E’ possibile riflettere sull’obiezione di coscienza – apprezzandone, se possibile, di più valore e significato – alla luce degli attacchi che oggi subisce? Direi che ragionare insieme, questo pomeriggio, a partire dalle pesanti critiche cui sono sottoposti oggi gli obiettori di coscienza – accusati con la loro condotta di ostacolare non solo in funzionamento del sistema sanitario, ma anche il libero esercizio di diritti altrui – più che possibile o opportuno, sia decisamente utile perché ci consente di affrontare e di riscoprire un argomento sotto un’angolatura nuova anche se non alternativa bensì, potremmo osservare, complementare a quelle – pur rilevanti – del diritto, della filosofia o della medicina stessa; è l’angolatura della cronaca, dell’attualità [1].
Partiamo allora dal contesto attuale con una domanda: perché tanto, sistematico accanimento contro gli obiettori di coscienza? Perché alcuni sono letteralmente terrorizzati dall’idea che all’ospedale X o all’ospedale Y il nuovo primario di ostetricia possa essere obiettore? Come mai il Presidente Obama ha sistematicamente, e non da oggi, nel proprio mirino le associazioni cattoliche per il solo fatto che non permettono l’aborto e condannano la contraccezione [2] mentre, da noi, delle Regioni son giunte ad approvare, spingendosi oltre il confine della legittimità, specifici decreti anti-obiettori e si segnalano, non da oggi, «ospedali che indicono concorsi riservandoli a medici non obiettori» [3]? La politica non ha forse, tanto più oggi, ben altre priorità? E, soprattutto, cosa compiono mai di così incivile e scandaloso i medici e i farmacisti che fanno appello ad un diritto, peraltro espressamente previsto dalle leggi, per sollevare tanta polemica? Sappiamo dalle relazioni ufficiali che – contrariamente a quanto spesso si sente – non c’è, almeno in Italia, eccessivo carico di lavoro per i ginecologi non obiettori [4]: la media nazionale è 1,4 IVG a settimana [5].
Misurarsi con questo primo interrogativo così attuale è dunque utile perché consente di comprendere come non sia tanto l’obiettore in quanto medico e professionista – né la diffusione di medici obiettori – a generare chissà quali inquietudini: è invece l’obiezione di coscienza, come gesto fortemente fondato su dei valori, ad infastidire.
Più precisamente, il rifiuto dell’obiettore è ritenuto inaccettabile perché che fa appello alla verità morale, perché dimostra cioè che, anche se non si direbbe, il relativismo etico [6] non ha vinto, che c’è ancora – nell’epoca narcotizzante del parzialmente accettabile o del parzialmente sconveniente, a seconda dei punti di vista – qualcosa di totalmente giusto per il quale c’è chi è pronto non soltanto a spendersi, ma pure a sottrarsi a doveri altrimenti inderogabili e fissati per legge; il Comitato Nazionale di Bioetica, nel luglio 2012, ha in proposito sottolineato che l’obiezione di coscienza è preziosa dal momento che, fra le altre cose, «preserva il carattere problematico delle questioni inerenti alla tutela dei diritti fondamentali» [7]. Orbene, siffatta sopravvivenza «del carattere problematico delle questioni inerenti alla tutela dei diritti fondamentali», che potremmo spingerci a definire “sopravvivenza della verità” – se così possiamo chiamarla – in quanto scritta nel cuore dell’uomo, per la cultura dominante, è già una prima ragione di forte ostilità. Una cultura che non crede alla verità e che fa di tutto per negarne l’esistenza si vede infatti concretamente contraddetta dell’obiezione di coscienza e da coloro che vi fanno ricorso rammentando l’esistenza di valori che l’ordinamento giuridico può appoggiare meno, proteggere o avversare, ma certamente né istituire né abrogare dal momento che «si radicano nella legge morale naturale» [8]. In questo senso ricordiamo che l’obiezione di coscienza presenta, in quanto tale, un carattere immodificabile che dà doppiamente fastidio, tanto più se è illegale divenendo più «genuina» e «dotata di maggior forza testimoniale» [9].
