sabato 31 maggio 2014

Il Tar: "la pillola del giorno dopo non è abortiva", Avvenire, 31 maggio 2014

Non occorre una laurea in medicina per intuire che un farmaco ideato allo scopo di impedire una gravidanza se assunto prima di un rapporto sessuale si chiama contraccettivo ma quando viene assimilato subito dopo diventa per forza di cose potenzialmente abortivo, visto che la sua azione è orientata a impedire l’annidamento dell’ovulo eventualmente fecondato e quindi di causare la morte della vita umana appena sbocciata. Eppure il concetto è tutt’altro che condiviso.

Dopo la modifica del foglietto illustrativo del Norlevo – la «pillola del giorno dopo», definita con un singolare neologismo «contraccettivo d’emergenza» – a opera dell’Agenzia italiana del farmaco, che il 17 dicembre 2013 aveva accolto la richiesta dell’azienda produttrice (la francese Hra Pharma) per togliere dal "bugiardino" l’avvertimento sulla sua potenziale abortività, ora è la magistratura a intervenire affermando che «recenti studi hanno dimostrato che il farmaco Norlevo non è causa di interruzione di gravidanza».

Il motivo dell’intervento è il ricorso al Tar del Lazio per sospendere gli effetti della delibera Aifa (operativa dal 4 febbraio) avanzato il 1° aprile da cinque associazioni d’ispirazione cattolica: Giuristi per la vita, Farmacisti cattolici, Forum delle famiglie, Ginecologi cattolici e Pro Vita. Senza dettagliare quali siano questi «recenti studi», quanto siano autorevoli e soprattutto ignorando altre 119 ricerche di cui erano stati messi al corrente dai ricorrenti con un corposo dossier, i giudici amministrativi hanno deciso giovedì di respingere l’istanza cautelare salvando il discusso foglietto che per anni aveva chiarito che il Norlevo (da assumere entro 72 ore dal rapporto "a rischio" di gravidanza) «potrebbe anche impedire l’impianto» dell’embrione.

«È vero che l’ordinanza del Tar riguarda la fase cautelare del procedimento e che occorre attendere la sentenza – commenta Gianfranco Amato, presidente dei Giuristi per la vita –, però questa decisione rischia di apparire come un pesante ostacolo per l’esercizio del diritto di obiezione di coscienza in tema di interruzione volontaria della gravidanza da parte degli operatori sanitari». Le cinque associazioni, aggiunge Amato, «stanno comunque valutando l’opportunità di proporre appello al Consiglio di Stato contro l’ordinanza».

La partita dunque non è finita, ma occorre che i giudici siano disponibili a una valutazione degli esatti termini scientici della questione, o almeno valutino più attentamente il «principio di precauzione» che, secondo il farmacologo dell’Università di Torino Mario Eandi, dovrebbe valere in un caso come questo nel quale la comunità scientifica è ancora divisa. «Gli argomenti contro l’abortività del farmaco sono discutibili – spiega Eandi –, se non altro perché nessuno può seriamente escludere allo stato delle conoscenze che Norlevo possa essere abortivo vista la sua interazione sul trasporto e l’annidamento della nuova vita nell’utero materno.

Su questioni scientifiche la magistratura dovrebbe essere più prudente, come insegna il caso Stamina». Di «scienza manipolata» parla senza mezzi termini il presidente dei ginecologi cattolici Giuseppe Noia: «L’efficienza del farmaco – aggiunge – dipende dai tempi di assunzione: quanto più ci si avvicina al termine delle 72 ore, e a maggior ragione dopo averle superate, tanto più cresce la probabilità che si registri una gravidanza. Dunque, è persino banale concludere che se c’è stato un concepimento il farmaco è abortivo».

Alla base del nuovo bugiardino c’è però «l’idea che l’inizio della vita non coincida col concepimento ma con l’impianto dell’embrione nell’utero. Per sostenerlo si è fatto ricorso negli anni ad autentiche invenzioni prive di fondamento scientifico, come il pre-embrione e l’ootide, ma la realtà non si può cambiare con artifici concettuali».

Francesco Ognibene
© riproduzione riservata

giovedì 29 maggio 2014

“BACHECA DI BIOETICA”: [Notizie PRO-LIFE] La difesa della vita ha bisogno di verità: un punto fermo per la strategia prolife. 2. La fedeltà alla verità come strategia prolife, Comitato Verità e Vita

Nell'articolo precedente ho cercato di individuare le cause del disastroso fallimento della strategia perseguita da chi volle a tutti i costi l'approvazione della legge 40 sulle fecondazione artificiale, nonostante la tenace opposizione di un minoritario gruppo di prolife: il tradimento della verità.
La fedeltà alla verità ha due aspetti, entrambi importanti.

