martedì 30 luglio 2013

Ci sono sette elementi d’incostituzionalità nella proposta di legge sull’omofobia 
luglio 30, 2013 Giancarlo Cerrelli - http://www.tempi.it/

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La legge anti-omofobia, che alcuni, anche tra i parlamentari cosiddetti cattolici, auspicano sia al più presto approvata dal nostro Parlamento, è una legge inutile, perché i mezzi di tutela nei confronti degli eventuali abusi subiti dalle persone omosessuali sono già ampiamente previsti dal nostro ordinamento giuridico.
Tale legge, però, oltre a essere inutile, evidenzia un chiaro intento ideologico.

Il progetto di legge anti-omofobia, anche dopo l’emendamento che è stato effettuato e che ha espunto i riferimenti all’orientamento sessuale e all’identità di genere, non muta lo scopo sostanziale del provvedimento, che è quello di promuovere una funzione pedagogica e se è il caso rieducativa del popolo italiano, affinché giunga a considerare l’omosessualità un modo come un altro di vivere la sessualità e prenda finalmente atto che non esiste una “normalità”, perché non esiste una “natura umana”.

Questa legge che non ha alcuna urgenza e gravità sociale tale da essere inserita tra i primi provvedimenti all’esame del nuovo Parlamento, invero, è parte integrante di una strategia, che ha come obiettivo finale l’inserimento, in modo articolato, nell’ordinamento giuridico italiano, del matrimonio tra persone omosessuali e l’estensione, a questi, del diritto di adozione di minori.

L’approvazione di tale legge, come ho sostenuto qualche tempo fa, è il primo step per giungere a tale fine.

Per raggiungere più facilmente tale scopo, i promotori hanno ritenuto di innestare il progetto di legge anti omofobia su una legge speciale già esistente: la cd. “legge Mancino” n. 122/1993, modificativa della legge n. 654/1975, che ha recepito nel nostro ordinamento la Convenzione di New York del 1966 sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale.

A tale legge – che prevede forti sanzioni penali di tipo detentivo e accessorio a chi diffonde, incita a commettere, o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi e che vieta, tra l’altro, ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per i motivi suddetti, – si è pensato di aggiungere altre due “categorie protette”: quelle afferenti all’omofobia e alla transofobia.

Tali due nuove categorie che si intende inserire nella legge Mancino, oltre che evidenziare un vero e proprio pericolo per la libertà di pensiero e di espressione, pongono, tra l’altro, seri elementi di incostituzionalità della proposta di legge, che di seguito esaminiamo.

È utile, inizialmente, chiarire che i termini – omofobia e transfobia – hanno un’accezione incerta e comunque non prevista dal nostro ordinamento giuridico, il cui contenuto sarà determinato e non solo interpretato, dall’applicazione giurisprudenziale, con evidenti rischi di pronunce radicalmente difformi, a causa del significato discrezionale che di volta in volta l’autorità giudiziaria darà a tali termini.

1. Ciò individua una prima questione di costituzionalità e chiama in causa il principio di tassatività, direttamente collegato all’articolo 25 della Carta costituzionale. Viene, infatti, abbandonato un sistema penale fondato, per senso di realtà e garanzia, su dati oggettivi e diventano penalmente rilevanti, con conseguenze non lievi, viste le sanzioni in discussione, categorie non definite – per l’appunto, omofobia e transfobia –, la cui area di applicazione è ad alto rischio di arbitrarietà.
Oltre alla violazione del principio di tassatività per incertezza sull’oggetto effettivamente tutelato, le disposizioni progettate rischiano di violare il principio di tassatività anche sotto il profilo dell’idoneità descrittiva della proposizione normativa. I concetti di omofobia e transfobia non hanno precisione descrittiva e quindi risulta non chiaramente delimitato l’ambito dell’intervento punitivo.

2. Un’estensione così ampia della fattispecie incriminatrice chiama in causa l’articolo 21 della Costituzione, che tutela la manifestazione libera del proprio pensiero. Potrebbe, infatti, essere incriminato discrezionalmente da un giudice, secondo il dettato di tale legge, anche chi manifestasse l’opinione dell’esistenza in natura di maschio e femmina e della necessità che il diritto positivo sia fondato sul diritto naturale e ciò anche se tale opinione fosse esplicitata nell’assoluto rispetto di tutti, senza tradursi in alcuna condotta denigratoria, o comunque intrinsecamente illecita.

3. Proprio per i contorni incerti dei termini omofobia e transofobia, analogo richiamo va operato riguardo all’articolo 19 della Costituzione, con riferimento alle confessioni religiose, il cui insegnamento si basa sulla distinzione dei sessi derivante dalla natura. Il testo della legge in esame non impedirebbe in alcun modo, che talune azioni di tipo apostolico e catechistico di promozione della famiglia eterosessuale fondata sul matrimonio, che ponessero riserve nei confronti delle unioni tra persone omosessuali, rischino di tradursi in quella “propaganda” che è sanzionata dalla combinazione fra le nuove disposizioni e quelle delle leggi 122/1993 e 654/1975.

4. Un altro contrasto della legge è con l’articolo 18 della Costituzione che consente ai cittadini di associarsi liberamente. Il progetto di legge, invero, prevede alcune misure – sequestro, confisca dei beni, fino a giungere allo scioglimento – nei confronti di quelle associazioni i cui componenti siano condannati dalla nuova normativa.

5. Il testo, ancora, si pone in evidente contrasto anche con l’articolo 33 della Costituzione, che prevede la libertà di insegnamento. L’abnorme dilatazione delle fattispecie penali – esito delle nuove disposizioni che inseriscono i termini omofobia e transfobia, privi di un contenuto certo – pone a rischio la libertà di ricerca e d’insegnamento. Studi e/o terapie psicologiche, ad esempio, che avessero l’intento di risolvere il disagio di chi fosse orientato verso persone del medesimo sesso, finirebbero certamente per rientrare sotto il cono di attenzione della magistratura. Esistono, infatti, studi seri di psicologia, che insegnano che l’orientamento verso le persone del medesimo sesso è qualcosa da affrontare con equilibrio e delicatezza, sapendo che provoca non poco disagio in chi lo vive; ma, anche, che si tratta di una condizione che può essere positivamente risolta, superando situazioni difficili, come in più di un caso è accaduto.

6. L’inserimento dell’estensione nella “legge Mancino” dell’omofobia e transfobia, confligge con gli articoli 13 e 3 della Costituzione, nel punto in cui prevede, in aggiunta alla sanzione principale, la sanzione accessoria dell’attività in favore di associazioni di volontariato, comunque con finalità sociali, sotto un duplice profilo: a) si tratta di lavoro non retribuito, che dunque si traduce in una ingiustificata limitazione della libertà della persona, posto che interviene quando la pena inflitta è già stata espiata (si segnala in proposito che anche il lavoro prestato negli istituti penitenziari è retribuito); b) quell’attività potrebbe essere imposta anche alle dipendenze di associazioni a tutela delle persone omosessuali, come era nella prima stesura del testo base e come non è in alcun modo escluso dalla nuova versione: questa sorta di contrappasso aggiornato è ulteriormente limitativo, oltre che della libertà fisica, anche di quella di opinione.

7. L’innesto delle nuove disposizioni avviene formalmente sugli articoli della legge n. 654 del 13 ottobre 1975, a sua volta di ratifica e di esecuzione della convenzione contro le discriminazioni razziali, aperta alla firma a New York il 7 marzo 1966. Le disposizioni contenute in una legge di ratifica devono muoversi lungo i binari dell’atto internazionale sottoscritto, cui si dà applicazione nell’ordinamento nazionale. Come per le leggi di conversione dei decreti legge costituisce orientamento consolidato della Corte Costituzionale il principio di congruità fra le modifiche apportate in sede di conversione rispetto all’oggetto originario del decreto legge, con la conseguenza che norme pur costituzionalmente legittime cadono sotto la censura della Consulta perché extra ordinem rispetto alla stesura iniziale del decreto, e come un decreto legislativo non può discostarsi dai principi e dai criteri indicati nella legge di delega, a pena – anche in tal caso – d’incostituzionalità, alla stessa maniera una legge di ratifica di una convenzione internazionale non può estendere la propria sfera di applicazione verso ambiti non presi in considerazione dal provvedimento concordato fra gli Stati firmatari. Nel caso specifico, oggetto della convenzione è la eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale: si tratta di un tema ben diverso dalla discriminazione su base omofoba o transfoba.
Vi è pertanto un evidente conflitto con gli articoli 10 e 11 della Costituzione, essendo violato il principio, insito in tali disposizioni, del corretto recepimento delle convenzioni e dei trattati internazionali attraverso gli strumenti normativi dell’ordinamento interno: è evidente nel caso in esame l’impropria estensione della convenzione di New York a un ambito neanche lontanamente immaginato dai sottoscrittori di quell’atto.

