lunedì 30 settembre 2013

26 settembre 2013 - Come corrompere un bambino, e farla sembrare una cosa buona - http://www.prolifenews.it/

26 settembre 2013 - Come corrompere un bambino, e farla sembrare una cosa buona - http://www.prolifenews.it/

educazione sessuale_OMS_genitori

Si chiama Standard di Educazione Sessuale in Europa ed è una guida per i governi, sviluppata dall’ufficio europeo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), in collaborazione con l’agenzia governativa tedesca per l’Educazione Sanitaria.
Il documento ha iniziato a essere diffuso presso i ministeri dell’Istruzione e della Salute d’Europa, ed è indistinguibile da un manuale di corruzione dei minori, ispirato però dai dogmi dell’ideologia di genere.
Delle specifiche competenze che la guida consiglia di trasmettere ai bambini dai 0 ai 16 anni, questi sono alcuni esempi citati testualmente nel documento:
-Da 0 a 4 anni, l’OMS prescrive l’apprendimento del “godimento e piacere quando giochiamo con il nostro corpo: la masturbazione della prima infanzia”.
-Da 0 a 4 anni è l’ età ideale per “la scoperta del corpo e dei genitali”.
-A 4 anni, l’OMS afferma che i nostri figli sono in grado di “esprimere i bisogni, i desideri e i limiti, ad esempio nel gioco del dottore”.
-Da 4 a 6 anni i nostri figli hanno bisogno di sapere che la storia della cicogna come uccello-madre è un mito.
-Da 4 a 6 anni è l’età ideale, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, per “parlare di questioni sessuali”, esplorare “le relazioni omosessuali” e “consolidare l’identità di genere”.
-Tra i 6 e i 9 anni, gli esperti dell’OMS affermano che i nostri figli sono pronti a conoscere e difendere i “diritti sessuali di bambini e bambine”.
-Da 9 a 12 anni, e fino a 15, devono conoscere il problema della maternità imprevista. Lo dicono con una parafrasi: “l’impatto della maternità e della gravidanza tra gli adolescenti (cioè la crescita dei figli, la pianificazione familiare, i progetti di studio o di vita, la contraccezione , il processo decisionale e la cura nel caso di gravidanze indesiderate”. Da notare il giro che fa l’OMS per dire che prima dei 15 anni, i nostri figli sono pronti per essere clienti dell’industria dell’aborto.
-Da 9 a 15 , è bene che ricevano informazioni su dove trovare un contraccettivo e dove ottenere un aborto .
-Tra 9 e 15 anni è inoltre un’età chiave, secondo l’OMS, per insegnare che la religione cristiana rappresenta un ostacolo per il piacere e il godimento del proprio corpo: “Influenza di età, sesso, religione e cultura” nell’educazione affettiva e sessuale .
-A 15 anni è il momento di “aprirsi agli altri (dichiarare l’omosessualità , la bisessualità e altre opzioni)”
-15 anni è anche l’età per venire a conoscenza, inoltre, del “sesso commerciale (prostituzione , ma anche sesso in cambio di piccoli regali, pranzi/notti fuori o piccole somme di denaro), pornografia, dipendenza dal sesso”.
I contenuti specifici della guida Standard di Educazione Sessuale in Europa, sviluppata dall’OMS, sono tanto eloquenti quanto i princìpi:
-Il principio per il quale i genitori sono una “fonte informale” di educazione, rispetto allo Stato come “fonte formale”, “scientifica” e veritativa.
-Il principio per cui l’educazione affettiva e sessuale dei bambini dev’essere pianificata in funzione di una “sensibilità di genere”. Cioè che la natura, i fatti, i dati, la responsabilità dei genitori… tutto debba sottomettersi ai dogmi della “sensibilità di genere”.
-Il principio per cui l’educazione sessuale e affettiva “inizia alla nascita”.
-Il principio secondo il quale l’educazione sessuale e affettiva “deve avere un approccio olistico”. Tutto è sesso, per l’OMS.
-Il principio per cui l’educazione sessuale e affettiva è funzionale al “rafforzamento dell’individuo e della comunità”. Tutto è politico, per l’OMS.
-Il principio per il quale gli insegnamenti dell’OMS sono “scientifici” e “neutrali” mentre quelli dei genitori vanno presi con le pinze.
La guida consiste di 83 pagine e le parole “amore” e “responsabilità” non appaiono o, quando ci sono, il loro peso e significato sono del tutto irrilevanti. Non affrontano mai l’argomento.
In compenso, la Guida parla costantemente di “piacere”, “benessere personale” e “istinti”.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità è un’agenzia delle Nazioni Unite.
Attraverso la guida Standard di Educazione Sessuale in Europa, l’organizzazione cerca di definire principi e contenuti di base che gli Stati devono sviluppare per educare i bambini europei alla sessualità e all’affettività, secondo i pregiudizi e i precetti dell’ideologia di genere.
Si tratta di un documento di enorme influenza, diretto ai Ministri della Salute e dell’Istruzione in Europa, un documento che ignora i genitori come responsabili per l’educazione dei proprii figli.
Traduzione a cura di Giovanni B. Reginato
Fonte: HazteOir

Eutanasia? No grazie, accompagnare non sopprimere, 28 settembre, 2013, di Marco Gabrielli, cardiochirurgo all’Ospedale di Cattinara (Trieste) - http://www.uccronline.it/


Eutanasia

da “Vita Nuova “, 20/08/13

Siamo nel pieno di una campagna in favore dell’eutanasia: dopo anni di pubblicità unidirezionale su alcuni casi limite siamo arrivati alla raccolta di firme per la sua legalizzazione. Il tutto abilmente condito da dati statistici non confermati (nessuno studio scientifico è mai stato commissionato su larga scala per conoscere l’effettiva opinione degli italiani) e portando casistiche poco credibili e comunque non confermabili quali quelle relative alla cosiddetta “eutanasia clandestina”.

Ci troviamo davanti a militanti che sanno coprire bene l’odore della morte parlando di libera scelta, di sofferenze evitate, di dignità della vita e di libertà fino alla fine, ma tacciono su cosa sia l’eutanasia, intesa anche come suicidio assistito ed abbandono terapeutico, e a cosa potrebbe portare la sua legalizzazione soprattutto in un momento di grave crisi economica che porta ai tagli alle spese sanitarie. Il tutto aggravato dall’inverno demografico che ci siamo creati che vede un numero sempre più esiguo di giovani dover prendersi cura di un numero sempre maggiore di anziani e dove, non avendo più figli, viene meno il primo livello di solidarietà, quello famigliare.

Facile l’analogia con precedenti campagne quali quella in favore dell’aborto. Chi si sarebbe mai aspettato che in 35 anni in Italia quasi sei milioni di bambini non sarebbero nati perché uccisi legalmente nell’utero materno con la legge 194/78? E dire che solo una minima parte dei bambini abortiti fa parte dei “casi limite” tanto pubblicizzati in occasione del referendum del 1981. Se viene meno un principio, tutto crolla. L’aborto è ormai un fatto routinario perché la vita di un feto non è più considerata un valore con tutte le conseguenze che non sempre si hanno presenti: si è smesso di cercare soluzioni alternative in termini di aiuti, anche economici, ai genitori; si è smesso di ricercare terapie in grado di trattare eventuali patologie fetali; è venuta meno una rete di solidarietà in grado di aiutare le madri e le famiglie a cui fosse capitata una “gravidanza indesiderata”. L’aborto è considerato la soluzione migliore e chi non vi ricorre viene pesantemente commiserato: non sarà “obbligatorio”, ma è “fortemente consigliato” e, in assenza di aiuti concreti, come quelli erogati dal volontariato, non lascia spesso alternative.

Facile l’analogia con l’eutanasia. Perché continuare a ricercare cure quando c’è una via diversa? Perché dovrebbe continuare a vivere una persona quando un’altra affetta dalla stessa malattia ha deciso di morire? Meglio: perché lo Stato dovrebbe continuare a pagare cure per chi ha l’eutanasia come alternativa? Il passo che porterà a chiedere l’eliminazione di tutte le vite “non degne di essere vissute” è brevissimo. Lo abbiamo già visto in un triste passato che ora cerchiamo di dimenticare. Lo vediamo quotidianamente con l’aborto eugenetico.

Dai paesi europei ed extraeuropei in cui già è legale l’eutanasia giungono notizie allarmanti. Per brevità accenno solo all’estrema facilità di accesso al “suicidio assistito” che viene erogato anche per patologie non in fase terminale, alla sospensione delle cure e dei trattamenti salvavita per i pazienti più anziani o affetti da un elenco crescente di patologie per le quali è sufficiente non assumere dei farmaci per alcuni giorni per arrivare al decesso, all’eutanasia del non consapevole quale può essere un malato di Alzheimer, agli errori diagnostici su persone avviate verso protocolli eutanasici e alla sempre più diffusa “eutanasia pediatrica”. Anche fosse vero che una esigua minoranza di medici pratica l’eutanasia non sarebbe sufficiente per far approvare una legge che la consenta: questo varrebbe anche per tutti gli altri reati, pensiamo, ad esempio, all’evasione fiscale o al non rispetto dei limiti di velocità.

