martedì 25 febbraio 2014

Alterazione di stato e maternità surrogata all'estero: una pronuncia assolutoria del Tribunale di Milano, 21 Febbraio 2014, http://www.penalecontemporaneo.it/


Trib. Milano, Sez. V pen., 15 ottobre 2013 (dep. 13 gennaio 2014), Est. Cernuto

[Tommaso Trinchera]



1. In un caso di fecondazione assistita di tipo eterologo e contestuale maternità surrogata (c.d. utero in affitto), il Tribunale di Milano, con la sentenza qui pubblicata, ha escluso che possa configurarsi il reato di alterazione di stato ex art. 567 co. 2 c.p. qualora il neonato venga dichiarato figlio della donna per conto della quale è stata portata avanti la gravidanza - invece che come figlio della partoriente o della donatrice dell'ovulo fecondato - se l'atto di nascita è stato formato validamente nel rispetto della legge del Paese ove il bambino è nato (nel caso di specie, l'Ucraina).



2. Questa, in sintesi, la ricostruzione dei fatti oggetto della sentenza.

Gli imputati, un uomo e una donna che non possono portare a termine una gravidanza tradizionale, decidono di rivolgersi ad una clinica privata di Kiev in Ucraina per ricorrere a una tecnica di procreazione medicalmente assistita - fecondazione eterologa e "utero in affitto" - che non può essere praticata in Italia. In particolare, la tecnica cui ricorrono i due imputati prevede la formazione di un embrione in vitro con metà del patrimonio genetico del padre e l'altra metà proveniente da una donna ovo-donatrice. L'embrione così generato viene poi impiantato nell'utero di una terza donna, maggiorenne e volontaria, che porta a termine la gravidanza.

Nel periodo della gestazione, l'imputata provvede ad indossare un cuscino addominale, in gommapiuma, per simulare di essere in stato interessante. La settimana prima della nascita del bambino la coppia si reca in Ucraina per assistere al parto. Dopo la nascita, la madre surrogata attesta in forma notarile l'inesistenza di qualsiasi relazione genetica con il bambino e presta il consenso all'indicazione degli imputati quali genitori.

Come previsto dalla legge ucraina, l'ufficiale di stato civile di Kiev forma l'atto di nascita indicando nella persona dei due imputati rispettivamente il padre e la madre del neonato. L'atto di nascita originale viene tradotto in lingua italiana e appostillato, cioè munito di un'annotazione che ne attesta sul piano internazionale l'autenticità. Così perfezionato l'atto è suscettibile di divenire efficace anche nell'ordinamento italiano. Al fine di sollecitarne la trascrizione in Italia, i coniugi compilano e presentano all'ambasciata i documenti necessari ai sensi di legge, indicando le qualità di padre e madre attestate dal certificato formato in Ucraina. In quella occasione, senza che fosse necessario ai fini della registrazione dell'atto, gli imputati decidono di simulare nei confronti delle autorità italiane una gravidanza naturale: rispondendo alle domande del funzionario consolare italiano che chiede loro come sia stato possibile effettuare il viaggio in aereo a Kiev al nono mese di gravidanza e solo una settimana prima del parto, la donna riferisce che lo stato interessante non era visibile.

I funzionari dell'ambasciata non vengono comunque tratti in inganno e comunicano alla Procura della Repubblica di Milano, alla Questura di Roma, al Ministro degli interni e all'ufficiale di stato civile di Milano quanto accaduto. Quest'ultimo decide di registrare ugualmente l'atto di nascita attribuendo alla donna la qualità di madre del neonato. La Procura della Repubblica di Milano, invece, dà seguito alla notizia di reato e chiede, e ottiene, il rinvio a giudizio degli imputati ipotizzando a loro carico il reato di alterazione di stato nella formazione dell'atto di nascita del bambino (art. 567 co. 2 c.p.).



3. La quinta Sezione del Tribunale di Milano ha assolto gli imputati ritenendo che, nel caso di specie, non si sia in realtà verificata alcuna alterazione di stato.

Il reato previsto dall'art. 567 co. 2 c.p., punito con una pena assai severa (reclusione da 5 a 15 anni), si verifica allorché, nella formazione dell'atto di nascita, si «altera lo stato civile di un neonato, mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità».

Nel caso in esame, osserva il Tribunale, l'atto di nascita è stato formato nel rispetto della legge del luogo ove il bambino è nato, all'esito di una procreazione medicalmente assistita conforme alla lex loci. L'indicazione del nominativo della madre c.d. sociale quale genitore del neonato è imposta dalla legge ucraina. Gli imputati non avrebbero potuto agire diversamente. Né sarebbe stato possibile per l'ufficiale di stato civile di Kiev - il quale era perfettamente a conoscenza della maternità surrogata - agire contra legem e riferire la maternità alla donatrice dei gameti o alla donna che ha portato a termine la gravidanza.

