giovedì 19 aprile 2012


La missione della famiglia di Benedetto XVI, 19-04-2012, http://www.labussolaquotidiana.it

Nel giorno in cui Benedetto XVI festeggia i suoi sette anni di pontificato pubblichiamo questa sua riflessione tratta dall'ultimo libro "L'amore si apprende. Le stagioni della famiglia" in uscita per Libreria Editrice Vaticana e San Paolo (pp. 218, euro 16).

Il presupposto dal quale occorre partire, per poter comprendere la missione della famiglia nella comunità cristiana e i suoi compiti di formazione della persona e trasmissione della fede, rimane sempre quello del significato che il matrimonio e la famiglia rivestono nel disegno di Dio, creatore e salvatore. (...)


Matrimonio e famiglia non sono in realtà una costruzione sociologica casuale, frutto di particolari situazioni storiche ed economiche. Al contrario, la questione del giusto rapporto tra l’uomo e la donna affonda le sue radici dentro l’essenza più profonda dell’essere umano e può trovare la sua risposta soltanto a partire da qui. Non può essere separata cioè dalla domanda antica e sempre nuova dell’uomo su se stesso: chi sono? cosa è l’uomo? E questa domanda, a sua volta, non può essere separata dall’interrogativo su Dio: esiste Dio? e chi è Dio? qual è veramente il suo volto?

La risposta della Bibbia a questi due quesiti è unitaria e consequenziale: l’uomo è creato ad immagine di Dio, e Dio stesso è amore. Perciò la vocazione all’amore è ciò che fa dell’uomo l’autentica immagine di Dio: egli diventa simile a Dio nella misura in cui diventa qualcuno che ama. Da questa fondamentale connessione tra Dio e l’uomo ne consegue un’altra: la connessione indissolubile tra spirito e corpo: l’uomo è infatti anima che si esprime nel corpo e corpo che è vivificato da uno spirito immortale. Anche il corpo dell’uomo e della donna ha dunque, per così dire, un carattere teologico, non è semplicemente corpo, e ciò che è biologico nell’uomo non è soltanto biologico, ma è espressione e compimento della nostra umanità. Parimenti, la sessualità umana non sta accanto al nostro essere persona, ma appartiene ad esso. Solo quando la sessualità si è integrata nella persona, riesce a dare un senso a se stessa.

Così, dalle due connessioni, dell’uomo con Dio e nell’uomo del corpo con lo spirito, ne scaturisce una terza: quella tra persona e istituzione. La totalità dell’uomo include infatti la dimensione del tempo, e il “sì” dell’uomo è un andare oltre il momento presente: nella sua interezza, il “sì” significa “sempre”, costituisce lo spazio della fedeltà. Solo all’interno di esso può crescere quella fede che dà un futuro e consente che i figli, frutto dell’amore, credano nell’uomo. La libertà del “sì” si rivela dunque libertà capace di assumere ciò che è definitivo: la più grande espressione della libertà non è allora la ricerca del piacere, senza mai giungere a una vera decisione; è invece la capacità di decidersi per un dono definitivo, nel quale la libertà, donandosi, ritrova pienamente se stessa. In concreto, il “sì” personale e reciproco dell’uomo e della donna dischiude lo spazio per il futuro, per l’autentica umanità di ciascuno, e al tempo stesso è destinato al dono di una nuova vita. Perciò questo “sì” personale non può non essere un “sì” anche pubblicamente responsabile, con il quale i coniugi assumono la responsabilità pubblica della fedeltà.

Nessuno di noi infatti appartiene esclusivamente a se stesso: pertanto ciascuno è chiamato ad assumere nel più intimo di sé la propria responsabilità pubblica. Il matrimonio come istituzione non è quindi una indebita ingerenza della società o dell’autorità, l’imposizione di una forma dal di fuori; è invece esigenza intrinseca del patto dell’amore coniugale.

Le varie forme odierne di dissoluzione del matrimonio, come le unioni libere e il “matrimonio di prova”, fino allo pseudo-matrimonio tra persone dello stesso sesso, sono invece espressioni di una libertà anarchica, che si fa passare a torto per vera liberazione dell’uomo. Una tale pseudo-libertà si fonda su una banalizzazione del corpo, che inevitabilmente include la banalizzazione dell’uomo. Il suo presupposto è che l’uomo può fare di sé ciò che vuole: il suo corpo diventa così una cosa secondaria dal punto di vista umano, da utilizzare come si vuole. Il libertinismo, che si fa passare per scoperta del corpo e del suo valore, è in realtà un dualismo che rende spregevole il corpo, collocandolo per così dire fuori dall’autentico essere e dignità della persona.

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