Non è cosa esclusiva dei cristiani riconoscere che è insito nell’uomo quell’istinto di sopravvivenza che ci accomuna agli animali e che eliminiamo solo facendoci violenza. In più l’uomo, con la ragione, dovrebbe riconoscere la vita come valore assoluto. Non possono essere dimenticate tutta quella serie di relazioni che danno scopo e dignità alla vita, anche se questa attraversa momenti difficilissimi ed è particolarmente fragile, vulnerabile, dipendente e, per questo, richiedente aiuto e sostegno. Voler eliminare con la morte queste fasi fa venir meno l’umanità di chi soffre e di chi accompagna nella sofferenza. Accompagnare non è semplice, ma sicuramente più umano che sopprimere.

Non è detto che si debba per forza soffrire, accusa gratuita che viene spesso rivolta verso la Chiesa Cattolica: già nel 1957 papa Pio XII precisò che è da ritenersi moralmente lecita una terapia antidolorifica anche se, al fine di alleviare i dolori, di fatto abbrevia la vita. Insegnamento ribadito anche nel Catechismo della Chiesa Cattolica, che pure vieta espressamente l’accanimento terapeutico. La “morte imposta nella sofferenza” di cui i cattolici vengono accusati è una menzogna pretestuosa di chi si batte per la legalizzazione dell’eutanasia.

Da ultimo qualche brevissima considerazione sulle dichiarazioni anticipate di trattamento (DAT). Le DAT sono lo strumento culturale per far accettare ed approvare l’eutanasia. In assenza di una legislazione nazionale non ha alcun senso istituire dei registri a livello locale che le raccolgano. Non si deve temere che i medici pratichino il tanto temuto accanimento terapeutico perché questo è vietato tanto dal Codice Penale quanto dal Codice di deontologia medica. Lo stesso dicasi per l’eutanasia. Che valore può avere una dichiarazione resa in giovane età, davanti ad un funzionario non preparato a raccoglierla in un mondo in veloce cambiamento anche dal punto di vista terapeutico? Tutti noi possiamo cambiare le aspettative di vita e magari quello che oggi ci sembrerebbe insopportabile un domani potrebbe non esserlo più e quanto oggi non è curabile un domani potrebbe diventarlo. Desta preoccupazione leggere il testo di alcune DAT sottoscritte da giovani e rese pubbliche attraverso Internet. Chi firma queste dichiarazioni, spesso tratte dallo stesso canovaccio, dichiara di rifiutare trattamenti quali “rianimazione cardiopolmonare” o “intubazione tracheale”, trattamenti che, se accompagnati al trattamento risolutivo delle cause che li hanno resi necessari, possono portare alla piena guarigione. Il rifiuto aprioristico di questi trattamenti può causare la morte della persona che avrebbe potuto riprendere una vita normale. Stiamo attenti a quello che firmiamo…

Il nuovo medico: da professionista a mero esecutore di Giorgio Maria Carbone, 30-09-2013, http://www.lanuovabq.it/

medico

I vari Consigli provinciali dell’Ordine dei medici in questi giorni stanno esaminando e votando la proposta di un nuovo codice deontologico. Esaminiamo anche noi solo alcuni articoli per comprendere qual è la posta in gioco. Lo faremo documentandoci, cioè confrontando il testo vigente con il testo proposto.

L’obiezione di coscienza del medico «Testo vigente Art. 22, Autonomia e responsabilità diagnostico-terapeutica. Il medico al quale vengano richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita e deve fornire al cittadino ogni utile informazione e chiarimento».
«Testo proposto Art. 22, Rifiuto di prestazione professionale. Il rifiuto di prestazione professionale anche al di fuori dei casi previsti dalle leggi vigenti è consentito al medico quando vengano richiesti interventi che contrastino con i suoi convincimenti etici e tecnico-scientifici, a meno che questo comportamento non sia di nocumento per la salute della persona assistita. Il medico deve comunque fornire ogni utile informazione e chiarimento per consentire la fruizione dei servizi esigibili e a questo fine collabora con le aziende sanitarie».

Per brevità faccio solo tre osservazioni critiche: 1) se il rifiuto della prestazione sanitaria causa nocumento alla salute dell’assistito, si rientra nella fattispecie di omissione di soccorso, disciplinata dal Codice penale. Quindi è inutile la frase «a meno che questo comportamento non sia di nocumento per la salute della persona assistita». Ma viene da pensare che tale frase serva ad altri scopi. 2) Il testo proposto nel 2013 specifica il fine dell’informazione «consentire la fruizione dei servizi esigibili e a questo fine collabora con le aziende sanitarie». Molto meglio il testo vigente, che lascia libertà al medico: questi informa e chiarisce, ma non in funzione di far fruire dei servizi. Facciamo il caso che si tratti della prescrizione del Levonorgestrel o della RU486 (due prodotti chimici abortivi), il testo vigente dice il medico informa e chiarisce perché non prescrive e somministra il prodotto chimico, mentre il testo proposto dice che l’informazione e il chiarimento del medico deve avere come scopo la fruizione del servizio (quindi nell’esempio la somministrazione del prodotto chimico che non è un salva-vita) al quale il medico è contrario in ragione della sua scienza e coscienza. In questo caso il medico dando tali informazioni e chiarimenti che hanno come fine oggettivo la fruizione del servizio, diventa formalmente complice del servizio, cioè della somministrazione o erogazione, alla quale egli è contrario. È così lesa la sua autonomia e libertà professionale, richiamata continuamente dal testo proposto nel 2013 a partire dall’art. 2. 3) Inoltre, il testo proposto dice «a questo fine collabora con le aziende sanitarie». Che necessità ha questa frase? Non collabora già? Oppure significa «il medico deve segnalare in quale struttura della Asl è erogato il servizio a cui lui è contrario»? Di nuovo sorge la complicità formale e quindi la lesione dell’autonomia professionale del medico.

Tener conto delle volontà del paziente o le dichiarazioni anticipate di trattamento?
«Testo vigente Art. 36, Assistenza d’urgenza. Allorché sussistano condizioni di urgenza, tenendo conto delle volontà della persona se espresse, il medico deve attivarsi per assicurare l’assistenza indispensabile».
«Testo proposto Art. 36, Assistenza d’urgenza. Allorché sussistano condizioni di urgenza, tenendo conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento se espresse, il medico si attiva per assicurare l’assistenza indispensabile».

I due testi sembrano uguali, ma in realtà non lo sono. Così come «tener conto delle volontà del paziente» sembra essere la stessa cosa delle «dichiarazioni anticipate di trattamento», ma in realtà non lo sono. Il testo proposto fa riferimento alle «dichiarazioni anticipate di trattamento» che non hanno alcun rilievo nel nostro ordinamento giuridico. Meglio dire con il testo vigente «tenendo conto delle volontà della persona se espresse» che è una eco della Convenzione di Oviedo del 1998, ratificata con Legge della Repubblica, nella quale è detto che «il medico tiene conto delle volontà espresse del paziente». Il riferimento alle «dichiarazioni anticipate di trattamento» è particolarmente grave perché attraverso lo strumento del codice deontologico si vuole introdurre un istituto giuridico, cioè le dichiarazioni anticipate di trattamento, che la scorsa legislatura non votò in via definitiva. Quindi, attraverso un documento normativo di una federazione professionale sarebbe introdotta una realtà che è di competenza del parlamento: il che mi sembra particolarmente grave.
Inoltre, si consideri che: 
1) le dichiarazioni anticipate di trattamento non sono espressione del consenso informato perché manca l’attualità o contestualità tra il momento in cui io paziente esprimo la volontà e il momento in cui insorge la patologia;
2) il testo proposto all’art. 38 dice in sostanza che le dichiarazioni si applicano «in caso di perdita di coscienza di sé totale e irreversibile». Ora la perdita di coscienza totale e irreversibile si ha solo nella condizione di assenza di attività elettrica dell’encefalo: questa è l’unica condizione di irreversibilità, tale condizione è la morte accertata mediante elettroencefalogramma.

Paziente o assistito?
L’art. 6 e in generale tutto il testo proposto privilegia l’uso dell’espressione «persona assistita» e non più «paziente». Le parole segnalano esternamente le idee: la persona-assistita può essere non affetta da alcuna patologia. Mentre dire “persona-paziente” comporta il fatto che tale persona abbia o sospetti di avere una patologia. È forse in atto uno slittamento della professione e dell’arte medica: dal guarire e curare il paziente, stiamo passando «assistere il cliente», a «fornire una prestazione a chi la chiede anche non in presenza di una patologia», un cliente appunto.