D'altra parte, secondo quanto previsto dall'art. 15 del d.P.R. n. 396/2000 recante Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, le dichiarazioni di nascita effettuate da cittadini italiani all'estero «devono farsi secondo le norme stabilite dalla legge del luogo alle autorità competenti». Il rinvio alla lex loci operato dall'ordinamento interno impone, pertanto, ai cittadini italiani all'estero di effettuare le dichiarazioni di nascita all'ufficiale di stato civile straniero secondo la legge del luogo; mentre il limite dell'ordine pubblico fissato dall'art. 18 del d.P.R. n. 396/2000 non attiene al momento di formazione dell'atto di nascita - unico rilevante ai fini della consumazione del delitto di cui all'art. 567 co. 2 c.p. - ma riguarda il momento successivo del recepimento degli effetti dell'atto formato all'estero nel nostro ordinamento a seguito di trascrizione. L'eventuale contrarietà all'ordine pubblico (sulla quale si veda peraltro infra, 4) non inciderebbe, dunque, sulla consumazione del reato di alterazione di stato, ma si limiterebbe a inibire la trascrizione in Italia dell'atto validamente formato all'estero.

Manca pertanto, secondo il Tribunale, l'elemento oggettivo tipico della fattispecie contestata: «solo la falsità espressa al momento della prima obbligatoria dichiarazione di nascita è in grado di determinare la perdita del vero stato civile del neonato, mentre le dichiarazioni mendaci rese in epoca successiva possono eventualmente integrare il meno grave reato di falsa attestazione o dichiarazione su qualità personali ex art. 495 co. 2 n. 1 c.p.».

Come noto, tale norma punisce la condotta di chi «dichiara o attesta falsamente al pubblico ufficiale l'identità, lo stato o altre qualità della propria o dell'altrui persona». È prevista una circostanza aggravante allorché le dichiarazioni siano rese in atti dello stato civile (art. 495 co. 2 n. 1 c.p.). Ad avviso del Tribunale, la condotta degli imputati, nella parte in cui è stata diretta a simulare nei confronti dell'autorità consolare una gravidanza naturale, conserva rilevanza penale sotto il profilo dell'immutazione del vero in ordine a qualità personali, effettuata innanzi ad un pubblico ufficiale e nell'ambito di un procedimento destinato a riverberarsi in un atto pubblico. L'informazione richiesta, infatti, era destinata a consentire all'ufficiale di stato civile italiano di assumere le proprie determinazioni e di trascrivere o meno l'atto con cognizione del carattere, surrogato o biologico, della maternità.

In conclusione, secondo i giudici milanesi, il fatto presenta tutti gli elementi costitutivi del delitto di false dichiarazioni ad un pubblico ufficiale su qualità personali destinate ad essere recepite in atti dello stato civile, contemplato dall'art. 495 cpv. n. 1. Trattandosi, però, di un reato comune commesso all'estero, punito con la pena minima inferiore ai tre anni, in ordine al quale manca la condizione di procedibilità della richiesta del Ministro della giustizia, l'azione è improcedibile ai sensi dell'art. 9 c.p.



4. Evidentemente via di obiter, la sentenza si spinge peraltro anche a negare che la trascrizione dell'atto di nascita da parte dell'ufficiale di stato civile italiano sia stata contraria all'ordine pubblico, internazionale (perché questa forma di procreazione assistita è pratica consentita nella maggior parte dei Paesi europei e perché il diritto a concepire un figlio ricorrendo alle tecniche di procreazione assistita rientra nella sfera di applicazione dell'art. 8 CEDU), ovvero interno (perché l'ordinamento italiano, nel disciplinare gli effetti della fecondazione eterologa, valorizza il principio di responsabilità procreativa e ne fa applicazione in luogo di quello di discendenza genetica). Una conclusione, questa, sulla quale si dovrà riflettere a fondo, alla luce non solo degli ovvi rischi, in tal modo creati, di aggiramento dell'inequivoco divieto di maternità surrogata espresso dall'art. 12 co. 6 della l. 40/2004 (il cui ambito di applicazione è, peraltro, confinato alle condotte commesse in Italia), ma anche più in generale sotto il profilo della compatibilità di una tale soluzione ermeneutica con i principi in materia di stato civile e di diritto di famiglia vigenti nell'ordinamento italiano. 


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