sabato 5 aprile 2014

Cannabis, altro che droga leggera di Alfredo Mantovano, 05-04-2014, www.lanuovabq.it

La Corte Costituzionale, per un vizio di forma, ha cassato la Legge Fini-Giovanardi in materia di droga. Il governo è stato quindi costretto a varare un decreto-legge – il n. 36 del 20 marzo – per fare fronte alle incertezze interpretative conseguenti a tale sentenza. Ma il nuovo decreto, invece di seguire le linee della legge precedente, distingue di nuovo fra droghe leggere e droghe pesanti. E spiana la via ai legalizzatori di quelle "leggere". Meglio, a questo punto, ripassare la storia delle leggi anti-droga dal 1990 al 2006. E saperne di più su droghe che non sono affatto leggere.
BREVE STORIA DELLE LEGGI SULLA DROGA, di Alfredo Mantovano
Dal 1990 al 2006, il legislatore ha sempre cercato di prevenire e curare il problema della droga. Prima con la legge Vassalli-Russo Jervolino (1990), poi con quella Fini-Giovanardi (2006). Ma la sentenza della Corte Costituzionale del 2014 apre un vuoto che può essere colmato con un decreto molto discutibile.
La legge Vassalli/Russo Jervolino. Riassunto delle puntate precedenti: nel 1990 viene approvata la legge n. 162, chiamata Vassalli- Russo Jervolino, dai nomi dei ministri proponenti dell’epoca. Quelle norme, ribaltando la logica precedente, guardavano con sfavore non soltanto il traffico e lo spaccio, ma anche l'assunzione di stupefacenti, che veniva sanzionata sul piano amministrativo. Anche la detenzione di droga incontrava solo la sanzione amministrativa quando non superava i limiti della dose media giornaliera, che erano fissati da un decreto ministeriale: oltre quei limiti interveniva, con gradualità, la sanzione penale. Il consumatore di droga non era più ritenuto un semplice ammalato, ma un soggetto che, pur avendo bisogno di cure, compiva una scelta che lo Stato non apprezzava; lo Stato tuttavia tendeva la mano a colui che sbagliava, comprendendo che dietro quell'errore vi è una serie di tragedie personali e di problemi, e permetteva all'assuntore di droga di andare esente dalla sanzione amministrativa o penale, a condizione di abbandonare la droga e di seguire un percorso di recupero. Non è vero che quella legge ha mandato più drogati in carcere: la maggior parte dei tossicodipendenti che nel suo vigore sono finiti in carcere ci sono andati (come accade adesso) perché avevano compiuto rapine, furti o estorsioni, motivati dalla necessità di procurare per sé la droga, o perché spacciavano o detenevano quantitativi significativi di stupefacenti; e anzi, quella legislazione aveva introdotto vie privilegiate di allontanamento dal circuito penitenziario se il tossicodipendente decideva di sottoporsi al recupero.
Il referendum radicale del 1993. Gli effetti positivi che la Vassalli-Russo Jervolino cominciava a produrre – diminuzione dei decessi di droga, incremento degli ingressi nelle comunità, sequestro di quantitativi sempre più consistenti di stupefacenti – sono stati frenati dal referendum promosso e vinto dai Radicali nel 1993: dopo quel referendum è rimasta illecita soltanto l’attività di spaccio che sia stata accertata in quanto tale. A partire dal referendum, e fino al 2006, anche la detenzione di quantitativi importanti di stupefacenti, che non fosse accompagnata da gesti univoci di cessione a terzi, era penalmente irrilevante: in questi termini si era orientata la giurisprudenza, che era giunta a ritenere non punibile la detenzione di decine di grammi di eroina, e perfino la cessione finalizzata al "consumo di gruppo". Il quadro normativo era diventato al tempo stesso lassista e inutilmente rigorista. Lassista nel momento del contatto con la droga da parte del potenziale consumatore: senza la prova della predisposizione per lo spaccio, non vi era alcun limite di illiceità per la detenzione. Inutilmente rigorista nel momento del recupero: in più casi il tossicodipendente che completava positivamente il suo percorso era costretto a tornare in carcere, pur in presenza di reati non gravi e pur avendo cancellato l’impulso a drogarsi che lo aveva portato a commettere reati, vanificando così gli sforzi per il recupero.