La proposta di legge anti-omofobia proprio perché s’innesta sulla legge Mancino, risente di tutti i rilievi d’incostituzionalità anzidetti, ed è, dunque, inaccettabile.

È, pertanto, da contrastare in modo radicale una sua approvazione, non essendo sufficienti a evitare abusi nella sua applicazione, neppure eventuali emendamenti che prevedano clausole di garanzia, poiché proprio l’indeterminatezza dei termini omofobia e transfobia lascerebbe, comunque, ampia discrezionalità ai giudici di riempire di contenuto e di interpretare tali categorie non definite dal nostro ordinamento giuridico, in modo gravemente lesivo della libertà di pensiero e di espressione, esponendo i “buoni” a un costante e defatigante (e costoso) contenzioso.

Non bisogna, infine, dimenticare che questa proposta di legge liberticida è la prima tappa di un processo di rieducazione del popolo italiano verso una sessualità liquida che mira a cambiare le basi della convivenza sociale depotenziando la famiglia.

Papa Francesco, però,  intervistato dalla radio diocesana di Rio de Janeiro, ha ricordato a tutti che: «La famiglia è importante, è necessaria per la sopravvivenza dell’umanità. Se non c’è la famiglia, è a rischio la sopravvivenza culturale dell’umanità. La famiglia, ci piaccia o no, è la base».

lunedì 29 luglio 2013

Legge 40: meno nati vivi In aumento gli embrioni uccisi di Tommaso Scandroglio - 29-07-2013 - http://www.lanuovabq.it/

fecondazione artificiale

Come ogni anno il Ministero della Salute rende nota una relazione sullo stato di attuazione della legge 40, legge che disciplina l’accesso alla fecondazione artificiale. La relazione fa riferimento all’anno 2011. Andiamo a prendere i dati più significativi solo per le tecniche di primo e secondo livello, cioè Fivet, ICSI, che fa la parte del leone, e in minima parte Gift. Sono aumentate le coppie che cercano il figlio in provetta e che si sono rivolte ad uno dei 179 centri presenti in Italia: 46.491 coppie nel 2011 contro 44.365 del 2010. L’aumento riguarda anche le donne non più giovanissime: ormai una donna su quattro ha più di 40 anni. Crescono anche il numero di cicli, cioè potremmo dire i tentativi per avere un bambino: 56.092 nel 2011 contro i 52.676 del 2010. 

Ci aspetteremmo dunque che il numero di nati vivi sia aumentato anch’esso. Ma non è così. Infatti nel 2011 sono nati 8.734 bambini, nel 2010 9.286. E’ la prima volta dal 2004, anno in cui fu varata la legge 40, che il numero di bambini che nascono in provetta diminuisce. I fallimenti poi riguardano stranamente soprattutto le donne più giovani.  Dunque diminuiscono i nati nonostante dal 2009, a motivo di una sentenza della Corte Costituzionale, si possono ormai “produrre” per ogni ciclo quanti embrioni si vogliono, al di là del limite di tre embrioni che era presente nel testo di legge prima dell’intervento della Consulta. Questo a dimostrazione che la “produzione” illimitata di embrioni non è garanzia di successo, come testimonia la pratica clinica di altri paesi. A seguito della pronuncia dei giudici c’è stato un aumento notevolissimo degli embrioni cosiddetti “sovrannumerari” che se non vengono impiantati - perché la gravidanza è andata a buon fine, perché la donna non è più nelle condizioni di ricevere l’impianto, perché la coppia è ormai stressata dal punto di vista psicologico, perché sono imperfetti, etc. – vengono crioconservati. Nel 2008, prima della sentenza della Corte Costituzionale, erano 768 gli embrioni conservati in azoto liquido. L’anno dopo a seguito della sentenza dei giudici già erano schizzati a 7.337. Nel 2011 sono stati 18.798. 

Tra tutti i numeri della relazione ministeriale però è da rammentare il seguente: 154.404. Tanti sono gli embrioni che sono stati “prodotti”. Quanti di questi hanno visto la luce, cioè sono diventati il famoso “bambino in braccio”? 8.734. La differenza tra embrioni “prodotti”, a cui abbiamo sottratto quelli crioconservati, e nati vivi ci fornisce la cifra di quanti embrioni sono morti a causa delle tecniche di fecondazione artificiale: 126.872 (più dell’82% sul totale). In altre parole solo il 5,6% degli embrioni concepiti in provetta è venuto al mondo, mentre un altro 12% è stato costretto a condurre una vita sospesa nell’azoto liquido. Provate voi a prendere un aereo che il 95% delle volte che decolla poi precipita. Di certo nessuno metterebbe piede sui velivoli di questa compagnia di volo. Anzi le autorità competenti la chiuderebbero al primo disastro. Ed invece lo Stato italiano permette tale quotidiana strage e a forza imbarca sull’aereo della provetta centinaia di migliaia di piccole vite destinate a morte quasi certa. Più che tecniche per la cosiddetta “procreazione medicalmente assistita” paiono tecniche per lo sterminio medicalmente assistito degli embrioni. 

Quindi quasi 127mila embrioni vengono sacrificati affinchè le coppie possano stringere a sé il tanto desiderato bèbè, desiderio che come abbiamo visto solo poche coppie sono riuscite a coronare. E’ come se, per ogni figlio nato, mamma e papà decidessero di correre il rischio di sacrificare fino a otto fratellini pur di averlo. Se pensiamo che all’anno in Italia i decessi per tumore ammontano a circa 175mila, ci rendiamo conto che la legge 40 è come se avesse creato una pandemia mortale di eccezionali proporzioni. Una pandemia che però non ci turba per nulla dato che mai potrà riguardare noi, i già nati.

Infatti accanto a questi numeri da brivido quello che stupisce ancor di più è il silenzio omertoso su questa carneficina da parte un po’ di tutti: politici, media, università, ambienti ecclesiali e soprattutto gente comune. E’ il triste fenomeno dell’assorbimento: la coscienza collettiva è come se fosse narcotizzata e inebetita da altre cose come la crisi economica, l’IMU e risparmiare in vacanza. Cose sicuramente di rilievo, ma mai così importanti come questa mattanza silenziosa che giorno dopo giorno si compie con la benedizione dello Stato.

venerdì 26 luglio 2013

Testo cambiato, ecco perché è pericoloso di Gianfranco Amato, 26-07-2013, http://www.lanuovabq.it/

 Parlamento

Lo scorso lunedì 22 luglio il percorso di approvazione del disegno di legge in materia di contrasto dell’omofobia e della transfobia ha avuto un improvviso cambiamento di rotta. A seguito di un emendamento dei relatori, infatti, l’impianto normativo si è ridotto ad un solo articolo con cui viene modificato l’art.3 della Legge 13 ottobre 1975 n.654 e l’art.1 del decreto legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito con modificazioni della legge 25 giugno 1993, n. 205. La modifica consiste essenzialmente nell’aggiungere l’«omofobia» e la «transfobia» alle altre categorie già protette da forme di discriminazione e violenza quali la razza, l’origine etnica, la nazionalità e la religione.

Secondo la nuova formulazione del disegno di legge l’articolo 3, della legge 13 ottobre 1975, n. 654, dovrebbe leggersi nel seguente modo:

«Salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell'attuazione della disposizione dell'articolo 4 della convenzione, è punito 
a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; 
b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, o fondati sull’omofobia o transfobia.
È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, o fondati sull’omofobia o transfobia».

L’art.1 del decreto legge 26 aprile 1993, n. 122, convertito con modificazioni della legge 25 giugno 1993, n. 205, invece, dovrebbe leggersi così:

«Salvo che il fatto costituisca più grave reato, anche ai fini dell’attuazione della disposizione dell’articolo 4 della convenzione, è punito: 
a) con la reclusione sino a tre anni chi diffonde in qualsiasi modo idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, o fondati sull’omofobia o transfobia, 
b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, ovvero fondati sull’omofobia o transfobia».

