«Le donne senza soldi e con poche speranze saranno sfruttate. I figli ci rimetteranno quando scopriranno come sono stati concepiti e anche le “compratrici” pagheranno per la propria infelicità». Sono queste le conseguenze a cui porterà l’apertura della prima banca di ovuli inglese per Josephine Quintavalle (nella foto), la più nota esponente laica del movimento pro life britannico. Le cosiddette “donatrici” potranno donare ovuli, poi usati da altre donne con la fecondazione assistita, e per questo saranno “ricompensate” con 750 sterline, «un gioco di parole per mascherare la mercificazione dei figli», commenta a tempi.it la fondatrice e direttrice del Comment on Reproductive Ethics, osservatorio sulle tecniche riproduttive umane.
Ma in Gran Bretagna il commercio di ovuli non era vietato?
Si gioca con le parole, si dice che non si possono vendere ovuli, ma solo donarli gratis. Nell’aprile 2012 l’Human Fertilisation and Embryology Authority aveva raggirato l’ostacolo della vendita parlando di «risarcimento» di 750 sterline per la perdita di tempo, per i fastidi e il coinvolgimento sia fisico sia emotivo.
Quali sono le altre conseguenze dell’apertura di questa nuova banca?
Prima si trattavano le donne che avevano problemi di sterilità, con conseguenze psicologiche e fisiche dovute allo stress di sottoporsi all’iper-stimolazione ovarica e poi alla fecondazione. Ora sarà anche peggio. Accadrà qualcosa di ancor più grave dal punto di vista etico: si daranno droghe per iper-stimolare le ovaie delle “donatrici”, che non ne hanno bisogno in quanto donne perfettamente sane, non sterili ma che in questo modo rischiano di diventarlo.
La sterilità è l’unica conseguenza?
No, in America sono uscite diverse interviste di “donatrici” che hanno avuto malattie terribili. Alcune sono anche morte. Per non parlare delle depressioni dovute alla stimolazione innaturale: normalmente una donna genera al massimo due ovuli a ciclo, mentre qui si mira a “produrne”, come si dice, di più con bombardamenti di farmaci nocivi. Inoltre il compenso di 750 sterline, che è nulla se si pensa a cosa può succedere alla donna, porterà tante ragazze inglesi a pensare che non c’è niente di male nel vendere i propri ovuli. E, se hanno dei dubbi, la crisi economica le condurrà più facilmente a cadere nel tranello. A rimetterci saranno ancora una volta le più povere, quelle che arrivano a stento alla fine mese, quelle sole o diseducate.
Dal punto di vista etico quali sono gli altri dubbi che nutre?
Si sfruttano donne senza soldi e con poche speranze, ma ci rimettono anche i figli. La legge dice che il figlio a 18 anni deve essere informato di come è venuto al mondo per poter conoscere sua madre. Come si fa a pensare che una notizia così non avrà conseguenze su un figlio, per altro già concepito come oggetto dei desideri e come proprietà dei suoi genitori? Non è possibile. E infatti in Gran Bretagna esistono già degli studi dai quali emerge la confusione presente nei figli della fecondazione.
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Quindi avremo figli scontenti e “donatrici” sfruttate? E le “compratrici”?
Che pena usare termini economici e di consumo nell’ambito della vita. Comunque le cosiddette “compratrici” spenderanno 3 mila sterline per l’ovocita e circa 5 mila per un solo tentativo di fecondazione. E se l’operazione non riesce al primo colpo il prezzo sale. Si paga per la propria infelicità e per quella degli altri. A crescere è invece il business delle cliniche e del mercato.
Perché parla di infelicità anche delle madri che ottengono il figlio che vogliono?
L’imprevisto, la sorpresa sono l’unica speranza. Abituarsi a non attendere nulla, a manipolare per ottenere in fretta tutto ciò che si vuole significa non lasciare spazio all’imprevedibile che si dona a noi, sorprendendoci come d’improvviso e superando ogni migliore aspettativa. E così perdiamo la speranza. La libertà usata in questo modo diventa la nostra tomba, limitata e angusta: anziché accogliere doni produciamo cose su misura. Per questo non ci stupiamo più, ad esempio, di quanto avviene nell’università di Newcastle, dove si fanno esperimenti sugli embrioni, l’ultimo volto a creare esseri umani con più di due genitori. Perché tanto la vita non vale se non rientra più nel nostro piccolo schema: il bambino conta se mi serve, altrimenti può anche morire, anzi posso ucciderlo. E così si passa dalle donne che si accaniscono contro la natura e fanno di tutto per avere figli tramite la fecondazione, costi quel che costi, agli aborti ripetuti con leggerezza, più volte e a ogni età. Ma questo modo di ragionare riguarda tutto. Si pretende il fidanzato, l’amico, la carriera, li si usa e poi li si butta via. Passiamo il tempo a costruirci un mondo dall’orizzonte limitato in cui non c’e spazio per altro. Così otteniamo quello che vogliamo ma poi ci stanca. E siamo tristi, frustrati.
Segnali di speranza?
In Inghilterra ho visto tutto il male possibile, purtroppo. Ibridi, embrioni usati, selezionati alla nascita, distrutti. Non solo penso alla notizia di qualche giorno fa su quell’uomo single che ha voluto un figlio da una madre surrogata perché era un suo diritto. Credo che prima o poi sarà l’uomo stesso a toccare il fondo. Soffrendo per quello che sta facendo a se stesso avrà bisogno di trovare un’altra strada. Proprio l’altro giorno la stessa scienziata che all’università di Newcastle sta facendo gli esperimenti di cui parlavo se ne è uscita dicendo che comunque la donna, anche se tende a dimenticarlo, dopo i 35 anni comincia a diventare non fertile. Lei stessa ha riconosciuto che per quanto disobbediamo, non tutto si riesce a fare. E mi ha rincuorata, ricordandomi che la natura è testarda e che per realizzarci abbiamo bisogno di seguirla.
@frigeriobenedet
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