La legge del 2006. La riforma approvata all’inizio del 2006, conosciuta come Fini-Giovanardi, puntava a superare quest’insieme di problemi. Era introdotto un nuovo sistema di catalogazione delle tabelle delle sostanze stupefacenti, e venivano snelliti i meccanismi di completamento e di aggiornamento delle tabelle medesime. Le tabelle erano ridotte a due: nella prima erano elencati tutti gli stupefacenti, senza distinzione fra droghe “leggere” e “pesanti”; nella seconda, a sua volta suddivisa in cinque sezioni, erano inclusi i medicinali contenenti sostanze droganti. Il nuovo sistema sanzionatorio – amministrativo e penale –, puntava a coniugare tre termini, ciascuno dei quali con legato agli altri due, prevenzione, repressione e recupero, partendo dal presupposto che drogarsi non è un innocuo esercizio di libertà, ma è un atto di rifiuto dei più elementari doveri del singolo nei confronti delle diverse comunità nelle quali concretamente vive. Era reintrodotta la punizione della detenzione di droga e fissato il confine fra la detenzione che rappresenta illecito amministrativo e la detenzione che costituisce illecito penale; il confine non è più la modica quantità, e cioè un dato soggettivo riferito alla persona del tossicodipendente, e quindi arbitrario, né la dose media giornaliera, bensì una tabella quantitativa per sostanza, del tutto oggettiva: oltre il limite che la tabella indica per ogni sostanza stupefacente vi è una presunzione di pericolosità anche nella detenzione. Se la droga detenuta oltrepassa quel limite, operano le sanzioni penali; se è al di sotto di quel limite operano le sanzioni amministrative (sospensione della patente di guida, del porto d’armi, del passaporto, del permesso di soggiorno per motivi turistici, e fermo amministrativo del ciclomotore in uso).
Con la nuova legge le sanzioni penali, oltre il limite oggettivo di cui si è detto, seguono criteri di gradualità. Per chi commette un fatto di lieve entità viene introdotta una misura del tutto nuova qualora il soggetto non intenda affrontare un percorso di recupero, e abbia già fruito della sospensione della pena: invece di andare in carcere, se lo richiede, egli può svolgere un lavoro di pubblica utilità per l’intera durata della pena detentiva irrogata. Quindi, è vero che nella fase di avvicinamento alla sostanza vi è un richiamo a maggiore responsabilità: ma – a differenza di ciò che si continua a leggere sui giornali – nell’intera legge non si trova una norma che spedisce in carcere chi fuma uno spinello. Confermando disposizioni esistenti, che vengono rese più adeguate alla gravità dei delitti commessi, il recupero viene favorito già dal momento in cui viene disposta la custodia cautelare in carcere: questa può essere evitata andando agli arresti domiciliari e iniziando, a determinate condizioni, un programma terapeutico. Per avere maggiori chance di affrontare quest’ultimo è ampliata la possibilità di sospendere l’esecuzione della pena detentiva definitiva: mentre prima il limite di pena che consentiva la sospensione era di 4 anni di reclusione, il nuovo limite viene elevato a 6 anni di reclusione; così una fascia più estesa di tossicodipendenti si è potuta inserire in percorsi di riabilitazione.
La sentenza della Corte costituzionale e il nuovo decreto-legge in discussione. La Consulta è intervenuta con la sentenza n. 32 del 12 febbraio 2014 e ha dichiarato illegittime la norma della Fini-Giovanardi che equipara droghe “pesanti” e droghe “leggere” e le disposizioni a essa collegate. La Corte ha ravvisato il contrasto con la Costituzione non in ragioni di merito, bensì in un vizio formale: poiché le riforma del 2006 è stata inserita nell’ordinamento con la conversione in legge di un decreto del Governo riguardante altra materia, i giudici costituzionali hanno constatato eterogeneità fra la versione originaria del decreto legge e quanto introdotto durante la conversione. Il governo è stato quindi costretto a varare un decreto-legge – il n. 36 del 20 marzo – per fare fronte alle incertezze interpretative conseguenti a tale sentenza. E se la Corte ha cassato una parte della legge del 2006 per dis-omogeneità di materia in sede di conversione, logica avrebbe voluto il ripristino della normativa in vigore al momento della pubblicazione della sua decisione, e quindi un decreto legge che riportasse esattamente alle disposizioni del 2006: farlo con un atto legislativo autonomo avrebbe sanato il vizio formale individuato dalla Corte.