Ci nasconderemmo tuttavia dietro ad un dito se omettessimo di evidenziare come non tutte le possibili forme di obiezione di coscienza [10] risultino contrastate, e come ve ne siano anzi diverse – si pensi a quella al servizio militare o a quella legata alla sperimentazione sugli animali – che nessuno, tanto meno oggi, si permetterebbe di criticare; né si segnalo, in effetti, particolari iniziative politiche in questo senso. Questo è molto importante perché “ci dice” che non solo non è l’obiettore in sé a scandalizzare, ma non è neppure, a ben vedere, l’obiezione di coscienza intesa in senso lato a farlo, ma solo quella che osa il proibito: ricordare che sin dal concepimento si è a tutti gli effetti in presenza di un essere umano, unico e irripetibile, e che ucciderlo significherebbe fare il male. La nostra è una società che tollera ogni opinione ed ogni insulto, specie se presentato come satira, ma che non vuol più sentirsi dire quello che già Socrate, millenni fa, con grande chiarezza sosteneva: «Essi potrebbero bene uccidermi, mandarmi in esilio, privarmi dei diritti politici, reputando tali cose, i più grandi mali; ma io non li reputo tali. Per me male è fare quello che fa costui: tentare di uccidere ingiustamente un uomo» [11]. Per questo l’obiezione di coscienza prevista dalla Legge 194 sull’aborto (art.9), e pure – anche se molti, persino nel mondo cattolico, puntualmente lo dimenticano – dalla Legge 40 sulla fecondazione extracorporea (art. 16), è scomoda: perché ricorda a tutti quale davvero sia il più grande dei mali;
Siamo a questo punto nella condizione di comprendere, procedendo ulteriormente, la vera ragione per cui quanti non eseguono aborti né accettano di prestarvi alcuna cooperazione formale o cooperazione materiale [12] danno enormemente fastidio e per cui la cultura che controlla i media fa di tutto, con ostinazione potremmo dire quotidiana, per presentare gli obiettori di coscienza come dei professionisti poco seri, degli inadempienti, quasi dei vigliacchi: perché costoro, gli obiettori di coscienza, testimoniano ciascuno non solo un’idea di giustizia, ma un’idea decisamente forte di giustizia un’idea forte di giustizia – non negoziabile e che, come abbiamo in estrema sintesi ricordato, anticipa la leggi ed arriva ad ergersi perfino oltre l’ordinamento giuridico, qualora l’obiezione di coscienza non fosse consentita – e denunciano l’abisso del suo esatto contrario. Perché finché rimarrà anche un solo obiettore, uno soltanto, la coscienza collettiva non potrà assopirsi né convincersi, decretando così la vittoria del Pensiero Unico, del fatto che la soppressione di un figlio, a certe condizioni, sia il male minore o addirittura il suo bene, come l’abortismo più spudorato tutt’ora afferma. L’obiezione di coscienza è dunque molto più, per così dire, di un’opzione cattolica o di un semplice diritto esercitabile da alcuni cittadini: è garanzia affinché quello dei bimbi non nati o vittime dell’aborto – i «più poveri dei poveri» [13] li chiama Madre Teresa (1910-1997), che di poveri se ne intendeva – non sia dimenticato.
Ma l’obiezione di coscienza – per la sua forza ed il suo peso – è anche, ricollegandoci a quanto detto poc’anzi, un’occasione per riscoprire il valore e l’identità della coscienza.
Oggi si registra infatti, fra le altre cose, una certa difficoltà per quanto riguarda la definizione del concetto di coscienza. Una difficoltà dovuta certamente al generale caos che sembra dominare, fra agli altri, il terreno della cultura e quindi anche della bioetica, ma anche dal fatto – osservato fra gli altri, da Ratzinger [14] – che vi sono differenti concezioni su che cosa sia la coscienza; di queste tre, su tutte, risultano prevalenti:
Alcuni dicono che la sia coscienza l’espressione della soggettività; sarebbe l’individuo, cioè, a “fondare” l’obiezione di coscienza. Ma è una concezione limitata: cosa fonda il diritto individuale alla soggettività? Chi lo stabilisce? Il desiderio e il diritto individuale sembrano non bastare, per così dire, a fondare se stesso.
