martedì 29 aprile 2014

Eutanasia: i medici olandesi si lamentano dei farmacisti che fanno obiezione di coscienza e un partito propone di abolirla, 29 aprile 2014 di Leone Grotti, http://www.tempi.it/

Il programma televisivo olandese Altijd Wat Monitor ha fatto scalpore il 16 aprile scorso dedicando una puntata all’eutanasia e ai farmacisti che si rifiutano di fornire i medicinali per il suicidio assistito e la “buona morte” facendo obiezione di coscienza. Tanto che una parlamentare olandese ha già chiesto al ministero della Sanità di discutere la sua abolizione.

OBIEZIONE DI COSCIENZA. Il servizio televisivo ha ripreso le lamentele dei medici della clinica Vita, che pratica l’eutanasia ai pazienti che la richiedono. Più della metà dei dottori ha dichiarato che spesso i farmacisti si rifiutano di vendere le droghe necessarie: molti perché giudicano i casi controversi, come quando l’eutanasia è prevista per pazienti con demenza o malattie psichiatriche, altri per motivi religiosi.

DIRITTO DEI FARMACISTI. Ai dottori ha risposto un rappresentate dell’ordine dell’associazione dei farmacisti olandesi KNMP: «Una farmacia non è un negozio dove si distribuiscono medicinali letali. Anche i farmacisti hanno il diritto di avere un’opinione».
Secondo la legge olandese un farmacista può fare obiezione di coscienza e non è obbligato a vendere i farmaci letali ai dottori. Il tema è controverso anche perché l’eutanasia, legale nel paese dal 2002, è sempre di più abusata e viene praticata anche ai malati di mente, seppur illegalmente. Le violazioni sono tante e tali che addirittura il padre dell’eutanasia olandese, Boudewijn Chabot, ha dichiarato a gennaio: «Sono sorpreso dai recenti sviluppi, la legge sull’eutanasia sta deragliando: presenta troppi difetti e io non mi sento più a mio agio».

EUTANASIA BANALIZZATA. I farmacisti si lamentano anche di come la morte tramite eutanasia sia ormai banalizzata: «Ti chiamano dei medici, spesso completi sconosciuti, all’ultimo momento e ti dicono: “Procurami questo farmaco e in fretta”. Ma questo non è il modo, parliamo di vita e morte».
Il servizio televisivo ha fatto discutere, come riporta nrc.nl, tanto che il partito di sinistra GroenLinks ha chiesto al ministro della Salute Edith Schippers di parlare dell’obiezione di coscienza per riformarla e abolirla.

@LeoneGrotti

Droga, una pessima legge avanza nel silenzio di Alfredo Mantovano, 29-04-2014, www.lanuovabq.it

C’è una bella differenza fra essere menagrami, essere profeti di sventura ed essere realistici. Portare sfortuna o credere che qualcuno la porti ha molto a che fare con l’irrazionalità; diverso è l’atteggiamento di chi intuisce che da una scelta potrà venire fuori una sciagura, e mette in guardia per quel che può: Cassandra aveva visto giusto, non è stata creduta dai suoi concittadini, e certamente non era simpatica. Ma invece, prevedere che determinati comportamenti provocheranno dei danni e darne le ragioni, è qualcosa che non ha nulla di superstizioso né di profetico: è un atto di buon senso, che meriterebbe considerazione. È quello che hanno provato a fare, all’inizio della discussione alla Camera del decreto legge sulla droga davanti alle Commissioni riunite Giustizia e Affari sociali, gli esperti tossicologici e i responsabili delle comunità: la risposta di larghissima parte del Parlamento e del Governo è andata nella direzione opposta. E, per di più, allorché il testo è arrivato in Aula, il Governo ha stroncato ogni discussione e ieri sera ha posto la fiducia.

Il provvedimento che oggi sarà votato da Montecitorio è una pessima legge: fa tornare indietro di dieci anni e pone le condizioni perché riprendano a crescere i consumi di droga e i decessi per uso di stupefacenti, calati a partire dal 2007, e perché diminuiscano gli incentivi verso i recuperi, che erano aumentati proprio dal 2007, a seguito dell’inizio di operatività della Fini-Giovanardi. Dalla sua applicazione, soprattutto dopo i peggioramenti apportati alla Camera, lo spaccio di ogni tipo di droga trarrà un impulso inaspettato, grazie al ripristino della non punibilità per uso personale; con la Fini-Giovanardi un decreto del ministro della Salute stabiliva per ogni droga la quantità di sostanza al di sotto della quale vi è solo un illecito amministrativo e oltre la quale l’illecito è invece reato: un confine fisso, senza margine di dubbi. Grazie a un emendamento approvato dalle Commissioni, importare, comprare, detenere droga non costituiranno più reato – vi sarà solo sanzione amministrativa – se tali condotte saranno tenute “per farne uso personale”. A far presumere questa destinazione, oltre il limite di quantità, varranno le “modalità di presentazione” della droga, il “confezionamento frazionato” o “altre circostanze dell’azione”: da parametri oggettivi si passa così alla estrema genericità, che legittimerà le applicazioni più estese, come è già accaduto in passato nelle interpretazioni giurisprudenziali, allorché esisteva una norma simile. È un emendamento che potrebbe definirsi “salva-dama bianca”: in assenza del solo limite quantitativo oggettivo, nessuno può escludere che chi – come è accaduto il 13 marzo all’aeroporto di Fiumicino alla signora Federica Gagliardi – verrà sorpreso con chili di cocaina, importati e detenuti con discrezione, non frazionati né confezionati in dosi, si difenderà sostenendone la destinazione per proprio uso personale, e potrà essere dichiarato non punibile. Una benedizione per trafficanti e spacciatori!

È un testo sul quale sarà arduo intervenire al Senato: trattandosi di un decreto e dovendo essere convertito in legge entro 60 giorni dalla pubblicazione, va votato nella versione definitiva entro il 20 maggio; a Palazzo Madama restano pochi giorni utili, e non è facile immaginare modifiche che lo facciano tornare in tempo utile alla Camera. Quel che sconcerta non è che in questo precipizio ci si trovi, per l’ennesima volta, in virtù di una sentenza della Corte costituzionale (che pure si è basata su una questione di forma e non è entrata nel merito). Né meraviglia lo sforzo che, contro ogni evidenza scientifica e statistica, le forze politiche collocate a sinistra hanno posto in essere in Commissione per distruggere una delle poche riforme che hanno prodotto risultati positivi. Né sorprende l’assenza quasi totale di informazione: per gran parte dei media la quota di componenti di elezione diretta del prossimo Senato merita spazio di gran lunga superiore alla quotidiana tragedia della droga, e alla possibilità di limitarne i danni con norme adeguate.

Quel che meraviglia è che questo disastro stia per diventare legge senza l’attenzione e la discussione che merita, dentro e fuori il Palazzo. La Consulta ha disarticolato passaggi significativi della Fini-Giovanardi con la motivazione che queste disposizioni sono state introdotte nel 2006 in sede di conversione di un decreto-legge che trattava altra materia, e quindi non ne ha affrontato le questioni di sostanza; a sua volta, la depenalizzazione di fatto dello spaccio e la reintroduzione della erronea distinzione fra droghe “leggere” e “pesanti” avvengono senza problemi con un decreto d’urgenza, senza dibattito e senza approfondimento dei suoi singoli passaggi proprio perché il governo pone la fiducia! Quali sono le ragioni per le quali di qualcosa di così grave diventa impossibile perfino parlare? Quando era in corso la stesura della Fini-Giovanardi, certamente non mancò il confronto sui media, in convegni e in Parlamento: vi fu una lunga trattazione in Commissione al Senato: adesso si calpestano le conclusioni scientifiche e i dati oggettivi senza nemmeno spiegare perché.

