martedì 3 settembre 2013

Inghilterra, guai a criticare il gay pride di Gianfranco Amato, 03-09-2013, http://www.lanuovabq.it/

gay_pride

Disapprovare il gay pride può costare una denuncia penale in Inghilterra.

È capitato al Reverendo Dr. Alan Clifford, un Pastore della Chiesa Riformata Scozzese di Norwich, che ha avuto la malaugurata idea di inviare agli organizzatori del locale gay pride due email con citazioni del Vangelo. La prima aveva come titolo dell’oggetto: «Cristo può curare – Buone notizie per gli omosessuali». La seconda, invece, indicava come oggetto: «Gesù Cristo – Il Salvatore di cui tutti abbiamo bisogno». I destinatari delle due missive telematiche non hanno evidentemente gradito il contenuto, e invece di cancellarle o rispondere per le rime, hanno deciso di denunciare il fatto alla polizia considerandolo un “hate incident”. Un evidente caso di odio omofobico. Così, un tranquillo sabato pomeriggio, il reverendo si è sentito bussare alla porta da un giovane poliziotto della Norfolk Constabulary. Immaginando che la visita fosse dovuta a qualche bagatella del vicinato (un furto, atti di vandalismo, rumori molesti), Il Dr. Clifford è trasecolato quando ha saputo che nei suoi confronti era stata presentata una formale denuncia per “homophobic hate”. Il poliziotto ha quindi invitato il reverendo a conciliare mediante il pagamento di una multa ridotta, oppure a verbalizzare la sua eventuale opposizione. Il Dr. Clifford, peraltro, viene descritto dal giornalista del settimanale The Spectator che lo ha poi intervistato, come una persona intelligente, colta e posata, il cui carattere è così «lontano dall’odio, come l’ombra dalla superficie del sole». Facendo leva sulla propria indole serena e dialogante, lo stesso Dr. Clifford ha cercato pacatamente di convincere il poliziotto dell’infondatezza dell’accusa rivoltagli, cominciando a spiegare – con il tono accademico che si confà ad un dottore in teologia – che il termine “omofobia”, deriva dal greco “fobia” che significa paura e non comprende quindi il concetto di odio.

Quindi ha precisato: «Io ho certamente timore dell’influenza che l’omosessualità può avere nella società, ma questo non può certo essere considerato “odio”, a meno che il fatto stesso di criticare possa essere considerato “odio”». Poi, ha completato il suo ragionamento, specificando che le sue email erano definite nel sottotitolo come «Un appassionato invito alla conversione cristiana», ed ha domandato: «Può questo considerarsi odio? Noi non odiamo gli omosessuali, anzi li amiamo e vogliamo aiutarli; quindi anche se gli organizzatori del gay pride non hanno gradito l’invito, noi non siamo comunque colpevoli di alcun reato». Infine, ha evidenziato l’infondatezza degli addebiti dal punto di vista legale, citando il caso Handyside v UK (1976) trattato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in cui veniva riconosciuto il principio secondo il quale la libertà di espressione comprende non solo espressioni o idee che sono riconosciute come non offensive, ma anche «quelle che possono offendere, scioccare o disturbare ogni fascia o settore della popolazione, poiché così impone la natura pluralista, tollerante e liberale che necessariamente caratterizza una società democratica». Per apparire ancora più convincente lo stesso Dr. Clifford, inoltre, ha provato a citare anche il caso Redmond Bate v DPP (2000), in cui il giudice inglese Lord Justice Sedley si è pronunciato affermando: «La libertà di parola include non solo espressioni inoffensive ma quelle che possono irritare, sempre che esse non incitino alla violenza; una libertà di parola limitata solo alle espressioni inoffensive, non può considerarsi una piena libertà».

La difesa del reverendo non ha però convinto il poliziotto, il quale si è limitato a reiterare l’offerta di pagare la multa approfittando della possibilità di riduzione. Una sorta di autovelox: catturata l’immagine della violazione omofobica, si può pagare una multa ridotta. Di fronte al rifiuto del Dr. Clifford, l’agente ha fatto rapporto al suo superiore, il quale ha trasmesso gli atti al Crown Prosecutor Service, corrispondente grosso modo alla nostra Procura della Repubblica. La questione non pare, a questo punto, mettersi bene per il denunciato.

Come, infatti, abbiamo avuto modo di spiegare in questo giornale a proposito del disegno di legge Scalfarotto in materia di omofobia, in Gran Bretagna nessuna legge dà una definizione esatta del concetto di omofobia e transfobia. A supplire il vuoto normativo ci pensa direttamente il Crown Prosecution Service. In un documento ufficiale di quell’Autorità (44899 CPS – Hate Policy), la circolare in cui si delineano le direttive da seguire in materia, al punto 2.1 viene testualmente contemplato quanto segue: «There is no statutory definition of a homophobic or transphobic incident. However, when prosecuting such cases, and to help us to apply our policy on dealing with cases with a homophobic or transphobic element, we adopt the following definition: “Any incident which is perceived to be homophobic or transphobic by the victim or by any other person”» (Non esiste una definizione normativa di caso riferibile ad omofobia o transfobia, e al fine di attuare la nostra politica criminale in materia, noi adottiamo questa definizione: “Si ritiene riferibile a omofobia o transfobia ogni caso in tal modo percepito dalla vittima o da ogni altro soggetto”).

Saranno quindi gli organizzatori del gay pride di Norwich a definire l’elemento oggettivo del reato di omofobia. Sarà bene, pertanto, che il reverendo Clifford cominci ad intensificare le sue preghiere quotidiane.

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