Da professionista che agisce in scienza e coscienza a esecutore-operatore
Da queste sommarie osservazioni sulle proposte relative alla erosione dell’obiezione di coscienza e all’introduzione delle dichiarazioni anticipate di trattamento, contenute negli artt. 22, 36-38, possiamo concludere che la bozza proposta del codice deontologico opera, quasi surrettiziamente, una trasformazione radicale dell’identità del medico. In ragione del codice deontologico oggi vigente il medico è un professionista che agisce in scienza e coscienza e che dal punto di vista del diritto civile ha un’obbligazione di mezzi, cioè si impegna con il paziente (non con il cliente) a mettere in campo tutti i mezzi perché si ottenga il risultato sperato, cioè guarigione, cura o assistenza sanitaria. L’obbligazione di mezzi è la stessa tipologia di obbligazione che ha un avvocato o un consulente.

Ai sensi del testo proposto, invece, il medico diventerebbe un operatore che dal punto di vista del diritto civile ha un’obbligazione di risultato, cioè si impegna con la controparte, detta “assistito” (quindi non più necessariamente paziente) per garantire il risultato. L’obbligazione di risultato è la stessa tipologia di obbligazione che ha un venditore di pane o di giornali: a fronte del pagamento dell’importo si obbliga a darmi il prodotto.

Obbligarsi a garantire il risultato, oltre ad essere un’utopia o un’illusione (dipende dai punti di vista), realizza anche lo stravolgimento dell’identità del medico: da professionista a esecutore delle volontà del cliente. Quindi, la posta in gioco nell’esame e nel voto della proposta del nuovo codice deontologico medico è alta, molto alta: l’identità stessa del medico.

Pillola del mese dopo, goffo tentativo di truccare l’aborto da “contraccezione post-fertilizzazione” - settembre 29, 2013, Benedetta Frigerio - http://www.tempi.it/


Foto: Ci mancava la "pillola del mese dopo"

Ennesimo goffo tentativo di truccare l'aborto fai-da-te da "contraccezione post-fertilizzazione": www.tempi.it/aborto-pillola-mese-dopo-anticoncezionale-contraccezione-post-fertilizzazione

Un gruppo di ricercatori chiede alle case farmaceutiche di sviluppare un “nuovo” metodo di controllo delle nascite che somiglia tanto all’aborto a domicilio
pillola_anticoncezionale-jpg-crop_displayAncora non esiste ma l’hanno già battezzata “pillola del mese dopo”. Alcuni ricercatori americani e svedesi hanno firmato un editoriale sulla rivista scientifica Journal of Family Planning and Reproductive Health Care per spingere le case farmaceutiche a superare i presunti ostacoli di natura politica e religiosa e a procedere senza indugio nello sviluppo di quello che viene presentato come un contraccettivo “post fertilizzazione”. Che però, a giudicare dagli effetti provocati, somiglia più a una versione aggiornata della pillola abortiva Ru486 che a un contraccettivo. La nuova “kill pill”, infatti, sarebbe in grado di agire fino a un mese dopo il rapporto sessuale, quando l’ovulo è fecondato e l’embrione in parte sviluppato.
PEGGIO DELLE “KILL PILL”. In realtà sono già diverse le voci che hanno sollevato perplessità sul nuovo composto chimico. Sarà peggio della Ru486, dicono, perché anche la “pillola del mese dopo” è un farmaco abortivo, ma più camuffato. Agli autori dell’editoriale, però, tutto ciò non interessa. L’importante è che «una pillola del genere sarà molto popolare tra le donne». E anche se «è una forma di aborto» – ammette Elizabeth Raymond, firmataria dell’”appello”, medico presso l’azienda newyorkese Gynuity, specializzata in “salute riproduttiva – «sarebbe ampiamente accettata». Anche perché la miracolosa pillola potrebbe sostituire altri farmaci contraccettivi con effetti collaterali fastidiosi come l’aumento di peso, il mal di testa o la nausea. «Vent’anni fa un sondaggio condotto in più paesi, specificamente pensato per conoscere i sentimenti delle donne sulla pillola contraccettiva che agisce dopo la fertilizzazione, ha rivelato una notevole accettazione», si legge nell’editoriale.
UNA CONTRADDIZIONE IN TERMINI. Ma non è tutto. Nell’articolo la dottoressa Raymond ha anche scritto che non bisogna pensare male di questa «forma di aborto»: «Dobbiamo smetterla di esaltare la contraccezione pre-fertilizzazione come una cosa buona, perché questo implica che ciò che agisce dopo la fertilizzazione invece sia male». Giochi di parole che non convincono per niente il movimento Family Education Trust, che sul Daily Mail ha fatto notare come «parlare di contraccezione post fecondazione sia una contraddizione in termini» e come chiamare il farmaco “pillola del mese dopo” riveli solo il tentativo di confondere l’opinione pubblica nascondendo la presenza di «un’altra persona». Per il Family Education Trust si tratta infatti di «aborto a domicilio», senza mezzi termini. E «l’aborto significa solo una cosa: la rimozione del bambino non ancora nato».
@frigeriobenedet

venerdì 27 settembre 2013

Rubrica del mercoledì: Neuro-Antropologia e Neuro-Filosofia (2)


... continua, 2 parte: L’esperienza del Trascendente alla luce della psicoterapia


di Alberto Carrara*, Alberto Passerini** e Alessandra Pandolfi***
* biotecnologo e neurobioeticista, Ateneo Regina Apostolorum (Roma), Gruppo di Neurobioetica (GdN)
** Psichiatra, Psicoterapueta, S.I.S.P.I. – Scuola Internazionale di Specializzazione con la Procedura Immaginativa, Milano-Roma (www.sispi.eu)
*** Anestesista, Psicoterapeuta, S.I.S.P.I. – Scuola Internazionale di Specializzazione con la Procedura Immaginativa, Milano-Roma (www.sispi.eu)

«Trascendente ed Esperienze Immaginative [1]: Il Trascendente in psicoterapia

Considerare l’idea che l’Uomo ha dell’esistenza della divinità alla stregua di un pensiero magico o animistico, come si legge in alcuni scritti, significa, al di là di qualsiasi credenza religiosa, atea o agnostica, ignorare una parte dell’Essere nei suoi bisogni fondamentali; oltre a quelli di amare, essere amato ed essere riconosciuto nei propri significati: il trascendente (Toller, Passerini, 2007).  


Quasi un secolo di studio e di pratica della Psicoterapia con l’Esperienza Immaginativa (Rêve-Eveillé, Procedura Immaginativa) (Passerini, 2009)  ha dimostrato che, oltre al vissuto corporeo e a quello psichico, esiste una dimensione superiore attinente allo spirito, accessibile a tutti anche se non tutti vi prendono soventemente contatto (Passerini, 2012). 

All’interno del “laboratorio” della pratica clinica si possono cogliere della sequenze immaginative a contenuto “transpersonale”, “mistico”,  caratterizzate da vissuti di “fuori dal tempo e dalla fisicità”, “pace interiore”, “estasi”.  Si tratta di una “coscienza di ordine trascendentale, che sfugge a qualsiasi analisi e a qualsiasi linguaggio espressivo adeguato” (Fabre, 1981), di un “sentimento oceanico”, come lo definisce Roman Rolland nelle sue ricerche sulla mistica, un “silenzio nell’oscurità perfetta” con sentimenti di fusione e di comunione con il mondo (Desoille, 2010 [1973]).  

Queste ultime caratteristiche possono palesare una parentela con alcuni vissuti arcaici di indifferenziazione tra sé e l’esistente ma  ciò che distingue questa esperienza umana dal pensiero arcaico e/o infantile è stato ben evidenziato dagli studi di Fabre (1981) e De Martin (1986).  Mentre, là dove il pensiero infantile raffigura il soprannaturale in un essere superiore non soggetto alle leggi della fisica (Vallortigara, Girotto, 2013), che si può considerare null’altro che una tappa dello sviluppo cognitivo e psico-affettivo ben descritto negli studi di Piaget (1983), esiste invece un punto d’incontro tra Trascendente ed Arcaico proprio dove questi due stati condividono il vissuto di “fusione”.  Ma ci sono delle differenze: nella regressione all’Arcaico c’è una regressione anche nel cognitivo, si altera la logica causale, la razionalità, si disorganizza il pensiero, si dissolvono i confini dell’Io; diversamente nel contatto con il Trascendente ci sono sentimenti di presenza, di lucidità creativa (Desoille, 2010) (Passerini, 2009), (Rocca, Stendoro, 1993) e di finalismo (Ales Bello, 2010).  