Ora, il punto fondamentale è che, a differenza della precedente proposta – la quale all’art.1 aveva espressamente definito i concetti di orientamento sessuale e identità di genere – l’attuale testo non precisa assolutamente nulla circa l’omofobia e la transfobia. In nessuna normativa del nostro ordinamento giuridico è in alcun modo rinvenibile o desumibile il concetto delle succitate categorie. Se si considera che tali categorie vengono ad assumere la funzione di presupposto di una fattispecie penale, ben si comprende la pericolosità in ordine alla certezza del diritto ed al principio di oggettività del reato. Se non è la legge, chi può essere autorizzato a definire i concetti di omofobia e transfobia? Il rischio è quello di creare una sorta di “reato giurisprudenziale”, il cui contenuto precettivo verrà rimesso all’autorità giudiziaria chiamata a pronunciarsi nel singolo caso. La gravità di tutto ciò si amplifica laddove si consideri che in gioco vi sono diritti fondamentali dell’uomo, quali la libertà di opinione e di credo religioso, garantiti e tutelati dagli articoli 19 e 21 della nostra Costituzione. 

Come si colmerà la mancata previsione normativa dei concetti di omofobia e transfobia? Come reagirà l’interprete di fronte a questo vacuum legis? Proviamo ad ipotizzare uno scenario partendo da alcuni presupposti.

Primo. Non vi è una definizione della scienza medica dell’omofobia e della transfobia perché esse non sono inserite in alcuna classificazione clinica delle varie fobie: non compaiono, infatti, né tra le patologie previste nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM) né tra quelle contemplate nella International Classification of Diseases (ICD), ovvero la classificazione internazionale delle malattie e dei problemi correlati, stilata dall'Organizzazione mondiale della sanità (WHO).

Secondo. L’unico documento cui l’interprete potrebbe eventualmente far riferimento sembrerebbe essere la Risoluzione del Parlamento europeo 2012/2657(RSP) del 24 maggio 2012 sulla lotta all'omofobia in Europa. In tale documento (punto B) si definisce l’omofobia come «paura e avversione irrazionali provate nei confronti dell'omosessualità femminile e maschile e di lesbiche, gay, bisessuali e transgender (LGBT) sulla base di pregiudizi», e si ritiene «assimilabile al razzismo, alla xenofobia, all'antisemitismo e al sessismo». Sempre in quel punto del documento si precisa, altresì, che l’omofobia «si manifesta nella sfera pubblica e privata sotto diverse forme, tra cui incitamento all'odio e istigazione alla discriminazione, scherno e violenza verbale, psicologica e fisica, persecuzioni e uccisioni, discriminazioni a violazione del principio di uguaglianza e limitazione ingiustificata e irragionevole dei diritti, e spesso si cela dietro motivazioni fondate sull’ordine pubblico, sulla libertà religiosa e sul diritto all’obiezione di coscienza». 

Occorrerà capire, atteso anche l’orientamento europeo in materia, se l’opposizione al matrimonio omosessuale e all’adozione di minori da parte di coppie dello stesso sesso, possa considerarsi una forma di discriminazione per «violazione dei principio di uguaglianza», o una «ingiustificata limitazione di un diritto». Per non parlare di quanto il concetto di «violenza verbale» può essere esteso, e se esso può arrivare a comprendere, ad esempio, il giudizio di «grave depravazione» rinvenibile nelle Sacre Scritture della religione cristiana (Gn 19,1-29; Rm 1,24-27; 1 Cor 6,9-10; 1 Tm 1,10).

Terzo. Nel caso in cui si volesse fare una valutazione comparativa col diritto in vigore nei Paesi che da anni conoscono una legislazione antiomofoba, si potrebbe guardare a quanto accade, ad esempio, nel Regno Unito. Anche lì nessuna legge dà una definizione di omofobia e transfobia. A supplire il vuoto normativo ci pensa direttamente il Crown Prosecution Service (CPS), corrispondente grosso modo alla nostra Procura della Repubblica. In un documento ufficiale di quell’Autorità (44899 CPS – Hate Policy), una circolare in cui si delineano le direttive da seguire in materia, al punto 2.1 viene testualmente contemplato quanto segue: «There is no statutory definition of a homophobic or transphobic incident. However, when prosecuting such cases, and to help us to apply our policy on dealing with cases with a homophobic or transphobic element, we adopt the following definition: “Any incident which is perceived to be homophobic or transphobic by the victim or by any other person”» (Non esiste una definizione normativa di caso riferibile ad  omofobia o transfobia, e al fine di attuare la nostra politica criminale in materia, noi adottiamo questa definizione: “Si ritiene riferibile ad omofobia o transfobia ogni caso in tal modo percepito dalla vittima o da ogni altro soggetto”). In questo caso il presupposto del reato non è lasciato all’arbitrio del giudice ma a quello della vittima.

Ben si possono comprendere, quindi, quali siano i pericoli insiti nella formulazione prevista dal nuovo testo del disegno di legge che andrà in discussione alla Camera dei Deputati. In assenza di un’espressa previsione normativa che definisca cosa sia l’omofobia e la transfobia, il nostro sacrosanto diritto di opinione e di libertà di pensiero sarà in balia dell’interpretazione creativa di un giudice-legislatore, o dell’interpretazione soggettiva di una vittima incarognita. In entrambi i casi non è una bella prospettiva.

giovedì 25 luglio 2013

I bambini hanno bisogno di un padre e di una madre, anche se l’ideologia vuole convincerci del contrario - luglio 24, 2013 Giovanni Fighera - http://www.tempi.it/

padre f 1

In queste settimane (ma sarebbe più corretto dire anni) nella politica prevale l’ideologia sul buon senso e sull’evidenza della realtà. Vorrei allora proporre una riflessione sull’importanza della presenza di un padre e di una madre per la crescita di una persona. «Serve un padre per differenziarsi dalla madre, per accettare le ferite e riconoscere il senso ed esprimere il proprio Sé, entrando così personalmente nel tempo e nella storia» scrive Claudio Risé in Il padre. Libertà dono.

Nel mito Edipo uccide il padre Laio senza saperlo e sposa la madre Giocasta. La vicenda raccontata dal tragediografo greco Sofocle (496 a. C.-406 a. C.) profeticamente si è avverata nell’epoca contemporanea. Oggi l’uomo risente di una cultura plurisecolare (discendente dall’Illuminismo) che ha distrutto i padri tentando di conservare solo i valori di cui essi erano stati detentori fino ad allora. Il Settecento illuministico francese ha cercato di eliminare Cristo e la Chiesa conservando i valori di uguaglianza, fraternità, libertà che millesettecento anni di storia cristiana avevano portato in Europa. Il tentativo dell’eliminazione della figura del re e della monarchia in Francia e l’abolizione dell’Ancient régime con la Rivoluzione francese rappresentano simbolicamente la cancellazione dell’antico per l’instaurazione del nuovo, la decollazione del padre per l’intronizzazione del figlio.

La storia ha, poi, insegnato che non era possibile realizzare repentinamente questo passaggio brusco e rivoluzionario, perché i gradini si salgono con sacrificio e pazienza, non si possono saltare. I salti bruschi comportano di solito spargimento di sangue e involuzioni dal punto di vista della società e dei valori. Nietzche fa piazza pulita di tutti i padri del passato (Socrate, Cristo, s. Paolo, tradizione, i valori, …) per lasciare il bimbo superuomo solo con se stesso, senza padre né madre. Nel Novecento i segnali di questa ribellione al padre/tradizione/autorità sono moltissimi. Tra questi senz’altro la ribellione sessantottina è uno dei più clamorosi.


Negli ultimi quarant’anni, e oggi in maniera sempre più accentuata, la cultura e il diritto occidentali hanno reso superflua o facoltativa la figura del padre. Abbiamo sentito in questi giorni che in Francia si vuole sostituire la festa del papà e della mamma con la festa dei genitori in modo da non discriminare nessuno. Oggi si pretende, cambiando il nome agli arbitri personali, alle nefandezze, agli omicidi, inserendole nell’ambito del diritto e della legalità, di nobilitare ciò che non è nobile, di far passare come conquista ciò che è, invece, una sopraffazione dei più deboli, di chi non parla, di chi non può ancora dire ad alta voce che vorrebbe avere un padre e una madre.

Nella loro nascita i nomi nascondono sempre la verità delle cose. Il matrimonio deriva da munus matris, ovvero «il dovere o compito della madre». Chi vuole chiamare «matrimonio» l’unione tra due persone dello stesso sesso dovrebbe spiegare perché non possa o non voglia chiamarlo con un nome diverso. Non basta cambiare il nome alle cose per cambiarne la natura. Un cane rimane sempre un cane anche se decidessimo di chiamarlo «gatto». Se due persone dello stesso sesso adotteranno un bimbo, lo priveranno della diversità di un papà e di una mamma. La coppia che cresce un figlio ha la sua ricchezza proprio nella diversità e, in un certo senso, complementarietà della figura dell’uomo e della donna, del padre e della madre. Così è sempre stato nella storia dell’umanità, da quando gli esseri umani si sono distinti dalle fiere, per dirla col Foscolo dei Sepolcri (si vada a leggere la cosiddetta parte vichiana del carme «Dal dì che nozze e tribunali ed are»).

