martedì 11 dicembre 2012


Difesa della giusta differenza - 11 dicembre 2012 - http://www.avvenire.it

«Come si comincia a pensare? Quali grandi libri ha incontrato per primi: la Bibbia o i filosofi?». Inizia da queste impegnative domande il lungo dialogo tra Emmanuel Lévinas e Philippe Nemo, dipanatosi in 10 conversazioni radiofoniche a France-Culture tra febbraio e marzo 1981. Ora quei colloqui giungono in trascrizione italiana sotto il titolo «Etica e infinito» (Castelvecchi, pp. 128, euro 14,50, con un saggio introduttivo di Franco Riva). Il filosofo francese, scomparso nel 1995, vi affronta alcuni dei suoi temi preferiti, come «Bibbia e filosofia», «Il volto», «La responsabilità per altri», «La solitudine dell’essere»... Una sorta di compendio essenziale dell’opera del pensatore ebreo di origine lituana che Nemo definisce «il filosofo dell’etica, sicuramente l’unico moralista del pensiero contemporaneo».

Nel movimento verso la globalizzazione svolge un ruolo primario il progetto dei diritti umani, uscito dalla Dichiarazione universale del 1948 e ormai diffuso a livello mondiale. Si tratta di rendere universalmente effettivi i diritti (e i doveri) a partire da quelli più fondamentali, garantendo il rispetto dell’essere umano in ogni momento della sua esistenza. Da almeno trent’anni il progetto dei diritti umani risulta sottoposto a tensioni crescenti e a notevoli rischi per una divaricazione – all’inizio rimasta sottotraccia – tra interpretazione radical-libertaria e interpretazione dignitaria: la prima fa perno sui diritti di libertà del singolo, l’altra sulla dignità della persona. Il modo libertario di pensare i diritti, mentre nutre diffidenza verso tutto ciò che allude alla comunità, assegna una forte priorità a quelli individuali di libertà mentre sottostima gli altri diritti fondamentali. La visione dignitaria concede invece attenzione non solo alla libertà ma anche alla solidarietà e al fatto che le persone sono esseri relazionali.La Corte costituzionale tedesca in una decisione del 1954 sostenne: «L’immagine dell’uomo nella Legge fondamentale non è quella di un individuo isolato e sovrano. La tensione tra individuo e società [è risolta] a favore del coordinamento e dell’interdipendenza con la comunità senza alterare il valore intrinseco della persona». Nella tradizione libertaria dell’individuo autonomo spiccano non solo il primato dei diritti di libertà su ogni altro tipo di diritti, ma pure il ruolo sempre più forte giocato dalle nozioni di eguaglianza e di non-discriminazione, cui si ricorre per introdurre i cosiddetti «nuovi diritti».

Sotto il primo aspetto si deve rilevare che fondamentali diritti umani, quali il diritto alla vita e il diritto al lavoro, non sono in alcun caso titolabili come diritti di libertà, sicché il progetto e l’integrità dei diritti sono colpiti quando se ne proponga la riduzione suddetta. In secondo luogo assistiamo – in specie in Occidente ma poi anche con una diffusione planetaria ad opera di numerose agenzie internazionali – ad un ricorso sempre più indifferenziato ai criteri di uguaglianza e non­discriminazione, S come ha segnalato il cardinal Angelo Bagnasco al recente Forum del Progetto culturale. Essi vengono fatti valere non per paragonare quanto è simile, ma per introdurre un principio di indifferenza là dove invece la realtà stessa dice che differenze fondamentali ci sono. Valga l’esempio dell’unione omosessuale, che non ha titoli per essere considerata famiglia nonostante il tentativo diffuso di mescolare le carte sostenendo che l’eguaglianza sarebbe violata ed una discriminazione compiuta vietando all’unione omosessuale lo statuto di matrimonio e di famiglia. Si rimane interdetti quando gli stessi fautori dell’uguaglianza e della non­discriminazione in certi campi adottano i criteri opposti in altri campi. Si pensi alla diagnosi preimpianto effettuata sugli embrioni, in base alla quale alcuni sono assunti ed altri rifiutati: non siamo qui dinanzi a una flagrante violazione tanto dell’eguaglianza quanto della non­discriminazione? Il che induce a pensare che questi criteri siano adottati secondo le convenienze polemiche del momento e non come principi. Spesso si obietta che l’embrione scartato potrebbe essere portatore di difetti genetici: tuttavia il diritto alla vita non conosce gradi, e sta sopra il diritto alla salute. Veniamo al punto: l’impiego geometrico dei due suddetti criteri dimentica che la differenza non è sinonimo di diseguaglianza e di discriminazione, e che quest’ultima non ha solo un significato negativo. 

Discriminare non è sempre qualcosa di cattivo, poiché è semplice atto di giustizia trattare in modo diverso cose diverse. Riconoscere le differenze non significa discriminare, mentre ricorrere ai criteri di eguaglianza e non­discriminazione D in maniera assoluta può giustificare qualsiasi esito, come quelli di cancellare le diversità di genere o di inventare «nuovi diritti» quali il diritto al figlio, o a disconoscerlo dopo averlo voluto con la fecondazione in vitro (parto anonimo).Definire discriminazione una qualsiasi differenza è dunque un falso egualitarismo in cui non esistono più volti, ma tutto è indistinto, amorfo, intercambiabile e funzionale. Cancellare le differenze reali non è inclusione ma confusione. Su questi processi influisce la globalizzazione che spesso significa omogeneizzare o negare differenze nel nome di nuovi universali quali mercato, tecnica, scienza, Stato. Questi omologano nel preciso senso di nutrire avversione verso differenze reali, che invece vanno salvaguardate perché ci sono e constano. Se non vogliamo compromettere con l’ermeneutica libertaria il progetto dei diritti umani, bisogna mantenere il punto sui due aspetti richiamati: non cedere ai falsi universali omogeneizzanti; operare per una comprensione post-liberale e post-libertaria dei diritti umani, fondata sul «principio persona». Il termine post-liberale, che non significa naturalmente ostilità verso la libertà, è sostanziato da tre nuclei: i diritti di libertà non devono avere sempre e dovunque il predominio; il bilanciamento tra diritti e doveri deve essere più rigoroso che nell’individualismo liberale; la libertà del singolo non può riplasmare le differenze fino a farle scomparire. 

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