Il superamento di una soglia
Sempre dal “laboratorio” empirico dell’attività clinica, si è potuto riscontrare che il raggiungimento di stati “elevati” di coscienza, in genere, è preceduto dal superamento di una soglia, da un cambiamento interiore che permette all’Io di ritrovare un’unità (originaria), dalla quale sprigiona una comprensione  lucida, creativa e riflessiva.  La soglia di cui si sta parlando si identifica spesso in un’azione non ordinaria come una nascita simbolica o un’esperienza iniziatica, che si possono riconoscere grazie all’apparire di particolari simbolismi: l’attraversamento di un varco, il passaggio di una porta monumentale, l’attraversamento di uno specchio, la scala a spirale, un passaggio di stato attraverso l’addormentamento, la scomparsa di una maschera ed altri (Romey, 1982).  Ed avviene sempre attraverso il superamento di una prova.

I vissuti di pre-morienza
La possibilità di saggiare l’esperienza del Trascendente appartiene all'essere umano che può vivere questo stato in momenti diversi della propria esistenza.  


Una delle più recenti acquisizioni è quella dei vissuti trascendentali extracorporei, legati alle testimonianze di persone che, trovatesi in punto di morte, grazie alle moderne tecniche rianimatorie, vengono salvate e, al proprio risveglio, raccontano di aver sperimentato nuove dimensioni, in genere a forte contenuto emozionale e di grande bellezza (Owen et al., 1990) (Van Lommel et al., 2001).  Vissuti di pre-morienza (Near Death Experience) vengono descritti anche da pazienti sottoposti ad anestesia generale, soprattutto per interventi chirurgici in cui il muscolo cardiaco viene fermato artificialmente per un certo periodo di tempo (Spitelli et al., 2002). In questo caso non sempre i vissuti extra-corporei sono rasserenanti ma possono avere anche connotati angosciosi.  Questa condizione è di particolare interesse “sperimentale” poiché si può dire che il paziente cardio-chirurgico, in relazione alle modalità dell’intervento, sperimenti “in vita” la propria morte: egli sa che il suo cuore si fermerà per poi ricominciare a battere dopo l’intervento; frequenti sono in letteratura (Blacher, 1983) così come nella nostra esperienza (Passerini, 1987) i vissuti di rinascita, di resurrezione e di pre-morienza.  Infatti si tratta di un intervallo di tempo di vera e propria “sospensione della vita” e verosimilmente sarebbe banale liquidarne i vissuti come semplice angoscia di morte o meccanismi di adattamento.  Sono stati riportati vissuti in cui l’anima va a ricongiungersi con i propri cari defunti, di incontro con Dio o con antenati morti, come esperienza piacevole o rassicurante e percepiti come condizione intermedia tra la vita terrena ed extra-terrena, vissuti d’immortalità, indipendentemente dalle convinzioni religiose del soggetto, visioni di “fuori dal corpo”.  Non estraneo a queste esperienze è il significato simbolico nonché fisiologico dell’organo “cuore”, che in molte culture anche tra loro lontane, rappresenta il “centro dell’essere”, la “divinità dentro l’Uomo”, che è il primo organo che inizia a funzionare alla nascita e l’ultimo a smettere con la morte.

Affermare se i vissuti di “pre-morte” si riferiscano ad esperienze al di fuori del proprio essere e senza alcuna connessione con le funzioni cerebrali, che durante un arresto cardiaco si interrompono, o se si tratti di qualche complessa funzione encefalica che si attiva proprio in concomitanza dell'evento potenzialmente mortale esula dallo scopo di questo scritto. Vogliamo tuttavia rilevare come i vissuti riportati dai sopravvissuti appartengano alla sfera del Trascendente.

Esiste ormai una letteratura scientifica e divulgativa piuttosto ampia sull'argomento, che continua ad arricchirsi di nuove testimonianze.  Il primo fondamentale punto è quello che ogni essere umano, indipendentemente dalla sua età, razza, cultura, religione e grado di istruzione è in grado di vivere e ricordare con chiarezza tali esperienze.  Un altro punto interessante è che il percorso in una differente dimensione ha delle tappe che sono presenti  in quasi tutte le descrizioni come il passaggio in un tunnel, l'incontro con una luce mistica, gli incontri descritti sopra, la ricapitolazione della propria vita, l'accesso ad una conoscenza  speciale, l'incontro con un confine o barriera e il ritorno nel corpo volontario o involontario (Long et al., 2010).  Tutti coloro che raccontano la propria esperienza parlano di sensi acuiti, capacità di comprensione straordinaria rispetto a quella della vita normale, possibilità di apprendere per via telepatica. La maggior parte delle persone che riferisce di questa esperienza la giudica indescrivibile  a parole considerando il vocabolario della propria lingua privo di vocaboli adatti a dare un'idea esatta della essenza delle proprie sensazioni (Parnia, Fenwick, 2002).  E qui è sorprendente la similitudine con l’incontenibilità delle emozioni trascendentali riscontrate in psicoterapia.  Un tema ricorrente in coloro che “ritornano” alla vita terrena è quello del sentimento di amore e di pace che pervade ogni situazione vissuta.

Un dato da rimarcare è che l’incontro con persone defunte sconosciute possa portare a posteriori ad un riconoscimento come parenti morti prima della propria nascita e di cui non si conosceva l'esistenza.  Un esempio interessante è quello di un bambino che, in un'esperienza del genere, incontrò un altro bambino che riconobbe come suo fratello. Al risveglio ne parlò con la famiglia che rimase esterrefatta in quanto effettivamente c'era stato un fratello, morto prima della sua nascita, e di cui il protagonista non sapeva nulla poiché nessuno ne aveva mai parlato (Long et al., 2010).


Conclusioni

Nella nostra cultura post-moderna c'è un'estrema necessità di applicare e vivere la “prudenza”, intesa come la retta ragione che bisogna, e bisognerebbe, impiegare al formulare conclusioni, specie se queste hanno per oggetto elementi esistenziali considerevoli come l'esperienza umana del “Trascendente”. Non è indifferente, infatti, credere che è il nostro cervello, e non noi stessi, ciò che agisce, colui che ragiona, colui che prende le decisioni, colui che “ci” fa prendere consapevolezza di essere coscienti, di entrare in contatto con una realtà Altra, etc. 

Queste credenze, troppo spesso sbandierate da certuni persino in convegni scientifici seri, oltre a venir smentite dalle più recenti acquisizioni in campo neuroscientifico (basti considerare la nuova branca della “neuro-connettomica”, oppure quella della plasticità e rigenerazione cerebrale, etc.), risultano ormai obsolete e “ingenue”, dinnanzi al diffondersi di teorie radicali di stampo “esternalista” sul mentale (M. C. Amoretti, 2011) che non riducono tutto ai neuroni o al solo cervello, ma prendono in considerazione la realtà integrata della persona umana, unità-duale tra componenti fisiche e bio-psichiche (e spirituali), che sempre più trovano riscontri nelle evidenze neuroscientifiche, cliniche e psicodinamiche (A. Nöe, 2010; W. Glannon, 2011).
Le sottili distinzioni da tener presente sono ben riassunte dalla filosofa italiana Angela Ales Bello quando, scrivendo sul tema della coscienza umana, afferma: «È possibile ribaltare la collocazione della coscienza [dell'esperienza umana del “Trascendente”] secondo la quale essa è “epifenomeno” del cervello... a patto che si sottolinei la complessità e la stratificazione dell'essere umano, che conduce non ad un rigido dualismo» (alla René Descartes, all'italiana: Renato Cartesio), «ma ad una dualità, all'interno della quale è presente un aspetto psichico-spirituale autonomo» (P. L. Fornari, 2012). La stessa filosofa, intervistata per l'uscita del volume di oltre 900 pagine da lei curato insieme a Patrizia Manganaro sul tema della coscienza tra fenomenologia, psico-patologia e neuroscienze (A. Ales Bello, P. Manganaro, 2012), sottolinea importanti distinzioni da tener presente nell'odierno dibattito neuroetico: «l'intrinseca autoreferenzialità del pensiero e l'accesso cosciente agli stimoli esterni potrebbero “incarnare” la differenza tra la consapevolezza di se e dell'ambiente circostante. Il termine “incarnare” è particolarmente significativo. Infatti, affermare che la coscienza [l'esperienza umana del “Trascendente”] ha una base nell'attività cerebrale conduce al riduzionismo, invece sostenere che il cervello nella condizione temporale è il luogo della coscienza [dell'esperienza umana del “Trascendente”] è cosa ben diversa» (P. L. Fornari, 2012).