Soprattutto meraviglia la sostanziale indifferenza verso un colpo di mano come quello senza che nessuno solleciti alla riflessione. La partita del voto di fiducia di oggi è importante in sé, per quanto fin qui riassunto. Ma è importante pure perché segna un punto a favore della rivincita dell’ideologia post-sessantottina, che nella Legislatura in corso punta al maggior numero di obiettivi. Guai a perdere di vista il legame esistenza fra: a) lo sforzo di scardinare la famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna – il divorzio sprint, in discussione alla Camera, b) la sostanziale equiparazione al matrimonio, per come finora è stato disciplinato, dei diritti e dei doveri derivanti dall’unione civile, anche fra persone dello stesso sesso, in discussione al Senato, c) l’ammissibilità della fecondazione eterologa, reso possibile dalla Consulta, che consentirà a queste unioni di “avere figli”, d) le sanzioni penali del d.d.l. Scalfarotto, con cui dovrà fare i conti chi oserà obiettare qualcosa in proposito. Nel frattempo, canna libera, e non solo canna, per tutti e senza ostacoli…

No, non c’è bisogno di scomodare né la mala sorte né Cassandra. È solo il caso di svegliarsi, mettendo da parte un torpore che forse non è solo da cannabis.

giovedì 24 aprile 2014

STATI UNITI/ La sentenza della Corte dell'Alabama: il nascituro ha "inalienabile diritto alla vita", 24 aprile 2014, http://www.ilsussidiario.net/

Foto InfoPhotoUna sentenza quella pronunciata dalla Corte suprema dello Stato dell'Alabama, che non nasce da un caso relativo ad aborto, ma ha allo stesso modo uguale importanza nella difesa della vita.  A scriverla in gran parte il giudice Tom Parker, relativamente a un caso che ha visto un neonato nascere già cocainomane, per l'uso che ne faceva la madre. In sostanza, il giudice ha sottolineato come i bambini nel grembo materno dovrebbero avere lo stesso status giuridico degli altri bambini confermando così la prima condanna di Sarah Janie Hicks per "la messa in pericolo chimico del suo bambino". Il  bimbo era infatti  nato positivo al test della cocaina. La sentenza dunque riconosce che la parola "bambino" comprende anche lo status di nascituro, cioè ancora nel grembo materno.  "E ' impossibile per un bambino non ancora nato essere una persona separata e distinta in un particolare momento nel tempo e di non essere una persona separata e distinta nello stesso punto nel tempo" si legge nella sentenza. Questo perché, si legge ancora nella sentenza, "un bambino non ancora nato ha un diritto inalienabile alla vita dalle sue prime fasi di sviluppo". Ha diritto cioè non solo a una vita libera dagli effetti nocivi delle sostanze chimiche in tutte le fasi di sviluppo, ma anche diritto alla vita stessa in tutte le fasi di sviluppo. Trattare un nascituro come persona separata e distinta in soli selezionati aspetti sfida la logica e il nostro più profondo senso morale, ha concluso. I commentatori pro life hanno notato come questa sentenza ribadisce il diritto dei nascituri alla vita dopo decenni di sentenze e richieste giuridiche distorte e irrazionali, che hanno negato il concetto che ogni essere umano ha diritto a vivere. 
© Riproduzione Riservata.

mercoledì 23 aprile 2014

La Commissione europea finanzia associazioni gay… e filo-pedofile?, http://www.notizieprovita.it/

commissione_europea_gayCon le nostre tasse, in modo diretto o mediato dalle Istituzioni comunitarie, ti ritrovi a pagare mille cose che non vorresti  e che, forse, non ti dovrebbero nemmeno esser imposte.

Così il sistema sanitario pratica l’aborto a spese dei contribuenti (basti pensare come anche sol ventilare l’ipotesi che ciò possa avvenire cos’ha scatenato negli Stati Uniti contro il passaggio dell’assicurazione obbligatoria, comprendente anche pratiche abortive, a carico del datore di lavoro previste nell’Obama Care) e, tramite l’Unione Europea, si sovvenzionano lobby omosessuali con radicati collegamenti nel mondo pro-pedofilia.

Questo è il caso della ILGA (International Lesbian, Gay, Bisexual, Trans and Intersex Association), associazione che riceve più di due terzi dei suoi finanziamenti direttamente dai contribuenti tramite la Commissione europea, a cui si somma il contributo destinato dal governo olandese. La restante parte viene garantita da tre importanti donatori privati tra cui il miliardario George Soros. Tra le principali finalità programmatiche vi la promozione di una cultura finalizzata all’adozione di bambini da parte di persone GLBT.

Tra i fondatori dell’ILGA vi è anche la North American Man / Boy Love Association, gruppo che si pone come scopo normalizzare e, quindi, legalizzare la pedofilia. Solo dopo uno scandalo di portata internazionale, questa associazione fu stralciata dalla struttura dell’ILGA.

Pur non avendo le caratteristiche necessarie, l’associazione finanziata dai contribuenti europei e da Soros è stata accreditata presso l’ONU, su forti pressioni delle Istituzioni comunitarie. Uno dei principali aspetti di non conformità sta proprio nella fonte dei contributi: una ONG non potrebbe ricevere in via preminente contributi da parte di enti pubblici, altrimenti ci si troverebbe dinnanzi ad un esempio di ventriloquismo politico. Che senso avrebbe definirla, perciò, organizzazione non governativa?

Alcuni europarlamentari, venuti a conoscenza delle finalità e della fonte di finanziamento dell’ILGA si sono dimostrati molto contrari, chiedendo ragione di queste scelte ed invitando l’Unione Europea a fare un cambio di rotta.

La risposta non si è fatta attendere: reazioni cariche d’astio, di violenza e di criminalizzazione. I membri del Parlamento che hanno posto questi legittimi quesiti sono stati accusati di omofobia, intolleranza e giù giù, tutto il solito copione. Ulrike Lunacek, co-presidente dell’Intergroup, ha affermato che questi colleghi sono “un modello per i bulli e i prepotenti in Europa”.

Allo stato attuale, quindi, tutto rimane uguale. La Commissione europea persevera nel foraggiare quest’associazione, i cui sostenitori politici non si fanno certo da parte, in un continuo lavorìo a tuttotondo nelle Istituzioni, nelle scuole, nelle piazze, sui giornali, in televisione. Grazie anche ai nostri soldi.

Redazione

Fonte: PrisonPlanet

Soldi, soldi, soldi… altro che “donatori di gameti”!, http://www.notizieprovita.it/

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Quando si parla di fecondazione artificiale e di bambini in provetta, la tendenza politicamente corretta è quella di enfatizzare lo scopo “umanitario” della pratica, tutta tesa a dare un figlio alle coppie infertili o sterili che non possono averne. Tant’è vero che TUTTI parlano di “donazione” di gameti, rimandando così ad un concetto nobile di gratuità.

Invece, è facile intuire che la realtà è ben altra. NON esistono “donatori” di gameti perché ovuli e sperma si vendono e si comprano sul mercato a prezzi anche altissimi: tanto più alti quanto le qualità genetiche del venditore ( o della venditrice) sono appetibili e richieste.
Che poi, dietro le tecniche della FIV (fecondazione in vitro, in tutte le sue più varie accezioni) ci sia un giro di miliardi soprattutto a vantaggio delle cliniche e dei laboratori è altrettanto facilmente intuibile.
Ora grazie alla pubblicazione di un rapporto della Allied Analitycs siamo in grado di dare qualche cifra: il fatturato del 2012 del mercato globale della FIV è stato di 9,3 miliardi di dollari, una cifra che è destinata ad aumentare a 21,6 miliardi entro il 2020.
Anche il mercato della vendita degli ovuli è in espansione, nonostante i gravi rischi per la salute delle donne che si prestano alla necessaria stimolazione ovarica, da 11.000 ovuli donati nel 2000, siamo arrivati a 18.000 nel 2010.
Il costo della fecondazione in vitro a New York è di circa circa $ 10,000 – $ 15,000, ma lo stesso trattamento costa solo 6.000 dollari in Thailandia: questo favorisce quel turismo “medico – procreativo” che rappresenta senz’altro una prospettiva di crescita del PIL dei paesi in via di sviluppo. Che ciò avvenga, comunque, sulla pelle delle donne, è del tutto irrilevante per la maggior parte di coloro che gridano ogni 3 x 2 al “femminicidio” e protestano contro la violenza sulle donne…
D’altro canto la Human Fertilization and Embriology, in Inghilterra, ha recentemente rivelato che oltre 3000 embrioni vengono distrutti nelle cliniche del Regno Unito ogni settimana.
3000 bambini a settimana, solo nel Regno Unito, prodotti in laboratorio e scartati come merce fallata…
Francesca Romana Poleggi

Global In-Vitro Fertilization (IVF) Market (Instruments, Reagents and Media, Technology, Geography) - Size, Share, Trends, Opportunities, Global Demand, Insights, Analysis, Research, Report, Company Profiles, Segmentation and Forecast, 2013 - 2020 - http://www.researchandmarkets.com/
In-vitro fertilization is a type of assisted reproductive technology that helps women in conceiving. The global IVF market was valued at $9.3 billion in 2012 and is expected to grow up to $21.6 billion by 2020. Delayed pregnancy in women is one of the major driving factors of the IVF market, as the chances of conceiving lowers with age. The pregnancy success rate with IVF technique is higher in the age group of 35-39. Other driving factors of the IVF market are rise in infertility rate due to rise in stress levels, change in life style and fertility related diseases. Globally, the number of couples with infertility issues was found to be 48.5 million in 2010.

