La libertà di religione deve essere garantita dall'obiezione di coscienza
L’eccellenza richiede sempre scienza e coscienza: se voglio compiere un’azione eccellente, dovrò agire con scienza e coscienza. Detto in altri termini, perché io possa mettere in atto un’azione virtuosa è necessario che io abbia conoscenza di quanto sto facendo e che io giudichi rettamente non solo le circostanze, ma anche la sostanza del mio atto e i miei obiettivi. L’azione virtuosa, qualsiasi sia la virtù implicata, richiede che io compia questa azione con la mia personale partecipazione. E quanto più tale partecipazione è completa e integrale, intelligente e volontaria, tanto maggiore sarà il progresso virtuoso e tanto più eccellente il risultato finale e il merito conseguente. Visto che ognuno di noi è chiamato a vivere virtuosamente, sarà giocoforza comportarsi con scienza e coscienza sempre, e non solo in alcune circostanze aspre dell’esistenza e non solo nell’esercizio di alcune professioni.
Questo universale principio etico di agire secondo scienza e coscienza è strettamente connesso con il diritto-dovere di ricerca, di studio, di informazione, con il diritto-dovere di formazione di un personale giudizio circa le azioni da compiersi e con il principio etico di responsabilità personale. Proprio dall’universale principio etico di agire secondo scienza e coscienza deriva la cosiddetta clausola di coscienza o obiezione di coscienza: invocare la clausola di coscienza o fare obiezione di coscienza – che sono la stessa cosa – significa rifiutare di compiere un’azione prescritta dall’autorità, motivando tale rifiuto con la personale coerenza a principi fondamentali. Quindi, perché l’obiezione di coscienza sia eticamente lecita, si richiede che il rifiuto non sia espressione di un capriccio o di un arbitrio, ma sia manifestazione ragionevole di una fedeltà interiore a beni di capitale importanza.
Se io non mi rifiutassi e quindi se io compissi l’atto prescritto dall’autorità questo bene fondamentale sarebbe leso. Proprio per non partecipare alla lesione di questo bene fondamentale, obietto e invoco la clausola di coscienza. L’obiettore non è né un ribelle, né un disobbediente. È piuttosto un testimone dell’eccellenza del bene che altrimenti sarebbe leso, esprime l’incondizionata fedeltà a un bene non-negoziabile. Ad esempio il medico, ginecologo o anestesista, che obietta davanti alla proposta o all’ordine di partecipare a un aborto, testimonia con fedeltà che è in gioco un bene fondamentale, la vita di un essere umano di età embrionale o fetale. Il medico di famiglia e il farmacista che invocano l’obiezione di coscienza per non prescrivere e non vendere prodotti chimici contraccettivi affermano indirettamente l’eccellenza del bene della salute della donna – visto che nessun contraccettivo chimico è esente da controindicazioni e effetti collaterali –, e la serietà dell’atto coniugale – visto che l’atto coniugale per essere autentico amore richiede la donazione totale e senza riserve di un coniuge all’altro.
Dal punto di vista giuridico l’obiezione di coscienza è il risvolto negativo della libertà di espressione del pensiero e della libertà religiosa. Ad esempio, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, votata dalle Nazioni Unite il 10/12/1948, all’art. 18 sancisce: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione». L’obiezione di coscienza trova sempre maggiori ambiti di applicazione negli Stati democratici e liberali. Lo Stato ha la potestà di imporre, mediante leggi e in forza di queste mediante organi amministrativi e giudiziari, determinati comportamenti ai cittadini: si tratta degli obblighi giuridici. Una volta si riteneva che il fondamento di questi obblighi giuridici fosse la volontà sovrana del re o dello Stato. Oggi questi obblighi giuridici sono visti come strumenti di salvaguardia e di protezione dei diritti inviolabili dell’uomo o se si preferisce dei beni non-negoziabili. In passato ciò che contava era il potere di imperio dello Stato, mentre il cittadino era un mero suddito rispetto alle disposizioni dell’autorità.
