La 47ma Settimana Sociale dei Cattolici Italiani di Torino, dedicata alla famiglia, si è aperta il 12 settembre in un buon clima, che contrasta un po’ con la timidezza di un programma dove non sono state previste sessioni né gruppi di lavoro espliciti su quello che è il maggiore attacco alla famiglia in corso oggi in Italia, incentrato sull’ideologia del gender – che Benedetto XVI definì la più grave sfida cui la Chiesa deve oggi fare fronte – e articolato nelle proposte di legge sull’omofobia, sul riconoscimento delle unioni tra persone dello stesso sesso, sul matrimonio e sulle adozioni omosessuali. Al Teatro Regio di Torino incontro molte persone che si complimentano per le battaglie condotte a proposito di questi temi su La Nuova Bussola quotidiana e altrove – proprio oggi Avvenire pubblica (a pagamento) l’appello di Alleanza Cattolica contro la legge sull’omofobia – e incitano ad andare avanti senza paura.
Il buon clima è stato certamente alimentato dal messaggio di Papa Francesco e dalla prolusione iniziale del presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il cardinale Angelo Bagnasco. Nella sua lettera, il Papa ricorda anzitutto che alle origini immediate delle Settimane Sociali c’è un laico recentemente beatificato, Giuseppe Toniolo (1845-1918), ma certamente l’impegno sociale dei cattolici italiani affonda le sue radici nella schiera dei santi sociali, particolarmente numerosa e feconda nella città di Torino. Per i cattolici, scrive il Pontefice, «la famiglia è ben più che “tema”: è vita, è tessuto quotidiano, è cammino di generazioni che si trasmettono la fede insieme con l’amore e con i valori morali fondamentali, è solidarietà concreta, fatica, pazienza, e anche progetto, speranza, futuro». Un popolo che disprezza la famiglia, «un popolo che non si prende cura degli anziani e dei bambini e dei giovani non ha futuro, perché maltratta la memoria e la promessa».
All’Italia, continua Francesco, «come Chiesa offriamo una concezione della famiglia, che è quella del Libro della Genesi, dell’unità nella differenza tra uomo e donna, e della sua fecondità. In questa realtà, inoltre, riconosciamo un bene per tutti, la prima società naturale, come recepito anche nella Costituzione della Repubblica Italiana. Infine, vogliamo riaffermare che la famiglia così intesa rimane il primo e principale soggetto costruttore della società e di un’economia a misura d’uomo, e come tale merita di essere fattivamente sostenuta». Si tratta dunque della famiglia «così intesa», fondata sulla differenza e sull’incontro fra un uomo e una donna: non di altri modelli. E «le conseguenze, positive o negative, delle scelte di carattere culturale, anzitutto, e politico riguardanti la famiglia toccano i diversi ambiti della vita di una società e di un Paese: dal problema demografico – che è grave per tutto il continente europeo e in modo particolare per l’Italia – alle altre questioni relative al lavoro e all’economia in generale, alla crescita dei figli, fino a quelle che riguardano la stessa visione antropologica che è alla base della nostra civiltà».
Francesco cita due testi di Benedetto XVI che sono alla radice della critica, fondata sulla nozione di diritto naturale, della «rivoluzione antropologica» contro la famiglia e la morale: l’enciclica Caritas in Veritate e il discorso al Parlamento tedesco a Berlino del 22 settembre 2011. Il Papa spezza pure una lancia per la libertà di educazione, denunciando come tante famiglie italiane vivano una «impossibilità pratica di attuare liberamente le proprie scelte educative», e chiede più attenzione alla famiglia nelle politiche economiche. Ma soprattutto alla Settimana Sociale raccomanda di «mettere in evidenza il legame che unisce il bene comune alla promozione della famiglia fondata sul matrimonio, al di là di pregiudizi e ideologie. Si tratta di un debito di speranza che tutti hanno nei confronti del Paese, in modo particolare dei giovani».
A declinare nella pratica italiana la raccomandazione del Pontefice ci ha pensato il cardinale Bagnasco, con un discorso apprezzabile perché è subito partito – senza le interminabili premesse consuete in un certo gergo «ecclesialese» tante volte criticato da Papa Francesco – dal cuore del problema, cioè dalla sfida che la rivoluzione antropologica pone alla Chiesa e al bene comune. Il cardinale ha iniziato leggendo una citazione della psichiatra Catherine Ternynck, che riecheggia la denuncia di Benedetto XVI su un’ecologia che si preoccupa dell’ultima pianta e dell’ultimo animale prima che della vita e della famiglia umana: «Da ogni parte ci esortavano a salvare il pianeta. Non si doveva, con la stessa urgenza, venire in soccorso all’umano? Se l’aria doveva restare pura, se l’erba doveva restare verde, non bisognava anche che il mondo degli umani restasse abitabile? Che cosa si faceva della terra degli uomini?». Si tratta proprio, ha affermato Bagnasco, «del suolo umano che si è impoverito, si è svuotato del suo humus di relazioni, legami, responsabilità e così è divenuto friabile ed inconsistente. Al punto che l’uomo stesso, su questo terreno incerto, finisce per diventare “di sabbia”, una figura fluida, impastata di contraddizioni e con una caratteristica evidente: la sensazione di stanchezza. È un uomo “dalla testa pesante” che fatica a portare avanti la sua vita, dubita del tragitto e del senso».