Larga parte del decreto-legge segue in modo analitico tale impostazione. Con due eccezioni e una possibile sorpresa: la prima è la reintroduzione della distinzione fra droghe “leggere” e “pesanti”; rispetto all’originaria unica tabella delle sostanze stupefacenti il decreto-legge torna a quattro tabelle (più una tabella “dei medicinali”), e considera in modo distinto la cannabis e i suoi derivati, che vanno a finire nella seconda tabella. La seconda eccezione riguarda il trattamento sanzionatorio: per effetto combinato del nuovo decreto e della sentenza della Consulta rivive il regime delle sanzioni della Vassalli-Russo Jervolino, e quindi le pene per la detenzione in quantità significativa, lo spaccio e il traffico della cannabis e dei suoi derivati sono notevolmente ridotte. La possibile sorpresa è che, con gli attuali numeri e sensibilità del Parlamento, nulla esclude il colpo di mano – come si era provato a gennaio, al momento della discussione del decreto “svuota carceri” – di chi, non accontentandosi della riduzione di pena, punta alla depenalizzazione delle droghe qualificate “leggere”. Tre mesi fa il tentativo non andò a buon fine perché la materia venne ritenuta estranea al decreto allora in discussione: oggi questa preclusione formale non esiste; i media hanno anzi informato di una discussione nel Consiglio dei ministri, al momento del varo del decreto-legge fra il ministro della Salute Lorenzin, che puntava a un ripristino integrale della legge del 2006, e il ministro della Giustizia Orlando, che si è invece opposto: il che tranquillizza ancora meno su quanto potrà accadere in Parlamento, coi numeri attuali e con l’assenza di una posizione univoca del Governo.
La discussione del provvedimento è appena iniziata davanti alle Commissioni riunite, Giustizia e Affari sociali, della Camera, e finora sono state svolte le audizioni dei soggetti a vario titolo interessati alla materia. Fra le audizioni svolte merita menzione quella del prof. Giovanni Serpelloni, capo del Dipartimento delle politiche antidroga della Presidenza del Consiglio: si è tenuta il 2 aprile ed è stata accompagnata da una relazione, che è agli atti e quindi a disposizione di tutti. Andrebbe letta dalla prima all’ultima parola perché affronta e supera, dati scientifici alla mano, una serie di luoghi comuni a proposito della cannabis e dei suoi derivati. La riassumiamo nel pezzo a fianco, augurandoci i parlamentari ne traggano lumi prima di votare del decreto.
AUDIZIONE SERPELLONI, TUTTA LA VERITA' SULLA CANNABIS, di Alfredo Mantovano
Il capo del Dipartimento delle politiche antidroga della Presidenza del Consiglio, professor Giovanni Serpelloni, ha svolto la sua audizione il 2 aprile a margine della discussione sul decreto-legge droga. Smontando tutti i luoghi comuni.
Come è stato raccontato nel pezzo a fianco, il 2 aprile il capo del Dipartimento delle politiche antidroga della Presidenza del Consiglio prof. Giovanni Serpelloni ha svolto la sua audizione, a margine della discussione sul decreto-legge droga. Provo a estrarre le parti più significative della relazione che ha depositato nella circostanza:
Cannabis droga leggera? Il principio attivo della cannabis è, com’è noto, il delta 9 tetraidrocannabinolo (THC). Fino alla fine degli anni 1990 il THC che si riscontrava nella cannabis e nei derivati, sequestrati dalle forze di polizia, non oltrepassava il tasso prodotto spontaneamente dalla pianta naturale, il cui limite massimo era del 2.5%. La percentuale di THC rilevata nel quadriennio 2010-2013 è giunto a una media del 16.8% quanto al materiale vegetale (inflorescenze e foglie) e del 26.6% quanto ai derivati (resine e oli), con punte massime del 60.6% (25 volte il massimo della percentuale di 15 anni fa)! Ciò è stato possibile grazie alla coltivazione intensiva e a manipolazioni fito-produttive, che hanno concentrato il principio attivo e alterato le caratteristiche della pianta. Come si fa a dire che un derivato della cannabis col 25% di THC è droga “leggera”? Come si fa a parificarla a una “canna” col 2% di THC? Ogni persona in buona salute è in grado di reggere un boccale di birra di 0.4 lt. col 5% di gradazione alcolica, ma nessuna persona in buona salute regge 0.4 lt. di grappa al 42% di gradazione alcolica: la quantità di liquido è eguale, la qualità dell’alcool è differente. Se ciò è evidente per l’alcool, perché non dovrebbe esserlo per la cannabis? Come escludere il profilo qualitativo dalla qualifica di “leggerezza” e dalle conseguenze sanzionatorie da essa derivanti?
Cannabis droga innocua? Nel 2011 (ultimi dati disponibili) i ricoveri ospedalieri causati da intossicazione da droga hanno fatto registrare un 16% dovuto alla cannabis, a fronte di un 60% da oppiacei, in prevalenza eroina; nello stesso anno però i minori ricoverati perché intossicati dalla cannabis sono stati il 44,2%. Il che vuol dire che, con l’attuale percentuale media di THC, la cannabis fa male al punto da mandare in ospedale, e fa più male ai più giovani, che sono coloro che ne fanno maggiore uso; 290.000 ragazzi fra i 15 e i 17 anni hanno assunto almeno una volta sostanza stupefacente negli ultimi 12 mesi, e per il 71.2% di essi si è trattato di cannabis. Il dato italiano è in linea col trend europeo, che, rispetto al totale di ricoveri per intossicazione da droga, ha fatto registrare un 22% di ricoveri per intossicazione da cannabis. Se la cannabis fa così male, soprattutto ai minori, è il caso di facilitarne la diffusione diminuendo le sanzioni previste per chi la spaccia e la traffica?