Oggi, invece, al centro c’è il singolo uomo, che è il titolare di diritti fondamentali non-negoziabili, cioè non soggetti a deroga o a eccezione. E, quindi, nell’attuale sistema l’insieme degli obblighi e dei divieti giuridici è funzionale alla reale fruizione dei diritti umani. In questo sistema giuridico liberale l’obiezione di coscienza è una facoltà che lo Stato riconosce ai cittadini: determinati precetti e obblighi giuridici, che oggettivamente compromettono beni fondamentali, non sono vincolanti quando il cittadino invoca la clausola di coscienza proprio al fine di non partecipare e non essere coinvolto nella lesione di un bene fondamentale. Con chiarezza la Corte costituzionale (sentenza n. 467/1991) afferma che: «La protezione della coscienza individuale si ricava dalla tutela delle libertà fondamentali e dei diritti inviolabili riconosciuti e garantiti all’uomo come singolo, ai sensi dell’art. 2 Cost. [... È] un valore costituzionale così elevato da giustificare la previsione di esenzioni privilegiate dall’assolvimento di doveri pubblici qualificati dalla Costituzione come inderogabili».
La storia della salvezza ci presenta vari casi di obiezione di coscienza. Si pensi alle levatrici egiziane, Sifra e Pua, che non danno seguito all’ordine del faraone di uccidere i neonati delle donne ebree (Esodo 1,15-21). Oppure agli apostoli Pietro e Giovanni: l’autorità locale, il sinedrio dà loro un ordine e loro non ottemperano. I membri del sinedrio dicono: «“Perché non si divulghi maggiormente tra il popolo [la notizia della guarigione compiuta nel nome di Gesù], proibiamo loro con minacce di parlare ancora ad alcuno in quel nome”. Li richiamarono e ordinarono loro di non parlare in alcun modo né di insegnare nel nome di Gesù. Ma Pietro e Giovanni replicarono: “Se sia giusto dinnanzi a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi. Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato”» (Atti 4,17-20).
La cronaca dei nostri giorni ci presenta molti casi di fedeltà ai beni umani non-negoziabili. Ad esempio la vicenda di Kim Davis, cancelliera della Contea rurale di Rowan, Kentucky, che è finita in galera per non aver firmato le licenze di matrimonio per quattro coppie, due delle quali formate da omosessuali. Ha invocato la libertà di coscienza proprio per non esser complice nello stravolgimento dell’istituto del matrimonio. Ed è arduo negare che il matrimonio non sia un bene di capitale importanza per la pacifica convivenza civile e il futuro delle generazioni umane. Inoltre è paradossale che ciò accada negli Stati Uniti d’America che si staccarono dal Regno Unito proprio per difendere e promuovere la libertà di coscienza e di religione. La libertà di coscienza e la facoltà di usare la clausola di coscienza sono l’espressione pratico-pratica della libertà di pensiero e di religione. Un parlamento può varare decine e decine di leggi sulla libertà di pensiero e di religione, ma perché queste non rimangano solo a livello teorico e meramente intellettuale, dovrà prevedere in concreto delle fattispecie in cui è riconosciuta l’obiezione di coscienza.
Se, poi, questi beni fondamentali dell’uomo (cioè la libertà di coscienza, la libertà religiosa e l’obiezione di coscienza) sono violati a norma di legge e a suon di sentenze – come accade nel caso di Kim Davis –, allora lo Stato cessa di essere democratico e liberale, e si presenta come illiberale e totalitario: sotto le eleganti vesti della democrazia politicamente ineccepibile si cela l’imposizione tirannica del pensiero unico. Basta con strane convinzioni sulla realtà del matrimonio, la Corte suprema ha stabilito cosa è il matrimonio, tutti si uniformino come bravi soldatini. Perciò, la libertà di coscienza e l’obiezione di coscienza sono un efficace baluardo a non esser ridotti a bravi soldatini dello Stato o ciechi burattini del pensiero unico, ma a vivere da attivi e ragionevoli cittadini.
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