La madre è accoglienza, è pazienza, è colei che ha tenuto nel grembo per nove mesi il figlio, lo ha aspettato vivendo la dimensione del sacrificio e dell’abnegazione. Il femminismo degli ultimi decenni non ha certo valorizzato la donna, ma ha voluta equipararla all’uomo destituendola in realtà di quelle virtù che l’uomo deve spesso imparare da chi ha fatto esperienza dell’ospitalità in modo fisico e direi viscerale. Questa comunione con il figlio per nove mesi rende il rapporto tra madre e figlio fortemente biologico, fisiologico, carnale. Il padre inizia a conoscere il figlio solo dopo averlo visto nascere. Prima, nei nove mesi in cui il bimbo è nel ventre materno, è osservatore, non comunica con lui o poco, difficilmente prende pienamente coscienza della novità, poi diventa nel tempo autorità, legge, colui che pone le regole. Chiaramente ogni famiglia è a sé, in ogni nucleo padre e madre imparano a collaborare, a far crescere i figli, a comunicare loro le proprie esperienze e le proprie capacità. Qui, intendiamo, però, sottolineare che esiste una differenza di genere tra uomo e donna, una differenza ontologica e di storia tra papà e mamma.

Le conseguenze di questo processo di eliminazione della figura paterna sono sotto gli occhi di tutti: aggressività o cieca violenza, senso di sfiducia e di autostima, perdita dell’idea di autorità, incapacità di diventare papà e di creare una famiglia, assenza del senso del limite e del senso del sacrificio con conseguente inadeguatezza di fronte alle sconfitte e alle frustrazioni, atteggiamenti nevrotici o psicotici. Il giovane o l’adulto cerca di inibire o di sopire questa aggressività collettiva o individuale, non controllata e regolamentata, non soggetta al senso dell’autorità e della regola, attraverso assunzione di alcool o droghe (l’inibizione avviene qui attraverso la trasgressione), disinibizione dell’erotismo, forme di evasione come eccessivo uso di televisione e di videogiochi, infinite altre forme di intorpidimento dell’io. La società in cui viviamo è, in maniera simbolica, una «grande madre» che stimola i bisogni degli individui al fine di soddisfarli sempre meglio con beni crescenti, sempre più sofisticati, che tratta i suoi componenti guardando le sue necessità biologiche e fisiologiche. L’individuo regredisce ad una situazione infantile, si sente debole, deprivato di forza e di creatività, svuotato di energia spirituale, concepito solo per avere e possedere. Il giovane, spesso, regredisce allo stadio di dipendenza dalla madre rimanendo in casa fino all’età adulta, lasciandosi cullare da agio e tranquillità domestica.

Al figlio si deve mostrare un modo realistico e ragionevole di rapportarsi con la realtà. Mostrare che non è onnipotente, che ci sono dei limiti da rispettare, dei paletti entro cui camminare è profondamente educativo, perché introduce alla realtà indicando, nel contempo, che c’è anche una via da seguire, un sentiero. Il bimbo coglie così un senso, una finalità, un significato positivo che, nel tempo, imparerà a verificare per sé.


Invece, la pretesa violenta di incanalare il figlio in una strada o di progettarne il futuro non aiutano la sua crescita e la capacità di scelta. Ci si deve allora guardare dal tranello di voler dirigere la vita del figlio. Bisogna imparare a guardare il figlio con quel distacco, che è il contrario dell’indifferenza e della distanza, ma che potremmo descrivere con un’immagine dello scrittore francese C. Peguy. Un figlio è nell’acqua di un  fiume, ma non sa ancora nuotare. Il Padre (rappresenta Dio Padre) non vuole che lui anneghi, allora lo sostiene con le braccia, ogni tanto lo lascia perché vuole che lui impari a stare a galla, ma non può lasciarlo solo completamente perché berrebbe l’acqua. Peguy immagina che Dio dica: «Ho voglia, sono tentato di mettere loro la mano sotto la pancia/ Per sostenerli nella mia larga mano/ Come un padre che insegna a suo figlio a nuotare/ Nella corrente del fiume/ E che è diviso fra due sentimenti./ Perché se da un lato se lo sostiene sempre e lo sostiene troppo/ Il bambino si attaccherà e non imparerà mai a nuotare./ Ma anche se non lo sostiene al momento giusto/ Questo bambino berrà un sorso cattivo».

Come è bello vedere un figlio che acquista consapevolezza dei propri mezzi, nel contempo com'è drammatico lasciare la libertà a chi si vuole bene, coscienti che le scelte dell’altro potrebbero non essere indirizzate al suo bene! Eppure Dio ha deciso di scommettere totalmente sulla nostra libertà, perché senza di essa la nostra condizione non sarebbe dignitosa. Sostegno e libertà sono i due fattori su cui si gioca il rapporto tra genitori e figli.La verginità è quello sguardo capace di guardare l’altro senza pretese, senza desiderio di possederlo, ma con l’attenzione costante al Destino, al bene e alla felicità dell’altro.

lunedì 22 luglio 2013

OMOFOBIA/ Il giurista: la proposta di legge va contro la libertà di pensiero - di Mauro Ronco - lunedì 22 luglio 2013 - http://www.ilsussidiario.net/

OMOFOBIA/ Il giurista: la proposta di legge va contro la libertà di pensiero

La proposta di legge sull'omofobia estende in modo automatico la "Legge Mancino" del 1993 alle "discriminazioni motivate dall'orientamento sessuale o dall'identità di genere della vittima". Viene così a punire con la reclusione fino a un anno e mezzo chiunque commette discriminazione o istiga a commettere discriminazione per motivi di orientamento sessuale. E' prevista altresì nei confronti di chi venga condannato per tale reato la pena accessoria di "prestare una attività non retribuita a favore della collettività per finalità sociali" per un periodo fra tre mesi e un anno. Tra tali attività, è prescritto che vi sia pure "lo svolgimento di lavoro... a favore delle associazioni a tutela delle persone omosessuali".

Il reato di omofobia consiste nel discriminare ovvero nell'istigare a discriminare le persone per motivi di orientamento sessuale. Il testo della proposta di legge chiarisce all'art. 1 che "orientamento sessuale" è "l'attrazione nei confronti di una persona dello stesso sesso, di sesso opposto, o di entrambi i sessi", e che invece "identità di genere" è "la percezione che una persona ha di sé come appartenente al genere femminile o maschile, anche se opposto al proprio sesso biologico". Con questa norma si archivia un diritto penale fondato, per senso di realtà e per garanzia, su dati oggettivi, per affidarsi a elementi soggettivi incerti come la "percezione di sé" quanto al genere, "anche se opposto al proprio sesso biologico" e "l'attrazione" verso il proprio o l'altro o entrambi i sessi.

Una norma così concepita costituisce una inammissibile violazione del principio della libera manifestazione del pensiero, tutelato dall'art. 21 della Costituzione. Tale diritto è inviolabile e insopprimibile, essenziale per la stessa esistenza di un sistema democratico, non modificabile neppure con il procedimento di revisione costituzionale. Si vuole conculcare la libertà di esprimere giudizi critici sulle pratiche omosessuali e, più radicalmente ancora, la libertà di manifestare il pensiero contro la dittatura del relativismo, che pretende  l'equiparazione di ogni  pratica sessuale, come se tutte avessero gli stessi diritti della famiglia.

La proposta ha buone probabilità di diventare legge, poiché le forze politiche hanno ritenuto di dare priorità ad essa rispetto alla trattazione dei  gravissimi problemi oggi sul tappeto, dalla recessione dell'economia alla disoccupazione, dalla tutela della famiglia all'eccessività del carico fiscale sulle imprese e sulle abitazioni.

 La portata della norma è difficilmente percepibile da chi non sia esperto di cose giuridiche. Per esemplificarne il senso va detto che, alla stregua di tale proposta, potrebbero essere sottoposti a processo, in quanto incitanti a commettere atti di discriminazione per motivi di identità sessuale, tutti coloro che sollecitassero i parlamentari della Repubblica a non introdurre nella legislazione il "matrimonio" gay e, ancor più, tutti coloro che proponessero di escludere la facoltà di adottare un bambino a coppie omosessuali.