The major limiting factor of this market is the cost involved in the treatment. The patient may not conceive in the first cycle of IVF procedure. Many cycles have to be undergone by the patient to achieve pregnancy, and this adds to the overall cost. The average cost of this procedure is approximately $10,000-$20,000. This acts as a major limitation in adoption of the technique for people with low income. Another challenge is the low level of awareness in the developing economies such as Nigeria. Awareness can be created through medical tourism and availability of low cost IVF treatments.

The companies profiled in this report include Vitrolife AB, Cooper Surgical. Inc., Cook Medicals, Thermo Scientific, Irvine Scientific Inc., Genea Biomedx, Oxford Gene Technology, Auxogyn Inc., EMD Serono Inc. and Ova Science.

KEY BENEFITS

- In-depth analysis of the IVF market, segmented based on instruments, reagents and media, technology, end users and geographies
- Quantitative analysis of the current market and estimations through 2013-2020
- Assessment and ranking of the factors affecting the global market and impact analysis of the same
- Identification of key investment pockets in the market, which would assist companies to take profitable investment decisions
- Study of the bargaining power of buyers and suppliers in the market, based on porter's five force analysis
- Understanding the key intermediaries in the market based on value chain analysis
- Analysis of trends in various geographic segments that would help the companies to plan their strategies depending on the region
- SWOT and competitive analysis of the key players, which would help stakeholders to understand trends followed by their competitors and take actionable decisions

martedì 22 aprile 2014

Lafforgue: «Educazione repubblicana perversa e totalitaria: vuole trasformare l’uomo. Meglio fondare scuole libere, come ho fatto io», 22 aprile 2014, Leone Grotti, www.tempi.it

Intervista al grande matematico e premio Fields francese sul declino di un sistema di istruzione ormai devastato da una laicità dogmatica
«La scuola in Francia è stata oggettivamente snaturata e ora è in piena crisi. Il governo Hollande l’ha usata in modo totalitario per trasformare a suo piacimento non solo la società ma l’uomo stesso e il risultato è sotto gli occhi di tutti». Laurent Lafforgue, 47 anni, allievo della Scuola normale superiore, ente costituito per creare la classe dirigente francese, vincitore nel 2002 della medaglia Fields, l’equivalente del Nobel per i matematici, docente permanente presso il prestigioso Istituto degli alti studi scientifici, è una delle teste più fini e brillanti di tutta la République. Eccellente matematico, non è certo un neofita in tema di educazione. Nel 2005 l’allora presidente della Repubblica Jacques Chirac lo ha nominato membro dell’Alto consiglio dell’educazione per riformare la scuola, ruolo da cui si è dimesso dopo appena dieci giorni in forte polemica con gli “esperti” del ministero.
Laurent LafforgueLafforgue è in Italia per tenere un corso di matematica all’università degli Studi di Milano e l’abbiamo raggiunto a margine di un incontro al liceo Don Gnocchi di Carate Brianza, dove il professore ha parlato davanti a un centinaio di studenti della sua esperienza di matematico. Agli studenti si è presentato così: «Non ho mai deciso di fare il matematico, da giovane preferivo letteratura e filosofia. Dopo il liceo ho intrapreso gli studi scientifici solo perché la matematica mi riusciva in modo naturale e mi richiedeva meno sforzo. Sono le circostanze della vita ad avermi portato al mio lavoro, è una cosa che mi è stata donata e oggi sono felice di essere quello che sono. Studiare matematica è interessante perché è un aspetto della verità, è una grande avventura umana cominciata da grandi uomini oltre duemila anni fa e che altri porteranno avanti dopo di me».
Professor Lafforgue, lei dice che la scuola in Francia è stata «oggettivamente» snaturata; agli studenti parla di «verità» e di «dono»: ma tutti questi argomenti non sono più in voga da un pezzo, ormai.
Questo fa parte del problema della scuola. Come matematici, qualunque siano le nostre convinzioni filosofiche o religiose, noi facciamo l’esperienza dell’oggettività. È semplice: noi vediamo che quando una cosa è dimostrata, vale per sempre. In matematica, al contrario di altre scienze, non si arriva alla conoscenza attraverso delle rivoluzioni: se una cosa è stata scoperta come vera duemila anni fa, non c’è modo di metterla in discussione oggi. Certo, l’approfondimento è continuo, l’arricchimento costante, ma i risultati ottenuti dai nostri predecessori sono ancora veri e lo saranno sempre. Noi abbiamo fiducia nella verità.

Voi sì, ma la cultura europea no. Al contrario, è sempre più relativista e la scuola sembra destinata ad andare di pari passo.

La società è relativista ma la scuola non è obbligata a seguire la società, perché è un luogo particolare dove si crescono i giovani. E i giovani stessi non sono il prodotto della società, sono spiriti liberi e non manipolabili. Ma gli studenti hanno fiducia negli adulti e questo è il problema della scuola.

La fiducia?
No, gli adulti. Oggi i professori, i rappresentanti del sapere, gli intellettuali, nutrono profondi dubbi sul valore di quello che insegnano e della verità. Mi sembra chiaro che se non c’è la verità, allora non c’è più niente da insegnare. E senza insegnamento, non c’è scuola.

Perché?
Perché l’obiettivo della scuola è la trasmissione della conoscenza. Questa è la sua ragion d’essere, anche se per rispondere a questa missione sono necessarie delle condizioni: bisogna rispettare una certa disciplina collettiva, bisogna imparare a essere attenti, a lavorare, a rispettarsi con gli altri, ad ascoltare, a essere pazienti, ad aiutarsi. Questi non sono i principali obiettivi della scuola, ma sono cose che si apprendono in modo collaterale e fanno parte dell’educazione.
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Questo non è quello che pensa l’ex ministro dell’Educazione nazionale di Hollande, Vincent Peillon, appena sostituito nel rimpasto di governo. A gennaio 2013 ha scritto a tutti i presidi: «Il governo si è impegnato a lavorare sui giovani per cambiare la loro mentalità». E ancora: «Bisogna strappare il bambino da tutti i suoi legami pre-repubblicani per insegnargli a diventare un cittadino. È come una nuova nascita».
Questo pensiero è totalitario. Secondo Peillon la scuola è il luogo dove finalmente si può trasformare non solo la società ma l’uomo stesso. Ma così si snatura la scuola e la si rovina in modo irreparabile. Da tempo in Francia si è cercato di fare della scuola prima di tutto un luogo di socializzazione, dove i giovani possano imparare a vivere in società: questo è stato considerato più importante dell’insegnamento. Quindi fior fiori di teorici hanno scritto che il primo obiettivo della scuola deve essere quello di creare le condizioni della pace nella società, che oggi torna a essere minacciata dalla guerra di tutti contro tutti. E tutti ne paghiamo le conseguenze.

Quali conseguenze?
La nuova scuola voluta per realizzare la pace è estremamente conflittuale. C’è tantissima violenza tra i giovani, che sono gli uni contro gli altri, per non parlare di quella subita dai professori, spesso vittime di violenze fisiche da parte degli alunni. Abbiamo voluto una scuola della pace, e non più del sapere, e il risultato è una scuola dove non c’è più la pace e non si impara.

Perché questo risultato?
Perché quanto più si forza una cosa ad andare contro natura tanto più questa diventerà perversa. Non si può trasformare la realtà in modo arbitrario. Peillon pensa che non esista la realtà, che possiamo modificarla a piacimento. Ma questo non è vero.

Le famiglie come la pensano?
Molti genitori sono inquieti ma la maggior parte di loro non è cosciente dello stato di distruzione della scuola oggi. Io noto due fenomeni. Il primo è che tantissime persone, in ogni ambito della società, hanno cominciato a reagire e parlo di rettori, professori, genitori, persino studenti. Questi però sono ancora una minoranza. La seconda cosa che noto, e che mi sconvolge, è il fatto che i professori abbiano ceduto e accettato questa situazione: come si può essere così rassegnati?