Altri dicono che la coscienza sia “la voce di Dio” nell’uomo: a parte il problema della fede, non da tutti condivisa, è una concezione problematica perché le azioni opposte – alcune buone, altre decisamente malvage – compiute dagli uomini dovrebbero portarci a credere che non tutti gli uomini hanno una coscienza o che Dio a volte parla altre tace: ma se tace, se in qualche modo si rende assente e lontano, ininfluente potremmo dire, che Dio sarebbe?
Altri ancora pensano che la coscienza sia in definitiva l’interiorizzazione dei valori altrui, una sorta cioè di «introiezione del super io sociale» [15]: ma se le cose stessero realmente in questi termini, allora la coscienza sarebbe qualcosa di cui liberarsi, una sorta di macroscopica ed intima ingerenza e forma di controllo. E questo non è possibile.
Più corretto, allora, appare considerare e pensare, alla stregua di vari pensatori – da Ratzinger [16] a Robert Spaemann [17] -, la coscienza come un organo. Un organo che tutti possiedono ma che può sbagliare, che deve essere quindi educato e fatto crescere, orientato verso la verità morale. In particolare Spaemann fa l’esempio della parola: perché parliamo? Perché abbiamo imparato dai nostri genitori i quali – è vero – ci hanno trasmesso una particolare lingua, la loro, ma non il linguaggio come capacità che, in quanto esseri umani, abbiamo scritta dentro di noi. La coscienza può allora essere paragonata al linguaggio: ad una capacità che abbiamo ma per esercitare la quale dobbiamo imparare. E credo che in questo gli obbiettori di coscienza, che orientano la loro coscienza verso il bene evitando di fare il male, siano degli ottimi insegnanti dell’orizzonte verso il quale la coscienza deve formarsi per parlare la lingua migliore. Per questo dobbiamo essere doppiamente grati agli obbiettori di coscienza perché, essendo testimoni della giustizia, risultano a pieno titolo insegnanti della verità e, soprattutto, educatori della coscienza; e di ciò la nostra società – e noi tutti – siamo profondamente riconoscenti.
«Un uomo – ha scritto Tolkien (1892-1973) – è allo stesso tempo un seme e, per certi versi, un giardiniere, nel bene e nel male» [18]. Grazie agli obiettori di coscienza per gli ottimi giardinieri che sono e continuano ad essere.
giulianoguzzo.com
(Intervento tenuto a Firenze venerdì 17 aprile 2015, ore 17:00, presso il Dipartimento di Giurisprudenza, Polo di Scienze Sociali) in occasione del seminario “Obiezione di coscienza. Nulla da obiettare?”).