Si possono fare altri due esempi. Esempio n. 1. Il parroco organizza il corso di preparazione al matrimonio. Spiega che la famiglia è quella fondata sull'unione permanente fra un uomo e una donna, che non è immaginabile altro tipo di unione, e aggiunge che non sta bene assecondare l'"attrazione" verso persone dello stesso sesso, o anche di altro sesso se si tratta di persona diversa dalla propria moglie, e infine che non funziona nemmeno la versione bisex. Di più, aggrava la situazione quando, a domanda di un nubendo se ciò di cui parla è materia di peccato, risponde che gli "atti impuri contro natura" costituiscono uno dei quattro peccati che "gridano vendetta al cospetto di Dio" (copyright: Catechismo della Chiesa cattolica).

Esempio n. 2. Il docente di psicologia insegna ai suoi allievi che "la percezione che una persona ha di sé" come appartenente a un genere "opposto al proprio sesso biologico" è qualcosa da affrontare con equilibrio e delicatezza, sapendo che provoca non poco disagio in chi la vive. Ma può essere positivamente risolta, superando situazioni difficili, come in più d'un caso è accaduto. Chi assicura che quel docente potrebbe continuare a tenere lezione, e non costretto a trasferirsi in un luogo più chiuso.

Esempio n. 3. Riguarda chi scrive e chi pubblica considerazioni come quelle che sto tentando di fare.  Aggiungo che per il parroco del corso prematrimoniale, per il docente di psicologia e per chi scrive si aprirebbero, chiuse le porte del carcere, in forza della pena accessoria, quelle, per esempio, dell'Arcilesbica ove svolgere qualche mese di lavoro obbligatorio e gratuito, socialmente rieducativo.

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Dalla Francia sappiamo come andrà a finire di Massimo Introvigne - 22-07-2013 - http://www.lanuovabq.it/

Un arresto per Manif pour Tous

È uscito in Francia un libro davvero impressionante, «La répression pour tous?», «La repressione per tutti?», dell'imprenditore e attivista politico François Billot de Lochner (Lethielleux, Parigi 2013). Di passaggio a Parigi, ho potuto raccogliere qualche ulteriore testimonianza sui fatti di cui si parla, ma il volume - il cui titolo evoca il «matrimonio per tutti», omosessuali compresi, introdotto in Francia dalla legge Taubira, e la «manifestazione per tutti» che vi si è opposta - parla da solo.

La collezione di violenze poliziesche contro chi manifesta per la famiglia criticando il matrimonio e le adozioni omosessuali in Francia è impressionante, ma rischia di fare perdere di vista un passaggio essenziale, che pure il volume spiega. La polizia - opportunamente istruita dal potere esecutivo -  non interviene in nome di presunte leggi che vietino di manifestare contro il governo o il Parlamento. Non ci sono leggi simili in Francia. Interviene, bastona e usa i gas lacrimogeni perché in Francia c'è una legge sull'omofobia. Una legge del 2004 che permette d'intervenire in modo duro contro chi promuove la discriminazione razziale o fondata sul genere, emendata a due riprese nel 2008 e nel 2012. Oggi la legge punisce anche chi - così recita l'articolo 1 - «crea un clima ostile» a un'etnia, una razza o un «orientamento sessuale». Chi ha manifestato contro la legge Taubira è stato accusato di «creare un clima ostile» agli omosessuali,  crimine che è punito con la prigione e permette l'arresto del pericoloso criminale colto in flagrante mentre esprime la sua ostilità.

Si noti - perché interessa all'Italia - la precisa concatenazione temporale: prima si modifica la legge sull'omofobia per permettere al meccanismo repressivo di stroncare eventuali proteste, poi si fa passare la legge che introduce il matrimonio e le adozioni omosessuali. E chi «crea un clima ostile» agli omosessuali, facendo scattare le gravi sanzioni previste dalla legge sull'omofobia? Qui il libro di Billot de Lochner si legge come un romanzo di Franz Kafka (1883-1924) o di George Orwell (1903-1950). Vi trovate sugli Champs Elysées, studenti e studentesse, per prendere un aperitivo e vi sfugge qualche commento ostile alla legge Taubira? «Clima ostile»: la polizia arriva subito, vi porta via dal bar e vi spinge in una stazione della metropolitana intimandovi di disperdervi. Vi avviate alla coda per visitare la Sainte- Chapelle con una maglietta che non insulta nessuno ma porta il logo della «Manifestazione per tutti»? Mal ve ne incoglie: «clima ostile», siete fermato dai gendarmi e caricato sul cellulare. Siete un'handicappata e, confidando nella legge che protegge i disabili, aspettate con qualche amico alla stazione di Caen l'arrivo di un ministro con le bandiere della «Manifestazione per tutti»? Confidate male: vi accusano di «clima ostile», la polizia vi butta a terra e continua a picchiarvi dopo che siete caduta - tutto filmato e documentato su YouTube. Siete dei politici francesi - accompagnati da uno italiano, Luca Volonté - e portate anche voi una maglietta della «Manifestazione per tutti»? Arrestati e tenuti in guardina tutta la notte. Reagite in modo non violento, cantando nel cellulare che vi porta in prigione? La polizia getta un candelotto lacrimogeno nel cellulare per impedirvi di cantare e perpetuare il «clima ostile».

E tutto questo senza contare le vere e proprie violenze e brutalità poliziesche, l'uso dei lacrimogeni anche contro mamme che manifestano con bambini n passeggino, e gli insulti - da «fascista» a «puttana» -, tutto oggetto di un dossier presentato dallo stesso Luca Volonté al Consiglio d'Europa, di cui «La nuova Bussola quotidiana» ha già parlato. Il libro nota che la repressione si scatena solo contro chi critica la legge Taubira. Il 13 maggio 2013 violenze a Parigi da parte di tifosi di calcio che hanno distrutto automobili e saccheggiato negozi, trasformando - come ha detto un commerciante - «una zona di Parigi in Beirut», sono state affrontate dalla polizia con estrema tolleranza. Qui non si applica la legge sull'omofobia, e dunque un ultras del calcio che sfascia un'automobile è considerato meno pericoloso di una mamma che si mette una maglietta pro-famiglia. O meglio, qualche tifoso di calcio è arrestato, come scopre un tale che l'8 maggio festeggia la vittoria della sua squadra. Lo arrestano perché ha commesso un errore: forse nella fretta, è sceso in strada a festeggiare con una maglietta della «Manifestazione per tutti».

Per non parlare delle Femen, il gruppo ucraino di attiviste pro-gay e anti- religiose che protestano denudandosi, una delle cui leader, Imma Shevchenko, ricercata in Ucraina e Russia non solo ha ottenuto asilo politico in Francia, ma - lo abbiamo già raccontato su queste colonne - ha prestato il volto al simbolo della Repubblica francese, Marianna, per il nuovo francobollo unico voluto dal presidente Hollande. Nel 2012 le Femen hanno gettato un liquido che sembrava proprio urina su manifestanti anti-legge Taubira. il 12 febbraio 2013 sono entrate a Notre-Dame spogliandosi e proponendo il consueto repertorio di bestemmie e pose oscene. Non sono state neppure fermate dalla polizia: solo accompagnate, con cortesia e sorrisi, nel vicino commissariato per l'identificazione. È vero, a Parigi si vocifera che la Shevchenko sia legata da affettuosa amicizia a un'altissima personalità della «République»: ma l'impressione di due pesi e due misure resta fortissima. Non si tratta di fatti che interessano solo ai francesi. Mostrano a che cosa servono le leggi sull'omofobia e come saranno applicate. Oggi in Francia, domani in Italia.
Fecondazione assistita? La “napro” è più efficace ed è “cattolicamente corretta”. Infatti nessuno ne parla luglio 21, 2013 Rodolfo Casadei - http://www.tempi.it