Il governo di Hollande ha lanciato l’insegnamento della teoria di genere nelle scuole primarie. Le famiglie però non sembrano entusiaste, almeno a giudicare dal successo della “Giornata di ritiro dalla scuola”: una protesta che ha portato ben 18 mila bambini a disertare le proprie classi.
L’imposizione della teoria di genere è un’iniziativa di Peillon, che ha portato avanti un programma del governo precedente. Non dimentichiamo che il ministro dell’Educazione nazionale di Nicolas Sarkozy, Luc Chatel, aveva per la prima volta introdotto ufficialmente nei licei la teoria di genere nei corsi di biologia. Questo mi sembra aberrante, perché posso ancora capire nei corsi di filosofia, dove si discute di diverse teorie e può trovare il suo spazio anche quella di genere. Ma in biologia è assurdo perché la differenza tra uomo e donna è radicata nella natura e non c’è spazio per teorie. Ultimamente, però, la gente si è come risvegliata, basta pensare alle proteste della società francese durante il dibattito sull’approvazione della legge Taubira sul matrimonio gay. Io credo che si possa parlare della teoria di genere, magari in filosofia, ma cercare di imporla in modo autoritario nella scuola primaria negando le differenze tra femmine e maschi, questo significa negare la realtà. Quello che si sta cercando di fare oggi è stabilire attraverso la scuola il primato della volontà sulla realtà. Al fondo della teoria di genere, infatti, c’è questa idea: non c’è più verità, non c’è più realtà, solo volontà. Anzi, la sola realtà è la volontà. Penso che la scuola debba resistere.

In che modo?
È estremamente complesso. La scuola dipende dai ministeri e da sovrastrutture difficili da cambiare, su questo ho poca speranza. Si possono però fare due cose: la prima è prendere coscienza di quello che sta succedendo, un passo richiesto innanzitutto ai professori; la seconda è fondare delle scuole diverse. In Francia i privati possono aprire degli istituti e questo è un rimedio al disastro della scuola pubblica e a quello di tante scuole cattoliche associate allo Stato che purtroppo di cattolico hanno mantenuto solamente il nome. Anch’io ho partecipato con alcuni amici alla fondazione di una scuola.

Com’è successo?
Qualche anno fa parlavo del disastro dell’educazione nazionale ad alcuni miei amici: loro mi ascoltavano ma pensavano che esagerassi. Poi hanno cominciato a mandare i figli a scuola e li ho visti sempre più inquieti e arrabbiati. Sono arrivati a un punto tale che hanno deciso di mettersi insieme con altri genitori e fondare una scuola. E anch’io ho deciso di investirci. Queste persone hanno convinzioni diverse, ma la maggior parte di loro ha radici cristiane. La scuola che hanno costruito è un’opera radicata nella fede ma al servizio di tutti: laica e aperta a tutte le confessioni.

Come vi differenziate dalla scuola repubblicana?
Cerchiamo di educare alla libertà, che in un certo senso è il vero scopo della scuola. Mi spiego: perché trasmettere la conoscenza, perché apprendere, scrivere, leggere? È per forgiare spiriti liberi, perché crescano degli uomini. Noi doniamo loro i mezzi affinché possano crescere e sviluppare il loro modo di pensare, aiutandoli a essere critici ed educando il loro senso estetico. Questo è importante: le strutture devono essere belle, i libri belli, le storie belle. Lo scopo finale è la libertà, non inculcare dei concetti.

Il contrario di quello che ha cercato di fare ancora una volta Peillon affiggendo in tutte le scuole la Carta della laicità?
Se si prende il testo letterale della Carta della laicità si scopre che in sé è abbastanza corretto. Più o meno, insomma. Il problema è che in Francia la parola “laicità” ormai è ambigua. Tutti ne parlano ma dando alla parola significati completamente diversi. Peillon, ad esempio, mentre diffonde il suo manifesto, scrive nei libri che con “laicità” intende una nuova religione che debba sostituirsi alla vecchia, distruggendo il cattolicesimo. Ormai in Francia il dibattito sulla laicità è marcio.
@Leone

Nuovo studio: violenza domestica nelle coppie gay, 15 aprile 2014, http://www.uccronline.it/

Donne lesbiche

Una recente meta-analisi, ovvero un’indagine su una serie di studi concentrati sulla stessa tematica, pubblicata sulla prestigiosa rivista “Plos medicine” e realizzata da ricercatori della London School of Hygiene & Tropical Medicine and King’s College London, ha rilevato che gli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini (MSM) -un termine che comprende omosessuali, bisessuali e transgender- sono una categoria frequentemente colpita dal comportamento abusivo del loro partner. «I nostri risultati suggeriscono che le vittime di violenza domestica (IPV) sono comuni tra le coppie gay (MSM)»scrivono nelle conclusioni i ricercatori.
Lo studio non è stato ripreso da alcun quotidiano e il motivo per cui ne diamo diffusione si inserisce nel confronto sull’idoneità delle coppie dello stesso sesso di ricevere in adozione dei bambini. Questo ultimo studio si aggiunge alla vasta letteratura scientifica che sottolinea come le coppie omosessuali non siano -per vari motivi- il luogo ideale per la crescita di un bambino. Occorre anche sottolineare che tali argomentazioni vanno prese in considerazione solo in questo ambito, senza utilizzare questi dati a scopo discriminatorio contro le persone omosessuali.
«La violenza domestica (IPV) tra gli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini (MSM) è un problema significativo»si legge nella meta-analisi, con valori che vanno dal 15% al 51% delle coppie omosessuali (altri studi parlano di percentuali dal 25% al 50%altri ancora del 77%). Le conseguenze fisiche, il vero obiettivo dello studio, sono purtroppo notevoli: artrite, ipertensione, malattie cardiache e problemi psicologici, come la depressione, gli stress post-traumatici (PTSD) e pensieri suicidi. Effetti esasperanti per le persone omosessuali in quanto esse, si legge sempre nello studio, vivono già diverse problematiche, come più probabilità di contrarre l’HIV (il 63% delle nuove infezioni nel 2010), sono più propensi a impegnarsi in uso di sostanze nocive e soffrono maggiormente di sintomi depressivi. Proprio in questi giorni un ennesimo studio ha rilevato anche che i disturbi alimentari sono «un’epidemia tra gli uomini omosessuali».
Non è il primo studio che tratta questa tematica: nel 2004 su “Psychological Reports” si è concluso che«l’aggressione del partner potrebbe essere più diffusa tra gli uomini gay», stesse conclusioni in uno studiodel 1991 e in un altro del 2012. Nel 2013 sul “Journal of Interpersonal Violence” si è rilevato ancora una volta che «la prevalenza di violenza domestica era maggiore nelle minoranze sessuali rispetto agli eterosessuali, in particolare per le donne bisessuali e gay». Secondo Lettie L. Lockhart, che assieme ad altri ricercatori ha approfondito tale tematica attraverso uno studio sul “Journal of Interpersonal Violence”,«lesbiche, gay, bisessuali, transgender e queer possono essere riluttanti a denunciare gli abusi, perché non vogliono essere visti come traditori della comunità LGBTQ, così le statistiche provenienti da fonti ufficiali probabilmente indicano soltanto i livelli minimi di violenza».
Studi di questo tipo dovrebbero essere un campanello d’allarme per i sostenitori delle adozioni omosessuali. Senza arrabbiarsi verso chi realizza tali studi o verso chi li cita e li divulga. Papa Francescopochi giorni fa ha emesso un giudizio, difendendo proprio «il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva. Continuando a maturare nella relazione, nel confronto con ciò che è la mascolinità e la femminilità di un padre e di una madre, e così preparando la maturità affettiva».

AGGIORNAMENTO 15/04/14
In seguito ad alcune segnalazioni pervenuteci per e-mail abbiamo deciso di modificare leggermente l’orientamento dell’articolo. Ringraziamo i nostri lettori per l’attenzione.
La redazione

Fecondazione Eterologa: una scelta dalle drammatiche conseguenze, 17 Aprile 2014, di Roberto Crudelini, http://www.elzeviro.eu/


