mercoledì 16 aprile 2014

Per essere contro l’eterologa e l’utero in affitto non serve leggere il breviario. Basta il “Manifesto del partito comunista”, 15 aprile 2014 di Aldo Vitale, www.tempi.it

«Per crescere un bambino occorre un intero villaggio» recita un vecchio proverbio africano che, senza troppi sforzi, può essere ri-adattato al caso nel modo seguente: per far nascere un bambino occorre un’intera tribù.

L’antica saggezza classica per cui “mater semper certa est”, va in pensione per sentenza emessa dalla Corte Costituzionale secondo cui, invece, il divieto (sancito dal comma terzo dell’articolo 4 della legge 40/2004) di procreazione medicalmente assistita (PMA) di tipo cosiddetto eterologo, cioè messo in essere con ovuli o sperma di soggetti esterni alla coppia, è incostituzionale, indi per cui può affermarsi senza timore che, almeno da oggi in modo ufficiale, la maternità, in sostanza, sia come la Gallia ai tempi di Cesare, “omnis divisa in partes tres”.

Dopo l’ultima decisione della Corte Costituzionale, in tema di PMA, si aprono nuovi foschi orizzonti: la fecondazione eterologa, l’utero in affitto, la compravendita di ovuli, sperma, embrioni, feti magari.

Su ciascun tema non sarebbe sufficiente la riflessione d’un mese per sviscerarne adeguatamente le problematiche antropologiche, etiche e giuridiche, ma delle osservazioni sono comunque effettuabili a partire da una domanda: quale è il senso del divieto di PMA eterologa?

Un impettito costituzionalista medio risponderebbe nessuno, soprattutto dopo che la Corte Costituzionale lo ha dichiarato costituzionalmente illegittimo.

Per chi invece non è legato a doppio filo dalle briglie del diritto positivo e crede ragionevolmente e razionalmente nella fallibilità della giustizia umana di ogni ordine e grado, il divieto di PMA eterologa ha un senso, rispettare l’identità e la natura di tutti e di ciascuno.

In primo luogo sarebbe, ovviamente, tutelato il concepito, punto sul quale vi sarebbe tanto da dire, poiché sarebbe rispettato il suo diritto alla relazionalità naturale con i suoi genitori, quella genitorialità chiaramente alterata dall’introduzione artificiosa e artificiale di uno o più elementi che fossero chiamati a vario titolo, biologico e contrattuale, al “collettivismo procreativo” in cui si risolve la PMA eterologa.

In secondo luogo, sarebbe tutelata l’identità e l’unione della coppia che non sarebbe dilaniata dall’ingresso biologico di uno o più soggetti terzi chiamati a partecipare alla catena di montaggio procreativa.

In terzo luogo, sarebbero tutelati anche i terzi che non sarebbero ridotti a meri fornitori di materiale biologico per la soddisfazione di interessi altrui, ma sarebbero rispettati nella loro stessa umanità, cioè in quell’elemento personale che li rende ben più di un più o meno ordinata dispensa bio-chimica da “spremere” all’occorrenza.

Infine, ed è davvero strano che il pensiero progressista, nella sua maggior parte, non si renda conto di ciò, proprio la donna, sia colei che contrattualmente ordina il figlio, sia colei che dona o vende l’ovulo, sia colei che condurrà materialmente la gravidanza.

È, infatti, fin troppo evidente che la PMA eterologa e la gravidanza surrogata altro non siano che le due facce della stessa medaglia e per questo rappresentino entrambe una lesione della dignità della donna, ridotta a mero strumento, o, per dirla con i desueti termini marxisti, costretta a subire “lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo”.

Proprio in termini di logica emancipazionista e femminista, la PMA eterologa, così come la maternità surrogata, dovrebbero essere avversate e non caldeggiate.

Posto che nella sola India, così come in molti Stati degli USA, esiste un vero e proprio mercato della procreazione con un fatturato annuo pari a ben 2,3 miliardi di euro, proprio in una logica anti-capitalista, anti-sfruttamentarista, ed orgogliosamente femminista si dovrebbe inorridire dinnanzi agli scenari aperti dalla suddetta decisione della Corte Costituzionale.

Esiste tutto un mercato riproduttivo globale nel quale, in sostanza, le donne povere, soprattutto orientali, vengono pagate, circa 25.000 dollari, dalle donne ricche, soprattutto occidentali e statunitensi, per condurre le gravidanze al posto di queste ultime, e tutto questo senza che la “grande armee” del movimento femminista emetta anche un solo sospiro di disappunto in merito, nonostante ciò che proprio Karl Marx ha scritto: «Il borghese vede nella moglie un semplice strumento di produzione» (Il manifesto del partito comunista, cap. II, 1848).

Non tutta la massa progressista, tuttavia, è cieca e sorda nei confronti di tali sfumature.

Si ricordino, a titolo di esempio, le parole di Miriam Mafai nel suo celebre editoriale dal titolo “La donna-cosa” del 7 marzo 1997 e quelle di Pietro Scoppola nel suo editoriale dal titolo “Il diritto di avere un padre” del 14 giugno 2002, o perfino quelle, ri-adattabili al caso in questione, del “Papa laico” Eugenio Scalfari che nel suo editoriale dal titolo “La scienza incivile dell’utero in affitto” del 2 marzo 1997, criticando la clonazione riproduttiva, così si esprimeva: «Intorno al neonato si affollerebbero infatti una serie di altri co-genitori: anzitutto l’individuo (uomo o donna che sia) dal cui corpo è stata estratta la cellula somatica e poi, alle sue spalle, l’uomo e la donna che hanno fornito i loro cromosomi all’individuo clonato, cioè suo padre e sua madre. Ci sarebbero dunque quattro figure parentali biologicamente e giuridicamente titolate a rivendicare il ruolo di genitori, uno dei quali certamente maschio, due dei quali certamente femmine, il quarto o maschio o femmina secondo il sesso dell’individuo prescelto per essere il donatore della cellula somatica».

Il divieto di PMA eterologa, dunque, fungeva da presidio alla tutela del senso, del ruolo e della natura di tutti e di ciascuno, nonostante la Corte Costituzionale abbia preferito imboccare la via del nichilismo etico e giuridico, la stessa, per intendersi, su cui si fonda il pensiero di uno dei più grandi sostenitori della PMA eterologa, cioè Tristam Engelhardt che, nel suo ultimo libro dal titolo Dopo Dio. Morale e bioetica in un modo laico, ammette candidamente ed orgogliosamente che per il mondo laico, di cui è fiero esponente, «tutto è in definitiva assolutamente privo di senso» (pag. 48).

In direzione diametralmente opposta, sebbene sempre laicamente, e in conclusione, si possono ricordare le parole di Edgar Morin per il quale, invece, «le tecniche nate dall’umano gli si ritorcono contro. I tempi attuali ci mostrano una tecnica che si scatena sfuggendo all’umanità che l’ha prodotta. Ci comportiamo come apprendisti stregoni. La tecnica porta essa stessa la sua barbarie, una barbarie del calcolo puro, fredda, glaciale, che ignora le realtà affettive propriamente umane» (Edgar Morin, Cultura e barbarie europee, 2006).

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