Note: [1] Parte delle considerazioni presenti in questa relazione sono già state pubblicate in. Guzzo G. Chi ha paura dell’obiettore?, «La Croce», 26/2/2015, p.3; [2] Frigerio B. Obama violenta l’obiezione di coscienza dei cattolici su aborto, condom e matrimonio gay, «Tempi.it»: 18/2/2012; [3] Polito P. (intervistato in) Venditti R. Le ragioni dell’obiezione di coscienza, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1986, p.51; [4] «Il numero di non obiettori è congruo rispetto alle IVG effettuate, e il numero degli obiettori di coscienza non impedisce ai non obiettori di svolgere anche altre attività oltre le IVG»: “Relazione del Ministro della Salute sull’attuazione della Legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza (Legge 194/’78): 15 ottobre 2014; 1-50: p.7; [5] Ibidem, p.46; [6] Per relativismo etico s’intende, in estrema sintesi, quella una corrente di pensiero contemporaneo che sostiene l’equivalenza di concezioni etiche differenti fra loro così asserendo, di fatto, l’assenza della verità; ma lo stesso sostenere l’assenza di verità, a ben vedere, presuppone una concezione di che cosa sia vero e cosa non lo sia, autocontraddicendo così il proposito, tipico di una impostazione relativista, di evitare qualsivoglia formulazione definitiva: cfr. Vigna C. Relativismo ontologico e relativismo etico in Di Ceglie R. (a cura di), Pluralismo contro relativismo, Ares, Milano 2004, p. 135; [7] AAVV. Obiezione di coscienza e bioetica, «Comitato nazionale di bioetica»: 30.7.2012;1-39: p.4; [8] Mele V. – Morgani A.R. L’obiezione di coscienza sanitaria in generale in Sgreccia E. – Spagnolo A.G. – Di Pietro M. L. Bioetica. Manuale per i Diplomi Universitari della Sanità, Vita&Pensiero, Milano 2002, p. 241; [9] Lombardi Vallauri L. Bioetica, potere, diritto in AA.VV. Obiezione di coscienza sanitaria. Un dovere verso l’uomo [Atti del I Convegno nazionale, Torino, 26-27 Novembre 1983 – Fondamenti dell’obiezione ed esperienza] Fratelli Palombi Editori, Roma 1984, p. 39; [10] Possiamo in sintesi ricordare come, solo considerando l’ordinamento italiano, esistano: l’obiezione di coscienza al servizio militare; l’obiezione agli interventi di interruzione della gravidanza; l’obiezione legata alla sperimentazione su animali; l’obiezione del lavoratore «rifiutare per motivi di coscienza l’adempimento della prestazione alla quale è obbligato per contratto» (Invero, in senso contrario, nel senso, cioè, dell’inesistenza di un simile diritto, tra i rari pronunciati, v. Trib. Milano 12.1.1983. Il caso è tratto da Onida F. L’obiezione di coscienza nelle prestazioni lavorative in AA.VV. Rapporti di lavoro e fattore religioso, Jovene, Napoli 1988, p.227 e ss.); l’obiezione dei Testimoni di Geova che rifiutano emotrasfusioni; l’obiezione dell’Avvocato divorzista o del Giudice «della famiglia», che crede nell’indissolubilità del sacro vincolo matrimoniale; l’obiezione del farmacista contrario alle pillole abortive; l’obiezione di coscienza, prevista dalla legge 40, dinnanzi alla fecondazione artificiale; l’obiezione di coscienza con riferimento alle vaccinazioni obbligatorie; l’obiezione di carattere fiscale; la cd. “obiezione fiscale”; [11] Socrate in Platone, Apologia di Socrate, XVIII; [12] La “cooperazione formale” si verifica quando l’intenzione del soggetto cooperante è la medesima dell’agente principale; condividere lo stesso obiettivo non significa necessariamente desiderarlo. Un’infermiera che assiste un medico impegnato a compiere un atto eutanasico su di un paziente sta cooperando formalmente all’eutanasia stessa. La “cooperazione materiale” si verifica invece quando si coopera a un’azione malvagia senza condividere l’obiettivo dell’agente principale. Tuttavia, noi siamo moralmente responsabili non solo per ciò che intendiamo fare direttamente, ma anche per le conseguenze prevedibili delle nostre scelte; [13] Madre Teresa cit. in Liverani P.G. Dateli a me. Madre Teresa e l’impegno per la vita, Città Nuova, Roma 2003 p. 138; [14] Cfr. Ratzinger J. L’Elogio della coscienza. La verità interroga il cuore, Cantagalli 2009, pp. 154-160; [15] Piana G. (2002) La coscienza nell’attuale contesto culturale, «Credere Oggi»; Vol.128(2):5-14: p.8; [16] Cfr. Ratzinger J. L’Elogio della coscienza. La verità interroga il cuore. [17] Cfr. Spaemann R. Moralische Grundbegriffe, Beck, München 1982, p.81; [18] Tolkien J.R.R. La realtà in trasparenza. Lettere 1914-1973, Bompiani, Milano 2001, p.289.
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