Fecondazione Eterologa: una scelta dalle drammatiche conseguenze



L'originaria possibilità sancita dalla legge 40 che riconosceva alle coppie di essere aiutate nel processo di fecondazione nei casi di difficoltà della stessa, la cosiddetta Fecondazione Omologa, aveva una sua ragione d'essere: infatti tale legge consentiva alle coppie, comunque fertili, di avere maggiori possibilità di averefigli geneticamente propri. Un diritto questo che, vedi  quello che sarebbe avvenuto all'Ospedale Pertini e sul quale è stata aperta un'inchiesta da parte della magistratura, può purtroppo dare problematiche non indifferenti nel caso, sempre possibile, dell'errore umano. Con genitori che si ritrovano con embrioni di figli non loro e che a quel punto vogliono lo stesso riconoscere come propri e genitori naturali che, a loro volta e altrettanto giustamente, reclamano come naturalmente propri.
La recente decisione della Consulta di dichiarare incostituzionale proprio la norma della legge 40 in quanto vietava la Fecondazione Eterologa ovvero l'impianto di un embrione derivante da donatori esterni è arrivata come un fulmine a ciel sereno in quella che era già una situazione normativa precaria e non esaustiva.
Tale decisione è, a giudizio di molti rappresentanti della Chiesa ma anche di diversi ricercatori laici, totalmente errata e foriera di drammatiche conseguenze. Il fatto è che, in una società come la nostra, deviata e deviante, si è evidentemente persa non solo la concezione dei valori che fondano la vita umana ma, quel che è peggio, anche la percezione della realtà e dei fatti che la rappresentano. Innanzitutto va constatato come in questa stessa società convivano concezioni etiche e della vita in generale fra loro assolutamente inconciliabili e questo sicuramente è un problema grave, anzi gravissimo, che può portare a guerre ideologiche in grado di destabilizzare lo stesso tessuto sociale.
Da una parte infatti il mondo cristiano e non solo, che vede e concepisce la vita come un dono di Dio e quindi, in quanto tale, le riconosce una precisa dimensione di sacralità e di inviolabilità. Dall'altra parte della barricata un mondo laico ma soprattutto laicista che, essendo agli antipodi di questa concezione, pensa che la vita non sia un dono, neppure della natura, ma semplicemente un diritto da esercitare sempre e comunque con piena discrezionalità, fino al punto di negare la stessa vita nel caso questa possa ledere in qualche modo i propri diritti, vedi aborto e quanto ne consegue. Secondo questa concezione, che appare a prima vista aberrante, la vita diventa inevitabilmente oggetto di una mercificazione che finisce col trasformare quella stessa vita in un semplice bene di consumo che noi possiamo decidere di acquistare o meno in base a precise caratteristiche preconfezionate.
E' ovvio come queste due concezioni non possano permettere una civile convivenza sociale perché finiscono con lo spaccare il paese in due fronti contrapposti, ognuno dei quali non ha nessuna intenzione di farsi governare da leggi che non riconosce come sue. Il problema è che tra i due schieramenti il più attinente alla realtà della natura e dei fatti che questa ci mostra con evidenza è quello contrassegnato dalla fede in un Dio creatore e nei principi assoluti che da Lui discendono e che vediamo applicati puntualmente nella natura che ci circonda. Parliamo appunto di natura perché questa benignamente fornisce ai nostri occhi miopi le prove di quali siano appunto le leggi su cui si regge l'universo e la vita che di questo ne è la ineluttabile e logica conseguenza. La natura ha fornito l'uomo e la donna, ma il discorso è ovviamente allargabile all'intero universo animale, di particolari apparati riproduttivi in grado di combinarsi tra loro per garantire, in modi spesso incredibili, il concepimento della vita, vita intesa fin dalla primissima decuplicazione cellulare.
La nostra civiltà, ovvero le forze sociali che da tempo si ostinano a negare quanto avviene sotto i loro occhi, pensano invece che sopra tutto ci sia il diritto "sovrumano" dell'uomo di fare e disfare a proprio piacimento quello che fa parte dell'ordine naturale delle cose. Diritto tanto assoluto da divenire più importante della stessa vita, degradata in questo modo, dalla condizione di dono a semplice diritto esercitabile nei termini e nei tempi che l'uomo pensa di decidere dall'alto della sua "piccolezza". Dopo che, con le unioni gay e soprattutto con il diritto loro già riconosciuto in alcuni paesi di avere figli in adozione, si è leso il diritto sacrosanto dei bambini di avere un padre e una madre, ora, con il riconoscimento della fecondazione eterologa, si è infranta anche l'ultima barriera: quella del diritto altrettanto sacrosanto dei bambini di avere un padre e una madre naturali.
Riportiamo a questo riguardo alcuni passi a nostro giudizio illuminanti dell'omelia che il Cardinal Betori,Arcivescovo di Firenze, ha tenuto qualche giorno fa sull'argomento, omelia che conferma in modo netto e con assai maggiore autorevolezza quanto noi andiamo sostenendo. "Dopo aver eclissato il ruolo educativo e dopo aver oscurato, fino alla scomparsa, la figura del padre quindi, correlativamente quella della madre, siamo testimoni di come se ne vogliano attentare fin le basi biologiche con una scissione tra dimensione corporale e psicologica delle persone che mina alla base l'identità stessa dell'umano. Cosa ne sarà dei figli a cui sarà negato conoscere i loro genitori ovvero se ne offriranno due contraddittorie e contrastanti figure? C'è qualcuno che vorrà spiegarci come dalla riduzione materialistica della comprensione del mondo ora si sia passati al suo opposto, alla negazione senza limiti, che vorrebbe far coincidere la propria volontà di potenza con la realtà fattuale...è il trionfo dell'individuo e l'eclissi della famiglia..." . A questa illuminante riflessione che a nostro giudizio non travasa meramente dal dettato dottrinale cristiano ma affonda in una corretta, e per questo, universale, interpretazione e lettura delrapporto uomo-natura, aggiungiamo quanto lo stesso Papa Francesco ha detto alcuni giorni orsono riguardo alla famiglia: "...occorre ribadire il diritto dei bambini a crescere in una famiglia con un papà e una mamma". Sarà questo il terreno su cui la nostra coscienza sarà chiamata a dare battaglia nel prossimo futuro.

La via italiana alle nozze gay di Tommaso Scandroglio, 22-04-2014, www.lanuovabq.it

In Italia non serve una legge che permetta di celebrare le “nozze” gay. Una coppia omosessuale che volesse “sposarsi” può già rivolgersi ai giudici o agli amministratori locali per farlo senza aspettare una pronuncia del Parlamento sul tema. Non sono esagerazioni queste, bensì una nitida fotografia di un percorso che ha portato alla legittimazione per via giurisprudenziale ed amministrativa del “matrimonio” omosessuale.

L’ultima puntata di questa saga arcobaleno si è svolta in quel di Latina, dove l’amministrazione comunale ha recepito la domanda di trascrizione nei registri del comune del “matrimonio” contratto nel 2002 in Olanda da Antonio Garullo e Mario Ottocento, nonostante sul caso si fosse già espressa la Cassazione in modo negativo qualche anno fa, come vedremo più avanti. Il provvedimento è stato proposto da quattro consiglieri del PD ed ha registrato 14 voti a favore, due contrari e un astenuto. Il Sindaco ha tenuto a precisare che ha solo accolto la domanda, cioè ha solo avviato la relativa procedura ma che non può perfezionarla trascrivendo l’atto di “matrimonio” finchè gli organi ministeriali non si saranno pronunciati sul punto, consapevole poi che solo il Parlamento è competente a legiferare in materia. E così il primo cittadino ha inviato tutto l’incartamento a Roma. Dunque il succo del discorso è questo: non si può fare, però noi iniziamo a farlo ugualmente.

La vicenda di Latina è solo l’esito di un iter giuridico, o meglio: para-giuridico, che è iniziato qualche anno fa. Nell’aprile del 2009, a seguito di un ricorso presentato da una coppia gay, il Tribunale di Venezia ha emesso un’ordinanza di remissione presso la Corte Costituzionale chiedendo che si vagli la costituzionalità del Codice Civile laddove non contempli il cosiddetto “matrimonio” omosessuale. A breve distanza sono state presentate analoghe ordinanze dai tribunali di Trento, Ferrara e Firenze. La Consulta ha respinto i ricorsi "in quanto le unioni omosessuali non possono essere ritenute omogenee al matrimonio" (sentenza n. 138/2010, ordinanze n. 276/2010 e n. 4/2011), però aprì al riconoscimento giuridico delle coppie di fatto omosessuali perché “formazioni sociali” ex art. 2 della Costituzione: “In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri".

La Corte di Cassazione poi fece un passettino ancora più in là. Nel 2011 affermò che la nozione di “coniuge” deve essere determinata alla luce dell’ordinamento giuridico straniero ove si è celebrato l’eventuale “matrimonio” omosessuale (sentenza n. 1328/2011). La palla venne subito presa al balzo nel febbraio del 2012 dalla I Sezione civile del Tribunale di Reggio Emilia. La decisione dei giudici riguardava il caso di un italiano “sposato” in Spagna con un uomo uruguaiano. Il Tribunale concesse il permesso di soggiorno in Italia al partner extracomunitario come fosse il legittimo consorte perché "il termine coniuge non può essere interpretato secondo la normativa italiana", ma secondo il diritto comunitario. Sempre per il gioco degli ossimori che sta così tanto a cuore ai giudici, questi hanno specificato che le due persone omosessuali non sono per la nostra legge “sposati”, ma è come se lo fossero, cioè a loro devono essere riconosciuti quei singoli diritti propri di una normale “vita familiare”. Insomma non proprio coniugi, ma familiari sì seppur non legati da vincoli di sangue.