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Ales Bello A. – Manganaro P. (a cura di), … e la coscienza? Fenomenologia psico-patologia neuroscienze, Laterza, Bari 2012. Sottolineo la lettura dei primi due capitoli a cura, rispettivamente, della prof.ssa Ales Bello e della prof.ssa Patrizia Manganaro, come il capitolo del prof. Gianfranco Basti da pagina 523 a 634.
Amoretti M. C., La mente fuori dal corpo, Franco Angeli, Milano 2011; questa è un'opera sintetica sui diversi esternalismi in relazione al mentale di estrema importanza per averne un panorama completo e approfondito. Gli esternalismi sono posizioni eterogenee che considerano che la mente umana si estenda, almeno in parte, oltre i confini fisici, non soltanto della nostra cerebralità, bensì anche della nostra corporalità.
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[1]     La definizione “Esperienza Immaginativa” (E.I.) in senso stretto è la traduzione italiana più recente del Rêve-Eveillé (R.E.) ideato da Robert Desoille negli Anni Venti; si svolge in una seduta che ha una durata massima di 50’, durante la quale viene proposto al paziente, sdraiato sulla chaise-longue, dopo un idoneo rilassamento spontaneo, di immaginare una narrazione di fantasia a partire da una immagine iniziale (Stimolo Percettivo – S.P.) suggerita dall’analista.  Si raccomanda al paziente di essere quanto più possibile spontaneo e partecipe durante la narrazione, che il soggetto comunicherà  ad alta voce e sarà trascritta dal terapeuta; il materiale simbolico, attuale o regressivo, così ricavato verrà esaminato assieme, nelle sedute successive, per decodificarne il significato.  Studi recenti sviluppati dalle neuroscienze, sull’immaginazione, sulla percezione, sui neuroni-specchio, sulla memoria e sull’oblio, contribuiscono alla spiegazione neurofisiologica dell’Esperienza Immaginativa  (Passerini 2009).  La relazione, che fa da cornice ma anche da motore della cura, si iscrive nella teoria dell’Incontro (Callieri 1984) comprendendo in questa definizione anche il Movimento Transferale e Contro-transferale riconoscibili, in questa metodologia, all’interno dell’Esperienza Immaginativa. 
Pubblicato da Ricky 

NEUROETICA E NEUROSCIENZE: Rubrica del mercoledì: Neuro-Antropologia e Neuro-Filosofia (1)


Rubrica del mercoledì: Neuro-Antropologia e Neuro-Filosofia (1) - http://acarrara.blogspot.it


La Rubrica N&N (Neuroetica &Neuroscienze) del mercoledì prevede la sezione: Tematiche relative alla Neuro-Antropologia e Neuro-Filosofia, comeannunciato dopo la pausa estiva in data 15 agosto 2013.

Quest’oggi,presentiamo una tematica antropologica e neuroscientifica di rilevanza capitaleche potremmo titolare: Dio e leNeuroscienze.
Si tratta della famigerata Neuro-teologiao Neuro-mistica, due ambiti della Neuroetica che indagano e riflettonosulle evidenze sperimentali relative all’esperienza umana del Trascendente (di Dio, del Tutt’Altro,etc.) secondo le neuroscienze contemporanee. Si cerca dicapirne i fondamenti, si cerca di sviscerare le argomentazioni, si cerca dichiarire un ambito antropologico che trapassa ogni concretizzazione di una taledimensione umana in strutture quali le “religioni”, i “credi”, etc.


La domanda cardine è: siamo progettati per credere?


Il 16 e il 17 settembre sul portale UCCR, è stato pubblicato l’articolointitolato: L’esperienza delTrascendente alla luce della psicoterapia (1° e 2° parte), firmato dalnostro direttore esecutivo, il prof. AlbertoCarrara, L.C., lo psichiatra italiano e direttore della SISPI, dottor Alberto Passerini e l’anestesistadottoressa Alessandra Pandolfi.
Neripresentiamo oggi la prima parte, domani la seconda. 

«L’esperienza del Trascendente alla lucedella psicoterapia (1° e 2° parte)
di Alberto Carrara*, Alberto Passerini** e Alessandra Pandolfi***

* biotecnologo e neurobioeticista, Ateneo ReginaApostolorum (Roma), Gruppo di Neurobioetica (GdN)
** Psichiatra, Psicoterapueta, S.I.S.P.I. – ScuolaInternazionale di Specializzazione con la Procedura Immaginativa, Milano-Roma (www.sispi.eu)
*** Anestesista, Psicoterapeuta, S.I.S.P.I.– Scuola Internazionale di Specializzazione con la Procedura Immaginativa,Milano-Roma (www.sispi.eu)

Nota: una versione più estesa e articolata di questo lavoro verrà prossimamente pubblicata sulla Rivista scientifica Studia Bioethica.

Introduzione
L'interesse per la tendenza naturaleche l'essere umano manifesta, ed ha da sempre espresso anche a livelloculturale, nei confronti del “Trascendente” non è nuova, risale a tempiimmemorabili, costituendo un “filo rosso” della riflessione che da sempre ci accompagna.

Non stupisce allora che un'insertodella sezione di Psicologia: Percezione della rivista Mente& Cervello dello scorso anno 2012 titoli così: Progettati percredere. Paranormale. Un cervello costruito per credere (Wiseman,2012).  L'articolo è firmato da RichardWiseman, professore di psicologia all'Università dello Hertfordshire, inInghilterra. Wiseman nel sottotitolo afferma: «La tendenza a credere nelparanormale deriva dagli stessi meccanismi cerebrali da cui nasce buona partedel pensiero umano».

Seppur interessante, l'articolo diWiseman cela diverse fallacie logico-filosofiche che, spesso, possono venirdate per scontate. Ad esempio, la tesi di fondo identifica la categoria“normale” con “razionale” e quest'ultima, viene fatta coincidere con lacategoria “evidenza scientifica”, cioè empirica. L'equazione è la seguente:
normale =razionale = empiricamente dimostrabile.

Questo modo di ragionare andava forse bene nell'epoca dell'Illuminismo o dello stretto empirismo Novecentesco. Nell'era contemporanea delle neuroscienze e della filosofia della mente,un'impostazione del genere risulta obsoleta ed “ingenua”.

Come spiegare con l'empirismo stretto enomeni quantici? Oppure la complessità delle reti neuronali e della plasticità cerebrale? E ancora, come si potrebbe parlare di potenziamento neuronale, di rimodellamento cerebrale come prassi terapeutica nei gravi disturbi da traumi (come il PTSD, Post Traumatic Stress Disorder), con uno schema mentale empirista-razionalista tout-court?

Oggigiorno, la capacità tecnologica di visualizzare, anche in vivo, zone dell’encefalo che si attivano in modo differenziale a seconda delle circostanze, ha prodotto un vero e proprio fiume di studi sperimentali. Lo sviluppo delle tecniche di neuro-immagine (neuroimaging), tra cui spiccala ormai famosa risonanza magnetica funzionale (fRMN), non ha potuto venir confinato alla mera, anche se utilissima, area clinica, utile alla diagnosi di patologie cerebrali. Gli studi si sono moltiplicati a seconda della fantasia e della genialità creatrice di ciascun scienziato. Dal voler comprendere i fondamenti neurofisiologici di attività umane come la memoria, il linguaggio,la visione, la personalità, etc., si è passati a ricercare «ciò che è piùspiccatamente umano dell’uomo»: la sua esperienza religiosa e mistica (J. M. Gimenéz-Amaya, 2010). Eccodelinearsi, specie in ambito anglosassone, due nuove neuro-“discipline”all’interno della cosiddetta neuromania  (P.Legrenzi, C. Umiltà, 2009): la neuroteologiae la neuromistica.

Prendendo in considerazione i risultati della psicologia contemporanea, della psicoterapia, della prassi clinica e dei dati empirici che le moderne neuroscienze ci offrono circa l’esperienza umana del “Trascendente”, chiariremo, in questo contributo, se tali evidenze sperimentali pongano seriamente in discussione l’esistenza di tale caratteristica antropologica e, soprattutto, considereremo se sia giustificata razionalmente la riducibilità di tale peculiarità umana al mero ambito neurofisiologico, come sostengono alcuni autori contemporanei (F. J. Rubia, 2003), come di recente hanno esposto due intellettuali italiani (G.Vallortigara, V. Girotto, 2013).
Per iniziare, chiariremo alcuni presupposti, cioè la cornice del nostro dibattito:la Neuroetica.

Cos'è la Neuroetica?
Come è stato recentemente spiegato,seppur brevemente, nell'editoriale della rivista Studia Bioethica (vol.5, n. 3, 2012): «L’applicazione sempre più rapida ed immediata all’uomo delle scoperte neuroscientifiche, frutto dell’abbondante ricerca che mira a decifrare i misteri del cervello e della mente umana, ha fatto sorgere nell’opinione pubblica sentimenti spesso antitetici. In quasi tutti i contesti socio-culturali, il suffisso “neuro” sta trovando largo impiego e successo perle finalità più svariate: dal vendere al convincere. Si parla già di neuro-mania, neuro-fobia e di neuro-filia. Le immagini di risonanza magnetica fanno già parte della cultura d’ogni giorno: termini come PET (tomografia ad emissione di positroni) o risonanza magnetica funzionale (fRMN) sono parte integrante della nostra memoria, li abbiamo uditi ed ascoltati ripetutamente per radio, in televisione, li abbiamo letti su Internet nelle circostanze più disparate. In questo contesto è sorta la pseudo-disciplina denominata neuroetica o neurobioetica che ha “festeggiato” in quest’anno 2012, il suo decimo anniversario dalla “nascita”... Nonostante il concetto neuroetica fosse già ventilato in diversi ambiti del sapere, la “paternità” del neologismo viene attribuita storicamente alla prima definizione “canonica” risalente al maggio 2002. In questa data, a San Francisco (USA), si tenne il primo congresso mondiale di esperti intitolato:“Neuroethics: mapping the field”. In tale contesto, William Safire, politologo del New York Times recentemente scomparso, suggerì la seguente definizione contemporanea di neuroetica definendola: quella parte della bioetica che si interessa di stabilire ciò che è lecito, cioè, ciò che si può fare, rispetto alla terapia e al miglioramento delle funzioni cerebrali, così come si interessa di valutare le diverse forme di interventi e manipolazioni, spesso preoccupanti, compiuti sul cervello umano» (A.Carrara, 2013).

