Per celebrare i dieci anni di vita della legge 40 la quinta sezione penale del tribunale di Milano ha pensato bene di far saltare un altro divieto posto da questa norma, quello che fa riferimento alla maternità surrogata. Un’altra candelina sulla torta della festeggiata è stata dunque spenta.
Ecco la vicenda. Una coppia di Milano vola a Kiev e pagando 30mila euro alla clinica Biotexcom “prendono a nolo” una donna perché “doni” il proprio ovocita ed utero (le virgolette sono d’obbligo perché la gestante è stata ricompensata per il disturbo), ovocita fecondato dallo spermatozoo dell’uomo della coppia. Dopo nove mesi ritirano il bebè e secondo la legge ucraina il pargolo è figlio legittimo della coppia. L’ufficiale di stato civile italiano iscrive all’anagrafe l’infante come figlio della coppia milanese ma contestualmente i funzionari dell’ambasciata italiana in Ucraina, interessati dalla vicenda, sentono puzza di bruciato e chiedono all’autorità giudiziaria del nostro Paese di indagare. Infatti per il nostro ordinamento le uniche forme di genitorialità ammesse sono quella naturale o quella per adozione.
Il Tribunale, secondo sentenza pubblicata un paio di giorni fa, assolve invece i due dal reato di alterazione dello stato civile del minore (567 cp) con le seguenti motivazioni.
In primo luogo "l'atto di nascita è stato formato correttamente, in Ucraina, nel rispetto del luogo ove il bambino è nato". Peccato che la Legge di diritto internazionale privato n. 218 del 1995 stabilisce che “in nessun caso le leggi e gli atti di uno Stato estero, gli ordinamenti e gli atti di qualunque istituzione o ente, o le private disposizioni possono aver effetto nel territorio dello Stato, quando siano contrari all’ordine pubblico o al buon costume”. Tale ratio è ripresa da un Decreto del Presidente della Repubblica del 3 novembre 2000, n. 396 in cui si vieta all’ufficiale di stato civile di trascrivere un atto formatosi all’estero quando risultasse contrario all’ordine pubblico. Non vale a superare il divieto nemmeno il fatto, come tentano di spiegare i giudici meneghini, che «questa forma di procreazione assistita è consentita dalla maggior parte dei Paesi che aderiscono all’Unione europea». Detto in altre parole per i magistrati di Milano se il mio vicino di casa ammazza e ruba allora io mi posso sentire autorizzato a fare lo stesso.
Nella sentenza poi si spiega che il figlio è un diritto e tale tecnica è solo un mezzo per soddisfare il diritto (come dare loro torto? E’ la stessa logica che permette l’accesso all’omologa qui in Italia).
Successivamente fanno intendere che la nostra normativa sulla filiazione è superata perché il concetto di genitorialità "è incentrato sull'assunzione di responsabilità", quindi poco rileva il legame biologico. Però per il nostro ordinamento la responsabilità deriva dalla genitorialità naturale e solo in subordine - laddove ci sia abbandono o incapacità da parte dei genitori naturali - si interviene con l'affido e l'adozione. Non esistono altre fonti. Se il criterio indicato dai magistrati fosse davvero valido, basterebbe un single, una coppia omosessuale ed anche un gruppo di amici o un’associazione che dichiarasse di assumersi la responsabilità di crescere un bambino per permettere a tutti costoro di diventare “genitori”. Insomma un altro caso dove la filiazione viene sganciata dalla generazione in seno ad un rapporto di coniugio e finisce per essere divisa in due momenti distinti: la produzione realizzata da terzi del bambino – omologa, eterologa con o senza utero in affitto poco importa – e l’acquisto/gestione del bambino da parte di una coppia.
Inoltre il Tribunale insiste sul fatto che l'eterologa nella variante “maternità surrogata” è "terapia dell'infertilità" che tutela il "diritto alla salute". Domanda tra le molte: in tal modo il concetto di famiglia non viene stravolto? Risposta dei giudici: la famiglia è «istituto fondato sul libero accordo dei contraenti». Quindi la compravendita di ovociti, uteri e sperma sono azioni proprie di questo nuovo modello familiare che si pone sul “mercato del figlio” e dove i genitori prendono nuove qualifiche: acquirenti di gameti, conduttori di uteri, etc.
Come appuntavamo all’inizio, la pratica della maternità surrogata è vietata in Italia dalla legge 40 all’art. 12, ma ancora una volta un giudice è andato per la sua strada infischiandose. Nonostante ciò c’è ancora qualcuno che si incaponisce nell’affermare che la legge 40 è rimasta intatta. Sarà vero dal punto di vista della lettera della legge – sentenza della Consulta a parte – ma molto falso dal punto di vista della prassi. E dato che le leggi servono per disciplinare, vietare, comandare condotte pratiche (altrimenti facciamo accademia), quando queste condotte sono difformi dal testo di legge e per di più ricevono la benedizione della magistratura allora si può dire pianamente che la legge non è più efficace. Ciò a dire che gli effetti previsti dalle norme rimangono sulla carta e non si incarnano in condotte conseguenti dei consociati, vero ed unico fine di una legge. Risultato: la legge 40 già oggi è roba da museo.
In tale situazione la magistratura ha ormai assunto il compito di giustificare a posteriori qualsiasi desiderata delle coppie, una sorta di convalida di carattere amministrativo, di autorizzazione meramente formale. A questo punto allora non solo la legge è superata dall’azione dei giudici, ma la stessa magistratura non ha più ragion d’essere perché superata a sua volta dalle esigenze delle coppie, verso cui occorre sempre essere accondiscendenti. Se la vera ratio su tali materie sensibili è quella del “fate quello che vi pare tanto a noi starà sempre bene”, appare persino superfluo l’imprimatur del giudice. Un inutile passaggio procedurale in un momento in cui nel nostro Paese si tende alla semplificazione burocratica.