Testo integrale della lectio magistralis su “Verità e bontà della coniugalità” pronunciata ieri, 12 settembre, al Teatro Manzoni di Bologna dal cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo della diocesi emiliana, in occasione dell’apertura dell’”Itinerario di educazione cattolica per insegnanti”.
Vorrei intrattenermi con voi su una questione che spero il corso della riflessione dimostrerà essere una questione importante.
Sullo sfondo del nostro discorso dimora una domanda alla quale non risponderò direttamente, ma che ci accompagnerà. La domanda è la seguente: il matrimonio è una realtà a totale disposizione degli uomini oppure ha in sé uno “zoccolo duro” indisponibile? Poiché sappiamo, senza essere studiosi di logica, che la definizione e.g. di A è la risposta alla domanda “che cosa è A?”, potremmo riformulare la domanda di fondo nel modo seguente: la definizione del matrimonio – ciò che il matrimonio è – è esclusivamente dipendente dal consenso sociale? E’ il consenso sociale che decide che cosa è il matrimonio?
Se io ora comincio a parlarvi della verità della coniugalità, lo posso fare in quanto penso che la definizione del matrimonio, la sua intima natura, non è esclusivamente frutto del consenso sociale. Non avrebbe altrimenti senso tutta la riflessione che stiamo facendo. Alla domanda “che cosa è la coniugalità?” tutto si risolverebbe, alla fine, nel rispondere: ciò che il consenso sociale decide che sia.
1. La verità della coniugalità
Partiamo pure dal fatto attuale: è stata introdotta in molti ordinamenti statuali il riconoscimento di una “coniugalità omosessuale”. Cioè: la differenziazione sessuale è irrilevante in ordine alla definizione della coniugalità. I coniugi che stabiliscono il patto coniugale possono essere anche dello stesso sesso.
Nello stesso tempo, tuttavia, l’amicizia coniugale, è pur sempre un’affezione che ha una dimensione sessuale. E’ questo che distingue l’amicizia coniugale da ogni altra forma di amicizia.
Oggettivamente – cioè: lo si pensi o non lo si pensi; lo si voglia o non lo si voglia – la definizione di coniugalità, implicata nel riconoscimento della coppia omosessuale, sconnette totalmente la medesima coniugalità dall’origine della persona umana. La coniugalità omosessuale è incapace di porre le condizioni del sorgere di una nuova vita umana. Pertanto delle due l’una: o non possiamo pensare la coniugalità nelle forma omosessuale o l’origine di nuove persone umane non ha nulla a che fare colla coniugalità.
Proviamo a riflettere su questa sconnessione. Essa sembra contraddetta dal fatto che gli stessi ordinamenti giuridici che hanno riconosciuto la coniugalità omosessuale, hanno riconosciuto alla medesima il diritto all’adozione o dal ricorso alla procreazione artificiale. Pertanto delle due l’una. O questo diritto riconosciuto fa si che ciò che è stato cacciato dalla porta, entri dalla finestra. Cioè: esiste una percezione indistruttibile, un’evidenza del legame procreazione-coniugalità. Oppure è ritenuto eticamente neutrale il modo con cui la nuova persona umana viene introdotta nella vita. E’ cioè indifferente che essa sia generata o prodotta.
Fermiamoci un momento, per riflettere sul cammino fatto. La nostra riflessione ha fatto il seguente percorso. Mentre fino a pochi anni orsono, il termine “coniugalità” era univoco, aveva solo un significato, e veicolava la rappresentazione di una sola realtà, l’affezione sessuale fra uomo e donna, oggi il termine è diventato ambiguo, perché può significare anche una coniugalità omosessuale. Da questa ambiguità deriva una totale ed oggettiva sconnessione dell’inizio di una nuova vita umana dalla coniugalità. Questo è il percorso fatto dunque finora: (a) il termine coniugalità è stato reso ambiguo; (b) l’Origine di una nuova persona umana è stata sconnessa dalla coniugalità. Riflettiamo ora un momento su questa sconnessione.
Essa è un vero e proprio sisma nelle categorie della genealogia della persona. E’ una cosa molto seria. Sono costretto dal tempo ad essere breve.