La Neuroetica dell'esperienza religiosa e mistica: i dati della ricerca neuroscientifica sull'esperienza religiosa e mistica


Sulla scia dell'interessante e ben documentato libro del neuroscienziato spagnolo Rubia del 2003 intitolato: La conexión divina. La experienciamística y la neurobiología (La connessione divina. L'esperienza mistica e la neurobiologia; F. J. Rubia,2003), non dovrebbe destare clamore il recente articolo uscito sul quotidiano italiano Repubblica del 26 giugno scorso, firmato da due autorevoli professionisti: Giorgio Vallortigara e Vittorio Girotto, nel quale si afferma: «L’ipotesi che si è fatta strada in questi anni tra scienziati cognitivi e neuroscienziati è che l’architettura naturale della mente umana farebbe sì che nell’usuale ambiente in cui cresce un bambino, la credenza in un Dio creatore sia destinata a emergere in modo del tutto spontaneo, anche se le forme attraverso cui si manifesta possono variare con le circostanze socio-culturali.Gli esperimenti condotti dagli scienziati cognitivi suggeriscono che i bambini trovano del tutto naturale, indipendentemente dall’opinione degli adulti che stanno loro intorno, l’idea di un creatore non-umano del mondo, un creatore che possiederebbe super-poteri, super-conoscenza, super-percezione (Barrett, 2004).Le credenze religiose e nel sovrannaturale poggerebbero perciò su caratteristiche naturali della mente umana (Bering, 2011)» (G. Vallortigara, V. Girotto, 2013).Tutta l'argomentazione dell'articolo si basa su studi di psicologia cognitiva di una ben specifica tendenza. Si parla di “architettura cognitiva” senza specificare le aree o circuiti cerebrali sottostanti; si utilizzano termini abbastanza ambigui come “rappresentazione neurologicamente distinta”, etc.,vengono omesse le più recenti acquisizioni di pscicologia e psicoterapia relative al “Trascendente”.

Ricordiamo che il neuroscienziato Vallortigara, lo psicologo cognitivo Girotto e il filosofo della scienza Pievani hanno pubblicato un libro intitolato: Nati per credere la cui tesi principale poggia su un'esaltazione della teoria darwiniana dell'evoluzione biologica che, sulle mosse delle speculazioni di Richard Dawkins, sostiene che il nostro cervello e la mente umana si sono evoluti per farci credere in una entità Superiore priva di alcun fondamento ontologico che non sia le stesse connessioni sinaptiche.

Gli studi sulla neurobiologia dell'esperienza religiosa e mistica partono da un presupposto antropologico e neuroscientifico abbastanza evidente per chi sostenga una posizione unitaria e unitiva (dal punto di vista ontologico-sostanziale) dell'essere umano e cioè: l'esperienza religiosa è supportata dal cervello, come tutte le esperienze umane («Religious experience is brain-based, like all human experience») (L. Saver, J.Rabin, 1997). “Supportata da” o più letteralmente “basata su” o “fondata su”,espressioni tutte che traducono l'inglese “brain-based”, non significano assolutamente un riduzionismo “stretto” come vorrebbero alcuni. Le evidenze del gruppo di ricerca del UCLA-Reed Neurologic Research Center (USA), ad esempio, riportarono, già sin dal 1997, un dato importante: dagli studi addotti, pare che le regioni temporo-limbiche costituiscano probabili sostrati neurali (neural substrates) dell'esperienza religiosa-numinosa (per intendersi, quella che Rudolf Ottodefinisce: l'esperienza del numinoso, del “tremendum et fascinans”); infatti, il sistema temporo-limbico è coinvolto nell'integrazione di stimoli tanto esterni, come interni, oltre che essere coinvolto nei cambiamenti dell'umore e, in sostanza, nell'attività emozionale (emotiva) umana (L. Saver, J.Rabin, 1997).

Nulla di strano, allora, se durante un'intensa preghierao meditazione, che ovviamente coinvolge tutta la persona umana e, perciò, anchee, soprattutto, la sua emotività, le zone cerebrali limbiche si attivano evengono coinvolte in modo preponderante. Ciò non significa, nel modo piùcategorico, che queste aree cerebrali siano la causa o siano le responsabilidell'insorgere dell'esperienza stessa.

A gettare acqua sul fuoco sugli stessi studi neuroscientifici sull'esperienza mistica poc'anzi menzionati, fu Kozart che, in una lettera pubblicata su un volume successivo dello stesso Journal of Neuropsychiatry and Clinical Neuroscience titolava: «L'esperienza religiosa non è stata correttamente definita» (M. Kozart, 1998).

Cosa ci dicono le evidenze neuro-empiriche sull'esperienza religiosa e mistica

Già nel 2003 si rifletteva sulla direzione che stavano assumendo certi risultati delle neuroscienze relative all'esperienza religiosa e la “Neuroteologia” veniva introdotta a livello accademico (W. Whitfield, 2003).

Nell'articolo di Repubblica  firmato da Vallortigarae Girotto emerge una deduzione per nulla dimostrata. Viene infatti sottolineata in maniera chiara un'identità stretta tra “mente umana” e “architettura cerebrale”, tesi filosofica appartenente alla cosiddetta corrente internalista del mentale che oggigiorno risulta abbastanza “ingenua” e,  obsoleta. Basti considerare il recente lavoro professionale e altamente scientifico della filosofa italiana Maria Cristina Amoretti sugli esternalismi del mentale (M.C. Amoretti, 2011).

Interessante a questo riguardo l'approfondimento che Fingelkurts opera a partire dalla domanda caratteristica (the main empirical question) in quest'ambito della riflessione neuroetica: Is our brain hardwired to produce God, or is our brain hardwired to perceive God? (Il nostro cervello è cablato per produrre Dio, oppure il nostro cervello è cablato per percepire Dio?) (A. A. Fingelkurts, 2009).

Qualche anno fa, chiarendo cosa si intendesse per Neuro-teologia e Neuro-mistica,  veniva sollevato il seguente quesito: cosa ci fa una monaca carmelitana di clausura inginocchiata, con gli occhi chiusi in atteggiamento meditativo, collegata tramite decine di elettrodi ad uno strumento di elettroencefalografia? (A.Carrara, 2011). Domanda alquanto legittima che cela una risposta non semplice. In effetti, numerose monache di clausura e monaci buddisti furono reclutati come volontari a partire dagli anni ’90, all’interno di studi sperimentali neuroscientifici sull’esperienza religiosa e mistica (M. Beauregard, V. Paquette, 2006, 2008; A.Fenton, 2009).
Considereremo brevemente alcuni degli esperimenti realizzati in quest’ambito per poter poi giudicare le conclusioni e le interpretazioni che portano avanti, spesso anche a livello mediatico, alcuni scienziati contemporanei.

Nel 2006, il dottor Mario Beauregard,pioniere negli studi neuroscientifici riguardanti l'esperienza religiosa e mistica (S. Lewis, 2009), del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Montreal in Canada, pubblicò, sul numero 405 di Neuroscience Letters,un articolo sui correlati neuronali dell’esperienza religiosa ottenuti studiando, attraverso l'elettroencefalografia, monache di clausura durante la loro meditazione quotidiana. Due anni dopo, nel 2008, lo stesso scienziato canadese pubblicò sulla stessa rivista, un lavoro che riassumeva nuovi dati di elettroencefalografia ottenuti durante l’esperienza mistica (M. Beauregard, V. Paquette, 2008).

Le conclusioni di questi studi sperimentali (come di altri lavori che non è qui possibile menzionare nel dettaglio) portarono a concludere che durante l’esperienza religiosa numerose regioni cerebrali vengono attivate e coinvolte, particolarmente a livello della corteccia cerebrale. Ciò implica una rete neuronale complessa, cognitivamente strutturata, che coinvolge l’attivazione rilevante (in confronto con uno standard, cioè con i dati estrapolati da monache che non stavano ricordando le loro esperienze d'unione mistica) della famosa AAA (Attention Association Area), locus cerebrale associato alla concentrazione. Gli scienziati evidenziarono inoltre la riduzione dell’attività della OAA (OrientationAssociation Area) o zona dell’associazione e dell’orientamento spaziale.Già nel 2004 Olaf Blanke del Dipartimento di Neurologia di Ginevra (Svizzera),aveva pubblicato sulla rivista Brain,un interessante lavoro sull’implicazione di tale locus cerebrale e l’esperienza extracorporea detta anche out-of-body experience (O. Blanke et al., 2004).