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Ha un tasso di riuscita che è il doppio di quello della fecondazione assistita, per percentuali di nascite da coppie che seguono i trattamenti, e costa undici volte di meno, ma è praticata da pochi medici in tutto il mondo, boicottata dalla lobby della provetta e ignorata dai sistemi sanitari nazionali. La naprotecnologia è nata negli Stati Uniti e da qualche anno è approdata in Europa, ma continua a scontare il pregiudizio che la considera un approccio confessionale alla medicina, condizionato dai dogmi religiosi. Niente di più lontano dalla realtà. Se è vero che le pratiche della naprotecnologia si conformano rigorosamente alla bioetica cattolica, è altrettanto dimostrato che il suo approccio al problema della sterilità è scientificamente e clinicamente più rigoroso di quello praticato nell’ambito della fecondazione assistita. E per questo alla fine è anche più efficace: lo dicono le statistiche.
«La differenza fra naprotecnologia e fecondazione in vitro consiste nel fatto che nella prima la questione fondamentale è la diagnosi delle cause dell’infertilità, si cerca una spiegazione medica del perché una coppia non riesce a procreare, quindi si cerca di eliminare il problema e “aggiustare” il meccanismo naturale, ridandogli la sua armonia», spiega Phill Boyle, il ginecologo irlandese che tiene i corsi di formazione in naprotecnologia per medici di tutta Europa in una clinica di Galway. «Nel procedimento in vitro, invece, la diagnosi delle cause non ha importanza, i medici vogliono semplicemente “aggirare l’ostacolo”, eseguendo una fecondazione artificiale. In naprotecnologia, la cura risolve il problema della coppia, che poi può avere anche altri figli. Con il metodo in vitro, i coniugi comunque non guariscono e continuano ad essere una coppia sterile, e per avere più bambini si devono sempre affidare a un laboratorio». «La naprotecnologia è la vera fecondazione assistita», ironizza Raffaella Pingitore, la ginecologa chirurga più esperta nel metodo dell’area di lingua italiana, attiva presso la clinica Moncucco di Lugano. «Nel senso che assistiamo il concepimento dall’inizio alla fine, cioè dalla fase di individuazione dei marcatori di fecondità nella donna fino agli interventi farmacologici e/o chirurgici che si rendono necessari per permettere alla coppia di arrivare in modo naturale al concepimento».

Il nome deriva dall’inglese “natural procreation technology”, tecnologia della procreazione naturale. Più che una tecnologia è un insieme di tecniche diagnostiche e interventi medici che hanno per obiettivo l’individuazione della causa dell’infertilità e la sua puntuale rimozione. Si parte con le tabelle del modello Creighton, che descrivono lo stato dei biomarcatori della fecondità durante tutto il ciclo mestruale della donna, e che sono basate principalmente sull’osservazione dello stato del muco cervicale da parte della donna stessa. Il pilastro che regge tutta la naprotecnologia è la capacità di osservazione di sé della donna: ad essa viene formata nella parte iniziale del percorso. Le tabelle correttamente compilate, con lo stato del muco cervicale giorno per giorno e altri dati, sono la base di tutti i passi successivi. Da esse è già possibile diagnosticare carenze ormonali, insufficienze luteali e altri problemi trattabili con la somministrazione degli ormoni mancanti. Se l’infertilità persiste, si prosegue con l’esame dettagliato del livello degli ormoni nel sangue, l’ecografia dell’ovulazione e la laparoscopia avanzata. Possono allora rendersi necessari interventi di microchirurgia delle tube o di laparoscopia avanzata per rimuovere le parti danneggiate dall’endometriosi. Il risultato finale è una percentuale di nati vivi fra il 50 e il 60 per cento del totale delle coppie che eseguono i trattamenti per un massimo di due anni (ma la maggior parte concepisce nel primo anno), contro una media del 20-30 per cento fra chi ricorre ai cicli della fecondazione in vitro (generalmente sei cicli).
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La sciatteria dei medici
«Una delle cose che mi scandalizza di più è la diffusa negligenza nelle diagnosi delle cause dell’infertilità», spiega Raffaella Pingitore. «Oggi dopo pochi esami di prammatica la donna viene invitata a rivolgersi ai centri per la fecondazione assistita. Siamo arrivati al punto che qualche anno fa la Società americana di medicina riproduttiva ha dichiarato l’insufficienza luteale come non esistente, perché non poteva essere “scientificamente” diagnosticata. Noi siamo in grado di diagnosticarla perché coinvolgiamo la donna chiedendole di osservare e descrivere quotidianamente lo stato del muco cervicale, procedura che ci permette di diagnosticare l’insufficienza luteale. Questo per molti medici è impensabile: si limitano a un prelievo al 21esimo giorno del ciclo per misurare il livello del progesterone. Ma solo il 20 per cento delle pazienti ha un ciclo perfettamente regolare, perciò il dato del prelievo è quasi sempre diagnosticamente inutile».
«Negli Stati Uniti a Omaha, nel Nebraska, dal dottor Thomas Hilgers, il vero creatore della naprotecnologia, andavano donne alle quali l’endometriosi era stata esclusa dopo una laparoscopia. Ma rifacendone una più approfondita si scopriva che nel 90 per cento dei casi l’endometriosi c’era. A me è capitata spesso la stessa cosa. Una laparoscopia approfondita dovrebbe essere una pratica standard nello screening della sterilità, ma trattandosi di un intervento chirurgico l’ostilità è grande».

Che il ricorso indiscriminato alla fecondazione assistita vada di pari passo con la negligenza diagnostica lo si desume anche dall’alto numero di pazienti che ricorrono con successo alla naprotecnologia dopo fallimentari cicli di fecondazione in vitro. Il dottor Boyle afferma che negli ultimi sei anni nel gruppo delle sue pazienti sotto i 37 anni che avevano già provato due cicli di fecondazione assistita la percentuale di quelle che hanno concepito grazie al metodo di procreazione naturale è stata del 40 per cento. Raffaella Pingitore racconta la sua personale esperienza: «La paziente aveva 36 anni e desiderava una gravidanza da otto anni; aveva fatto in passato cinque cicli di fecondazione assistita senza successo. Le ho fatto registrare la tabella dei marcatori della fertilità e abbiamo notato che aveva una fase di muco fertile soddisfacente, ma dei livelli ormonali un po’ bassi, il che indica un’ovulazione un po’ difettosa. Aveva anche dei sintomi di endometriosi; ho eseguito una laparoscopia, ho trovato l’endometriosi e ho coagulato i focolai di endometriosi sull’utero, sulle ovaie e sulle tube. L’ho sottoposta a una terapia per mandarla sei mesi in menopausa, così da asciugare bene tutti i focolai di endometriosi eventualmente rimasti; dopo la terapia ho continuato con un farmaco, l’Antaxone, con la dieta e col sostegno della fase luteale con piccole iniezioni di gonadotropina. Questo ha portato all’innalzamento degli ormoni, e al quarto mese di trattamento si è raggiunto un muco molto buono. Al 17esimo giorno dopo l’ovulazione abbiamo eseguito il test di gravidanza, che è risultato positivo».

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Costi e benefici
Lo scrupolo del professionista eticamente motivato può molto più delle tecniche artificiali. Lo dimostra l’aneddoto della dottoressa Pingitore, lo dimostrano le statistiche del dottor Boyle. In Irlanda nel corso di quattro anni il ginecologo ha curato 1.072 coppie che cercavano quasi tutte un figlio da più di cinque anni. L’età media delle donne era di 36 anni, e quasi un terzo di esse aveva già tentato di avere un figlio con la fecondazione in vitro. Dopo sei mesi di cure naprotecnologiche, l’efficacia del metodo era del 15,9 per cento. Dopo un anno, del 35,5 per cento. Dopo un anno e mezzo, il 48,5 per cento delle pazienti era rimasto incinta. Se le cure duravano due anni, quasi il 65 per cento delle pazienti arrivava alla gravidanza.
Su una base di utenti molto più piccola la dottoressa Pingitore nel biennio 2009-2011 ha ottenuto una media del 47,3 per cento. Negli Stati Uniti (paese dove non vigono leggi che limitano il numero degli embrioni fecondati trasferibili nell’utero) i tassi di successo della fecondazione assistita dopo sei cicli sono i seguenti: 30-35 per cento per le donne sotto i 35 anni; 25 per cento per le donne fra i 35 e i 37 anni; 15-20 per cento per le donne fra i 38 e i 40 anni; 6-10 per cento per le donne sopra i 40 anni.