Scompare la categoria della paternità-maternità, sostituita dalla generica categoria della genitorialità. Scompare la dimensione biologica come elemento [non unico!] costitutivo della genealogia mentre la genealogia della persona è inscritta nella biologia della persona. Il concepimento – l’evento che ti costituisce in relazione ontologica con padre e madre – può essere un fatto puramente artificiale. La categoria della generazione diventa opzionale nel “racconto della genealogia”.
Che ne è allora della persona umana che entra nel mondo? E’ una persona intimamente sola, perché privata delle relazioni che la fanno essere.
L’avere percorso il cammino che molte società occidentali stanno percorrendo, ci conduce ad una conclusione. La seguente: ritenere che la coniugalità sia un termine vuoto di senso, al quale il consenso sociale può dare il significato che decide, è la devastazione del tessuto fondamentale del sociale umano: la genealogia della persona.
E’ in questo contesto culturale che dobbiamo interrogarci sulla vera natura della coniugalità; scoprire la verità della coniugalità.
La mascolinità e la femminilità sono diversificazioni espressive della persona umana. Non è che esista una persona umana che ha un sesso maschile o femminile, ma esiste una persona umana che è uomo o donna.
Non possiamo dimenticare neppure per un momento che il corpo non è semplicemente qualcosa di posseduto, un possesso della persona. La persona umana è il suo corpo: è una persona-corpo. Ed il corpo è la persona: è un corpo-persona.
La femminilità/mascolinità non sono meri dati biologici. Esse configurano il volto della persona; ne sono la “forma”. La persona è “formata”, edificata femminilmente o mascolinamente.
Perché esistono due “forme” di umanità, la forma maschile e la forma femminile? La S. Scrittura, che trova per altro conferma nella nostra esperienza più profonda, risponde nel modo seguente: perché ciascuno dei due possa uscire dalla sua “solitudine originaria”, e realizzarsi nella comunione con l’altro [cfr. Gen 2].
Essendo radicati nella stessa umanità, uomo e donna sono capaci al contempo di costituire una comunione di persone e di trovare in questa comunione la pienezza di sé stessi in quanto persone umane.
Questa capacità, caratteristica dell’uomo in quanto persona, la capacità del dono di sé, ha una dimensione spirituale e corporea assieme. E’ anche attraverso il corpo che l’uomo e la donna sono predisposti a formare quella comunione di persone, nella quale consiste la coniugalità. E’ il corpo maschile/femminile il linguaggio non solo espressivo, ma anche performativo della coniugalità.
Nella coniugalità così intesa è radicata, inscritta la paternità e la maternità. E’ solo nel contesto della coniugalità che la nuova persona umana può essere introdotta nell’universo dell’essere in modo adeguato alla sua dignità. Non è prodotta, ma generata. E’ attesa come dono, non esigita come un diritto.
Prima di terminare la nostra riflessione sulla verità della coniugalità, vorrei sottoporre alla vostra attenzione tre conclusioni. Esse meriterebbero di essere lungamente riflettute. Le enuncio solamente.
La prima. Solo una tale visione della coniugalità rispetta tutta la realtà della nostra umanità; essa cioè ci introduce in una vera antropologia adeguata. Non riduce il corpo ad una realtà priva senso, che non sia quello liberamente attribuitogli dal singolo. Ma vede la persona umana come persona-corpo ed il corpo come corpo-persona, e quindi come persona-uomo e come persona-donna.
La seconda. Una tale visione della coniugalità afferma al contempo la più alta autonomia dell’Io nel dono di sé, e l’intrinseca relazione al “diverso”, nel senso più profondo del termine. La “coniugalità” [si fa per dire] omosessuale in fondo trasmette oggettivamente questo messaggio: “di metà dell’umanità non so che farne, in ordine alla più intima realizzazione di me stesso è superflua”.
La terza. Una tale visione della coniugalità radica la socialità umana nella natura stessa della persona umana: prima societas in coniugo. Prima, non in senso cronologico, ma ontologico ed assiologico. Ed impedisce la riduzione del sociale umano al contratto.
2. Il bene della coniugalità
Visto che cosa è la coniugalità, ora ci chiediamo quale è il suo valore, la sua propria e specifica preziosità. In una parola: la sua bontà
Prima di addentrarci nella seconda parte della nostra riflessione, devo fare una premessa assai importante. Esiste una verità sul bene della persona, che è condivisibile da ogni persona ragionevole. Che sa cosa significa “verità sul bene”? Non significa in primo luogo ciò che devi/non devi fare. E’ la percezione del valore proprio di una realtà [nel nostro caso la coniugalità].