Cannabis droga socializzante? Da anni la letteratura scientifica ha dimostrato che l’assunzione di cannabis provoca danni irreversibili al cervello; quello che, ricordando e aggiornando tali ricerche, la relazione del prof. Serpelloni aggiunge è il resoconto di uno studio recente, condotto nel corso degli anni sul quoziente di intelligenza di 1037 soggetti, nati fra il 1972 e il 1974, assuntori di cannabis fino al compimento dei 38 anni, suddivisi fra coloro che hanno iniziato prima del compimento della maggiore età e coloro che hanno iniziato da maggiorenni; ciascuna di queste categorie, a sua volta, è stata suddivisa fra coloro che ne hanno fatto un uso frequente e coloro che ne hanno fatto un uso occasionale. I risultati sono sorprendenti: per chi ha assunto frequentemente cannabis da minorenne, a fronte di un QI iniziale pari a 97, il QI a 38 anni è sceso a 88; per l’adolescente che l’ha assunta occasionalmente il QI iniziale era di 102, il QI a 38 anni di 97. Per chi iniziato ad assumere con frequenza cannabis dopo i 18 anni, il QI iniziale era di 98 e il QI a 38 anni di 95; per il maggiorenne assuntore occasionale QI iniziale di 104, QI a 38 anni di 105. C’è bisogno di commento? (ovviamente l’ultimo dato, che si riporta per completezza, non deve incentivare l’uso infrequente di cannabis superati i 18 anni! rende ancora più evidente la dannosità dell’assunzione anche occasionale da parte del minorenne, che è oggi il problema più serio).
Fini-Giovanardi inutile? I dati a disposizione dimostrano il contrario e, provenendo da differenti fonti scientifiche (fra le quali, il CNR e l’Istituto Mario Negri), concordano nelle conclusioni. Prendendo come riferimento la popolazione compresa fra i 15 e i 64 anni per gli anni 2001-2012, si riscontra un incremento di consumo di stupefacenti di vario tipo che raggiunge il picco più elevato nel 2008; poi esso cala in modo sensibile: addirittura, per cannabis e derivati dal 15% a poco più del 2% della popolazione. In controtendenza è il dato del consumo di cannabis da parte delle persone di età fra i 15 e i 19 anni: in calo dal 2008 al 2011, appare in sensibile risalita negli ultimi due anni; come mai? La risposta del Dipartimento antidroga guidato è in un grafico che pone a confronto l’incremento dell’uso di cannabis dal 2011 al 2014 – dal 17.9% al 26.7% dei giovani fra 15 e 19 anni, + 8.8 % in appena tre anni – e l’incremento della promozione on line di tali sostanze, dall’e-commerce ai siti pro legalizzazione, ai social network pro cannabis: i tracciati sono paralleli. Quando alla propaganda, che purtroppo funziona, si affiancherà un trattamento sanzionatorio più benevolo, quale è quello del decreto legge, o addirittura la legalizzazione, l’uso di cannabis salirà ulteriormente, e in modo ancor più significativo.
  
Fini-Giovanardi dannosa perché carcerizzante? Anche in tal caso i dati a disposizione dimostrano il contrario. La legge è del 2006: il Dap-dipartimento dell’amministrazione penitenziaria informa che gli ingressi in carcere per violazione della legge sulla droga sono stati 26.985 nel 2007, 28.798 nel 2008, e poi sono progressivamente calati, fino a 21.285 nel 2012. Nella medesima fascia temporale i tossicodipendenti provenienti dalla detenzione e affidati al servizio sociale sono passati da 514 del 2007 a 1.578 del 2012, con un trend crescente. Gli ingressi annuali in carcere dei soggetti con problemi di droga sono scesi da 24.371 a 18.285. Peccato che sulle principali testate giornalistiche continuiamo a leggere che la Fini-Giovanardi va abolita perché ha riempito il carcere di drogati, mentre la relazione Serpelloni non è neanche citata. Per completare: i decessi per droga sono scesi da poco meno di 600 nel 2007 a 390 del 2012 (ma il 2012 ha fatto registrare un leggero incremento rispetto al picco negativo del 2011: 362). Dunque, la legge del 2006 è riuscita a far diminuire il consumo totale di droghe e il numero di tossicodipendenti in carcere, con parallelo incremento dei recuperi: è proprio il caso di stravolgerla?

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