consultori familiari l’occasione di tornare alle origini - LA SENTENZA DEL TAR DELLA PUGLIA SUI MEDICI OBIETTORI - CARLO CASINI Presidente Movimento per la vita – Avvenire, 16 settembre 2010
Ho già auspicato più volte che l’«agenda bioetica» del governo italiano comprenda tre obiettivi concreti da mettere in cantiere al più presto: la modifica dell’articolo 1 del Codice civile, per riconoscere la personalità giuridica a ogni essere umano fin dal concepimento; la riforma dei consultori familiari, per renderli limpido strumento di protezione del diritto alla vita mediante il consiglio e l’aiuto alla madre in difficoltà per una gravidanza difficile o non desiderata; l’approvazione definitiva della legge sul «fine vita», per evitare che si ripetano altri casi come quello che ha portato alla morte di Eluana Englaro. La sentenza del Tar di Puglia, che ha annullato i provvedimenti regionali con i quali si intendeva escludere dai consultori familiari gli obiettori di coscienza, può dare una spinta per avviare la realizzazione del secondo obiettivo.

Le sentenze operano con forza giuridica soltanto nel dispositivo: in questo caso riconoscendo il diritto degli obiettori. Ma nella motivazione vi è un suggerimento su cui è doveroso riflettere: si auspica la riserva del 50 per cento in favore degli obiettori. Quale la ragione di questo invito? Non può essere l’idea che gli obiettori possano svolgere meglio il compito di far superare alla donna le circostanze che la indurrebbero all’aborto, perché questo è il dovere di tutto il personale del consultorio, come è prescritto dall’articolo 2 della Legge 194, che la sentenza riporta per esteso. I medici non obiettori non sono dispensati dal compiere quanto prescritto dalla legge. E allora tra obiettori e non obiettori dove sta la differenza che giustifica la riserva di una quota? Evidentemente nel fatto che gli obiettori non intendono contribuire all’aborto neppure mediante rilascio di un documento che sostanzialmente è un’autorizzazione a eseguirlo, perché, come recita l’articolo 8 della Legge 194, è l’unico titolo indispensabile per procedere all’intervento.

La motivazione della sentenza pugliese sembrerebbe, invece, supporre l’obbligo anche dei medici obiettori di rilasciare tale certificazione. Ma ciò è in aperto contrasto con l’articolo 9 della 194 che dispensa l’obiettore dal partecipare alle «procedure» dell’articolo 5 e anche con la giurisprudenza del Consiglio di Stato che ha affermato il diritto all’obiezione persino per il personale che effettua l’analisi del sangue in preparazione dell’interruzione volontaria di gravidanza (sentenza 428 del 10 ottobre 1983). La verità è che da nessuna parte della legge è scritto che i consultori debbano autorizzare l’aborto. Ciò che è detto per l’esecuzione degli interventi riguardo ai presidi sanitari (obbligo di garantire l’esecuzione delle Ivg) non è invece detto riguardo ai consultori in ordine alla documentazione finale che predispone l’aborto. Purtroppo la prassi ha snaturato la funzione consultoriale. È giunto, dunque, il momento di restituire ai consultori la loro originaria ed essenziale funzione di difendere il diritto alla vita dei figli concepiti anche in un ordinamento che ha legalizzato l’aborto.

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