Faccio un esempio. Vedendo la Pietà di Michelangelo, noi “vediamo” una bellezza sublime, la quale fa sì che quel pezzo di marmo sia unico: ha in sé un suo proprio valore. In questo caso: un valore estetico.
Alla domanda che cosa è il bene/che cosa è il male, la risposta non è semplicisticamente: ciò che ciascuno pensa sia bene/sia male, senza possibilità di una condivisione ragionevole di una stessa risposta da parte di più persone. Esiste invece una verità sul bene, che può essere scoperta e condivisa da ogni persona ragionevole. Noi ci chiediamo quale è il valore proprio della coniugalità, la sua preziosità specifica, la sua bellezza inconfondibile. Il bene che è la coniugalità ha due aspetti fondamentali.
Il primo. La coniugalità è una communio personarum. La bontà propria della coniugalità è una bontà comunionale. Vorrei ora farvi notare alcune dimensioni.
(a) Una tale relazione può darsi solo tra persone, e la base è la percezione della bontà, della preziosità propria della persona. I coniugi sono l’uno per l’altro persone.
(b) La communio personarum che costituisce il bene della coniugalità non è basata su emozioni, su mera attrazione psico-fisica: di legami basati su questi fatti sono capaci anche gli animali. Solo le persone sono capaci della seguente promessa: «prometto di esserti fedele sempre, … tutti i giorni della mia vita». Solo le persone sono capaci di vivere in comunione, perché sono capaci di scegliersi in modo libero e consapevole.
(c) Solo la persona è capace di fare dono di se stessa e solo la persona è capace di accogliere il dono. La persona – e solo la persona – è capace di autodonazione, perché è capace di auto-possesso, in forza della sua libertà. E’ evidente che non puoi donare ciò che non possiedi, e la persona può possedere se stessa in forza della sua libertà. Ma la persona può anche rinunciare alla sua libertà, e mantenersi al livello di chi ultimamente si lascia condurre o dal mainstream sociale o dalle proprie pulsioni. La coniugalità è particolarmente esposta a questa insidia.
(d) La communio personarum coniugale – autodonazione ed accoglienza reciproca – scende fino all’intimità della persona: al proprio Io. E’ la persona come tale che viene donata/accolta. Si ha qui forse il mistero più profondo della coniugalità. Voi sapete bene che la S. Scrittura indica il rapporto sessuale uomo-donna col verbo “conoscere”. Si vive una rivelazione di uno all’altro nella loro intima identità.
E’ in questo evento che può introdursi una sorta di indolenza, di pigrizia spirituale che impedisce ai coniugi di compiere quell’atto che può nascere solo dal loro centro spirituale e libero. A questo punto la comunione della persona si intorpidisce.
Il secondo aspetto della preziosità etica che è propria della coniugalità, è la capacità intrinseca ad essa di dare origine ad una nuova persona umana.
La possibilità di dare inizio alla vita di una nuova persona è inscritta nella natura stessa della coniugalità. E’ questa, nell’universo creato, la più alta capacità e responsabilità che l’uomo e la donna hanno. E’ uno dei “punti” dove l’azione creatrice di Dio entra nel nostro universo creato. Il tempo a disposizione non mi consente di prolungare la riflessione su questo tema sublime.
Conclusione
Due semplici riflessioni conclusive. La prima. Avete notato che mi sono ben guardato dall’usare la parola amore. Come mai? Perché è avvenuto come… uno scippo. Una delle parole chiavi della proposta cristiana, appunto amore, è stata presa dalla cultura moderna ed è diventata un termine vuoto, una specie di recipiente dove ciascuno vi mette ciò che sente. La verità dell’amore è oggi difficilmente condivisibile. «Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo. L’amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. E’ il fatale rischio dell’amore in una cultura senza verità» [Benedetto XVI, Lett. Enc. Caritas in veritate 3].
La seconda. I testimoni della verità della coniugalità avranno vita difficile, come non raramente accade ai testimoni della verità. Ma questo è il più urgente compito dell’educatore.
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