Passa un mese e la Corte di Cassazione si pronuncia sulla richiesta della coppia Garullo-Ottocento, di cui abbiamo dato notizia più sopra, “sposatasi” in Olanda e che voleva il riconoscimento di tale vincolo anche sul suolo italiano (sentenza n. 4184/2012). La Corte rigettò la domanda, però tenne a precisare che “la diversità di sesso dei nubendi [inteso come] requisito minimo indispensabile per la stessa ‘esistenza’ del matrimonio civile, come atto giuridicamente rilevante, non si dimostra più adeguata alla attuale realtà giuridica, essendo stata radicalmente superata la concezione secondo cui la diversità di sesso dei nubendi è presupposto indispensabile, per così dire ‘naturalistico’, della stessa ‘esistenza’ del matrimonio”. E in merito al divieto di “nozze” gay espresso dalla Corte Costituzionale nel 2010? Non si tratta di divieto, secondo i giudici della Cassazione, ma solo del riconoscimento che nel nostro ordinamento il “matrimonio” omosessuale per ora non esiste, ma chissà un giorno forse sì. Detto in altri termini, da nessuna parte è previsto l’obbligo che i due nubendi siano di sesso diverso: “il suo riconoscimento [del ‘matrimonio’ omosessuale] e la sua garanzia - cioè l'eventuale disciplina legislativa diretta a regolarne l'esercizio - in quanto non costituzionalmente obbligati, sono rimessi alla libera scelta del Parlamento”.

Nelle more che il Parlamento legiferi, la Corte ha poi dato il via libera al “matrimonio” omosessuale de facto: “I componenti della coppia omosessuale, conviventi in stabile relazione di fatto, se - secondo la legislazione italiana - non possono far valere né il diritto a contrarre matrimonio né il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all'estero, tuttavia - a prescindere dall'intervento del legislatore in materia -, quali titolari del diritto alla ‘vita familiare’ e nell'esercizio del diritto inviolabile di vivere liberamente una condizione di coppia e del diritto alla tutela giurisdizionale di specifiche situazioni, segnatamente alla tutela di altri diritti fondamentali, possono adire i giudici comuni per far valere, in presenza appunto di ‘specifiche situazioni’, il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata”. Un “matrimonio” valido non formalmente, ma sostanzialmente sì. Si getta il sasso e si nasconde la mano.

Nel giugno del 2013 sempre la Cassazione, esprimendosi su un caso di scioglimento automatico del vincolo matrimoniale a seguito del cambiamento di sesso di uno dei due coniugi, ha ribadito il concetto già espresso: “la scelta di estendere il modello matrimoniale anche ad unioni diverse da quella eterosessuale è rimessa al legislatore ordinario. Non sussiste un vincolo costituzionale (art. 29 Cost.) o proveniente dall'art. 12 della CEDU in ordine all'esclusiva applicabilità del modello matrimoniale alle unioni eterosessuali (Corte Cost. n.138 del 2010; CEDU caso Schalk e Kops)” (ordinanza 14329/2013).

Anche il Governo si allineò a questa tendenza di riconoscere in qualche modo il vincolo “matrimoniale” contratto all’estero. Nell’ottobre del 2012 il Viminale invia una circolare alle questure di Firenze e Pordenone a firma del prefetto Rodolfo Ronconi, direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere. Il caso riguardava il rilascio di "un titolo di soggiorno a cittadino straniero sposato in Spagna con cittadino italiano dello stesso sesso", titolo che venne rilasciato puntellandosi alle precedenti pronunce della magistratura "chiamata a riempire questo vuoto normativo" e alle norme europee sulla libera circolazione dei cittadini comunitari e dei loro familiari (Dec. Leg. n.30/2007). A seguito di questa circolare sono stati emessi una trentina di titoli di soggiorno nelle seguenti città per coppie unite da “matrimoni” omosessuali o Pacs contratti all’estero: Milano, Roma, Rimini, Lucca, Treviso, Varese, Treviso, Cagliari, Firenze, Venezia, Genova, Bolzano, Brindisi,  Palermo e Verona (per farli ottenere si è mossa l’associazione dei Radicali “Certi diritti”).

Altri diritti che concernono il vincolo matrimoniale poi vengono riconosciuti a pioggia dai giudici alle coppie omosessuali. Ad esempio nell’agosto del 2012 la Corte di Appello di Milano stabilisce che la cassa mutua di categoria non può negare il diritto alle prestazioni assistenziali alla coppia dello stesso sesso stabilmente convivente. Alle coppie omosessuali vengono poi affidati i minori: così hanno deciso i tribunali di Brescia (gennaio del 2013), Bologna (novembre 2013) e Palermo (gennaio 2014). Il tutto con il beneplacito della Cassazione che nel gennaio del 2013 affermò che “un minore può crescere in modo equilibrato anche in una famiglia gay”.

Infine qualche giorno fa il Tribunale di Grosseto ordina al Comune di «di trascrivere nei registri di stato civile il matrimonio» di due cittadini maschi italiani celebrato a New York nel 2012, dal momento che nel codice civile «non è individuabile alcun riferimento al sesso in relazione alle condizioni necessarie» al vincolo coniugale (si legga “Il matrimonio gay? I magistrati lo impongono”). Questo ultimo passo è quello più significativo perché le precedenti pronunce giurisprudenziali, anche se in modo ipocrita, affermavano perlomeno che di “matrimonio omosessuale” sotto il profilo giuridico non si può ancora parlare qui in Italia. Ora invece nero su bianco si stabilisce l’opposto. Ma i giudici di Grosseto e il sindaco di Latina nulla avrebbero potuto senza i precedenti interventi di tutti gli altri giudici, zelanti difensori della “famiglia” arcobaleno.

lunedì 21 aprile 2014

Mondo sottosopra. In due giorni la Francia definisce gli animali «esseri viventi» e «cosifica» i bambini, 17 aprile 2014 di Leone Grotti, www.tempi.it

Gli animali non sono più cose, «beni mobili», ma «esseri viventi dotati di sensibilità». I bambini invece vengono «cosificati» grazie alla inedita trasformazione dell’aborto in un «diritto a tutti gli effetti». Il paradosso dell’animale che lentamente assume più valore dell’uomo si sta verificando in Francia, portavoce di un movimento culturale che ha investito ormai tutta l’Europa.

CODICE CIVILE AGGIORNATO. Ieri Parigi ha modificato il codice civile, che definiva gli animali ancora come dei «beni mobili». La definizione è stata giustamente cambiata in «esseri viventi dotati di sensibilità», come «implicitamente o esplicitamente già riconoscono il codice rurale e quello penale». In Italia la notizia è stata recepita come una grande svolta animalista della Francia, ma in realtà «non avrà nessuna conseguenza giuridica. Non si tratta di una rivoluzione, è una cosa normale», spiega un deputato del partito socialista.

ANIMALI ESSERI VIVENTI. L’emendamento approvato dall’Assemblea nazionale denota al massimo una rinnovata attenzione nei confronti degli animali e del «valore affettivo» che gli uomini attribuiscono loro, portando una maggiore attenzione sui loro «diritti»: sono «esseri viventi», appunto, e non «cose». Niente di strano, quindi.

«ABORTO DIRITTO ASSOLUTO». Se l’emendamento stride tanto a qualche orecchio è per quello che invece sta succedendo oggi nella Rèpublique. Il Senato francese ha cominciato a dibattere un progetto di legge, già approvato in prima lettura e la cui approvazione finale appare scontata, che modifica radicalmente lo status dell’aborto.
Se fino ad oggi, la legge consentiva l’aborto di un bambino «a tutte le donne incinte che si trovano in una situazione di sofferenza a causa del loro stato», evidenziando così un conflitto di interessi tra il bambino che ha diritto a nascere e la donna che ha diritto a non soffrire, con la nuova legge l’aborto sarà permesso «a tutte le donne incinte che non vogliono una gravidanza».

«BAMBINI COSIFICATI». Il conflitto di interessi scompare, i diritti del bambino vengono cancellati: conta solo la volontà della mamma, perché «l’interruzione di gravidanza è un diritto a tutti gli effetti e non qualcosa che si tollera a certe condizioni». Come scrive la Fondation Jerome Lejeune, la Francia sceglie di «cosificare il bambino che deve nascere» addirittura punendo fino a due anni di prigione e 30 mila euro di multa con il nuovo «reato di intralcio all’aborto» chi si permetterà di sottolineare che anche il bambino ha dei diritti.

ESSERI VIVENTI E COSE. Si arriva così, in soli due giorni, a una paradossale conclusione: gli animali non sono cose ma esseri viventi da tutelare, i bambini non sono esseri viventi ma cose di cui disporre.