Poi c’è la questione niente affatto secondaria dei costi, anche se in Italia se ne discute poco perché, a parte il ticket, la spesa è a carico del sistema sanitario nazionale. In tempi di austerità e di effetti deleteri del debito pubblico, tuttavia, un occhio al rapporto spesa/efficacia dovrebbe valere anche da noi. Risulta dunque che, se raffrontiamo i costi di due anni di percorso naprotecnologico e quelli di sei cicli di fecondazione assistita, la seconda costa ben undici volte di più della prima. Un singolo ciclo di fecondazione in vitro costa circa 3.750 euro più 1.000 euro di medicazioni, dunque sei cicli costerebbero 28.500 euro a cui ne vanno aggiunti altri 800 per il congelamento e il mantenimento degli embrioni e 1.200 per il trasferimento, per un totale di 30.500. Invece, anche protraendo il percorso della naprotecnologia per due anni, i costi sono modesti: 300 euro per il corso di formazione nei metodi naturali, 800 per le consultazioni mediche e 1.500 per i medicamenti, per un totale di appena 2.600 euro. Probabilmente parlamenti e ministri della Sanità dei paesi europei non sono tanto sensibili sui temi bioetici, ma difficilmente potranno fingersi sordi davanti alle richieste di verificare il rapporto costi/benefici fra le due metodologie. «La naprotecnologia è destinata a diffondersi, non fosse altro che per un discorso legato ai costi, nei quali vanno calcolati anche gli effetti collaterali della pratica della fecondazione assistita: non dimentichiamo che i bambini che nascono con quella tecnica hanno più probabilità di malformazioni e problemi di salute di quelli che nascono in modo naturale», ricorda Raffaella Pingitore. «Prima, però, occorre sconfiggere la lobby della procreazione assistita. È una lobby miliardaria, che arricchisce centinaia di persone e che non si lascerà mettere i bastoni tra le ruote tanto facilmente».


giovedì 18 luglio 2013

Legge contro l'omofobia. Un bavaglio alla libertà religiosa e di pensiero secondo "Giuristi per la vita " -  notizia del 2013-07-18 - http://it.radiovaticana.va/




Partirà il prossimo 26 luglio alla Camera l’esame del dibattuto provvedimento contro l’omofobia. Centinaia gli emendamenti presentati per impedire che la legge si trasformi da strumento di lotta alla discriminazione in un bavaglio alla libertà religiosa o di espressione. Prevista infatti la reclusione da 6 mesi a 4 anni per chi partecipa ad associazioni contrarie al matrimonio gay e da 1 a 6 anni per chi le presiede o le fonda. Circa 20 mila le firme già raccolte da "Giuristi per la Vita” che ha promosso una petizione online contro tale legge. Al microfono di Paolo Ondarza il presidente Gianfranco Amato: 

R. - Con questa disposizione viene introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento giuridico la definizione di “identità di genere”: per cui non si è più uomo o donna a seconda del dato oggettivo che deriva dalla natura, ma secondo il proprio personale convincimento. Siamo al trionfo della “teoria del gender” e all’apoteosi della “ideologia relativista”. Questo peraltro con buona pace anche del principio della certezza del diritto ed anche dell’oggettività del reato.

D. – La legge punisce severamente chiunque si esprima contro i matrimoni gay o le adozioni da parte di omosessuali. Vietato anche definire - in linea con l’insegnamento della Chiesa cattolica – “intrinsecamente disordinati” gli atti omosessuali...

R. – Certo, perché se l’identità di genere e l’orientamento sessuale costituiscono una qualità paragonabile alla razza, all’origine etnica rispetto alla non discriminazione sarebbe come dire che: così come è vietato sostenere che un uomo bianco non può sposare una donna nera, non si potrà più dire che gli omosessuali non possono sposarsi. In gioco non c’è soltanto la libertà religiosa, ma la stessa libertà di opinione.

D. – Quindi, una legge che anziché favorire realmente la libertà mette il bavaglio a chi vorrebbe esprimere liberamente il proprio pensiero...

R. – Per comprendere la gravità delle conseguenze di questa proposta di legge è sufficiente guardare cosa sta capitando nei Paesi in cui è in vigore da anni: in Gran Bretagna c’è quasi una sorta di persecuzione nei confronti di chi osa criticare il matrimonio omosessuale o l’adozione di minori da parte degli omosessuali. Basta citare l’ultimo caso accaduto due settimane fa, il primo luglio a Wimbledon:un predicatore di strada è stato arrestato dalla polizia per aver citato e commentato un testo di San Paolo – la Lettera ai Tessalonicesi – dove appunto si parlava di immoralità omosessuale.

D. – Quindi questa non è una legge contro la discriminazione degli omosessuali...

R. – L’impianto è totalmente ideologico, perché gli omosessuali - così come tutti gli altri cittadini - godono già degli strumenti giuridici previsti dal codice penale, contro qualunque forma di ingiusta discriminazione, di violenza, di offesa alla propria dignità personale. La Costituzione italiana tra l’altro già sostiene con l’articolo 3 che: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali". Del resto l’impianto ideologico che sta dietro questa proposta di legge si evince anche da una delle pene accessorie - ed in particolare l’attività non retribuita in favore della collettività – che un condannato deve svolgere al termine dell’espiazione della pena detentiva: un’attività costituita da lavoro in favore delle associazioni a tutela delle persone omosessuali. Qui siamo alla rieducazione culturale di stampo maoista.

D. – Voi avete promosso una petizione on-line per dire “no” ad una legge contro l’omofobia. Qual è il vostro obiettivo e a che punto siete?

R. – L’obiettivo è far capire soprattutto ai parlamentari il rischio che si corre attraverso questa proposta di legge. Io temo ci sia una sottovalutazione: un conto è la tutela e la dignità degli omosessuali in quanto tali; un conto è esagerare al punto di impedire poi l’esercizio di diritti come quello della libertà di pensiero. L’adesione è andata al di là di ogni più rosea previsione, credo siamo intorno alle 20 mila firme e ne continuano ad arrivare. Vorrei far leggere ai parlamentari anche i tanti commenti che ci giungono a corredo delle firme: sono lo specchio del popolo italiano. Abbiamo studenti, pensionati, dipendenti, impiegati, professionisti, religiosi...

D. – Non è gente omofoba...

R. – Assolutamente no. È gente preoccupata che nel nostro Paese si mantenga e venga garantita la libertà di pensiero e la libertà di espressione del proprio credo religioso: due pilastri della nostra Costituzione.

Londra insegna: dalle unioni civili al matrimonio il passo è breve di Massimo Introvigne - 18-07-2013 - http://www.lanuovabq.it/

Il Parlamento inglese

Per pura coincidenza ero a Londra, davanti al Parlamento, quando il 16 luglio è stata approvata la legge che cambia il nome alle "unioni civili" tra omosessuali in "matrimonio". Ho così potuto constatare, una volta di più, come i media manipolano le notizie: la "grande folla" plaudente di cui ha parlato in Italia "Repubblica" era in realtà un gruppetto di quattro gatti, portati sul posto da "qualcuno" in camion e con cartelli molto professionali, ben preparati e costosi. Le fotografie in primo piano, che non permettono di valutare quanto o quanto pochi siano i manifestanti, hanno fatto il resto.

Ma quella dello scarso entusiasmo per la legge è una buona notizia a metà. Infatti, è anche vero che nessuno ha manifestato "contro" il matrimonio omosessuale. Un milione di persone a Parigi, nessuno a Londra. Colpa del caldo di luglio? Del fatto che solo la Chiesa Cattolica era davvero contraria? Non proprio. 

La verità è che la legge non è affatto rivoluzionaria. Mercoledì molti giornali inglesi non le hanno neppure concesso la prima pagina. Da nove anni, dal 2004, le coppie dello stesso sesso in Gran Bretagna possono contrarre in municipio - e nelle chiese protestanti "progressiste" che si prestano - una cosa chiamata "unione civile". Ci sono gli abiti bianchi, la musica, i fiori, gli anelli e una cerimonia che la legge definisce "identica" a quella che sancisce il matrimonio fra un uomo e una donna, tanto che i funzionari comunali cattolici che non vogliono unire civilmente i gay hanno chiesto - invano - il diritto all'obiezione di coscienza. Circostanza ancora più importante, un' "unione civile" permette a una coppia di omosessuali di adottare bambini.

Non solo: i giornali si sono gradualmente abituati a scrivere che due uomini o due donne "si sono sposati", e la formula è entrata nel linguaggio comune. Così la legge del 16 luglio ha solo adottato il nome "matrimonio", anziché "unione civile", per qualcosa che già tutti chiamavano "matrimonio". Semplice come bere un bicchier d'acqua, e non una grande notizia, ancorché - come ha ammonito la Chiesa Cattolica - anche le parole abbiano un peso, così che la nuova legge indebolisce ulteriormente la famiglia.