Come dati scientifici, questi ed altri lavori, ci rivelano che durante un’esperienza spirituale diverse e numerose aree del nostro cervello vengono modulate (si attivano o vengono inibite inrapporto ad un parametro standard). Così concludono i ricercatori nel lavoro citato in precedenza: Theseresults indicate that mystical experiences aremediated by marked changes in EEG power and coherence. These changes implicate several cortical areas of the brain in both hemispheres (M. Beauregard, V. Paquette, 2008).

Come vengono interpretati questi dati sperimentali
Dal dato scientifico alcuni ricercatori passano alla sua interpretazione fino ad arrivare a vere e proprie manipolazioni. Così il dottor Andrew Newberg dell’Università della Pensilvania a Filadelfia (Stati Uniti), compiendo gli stessi esperimenti con monaci buddisti e francescani, giungendo agli stessi dati empirici, scrisse un libro intitolato Dio nel cervello (God in the brain, Why God Won’t Go Away),nel quale riduce l’esperienza religiosa a puro prodotto materiale del nostro cervello. Newberg e altri neuro-riduzionisti interpretano i dati sull’esperienza del Trascendente come se il cervello stesso ne fosse la causa diretta e ultima. Si potrebbe allora concludere come fa il “padre” della neuroscienza contemporanea, Michael S. Gazzaniga: se il nostro cervello produce l’esperienza religiosa, Dio sta nel cervello e, in fin dei conti, il cervello diventa Dio. Questa visione fu divulgata con successo dallo spagnolo E. Punset nel suo libro L’anima è nel cervello.

La verità è, sfortunatamente per questo tipo di scienziati (che rappresentano un’esigua minoranza che però fa clamore), che i dati neuroscientifici non ricercano direttamente l’esperienza umana di Dio, ma cercano di identificare le basi neurofisiologiche associate alla fenomenologia di qualsiasi esperienza religiosa. Ciò che viene misurato non è affatto l’esperienza mistica in sé, ma l’intensa attività intellettivo–volitiva che l’accompagna. La ricchezza dell’esperienza religiosa,naturale in tutti gli esseri umani, si manifesta nella nostra dimensione corporea a livello delle complesse reti neuronali in gioco.»

(continuala seconda parte...)

giovedì 26 settembre 2013

La legge naturale contro la dittatura del gender di Lorenzo Bertocchi, 26-09-2013, http://www.lanuovabq.it/

mons. Zenti


A Norimberga i gasatori di Auschwitz facevano appello al diritto positivo per giustificare la loro azione: “C’era una legge dello stato che ci chiedeva di agire così e noi lo abbiamo fatto. Non siamo colpevoli, abbiamo rispettato la legge!” Per poterli giudicare i giudici di Norimberga hanno dovuto fare riferimento ad una Legge che sta la di sopra della legge, quella norma che intima al cuore di non uccidere.

Con questo esempio il prof. Mario Palmaro, intervenuto al Convegno “La teoria del gender: per l’uomo o contro l’uomo”, ha voluto sottolineare che il riferimento ad una legge naturale è obbligato se non si vuole ridurre il diritto ad una specie di convenzione molto rischiosa. Ogni legge che riconosce categorie giuridiche che contrastano con il diritto naturale, ha spiegato Palmaro, finisce per diventare un atto di prevaricazione, in una parola: una legge ingiusta. Questa è la situazione che si verifica per tutte quelle norme che riconoscono coppie dello stesso sesso equiparandole al matrimonio eterosessuale, che estendono le adozioni a coppie dello stesso sesso o la fecondazione artificiale agli omosessuali.

Il convegno, organizzato a Verona dalle associazioni Famiglia Domani, Movimento Europeo difesa della Vita, Centro Culturale Nicolò Stenone, è stato patrocinato dal Comune della città scaligera e dalla Provincia e ha visto anche gli interventi del Sindaco Tosi e del Vescovo Mons. Zenti. L’obiettivo degli organizzatori era quello di spiegare all’opinione pubblica cosa sono e cosa implicano le teorie del gender per il vivere comune, specialmente oggi che il dibattito politico è di stretta attualità. L’approccio degli interventi è avvenuto in un contesto non confessionale, ma di dialogo tra fede e ragione, quel dialogo oggi sempre più incomprensibile.

Davanti alle 500 persone intervenute il Vescovo Zenti ha ricordato che i cattolici non giudicano le persone, ma occorre “smascherare le dittature invisibili”. «Qui parliamo ormai di una dittatura culturale – dice Mons. Zenti - uno tsunami che travolge chi non ha una forte personalità e che punta a modificare il Dna della società che ha il suo nucleo vitale solo nella famiglia. Ma se passa questa cultura, come si assicurerà la continuità genetica e il diritto di un bambino di nascere per un atto di amore e non per la tecnologia?».

La parola “dittature invisibili” richiama fortemente quella di “lobby” che è emersa in numerosi interventi dei relatori, in particolare quelli della prof.ssa Dina Nerozzi che ha affrontato un excursus storico dell’ideologia gender e da quello del prof. D’Amico che ha parlato del rischio concreto di una nuova forma di totalitarismo definito “biopolitico”. In particolare – rileva D’Amico – si può notare l’avanzare di una forma utopica che mira a rivoluzionare l’uomo, uno scardinamento antropologico che passa «dalla desacralizzazione della religione e la conseguente sacralizzazione del diritto positivo».

La “sacralizzazione del diritto positivo” che mira alla “rivoluzione antropologica” passa però attraverso prassi giuridicamente eterodosse. È il caso dei famigerati principi di Yogyakarta che hanno l’ambizione di imporsi come guida universale ai diritti umani nelle leggi internazionali, ma che svelano un vulnus in diversi ambiti giuridici. Come ha ricordato il prof. Galantini questi ambiti riguardano il rapporto tra diritto internazionale e diritto interno degli Stati, il principio di uguaglianza, i diritti civili di libertà di espressione, di libertà religiosa, il diritto di famiglia.

In campo strettamente medico-scientifico è rimasta la dott.ssa Atzori che ha parlato di un vasto corpus di prove genetiche, neurofisiologiche, psicomporamentali, etologiche e sociologiche che mostrano come la classificazione sessuale è ben più di un semplice costrutto sociale. Le scienze però soffrono di una profonda crisi epistemologica per cui spesso uno scienziato si trova a fare il filosofo e viceversa, finendo in un vicolo cieco di incomunicabilità e incomprensione. È quella crisi della ragione che più volte Benedetto XVI ha sollevato nel suo ricco magistero, ma che è ancora lontana dall’essere risolta.

Infatti, come ha ricordato il prof. De Mattei, nella prospettiva degli illuministi, dei marxisti e degli evoluzionisti post-moderni, l’uomo è materia in evoluzione, privo di forma e natura propria. Il corpo rimane materia modellabile dalla cultura. La visione cristiana – aggiunge De Mattei – presuppone la creazione dell’uomo da parte di Dio e dunque una relazione di dipendenza radicale, presuppone una Rivelazione divina e una legge naturale scritta nel cuore di ogni uomo. L’uomo è sempre lo stesso, composto di corpo e anima, si può determinare, ma è anche determinato da questa ineludibile relazione con Colui che lo ha chiamato ad essere.

Papa Francesco, don Giussani e i principi non negoziabili - Noi non abbiamo nessuna “fissa” morale, ma solo una priorità indiscutibile: la libertà di educazione - settembre 25, 2013 Assuntina Morresi - http://www.tempi.it/


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Uno dei passaggi più discussi dell’intervista a papa Francesco su Civiltà Cattolica è stato quello in cui il Pontefice ha spiegato la sua visione riguardo l’annuncio cristiano:

«Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione. Gli insegnamenti, tanto dogmatici quanto morali, non sono tutti equivalenti. Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. L’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. E’ da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali». 
Un passaggio interpretato sostanzialmente come una correzione rispetto alle battaglie sui “principi non negoziabili”, non più centrali e prioritarie ma conseguenze dell’annuncio della Buona Novella, il tutto completato da un duro giudizio su una pastorale che non deve essere «ossessionata» da «una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza». Ne è seguito un plauso entusiasta nella gran parte dei media, insieme a imbarazzo e disagio da parte di tanti cattolici, increduli di fronte ad un apparente cambiamento di 180 gradi rispetto ai due pontificati precedenti.
Personalmente condivido appieno quanto detto da papa Francesco, perché le questioni di morale cristiana – giustamente una conseguenza dell’annuncio cristiano – NON vanno confuse con i principi non negoziabili, che sintetizzano la “questione antropologica” e precedono l’annuncio cristiano, e riguardano tutti, credenti e non, perché descrivono le fondamenta dell’umano.
Per chiunque abbia fatto esperienza alla scuola di don Luigi Giussani, come la sottoscritta, questa distinzione dovrebbe essere chiara.

