giovedì 14 agosto 2014

Mamma e papà, per i bimbi non sono la stessa cosa di Simona Martini, 14-08-2014, http://www.lanuovabq.it

La famiglia: mamma, papà e figli
Quando osservo, da psicologa, l'attuale dibattito relativo alle diverse tipologie possibili di famiglia, che secondo alcuni dovrebbero comprendere anche famiglie “arcobaleno”, dove coppie dello stesso sesso allevano uno o più bambini, e lo metto in relazione con l'individualismo ed il relativismo che dominano la nostra epoca, mi sorge spontanea una domanda: è davvero indifferente crescere in contesti così diversificati? Non sta invece accadendo che, dietro fiumi di parole atti a giustificare situazioni difformi dal contesto in cui ordinariamente un bambino dovrebbe vivere si cela una realtà diversa, in cui i figli diventano più oggetto di desideri e di capricci di persone adulte, ma poco mature, piuttosto che soggetti i cui diritti sono da tutelare offrendo loro le migliori opportunità di sviluppo possibili?

Tale interrogativo si può porre in diversi ambiti: separazioni/divorzi, famiglie allargate, “famiglie” omogenitoriali, cioè appunto con due “genitori” dello stesso sesso, e così via, ma, in questa sede, mi occuperò in particolare di queste ultime. Analizzando la letteratura sulla psicologia dello sviluppo appare impossibile adottare una prospettiva relativistica e individualistica. Innanzitutto, infatti, una volta appurata l'importanza dei fattori ambientali, che agiscono fin dalla vita intrauterina, nella formazione della personalità di un individuo, le teorie psicologiche si sono concentrate sull'importanza delle figure d’attaccamento, cioè di quelle persone che più di altre gravitano attorno al mondo del bambino, fornendogli cure e affetto. Si sa, infatti, che il bambino sviluppa un legame d’attaccamento tanto più forte a chi più prontamente risponde alle sue richieste, non tanto e non solo a quelle relative alla soddisfazione dei bisogni primari (in particolare, fornirgli il cibo necessario), quanto a quelle inerenti la socialità e l'amore. Va da sé che, nell'ordinarietà, tale ruolo è svolto dai genitori, i quali sono maggiormente motivati all'accudimento della propria prole, investendo notevoli energie, sia da un punto di vista emotivo/affettivo, sia da un punto di vista fisico, per non parlare del punto di vista economico. Grande importanza rivestono certamente anche figure che possono vicariare quelle genitoriali – per esempio i nonni –, ma che sono comunque secondarie, soprattutto se viste dalla prospettiva del bambino.

La psicologia dello sviluppo ha messo in evidenza, in particolare, i diversi ruoli che i genitori ricoprono nella crescita e nell'educazione dei propri figli, mostrando che padri e madri hanno funzioni complementari. Laddove le madri sono maggiormente orientate all'accudimento attraverso cure, coccole, accoglienza incondizionata, i padri tendono a rendere maggiormente emancipati i figli, anche attraverso un ruolo più normativo, favorendo così sia il normale processo di separazione del figlio dalla madre, con la quale nella primissima infanzia ha un rapporto quasi simbiotico, sia l'inizio e il mantenimento delle prime relazioni sociali. Il sano sviluppo di ogni individuo, inoltre, passa attraverso il rapporto con l'alterità, che permette l'acquisizione di nuove conoscenze e modalità relazionali. Numerosi studi, infatti, mettono in luce l'importanza della presenza di entrambe le figure genitoriali, mostrando che, per esempio, l'assenza del padre crea non pochi problemi nella vita del bambino.

Si potrà obiettare che esistono famiglie decisamente “anomale” da questo punto di vista (sia in seguito a separazioni, sia in seguito a lutti, o altro), i cui figli non risentono di problemi. Certo: ma questo richiede da parte delle figure di riferimento grandi sforzi e capacità, che non sempre si riescono a mettere in gioco. Dette situazioni “anomale”, dunque, costituiscono sempre fattori di rischio rispetto alla salute del figlio. Da un punto di vista anatomico, poi, il cervello dell'uomo e quello della donna differiscono significativamente, con inevitabili conseguenze anche sotto l'aspetto relazionale e comportamentale. Per non fare che un esempio, il corpo calloso del cervello femminile, cioè quella struttura costituita da fasci di fibre che collegano i due emisferi, è più grosso nelle donne, con la conseguenza di una maggior comunicazione tra i due emisferi cerebrali: le femmine, perciò, subiscono maggiormente l'influenza dell'emisfero destro rispetto ai maschi. Segue da ciò che la donna, nelle sue interazioni, appare più emotiva, mentre l'uomo è più razionale. Il modo di ragionare è diverso: l'emisfero sinistro, dominante, esegue processi in modo sequenziale, mentre quello destro li esegue in parallelo. Perciò la donna, maggiormente influenzata dalle capacità dell'emisfero destro, appare più dotata di intuito.

Donne e uomini non sono uguali. Per crescere in modo equilibrato, il bambino ha bisogno di un padre e di una madre. Tornando appunto al bambino, si sa che il lungo processo di costruzione della propria personalità inizia a partire dall'osservazione delle proprie figure d’attaccamento, e in particolare dei propri genitori. Da tale osservazione scaturisce una forma di apprendimento molto potente, che permetterà di affrontare il mondo prendendo esempio dai comportamenti e dai vissuti genitoriali. Un figlio, però, non si limita a osservare le proprie figure d’attaccamento: interagisce con esse, imparando così a relazionarsi con la diversità insita negli atteggiamenti, nei pensieri e nelle emozioni dell'uno e dell'altro genitore, diversità dovuta sia alle differenze che caratterizzano ogni singolo individuo, in quanto unico, sia alla complementarietà dell'universo maschile e femminile.

Si capisce dunque, da quanto ho appena spiegato, l'importanza della complementarietà del sesso dei genitori, proprio in relazione alle maggiori opportunità comportamentali e relazionali offerte al figlio. Qualora invece le figure d'attaccamento di un bambino fossero dello stesso sesso, questi sarebbe privato, o quantomeno limitato, in modo immotivato e gratuito della possibilità di apprendere a relazionarsi, fin dalle primissime fasi dello sviluppo, con la complementarietà del mondo maschile e femminile. E non si può certo escludere a priori che tale privazione rappresenti anche un potenziale motivo di sofferenza per chi maggiormente deve essere tutelato.

*Psicologa e psicoterapeuta

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