martedì 23 dicembre 2014

Aborto all'inglese Niente obiezione per le ostetriche, di Lorenzo Schoepflin, 23-12-2014, http://www.lanuovabq.it/


I giudici della Corte Suprema inglese
La Corte Suprema del Regno Unito ha impresso un’ulteriore stretta al diritto all’obiezione di coscienza in tema di aborto. Con una sentenza del 17 dicembre scorso, infatti, l’organo che esprime i giudizi finali su casi di rilevanza nazionale e che per sua natura gioca un ruolo determinante nello sviluppo della legge britannica, si è espresso a sfavore di due ostetriche scozzesi, Mary Doogan e Concepta Wood. 

Le due donne avevano presentato un ricorso contro il loro datore di lavoro poiché, loro malgrado, si erano ritrovate a lavorare in un reparto ospedaliero dove si praticavano interruzioni di gravidanza. Infatti, a causa di una riorganizzazione interna del nosocomio e stante il sempre maggior ricorso all’aborto farmacologico, che presuppone l’intervento dell’ostetrica durante la fase di espulsione del bimbo fatto nascere prematuramente, il reparto di ostetricia era diventato teatro di aborti in avanzata età gestazionale. Inizialmente – nel 2007, epoca dei primi aborti nel loro reparto – alle due colleghe era stato riconosciuto il diritto ad obiettare, poi però negato. Da qui la decisione di adire le vie legali. Ad un primo esito negativo per le ostetriche, datato 2012, era seguita, l’anno successivo, la sentenza a favore della Inner House della Court of Session (la corte scozzese che si occupa dei casi di diritto civile). Successivamente, dunque, il Greater Glasgow Healt Board aveva deciso di rivolgersi alla Corte Suprema del Regno Unito che, dopo le audizioni dello scorso 11 novembre, ha deciso nuovamente – e definitivamente, almeno per quanto concerne i gradi di giudizio nazionali – che per il ruolo ricoperto da Mary Doogan e Concepta Wood non può essere riconosciuto il diritto all’obiezione di coscienza. 

Le due donne avevano presentato un ricorso contro il loro datore di lavoro poiché, loro malgrado, si erano ritrovate a lavorare in un reparto ospedaliero dove si praticavano interruzioni di gravidanza. Infatti, a causa di una riorganizzazione interna del nosocomio e stante il sempre maggior ricorso all’aborto farmacologico, che presuppone l’intervento dell’ostetrica durante la fase di espulsione del bimbo fatto nascere prematuramente, il reparto di ostetricia era diventato teatro di aborti in avanzata età gestazionale. Inizialmente – nel 2007, epoca dei primi aborti nel loro reparto – alle due colleghe era stato riconosciuto il diritto ad obiettare, poi però negato. Da qui la decisione di adire le vie legali. Ad un primo esito negativo per le ostetriche, datato 2012, era seguita, l’anno successivo, la sentenza a favore della Inner House della Court of Session (la corte scozzese che si occupa dei casi di diritto civile). Successivamente, dunque, il Greater Glasgow Healt Board aveva deciso di rivolgersi alla Corte Suprema del Regno Unito che, dopo le audizioni dello scorso 11 novembre, ha deciso nuovamente – e definitivamente, almeno per quanto concerne i gradi di giudizio nazionali – che per il ruolo ricoperto da Mary Doogan e Concepta Wood non può essere riconosciuto il diritto all’obiezione di coscienza. 

È proprio sulla definizione dei ruoli e sull’ampiezza dell’applicazione del diritto di obiettare che si è sviluppata la vicenda riguardante le ostetriche. Lo si capisce leggendo la sentenza, firmata dal vicepresidente della Corte Suprema Brenda Hale. Inizialmente il testo esamina i contenuti dell’Abortion Act, la legge che dal 1967 regolamenta oltremanica l’interruzione di gravidanza, così come integrata e modificata nel 1990 dallo Human Fertilisation and Ebryology Act. Sulla scorta di precedenti casi esaminati, al punto 11 della sentenza si individua l’aspetto essenziale sul quale concentrarsi al fine di decidere quali siano le circostanze in cui è lecito invocare il diritto all’obiezione di coscienza. In particolare, è l’interpretazione del passaggio della legge dove si parla di «partecipare a qualsiasi trattamento autorizzato» che diventa determinante per stabilire diritti e doveri del personale sanitario coinvolto a vario titolo in un aborto. 

Al punto 38, la giudice Hale dice espressamente di propendere per un’interpretazione stretta del termine «partecipare a», che giocoforza preclude il diritto di obiettare a tutti coloro che non prendono parte direttamente ad un aborto. Ne scaturisce una lista di azioni – elencate al punto 39, tutte riguardanti il normale operato delle due ostetriche – che il personale medico non può rifiutarsi di compiere, come ad esempio il coordinamento dei sottoposti e la supervisione degli interventi medici finalizzati all’interruzione di gravidanza. Ma la sentenza si spinge oltre e, esprimendosi su un tema che non era oggetto del contenzioso tra le ostetriche e l’amministrazione della sanità pubblica scozzese, sancisce di fatto l’obbligo per tutto il personale obiettore di indirizzare la donna da un collega disposto a procurarle un aborto.

Il perché di una tale struttura della sentenza si spiega con le premesse del punto 25: l’estensione della garanzia di poter agire in accordo alla propria coscienza, secondo la Corte, rischierebbe di mettere a repentaglio l’erogazione di quello che viene definito come un servizio, l’aborto sicuro. Un ritornello che anche in Italia viene puntualmente riproposto almeno una volta l’anno in occasione della pubblicazione della relazione sull’applicazione della legge 194. L’obiezione di coscienza sarebbe dunque un fastidioso sassolino – da rimuovere – che finisce per inceppare gli ingranaggi del tritacarne abortista. Secondo le due ostetriche, gli effetti della sentenza rischiano di essere devastanti per tutti coloro che desiderano intraprendere la carriera in ambito sanitario, i quali da adesso sanno che saranno obbligati a compiere qualsiasi azione indiretta che contribuisca a portare a compimento un’interruzione di gravidanza. 

Mary Doogan e Concepta Wood hanno evidenziato inoltre come il diritto all’obiezione di coscienza venga praticamente negato a tutti coloro che ricoprono un ruolo gestionale e di supervisione professionale. All’orizzonte si profila un ricorso alla Corte europea dei diritti umani, anche se i precedenti in materia non sono incoraggianti. Da annotare, infine, un dato significativo. Nella sentenza della Corte viene precisato che le due ostetriche sono cattoliche praticanti. A ciò viene ricondotta la loro richiesta di agire secondo coscienza. È davvero curioso che nel Paese dove il diritto ha aperto ai tribunali islamici, strumenti che dovrebbero garantire che su certe questioni si possa decidere nel perfetto rispetto della religione islamica, a due donne cattoliche non venga consentito il libero esercizio della propria coscienza.

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