Ma c'è una lezione per l'Italia. Da noi anche alcuni cattolici si fanno irretire da chi propone le "unioni civili" come male minore e unica alternativa al matrimonio omosessuale altrimenti inevitabile. Ma è un imbroglio. Londra insegna: prima si introducono le unioni civili e dopo qualche hanno la leggina che cambia loro nome in matrimonio passa in modo rapido e quasi senza opposizioni. Come un bicchier d'acqua, appunto. Chi vuole le unioni civili per evitare il matrimonio avrà prima le unioni civili e poi il matrimonio. Con adozioni annesse.
LEGGE EMBRIONE/ De la Rochère (Fond. Lejeune): da oggi la vita in Francia non è più tutelata - giovedì 18 luglio 2013 - http://www.ilsussidiario.net/

LEGGE EMBRIONE/ De la Rochère (Fond. Lejeune): da oggi la vita in Francia non è più tutelata

L’Assemblea nazionale francese ha approvatola legge che consente la ricerca sugli embrioni. L’opposizione della società civile a una norma irrispettosa del diritto alla vita dell’essere umano non è servita a fermare il parlamento transalpino. Finora la ricerca sugli embrioni in Francia era consentita soltanto in determinate eccezioni, per le quali era necessario richiedere il permesso dell’Agenzia di Biomedicina. Da martedì la sperimentazione è invece sempre possibile, purché si verifichino quattro condizioni: la pertinenza scientifica, la finalità medica, il “rispetto dei principi etici relativi alla ricerca sull’embrione” e l’indispensabilità del ricorso alle cellule embrionali per proseguire la ricerca. Ilsussidiario.net ha intervistato Ludovine de la Rochère, portavoce della Fondazione Jérôme Lejeune.

Che cosa ne pensa dell’approvazione della legge che consente la ricerca sugli embrioni?

L’approvazione di questa legge rappresenta un evento molto triste, perché per la prima volta gli esseri umani non sono protetti fin dall’inizio della loro vita. Lo stesso primo articolo della legge sull’aborto spiega che ciascuna persona ha il diritto di essere protetta fin dal primo istante, e che l’interruzione della gravidanza è consentita solo in determinate situazioni. La legge che apre le porte alla ricerca sugli embrioni per la prima volta si fonda sull’idea che gli esseri umani non abbiano diritto a essere tutelati, ma che possano essere utilizzati come materiale per la ricerca e per il profitto.

Questa legge è quindi contraria al sistema giuridico francese?

La Costituzione francese e tutte le leggi in materia di bioetica affermano che gli esseri umani devono essere protetti. Si prevedono alcune eccezioni, ma il principio rimane la protezione degli embrioni. Da martedì al contrario non è più così.

Che cosa ne pensa del modo in cui si è svolto il dibattito sulla legge?

Il governo ha imposto un dibattito accelerato della legge, ha bloccato il voto sugli emendamenti alla norma e c’è stata una sola votazione al termine della discussione nell’Assemblea Nazionale. Il dibattito è stato dunque confiscato. Faccio notare inoltre che la legge è stata approvata martedì in piena estate appunto per fermare il dibattito sul nascere. La società francese non ha avuto la possibilità di confrontarsi sulla nuova norma, e l’obiettivo è stato quello di forzare la mano e imporre l’approvazione della legge. Questo modo di procedere non ha quindi rispettato la democrazia francese.

Che cosa ne pensa delle quattro condizioni previste dalla legge per consentire la ricerca sugli embrioni?

 Ritengo che non si tratti di vere condizioni. Per esempio la “finalità medica” è un principio molto vasto, e rende possibile qualsiasi ricerca che si avvalga di embrioni umani. I ricercatori potranno quindi compiere tutto ciò che vorranno. Faccio tra l’altro notare che le cellule staminali pluripotenti indotte o Ips, che la scienza contemporanea è in grado di riprogrammare, fanno molto parlare di sé e godono di molta attenzione da parte dei media, ma non sono le più adatte per le terapie del prossimo futuro. Le condizioni poste quindi per consentire la ricerca sugli embrioni documentano che si tratta di una legge ideologica e priva di serietà. Questa norma rappresenta una grave violazione del sistema giuridico francese.

Ritiene possibile un ricorso di fronte alla Corte costituzionale?

Assolutamente sì. Alcuni deputati faranno ricorso, chiedendo alla Corte costituzionale una revisione della legge. Le leggi in materia di bioetica in Francia devono sempre essere discusse sotto il profilo del rispetto dei principi base del nostro ordinamento. Finora un dibattito generale di questo tipo non è avvenuto, e ciò è illegale. Il ricorso alla Corte costituzionale verterà quindi non soltanto sui contenuti della legge, ma anche sulle modalità in cui è stata approvata.

(Pietro Vernizzi)

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OMOFOBIA/ Violini: così la tolleranza diventa il massimo dell'omologazione - giovedì 18 luglio 2013 - http://www.ilsussidiario.net/

OMOFOBIA/ Violini: così la tolleranza diventa il massimo dell'omologazione

Molti di militanti LGBT sono in fibrillazione, perché lunedì 22 luglio la Camera dei Deputati esaminerà una proposta di legge presentata il 15 marzo, il cui testo base è già stato approvato, per estendere la legge Mancino-Reale - che punisce gli atti di discriminazione basati sull'origine etnica, di nazionalità e di religione - anche all'orientamento sessuale e all'identità di genere della vittima. Il ddl, portato avanti soprattutto da esponenti del MoVimento 5 Stelle e del Pd, in primis Ivan Scalfarotto, vorrebbe pene più aspre di quelle già previste dal codice penale. “L'omofobia e la transfobia sono fenomeni affatto nuovi”, si legge nell'introduzione al ddl, “ma l'eco mediatica di quanto accaduto di recente ha destato finalmente l'attenzione sociale e della classe politica”. Che fatti gravi e atti di bullismo ai danni di persone omosessuali si siano verificate con una certa frequenza nell'ultimo periodo, come recita la frase redatta con perizia dai deputati (ma né più né meno che in passato, forse) è un dato di fatto, ma l'oggettiva necessità di estendere i reati puniti dalla legge n. 654 del 1975 alle discriminazioni motivate da omofobia non è immediatamente intuibile, spiega Lorenza Violini, professore ordinario di Diritto costituzionale nell’Università di Milano, nominata nella Commissione riforme costituzionali da Enrico Letta.

Perché crede che la modifica alla precedete legge non sia motivata da esigenze effettive?

Penso che questa proposta di legge sia in realtà una sorta di manifesto: il codice penale già contempla un'ampia serie di reati a tutela della dignità umana in tutti i suoi aspetti, quindi anche a difesa di chi ha un'identità e un orientamento sessuale non tradizionali. 

Ma inasprire le pene per reati discriminatori di tutti i tipi (non solo contro gay e transgender) non è cosa giusta?

Certamente potrebbe essere un segnale di maggior tolleranza nei confronti delle varie diversità presenti nella società civile e avere una qualche utilità, ma il prevedere pene più severe a tutela della dignità umana dovrebbe essere supportato da un'azione culturale forte.

In che senso?

Voler tutelare la dignità di tutte le persone è uno scopo nobile, ma una sanzione penale a chi non si conforma a questa tendenza è solo uno tra i tanti punti meritevoli di considerazione. Le politiche anti-discriminatorie dovrebbero essere ad ampio spettro, non ci si può accontentare di una sanzione penale inasprita pensando che questa sia sufficiente a determinare il concetto di “tolleranza” e di “diversità”.

“Tolleranza” e “diversità” si orchestrano quindi a vari livelli?

Bisogna capire bene che tipo di “diversità” si vuole salvaguardare. Siamo in una società che sente molto il bisogno di tutelare tutte le possibili tendenze e desideri delle persone che la abitano: di questo bisogna prenderne atto e cercare di suggerire che in alcuni casi la “diversità” non sempre è produttiva.

Può fare un esempio?

 Credo che sia legittimo pensare che il matrimonio tra uomo e donna e quello (eventuale) tra persone dello stesso sesso non siano la stessa cosa e non ci sia quindi un'automatica identità tra comportamenti etero ed omosessuali. Un posizione del genere non deve essere considerata omofoba e contro la “diversità”, altrimenti si scivola nell'ambito del reato d'opinione. 

Ma non essere d'accordo con i matrimoni gay non è reato.

Se questo diventasse illegittimo si parlerebbe non più di “intolleranza” ma di libertà di pensiero. È bene evitare che si attui il tentativo di imporre ideologicamente il rispetto di una “diversità” oggettiva. Questa legge tutela il valore della tolleranza e condanna le discriminazioni: fin qui tutto bene. Bisogna stare attenti a che non diventi però l'imposizione di un pensiero.

Questo ddl potrebbe aprire la strada a ulteriori provvedimenti legislativi in direzione “friendly” in linea con Francia, Usa e Gran Bretagna?

Che questo provvedimento preluda ad altre equiparazioni è difficile da dire, anche se è chiaro che la tendenza di fondo mira all'identificazione totale e ideologica di due situazioni oggettivamente diverse. 

(Maddalena Boschetto)

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