In trenta anni di appartenenza a Comunione e Liberazione, non ho mai sentito, da parte dei responsabili – don Giussani in primis – indicazioni sui precetti morali da seguire, come ad esempio la morale sessuale. Quando andavamo in vacanza con la comunità, da studenti, ovviamente insieme maschi e femmine, non ho mai sentito ammonimenti o indicazioni di tipo morale da parte di chi ci guidava. Non ce ne è mai stato bisogno: ogni gesto era sempre curatissimo, in tutti i suoi aspetti, dalla colazione alle passeggiate ai canti fino ai momenti liberi, e ci diceva che il Figlio di Dio si è fatto Uomo per salvarci, che Lo potevamo incontrare nella Chiesa, intesa come sacramenti e comunità.

Le questioni morali erano una conseguenza, venivano dopo, e non erano mai oggetto delle nostre catechesi (le “scuole di comunità”). L’unico accenno che ricordo con chiarezza fu a un incontro pubblico tenuto da Giancarlo Cesana: qualcuno gli obiettò che Testori, che noi leggevamo e stimavamo, era comunque un omosessuale, e Cesana rispose chiedendo: «Ma chi l’ha detto che io sono meno peccatore di lui perché lui è omosessuale?», e la cosa finì lì.
E il metodo educativo funzionava, perché nei fatti quella morale noi la seguivamo: per esempio quasi nessuno usava la pillola contraccettiva, e prima di sposarci imparavamo i metodi naturali.
Eppure un’ossessione don Giussani ce l’aveva: «Mandateci in giro nudi ma lasciateci la libertà di educare», è una frase che chiunque abbia frequentato anche sporadicamente Cl ha sentito dire. La libertà di educazione è stata da sempre una vera e propria “fissazione”, o meglio, una priorità indiscutibile: è la pre-condizione per l’esperienza cristiana, e al tempo stesso riguarda tutti, coinvolge tutti, perché ogni essere umano cresce e matura in un percorso educativo, che deve essere libero.
Non a caso, è uno dei tre principi non negoziabili, anche se don Giussani non lo ha mai definito formalmente in questi termini.
Le battaglie di Cl sulla libertà di educazione sono sempre state, almeno finora, prioritarie e distintive, condotte con tenacia, senza se e senza ma, perché la libertà di educazione è libertà per tutti, non si tratta di un’indicazione morale rivolta ai cristiani.

Lo stesso vale per gli altri due principi non negoziabili: la difesa della famiglia naturale basata sul matrimonio fra un uomo e una donna, e la tutela della vita dal concepimento alla morte naturale, non sono conseguenze del cristianesimo, ma principi costitutivi della natura umana. E la questione antropologica nasce quando, soprattutto per gli sviluppi della tecnoscienza, è la natura stessa degli esseri umani a essere messa in discussione.

Un esempio, per capirsi: il giudizio negativo sui comportamenti sessuali disordinati e promiscui riguarda la sfera morale, è una conseguenza dell’annuncio cristiano.
Ma negare che un bambino possa nascere solo da suo padre e sua madre e affermare che può essere figlio di due padri o due madri, non è un giudizio morale, ma una visione antropologica che prescinde dal dato naturale.
Non ci opponiamo al matrimonio omosessuale perché i rapporti omosessuali sono peccaminosi: se lo facessimo, confonderemmo i piani. Noi non vogliamo le nozze gay perché consentendo a due persone dello stesso sesso di accedere al matrimonio si nega il fatto che gli esseri umani nascano sessuati, cioè maschi e femmine, e che ad essere feconda è solo la differenza sessuale, e che questo sia un dato oggettivo, proprio della natura umana, e non il risultato di una scelta personale. Uomo o donna si nasce, non si diventa: prendere atto che si viene al mondo con un corpo sessuato non è un giudizio morale che discende dalla dottrina, ma un presupposto comune a tutti gli esseri umani.
I comportamenti sessuali appartengono alla sfera morale, e ha ragione Papa Francesco quando dice che l’annuncio cristiano non può avere come priorità, ad es., gli insegnamenti sulla contraccezione. Ma la possibilità che una coppia omosessuale possa adottare figli o accedere alla procreazione assistita, è innanzitutto una questione antropologica (che a sua volta ha conseguenze che certamente riguardano anche la morale e implicano giudizi morali).
In questo senso tutte le varianti della fecondazione assistita – dall’eterologa all’utero in affitto – sono intrinsecamente questioni innanzitutto antropologiche.
“Non abortire”, cioè “non uccidere”, è un insegnamento che appartiene alla sfera morale. L’aborto è una piaga del nostro tempo perché legalizzato, cioè legittimato, e condotto su larghissima scala, ma appartiene all’umanità dalla notte dei tempi, tanto da essere condannato fin dal giuramento di Ippocrate. Anche l’eutanasia è questione morale, il “non uccidere “ del fine vita. Ma quelle procedure che camuffano l’omicidio in un atto medico rendendolo invisibile socialmente (per esempio la pillola abortiva o la sospensione di alimentazione e idratazione artificiale) spostano questi aspetti nella sfera antropologica, anche perché tanti progressi della medicina hanno creato situazioni di frontiera che pongono problemi nuovi e complessi (ad es. i trapianti, lo stato vegetativo).
E se uccidere un embrione non è sostanzialmente diverso a seconda che sia fuori o dentro il grembo materno, sicuramente le manipolazioni in laboratorio e il frammentarsi delle figure genitoriali – madre genetica, gestante, madre sociale, contributo mitocondriale, padre biologico e sociale: è tecnicamente possibile avere fino a sei genitori, che aumentano addirittura di numero in certi casi di utero in affitto – fanno parte di un panorama antropologico nuovo, mai esistito nella storia dell’umanità.
Le parole di Papa Francesco sulle priorità pastorali riguardano le conseguenze morali del cristianesimo. La rivoluzione antropologica che sta avvenendo sotto i nostri occhi è altro, e sta disegnando una nuova natura degli esseri umani: individui sessualmente intercambiabili che possono scegliere di avere bambini in varie forme  asessuate di “riproduzione collaborativa”, cioè scomponendo e ricomponendo in laboratorio contributi genetici, biologici e sociali, operando una selezione genetica allo stato embrionale, prima del trasferimento in utero, a seconda delle condizioni di salute ritenute accettabili al momento. Rischia di scomparire l’idea stessa di famiglia e parentela, così come è sempre stata: padre, madre, fratello, sorella, cugina, nonna, zio, sono termini che non riescono più a descrivere i nuovi legami biologici e, al tempo stesso, le norme che regolano filiazione, parentele e cittadinanza cominciano a non essere più adeguate al nuovo quadro antropologico che si sta già delineando. Sullo sfondo, sempre più difficile rispondere alla domanda: chi sono io? Da dove vengo?
Lo stesso annuncio cristiano, in un quadro così profondamente mutato, non è più comprensibile, perché tutto il cristianesimo si basa sulla morale naturale, in particolare sull’analogia del rapporto fecondo tra un uomo e una donna. Proviamo a leggere le scritture, o anche a pregare sostituendo alle parole “padre”, “madre”, “fratello” i nuovi termini “rappresentante legale 1”, “genitore due”, “madre surrogata”, “madre sociale”, e via dicendo. Come spiegare che Dio ha tanto amato il mondo da dare suo figlio, che si è incarnato e è stato partorito dal grembo di donna?  E che Maria è la madre della Chiesa, e di tutti noi?
Se “il mio papà ha la gonna”, come recita il titolo del libro di testo consigliato dai sindacati francesi per le scuole, se è possibile che un bambino cresca senza padre o senza madre perché gli si spiega, mentendo, che è figlio di due femmine o di due maschi, come potrà quel bambino fare esperienza dell’avere un padre e una madre, o anche solo percepire l’idea stessa di padre o di madre? E come potrà a sua volta essere padre, e quella bambina diventare madre? Come si potrà recitare il Padre Nostro che sei nei cieli, se il padre può anche non esistere, nella vita di una persona? E come si potrà fare esperienza di amore materno come gratuità totale e per sempre, se le mamme naturali sono due, diverse dalla terza che ti ha cresciuto, e magari sono state pagate per contribuire a procrearti e non ti vogliono neppure conoscere? E che idea ci può essere di fratellanza, se le generazione è confusa e le origini incerte?
Non stiamo parlando di fantascienza, ma di una realtà che già viviamo, piaccia o meno.
Non si tratta di morale, in questi casi, ma di un quadro antropologico nuovo e sconvolgente, che va affrontato con consapevolezza, senza far confusione.