@LeoneGrotti

I nuovi diritti “innocenti” all’assalto della coscienza umana. Quell’avvertimento di Havel (1984) e la nostra civiltà sovietizzata 21 aprile 2014 di Pietro Piccinini, www.tempi.it

  «Si può dire che, malgrado la complicazione delle peripezie storiche, l’origine prima dello stato moderno e della moderna politica di potenza sia da ricercare proprio in questo punto, in cui si inizia a “liberare” la ragione umana dall’uomo, dalla sua personale esperienza, dalla sua personale coscienza e personale responsabilità». (Václav Havel, Politica e coscienza, 1984) Sono passati trent’anni da quando Havel, con il suo discorso destinato alla cerimonia per la laurea honoris causa dell’Università di Tolosa a cui il regime comunista gli impedì di partecipare, mise in guardia i suoi amici del mondo libero dal pensare che l’esperienza del totalitarismo non li riguardasse. In realtà, scriveva il futuro primo presidente della Cecoslovacchia democratica, «i sistemi totalitari (…) sono prima di tutto una lente d’ingrandimento delle conseguenze inevitabili del razionalismo dell’Occidente. Un’immagine grottescamente ingrandita delle sue tendenze profonde». Havel invitava i suoi ingenui supporter occidentali a osservare attentamente le dinamiche antiumane in atto oltrecortina, non tanto per esibire solidarietà ai poveri dissidenti come lui, né per favorire la vittoria del capitalismo sul socialismo (erano categorie ideologiche superate già allora), quanto piuttosto per prepararsi essi stessi all’avvento del «dominio totale di un potere ipertrofico, impersonale e anonimamente burocratico» di cui presto avrebbero dovuto prendere atto a loro volta. Insomma Havel ci aveva avvertito: non commiserateci cari occidentali, perché anche a voi prima o poi sarà chiesto il sacrificio della coscienza. Allora forse si poteva solo intravedere la verità di questa specie di profezia. Ma oggi quelle parole tremende sono la nostra pura quotidianità. «L’uomo non è Dio, e giocare a fare il dio si ritorce crudelmente contro di lui. Egli ha abolito l’orizzonte assoluto al quale rapportarsi, ha rifiutato la propria personale “pre-oggettiva” esperienza del mondo e ha relegato nella sala da bagno della propria intimità la coscienza personale e la coscienza morale, come cose esclusivamente private che non riguardano nessun altro». (V. Havel, ibidem) Eclatante documentazione dell’assedio in atto contro la coscienza è, per forza di termini, l’ennesima ripresa della campagna contro l’obiezione di coscienza dei medici rispetto all’aborto. L’ultima occasione è stata, a inizio marzo, il richiamo all’Italia approvato a maggioranza schiacciante dal Consiglio d’Europa, secondo cui l’obiezione di coscienza, espressa dalla stragrande maggioranza dei ginecologi italiani, va sì garantita al personale sanitario, ma «non può impedire la corretta applicazione» della legge 194. È il solito irrisolvibile conflitto fra “diritti” che rende da sempre delicatissima questa materia, e che tuttavia non ha impedito a molti di approfittare della deliberazione per scodellare vecchi e nuovi argomenti ideologici contro l’articolo 9 nella norma italiana: dall’idea di incentivare economicamente i medici abortisti alle proposte di vietare agli obiettori la pratica nelle strutture pubbliche, o di interdire loro l’accesso alle scuole di specializzazione di ginecologia (nero su bianco su Repubblica). Maurizio Mori, ordinario di bioetica a Torino e presidente della Consulta di bioetica, è arrivato a suggerire direttamente l’abrogazione della «clausola» sull’obiezione di coscienza della 194. Con ragionamenti di questo tipo: «La legge oggi prevede che tra i compiti del medico ci sia anche l’aborto. Un giovane che sceglie di fare il medico sa già sin dall’inizio che l’aborto è un intervento sanitario previsto dalla professione», allora «come mai la legge riconosce al medico la facoltà di obiezione di coscienza a un servizio la cui erogazione essa stessa prevede come esplicitamente dovuto?». In effetti, se l’aborto non è che un «servizio dovuto», come può un bravo cittadino, in piena coscienza, rifiutarsi di fornirlo? «Se questa illusione richiederà il sacrificio di milioni di persone in campi di concentramento scientificamente diretti, non è certo questo che inquieterà “l’uomo moderno” (a meno che il caso non conduca lui stesso in uno di tali campi, e la vita che lì si conduce non lo rigetti bruscamente nel mondo naturale). Non è certo questo che l’inquieterà, poiché il fenomeno della compassione personale per il prossimo appartiene al mondo ormai abolito dei pregiudizi personali, al mondo che ha dovuto cedere il passo alla Scienza, all’Oggettività, alla Necessità storica, alla Tecnica, al Sistema, all’Apparato; e questi non possono provare inquietudine perché non sono personali. Sono astratti e anonimi, sempre utilitari e, per questo, sempre a priori innocenti». (V. Havel, ibidem) Aborto. Universitari Cl contestati a Madrid In tema di “diritti riproduttivi” il tentativo di relegare la coscienza «nella sala da bagno della propria intimità» non è solo italiano. In Svezia, per esempio, l’operazione è perfettamente riuscita. L’obiezione di coscienza all’aborto, sebbene sia tutelata da trattati internazionali sottoscritti anche da Stoccolma, è semplicemente un non-argomento ormai, e se qualche settimana fa il paese è tornato a parlarne è per via di un’ostetrica, Ellinor Grimmark, che si è rifiutata di collaborare alle interruzioni volontarie di gravidanza, è stata licenziata dall’ospedale in cui prestava servizio e non è più riuscita a trovare lavoro perché, naturalmente, «per quelli che hanno le sue opinioni non c’è posto qui». Ma l’assalto alla coscienza non è necessariamente legato all’“obiezione” in senso tecnico. Il 20 marzo scorso – per citare uno fra i tanti episodi del genere che capitano ogni giorno un po’ in tutto il mondo “civilizzato” – alcuni studenti di Comunione e Liberazione sono stati aggrediti nei locali dell’Università di Madrid da un gruppo di femministe e dei collettivi anarchici per avere osato distribuire un volantino in cui esprimevano apprezzamento verso un progetto di legge inteso a rivedere la liberalizzazione selvaggia dell’aborto operata in Spagna nel 2010 da Zapatero. Su quel pezzo di carta avevano scritto che «non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana», e che l’ivg andrebbe vista non come diritto assoluto della donna bensì quanto meno «in chiave di conflitto di interessi» tra la madre e il nascituro. Ma una volta che un fatto come l’aborto è diventato un «servizio dovuto», perdendo agli occhi dell’uomo (coscienza) tutti i suoi terrificanti connotati reali, chiunque proverà anche solo a metterlo in discussione dovrà essere combattuto in quanto reazionaro. Illiberale. «Fascista» (così gridavano le femministe agli studenti ciellini). «Nel mondo della tradizione razionalista e dei concetti ideologici c’è forse un modo migliore per neutralizzare ogni uomo onesto e capace di pensare liberamente (principale pericolo per ogni potere impersonale) di quello di proporgli una tesi il più possibile semplice, recante tutti i segni esteriori di una causa santa?» (V. Havel, ibidem) È un meccanismo prêt-à-porter che si può osservare, replicato con varianti, in molte campagne ideologiche. Havel nel 1984 faceva l’esempio del pacifismo, la mitica causa della guerra alla guerra. E oggi quale causa è più «santa» della lotta alle discriminazioni? In questo ambito il giochino è facilissimo. Inevitabile prendere a esempio la questione dei cosiddetti “diritti” Lgbt. L’unione fra persone dello stesso sesso non ti sembra proprio #LoveIsLove? Sei “omofobo”. Ti disturba che ai tuoi figli tocchi sciropparsi la teoria del gender a scuola? Lo chiameremo “corso anti-omofobia”. E indovina un po’ chi è l’omofobo. È così che si costringe la coscienza a rintanarsi nella sala da bagno dell’intimità personale con tutte le sue obiezioni non più “innocenti”. «Questo processo di anonimizzazione e depersonalizzazione del potere, e la sua riduzione a mera tecnica di dominio e manipolazione, ha ovviamente mille forme, mille varianti ed espressioni; talvolta è nascosto, non appare, talaltra è del tutto manifesto; talvolta è strisciante e le sue vie sono raffinatamente tortuose, talaltra è, al contrario, brutalmente diretto. Ma quanto alla sostanza si tratta di un movimento unico e universale». (V. Havel, ibidem) Certo, a volte possono essere necessarie le maniere forti per ottenere lo scopo. Vedi il disegno di legge “anti-omofobia” in discussione al Senato italiano; oppure, in Francia, il