Non si tratta di depressione psicologica, ma dell’opera maligna di ideologie che non vogliono riconoscere di avere fallito e si fanno invece più aggressive: «Il grande sogno dell’individualismo, che ha segnato di sé l’uomo moderno, lo ha condotto nella post-modernità ad una imbarazzante scoperta: il grande sogno non ha tenuto!». Tra i «luoghi deteriorati» dalle ideologie, il più in pericolo è la famiglia, perché si attacca la roccia su cui è costruita, la differenza originaria fra uomo e donna. «La roccia della differenza è fondamentale per ritessere l’umano che rischia diversamente di essere polverizzato in un indistinto egualitarismo che cancella la differenza sessuale e quella generazionale, eliminando così la possibilità di essere padre e madre, figlio e figlia».
La differenza fra i sessi da «evidenza» è diventata, a partire dagli anni 1970, «problema». Com’è successo? Come già Benedetto XVI, il cardinale Bagnasco ricostruisce la storia dell’ideologia del gender, ricordando come «partendo dalla celebre espressione di Simone de Beauvoir [1908-1986] – “Non si nasce donna, lo si diventa” – si comincia a distinguere il sesso dal genere, come due realtà non sovrapponibili».La categoria del genere diventa «sempre più autonoma rispetto alla categorie di “sesso biologico”, fino a separarsi e a contrapporsi rivendicando un’autonomia assoluta, dichiarando la fine del “dato naturale” e instaurando il primato del “culturale”, della cifra “storica”, della preferenza soggettiva, individuale». Alla fine, si arriva «a negare anche il dato di partenza: la persona nasce sessuata», e ad affermare che non si «è» uomo o donna, ma ci si inventa la propria identità a seconda del desiderio. Bagnasco cita la filosofa del gender Judith Butler, secondo cui oggi «il genere stesso diventa un artificio libero da vincoli. Di conseguenza, uomo e maschile potrebbero riferirsi sia a un corpo femminile sia a uno maschile; donna e femminile, sia a un corpo maschile sia a uno femminile».
Non si capisce l’ideologia del gender, ammonisce il cardinale, se non nel quadro più generale della dittatura del relativismo. Il «capovolgimento dall’oggettivo al soggettivo, dalla natura alla cultura, non è limitato alla dimensione della sessualità, ma rientra in una visione ben più ampia che tocca la stessa visione antropologica: la persona stessa – nella sua complessità – è considerata come risultato mutevole della storia, anziché un dato oggettivo e imprescindibile».
In Italia, oggi, l’ideologia del gender non si contenta di egemonizzare la cultura. Vuole diventare legge. Ma – afferma con chiarezza il cardinale - «quando, attraverso una decisione politica, vengono giuridicamente equiparate forme di vita in se stesse differenti – come la relazione tra l’uomo e la donna e quella tra due persone dello stesso sesso – si misconosce la specificità della famiglia e se ne preclude l’autentica valorizzazione nel contesto sociale, trattando in modo uguale realtà diverse. Si appiattisce così il concetto di uguaglianza, che non consiste nel dare a tutti la stessa cosa, ma nel dare a ognuno ciò che gli è coerente». Per essere ancora più chiaro Bagnasco cita quanto aveva già affermato lo scorso 23 maggio: «La famiglia non può essere umiliata e modellata da rappresentazioni similari che in modo felpato costituiscono un “vulnus” progressivo alla sua specifica identità e che non sono necessarie per tutelare diritti individuali in larga misura già garantiti dall’ordinamento».
Tutto questo dovrebbe essere ragionevole, ma in Italia «ci si oppone alle ragionevoli considerazioni della Chiesa per motivi ideologici. Nei mesi scorsi, il dibattito sulla legge contro l’omofobia ha manifestato con chiarezza questa tendenza». Certo, «nessuno discute il crimine e l’odiosità della violenza contro ogni persona, qualunque ne sia il motivo». Ma «per lo stesso senso di civiltà, nessuno dovrebbe discriminare, né tanto meno poter incriminare in alcun modo, chi sostenga pubblicamente ad esempio che la famiglia è solo quella tra un uomo e una donna fondata sul matrimonio, o che la dimensione sessuata è un fatto di natura e non di cultura».
I problemi della famiglia, ha concluso Bagnasco, sono tanti. Manca «un fisco a misura di famiglia». È in crisi ovunque l’educazione, a causa di un problema più generale che ha le sue radici «in quella “morte del padre” che ha caratterizzato, a partire dal ’68, le società occidentali, ridefinendo le coordinate dei rapporti non solo all’interno della famiglia, ma anche della scuola, della Chiesa, dell’intera società». Ma tutto parte e torna alla questione cruciale, evocata nel brano dell’enciclica «Lumen fidei» letto all’inizio della Settimana Sociale: per il cattolico la differenza fra uomo e donna è stata iscritta da Dio nella natura, ed è un dato fondamentale e positivo; per l’ideologia di genere è un semplice pregiudizio culturale, da aggredire a colpi di pessime leggi per instaurare sulle macerie della famiglia l’ultima tappa della dittatura del relativismo.
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