diritto dei sindaci all’obiezione di coscienza rispetto ai matrimoni gay, prima promesso e poi negato dal governo Hollande. Ma non è detto che sia necessario perseguire l’infame per le vie legali. Può essere perfino più efficace percorre le «vie raffinatamente tortuose» della burocrazia, come è avvenuto per i corsi di gender nelle scuole del nostro paese, introdotti all’insaputa di quasi tutti con la scusa dell’adesione al solito ignoto “programma europeo”. Altre volte, invece, la «causa santa» prevale quasi da sé. Havel direbbe: per «necessità storica». Guido Barilla ha dovuto creare in azienda un “Comitato per la diversità e l’inclusione” (affidandolo a David Mixner, «nominato dal Newsweek il gay più potente d’America») per potersi ritenere finalmente purificato dal marchio dell’omofobia piombatogli sulla capoccia dopo che aveva espresso pubblicamente il suo «concetto differente rispetto alla famiglia gay». Solo pochi mesi dopo è scoppiato lo scandalo Mozilla, il colosso americano del software che a inizio aprile ha licenziato il suo amministratore delegato fresco di nomina, il genio dell’informatica Brendan Eich, perché si è scoperto che nel 2008 aveva osato donare mille dollari a sostegno del referendum per limitare la definizione di matrimonio all’unione tra uomo e donna nella costituzione della California. Per giustificare l’epurazione Slate, rivista capofila di molte battaglie “antidiscriminazione” negli Stati Uniti, ha scritto che «la gente può continuare a pensarla e a sentirla come vuole in privato. (…) Ma gli standard sociali evolvono, e se possiamo trarre un’indicazione dal polverone Mozilla, siamo all’apice di una nuova epoca in cui le personalità pubbliche non possono più dar voce al loro anti-gay animus e pretendere di essere trattate con rispetto, né tanto meno di rimanere leader e volto pubblico di una grande azienda». Si noti come il solo fatto di non riuscire a vedere un “matrimonio” in una unione tra persone dello stesso sesso basti già per ritrovarsi addosso un «anti-gay animus» da nascondere subito nella stanza da bagno della propria intimità. Pochi giorni fa poi è degenerata la vicenda di John Waters, columnist del quotidiano irlandese Irish Times. Accusato di omofobia durante uno show della tv di Stato Rté per essersi messo di traverso con la propria coscienza nel dibattito sul matrimonio gay, Waters ha ottenuto le scuse e un risarcimento dal network (che tuttavia, nota bene, si è rifiutato di definire l’accusa «infondata»), ma da quel momento la sua vita è diventata impossibile. È stato preso di mira più volte per strada, anche con insulti pesanti, tanto da non riuscire a dormire la notte. «Non ho più amici nei media», dice. E ammette di aver pensato di mollare il giornalismo per ritirarsi – ma guarda il caso – a vita privata. «Il problema è di sapere se si riuscirà in qualche modo a ricostruire il mondo naturale come vero terreno della politica, a riabilitare l’esperienza personale dell’uomo come criterio originale delle cose, a porre la morale al di sopra della politica e la responsabilità al di sopra dell’utilità, a dare di nuovo un senso alla comunità umana e un contenuto al linguaggio dell’uomo, a far sì che il punto focale dell’azione sociale sia l’“io” dell’uomo, l’“io” autonomo, integrale e degno, capace di rispondere di se stesso perché in rapporto con qualcosa che è al di sopra di lui». (V. Havel, ibidem) In questo assedio alle coscienze “diverse” ogni tanto parte anche qualche carica per così dire più folcloristica. È il caso per esempio della battaglia contro il razzismo negli stadi, trasformata in autentica comica dalle squalifiche di intere tifoserie per colpa di pochi somari che intonano cori da «discriminazione territoriale». O della pazza idea, solo accademica e più sciocchina che altro per ora, di perseguire penalmente i “negazionisti” del riscaldamento globale. O, ancora, dell’assurda proposta di legge per introdurre il reato di “sessismo” in Belgio, compreso il rischio paradossale di dover punire in quanto sessista pure chi dà del sessista a un maschio. Fa un po’ meno ridere, invece, il fatto che dopo la batosta subita da Hollande alle elezioni amministrative francesi si cominci a bollare come “eurofobo” (lo ha fatto per esempio il Corriere della Sera) chi ha scelto di votare certi partiti troppo recalcitranti alle direttive di Bruxelles. E – per cambiare completamente argomento – continuare a sostenere, in barba all’ordinamento italiano, che siano “pubbliche” solo le scuole statali non è in un certo senso un modo folcloristico per relegare le cattive coscienze libere nelle sale da bagno degli istituti “privati”? «La prospettiva di un futuro migliore di questo mondo non risiede forse in una sorta di comunità internazionale di “coloro che hanno subìto il crollo”, di coloro che, incuranti dei confini degli stati, dei sistemi politici e dei blocchi di potere, al di fuori dei giochi della politica tradizionale, non aspirando a funzioni e posti di riguardo, senza prestare ascolto alle derisioni dei tecnologi, tenteranno di fare della coscienza umana una forza politica reale?». (V. Havel, ibidem) Ecco. È giusto riconoscere alla coscienza umana «forza politica», rilevanza pubblica anche quando contraddica il potere? O meglio, il potere può comandare all’uomo di relegare la coscienza «nella sala da bagno della propria intimità» quando essa sia costretta a obiettare alla «causa santa» stabilita dal potere stesso? È il mega interrogativo intorno a cui si sviluppa la disputa presso la Corte suprema americana sul cosiddetto “contraception mandate”. Bisogna stabilire se la Hobby Lobby, azienda leader del fai-da-te di proprietà di una famiglia cristiana battista, possa legittimamente opporsi all’obbligo previsto dalla riforma sanitaria di Obama di pagare per i dipendenti piani assicurativi che includano la copertura di contraccettivi e farmaci abortivi. «Il governo non dovrebbe chiedermi di andare contro la mia coscienza», protesta Steve Green, il fondatore della società. Si tratta cioè di stabilire se l’opposizione dell’impresa ricada nelle libertà sancite dal Religious Freedom Restoration Act, legge varata nel 1993 per proteggere la fede delle persone dalle invasioni normative dello Stato, o se invece non costituisca un tentativo di imporre le convinzioni della proprietà anche ai dipendenti. La questione non è affatto banale, e infatti attualmente è dibattuta in altre decine di cause che coinvolgono anche opere di diretta ispirazione religiosa. Perciò sono particolarmente istruttivi i dubbi sollevati dagli alti giudici durante gli “oral arguments” del 25 marzo, così come li ha riportati la stampa americana. Il tenore è più o meno questo. Se riconosciamo ai datori di lavoro cristiani l’esenzione dal contraception mandate, teoricamente l’Obamacare potrebbe essere disfatto un pezzo alla volta in base ai precetti religiosi di chiunque: no alle trasfusioni, no ai trapianti, eccetera (strepitosa la battuta del giudice di nomina obamiana Sonia Sotomayor: «Sarà tutto spezzettato, nothing would be uniform»); ma se avessimo saputo che tutelare la libertà religiosa si sarebbe tradotto nel permettere alle aziende di far valere pubblicamente la propria fede, l’avremmo tutelata? Va da sé che in un’aula di tribunale, per quanto “supremo”, sia complicato assumere un punto di vista diverso da quello “impersonale” della giurisdizione. Ma se si potesse prescindere un istante da leggi e prescrizioni di qualunque tipo, incluse quelle religiose e statali, è chiaro che agli occhi dell’uomo il problema è personalissimo. La realtà – un bambino che nasce, la mano che glielo impedisce – parla o no alla coscienza umana? Ha o non ha diritto di espressione nell’era del potere senza volto? «Il secolo scorso abbiamo visto tutti noi le dittature del pensiero unico, che hanno finito per uccidere tanta gente. Ma (…) anche oggi c’è l’idolatria del pensiero unico. Oggi si deve pensare così e se tu non pensi così, non sei moderno, non sei aperto o peggio. Tante volte dicono alcuni governanti: “Io chiedo un aiuto, un aiuto finanziario per questo”. “Ma se tu vuoi questo aiuto, devi pensare così e devi fare questa legge, quell’altra, quell’altra…”. Anche oggi c’è la dittatura del pensiero unico e questa dittatura è la stessa di questa gente (i farisei del Vangelo, ndr): prende le pietre per lapidare la libertà dei popoli, la libertà della gente, la libertà delle coscienze, il rapporto della gente con Dio. Ed oggi Gesù è crocifisso un’altra volta». (Papa Francesco, omelia della Messa alla Casa Santa Marta, 10 aprile 2014)