Il primo è quello che il prof. D'Agostino, nell'articolo su Avvenire del 15 aprile, definisce la "verità delle cose": è l'adesione alla realtà naturale, il riconoscimento – senza nessuna censura, né verso se stessi, né verso gli altri – di cosa avviene veramente; cosicché una raffigurazione "vera" della fecondazione in vitro parte dalla constatazione che gli embrioni prodotti sono esseri umani, passa dalla morte certa e prevista della maggior parte di loro, valuta per quello che sono le barbare pratiche del congelamento, della diagnosi preimpianto e della sperimentazione sugli embrioni.
Non solo: un atteggiamento fedele alla realtà non nasconde l'ideologia della fecondazione in vitro, che produce l'uomo, lo seleziona, lo fornisce ai richiedenti, lo rende un prodotto esente da difetti o utile per gli esperimenti … basta pagare.

Vi è poi la verità sulle leggi. Si tratta di un giudizio diverso e – direi – molto più difficile, che il Comitato Verità e Vita ha nel suo DNA. 
La difficoltà nel giudicare una legge sta innanzitutto nel tecnicismo che inevitabilmente è richiesto, soprattutto nell'epoca contemporanea in cui le leggi sono sempre più complesse; vi è poi il problema delle "leggi ipocrite", quelle il cui testo nasconde la portata effettiva della decisione politica che è stata assunta: le leggi degli ultimi decenni in materia bioetica descrivono, di solito, un "procedimento", un "protocollo", il cui esito è la condotta che – di fatto – viene autorizzata (ad esempio: le pratiche di fecondazione in vitro, oppure l'aborto volontario o ancora – si pensi al famigerato "protocollo di Groningen" – l'uccisione di un bambino).

Non vi è dubbio che è più facile criticare aspramente un progetto di legge piuttosto che una legge definitivamente approvata: lo dimostra la battaglia a viso aperto che i Giuristi per la Vita, la Nuova Bussola Quotidiana e altri soggetti stanno facendo per contrastare l'approvazione della liberticida legge sull'omofobia; nonostante la censura dei media, in qualche modo è possibile argomentare e denunciare il reale contenuto del progetto di legge e gli effetti che esso avrà se definitivamente approvato, suscitando una grande attenzione nella popolazione.
Una discussione del genere fu tacitata prima dell'approvazione della legge 40, in conseguenza della scelta fatta dall'alto: si impedì alle persone di comprendere ciò che veniva autorizzato.

Molto più difficile è l'opera successiva all'approvazione della legge. 
La caratteristica delle leggi ingiuste è di stravolgere e nascondere la verità sulla loro natura e sui loro effettivi contenuti, ma anche sulla realtà sottostante, sulle pratiche che si autorizzano: sulla "verità delle cose".
Ciò è già evidente per le pratiche di fecondazione in vitro: provate ora – solo dieci anni dopo l'approvazione della legge 40! – a convincere le persone che gli embrioni prodotti sono esseri umani e che la maggior parte di loro muore! O che queste tecniche sono antiumane, ledono la dignità degli esseri prodotti, spingono inevitabilmente verso la selezione eugenetica! 
Come dimenticare che i primi commenti "ufficiali" da parte cattolica sui primi anni di attuazione della legge 40 evidenziavano con soddisfazione che la legge "funzionava", tanto che il ricorso alla fecondazione in vitro era aumentato!
Quello che si poteva – anzi: si doveva! – dire di male della fecondazione artificiale fu tenuto nascosto ai più prima dell'approvazione della legge; ora – quando ormai le tecniche sono fornite dal Servizio Sanitario nazionale – è molto più difficile, perfino nel mondo cattolico.

E così la battaglia contro le leggi ingiuste è ardua, difficile, è percepita con fastidio perché non riesce a far emergere l'essenza di quella legge e della pratica ingiusta che autorizza.

Lo stato dell'opposizione alla iniqua legge sull'aborto, che da 36 anni permette di uccidere legalmente i bambini in Italia, ne è la dimostrazione: non solo la popolazione ritiene l'autodeterminazione della donna un dato acquisito, indiscutibile, e ritiene impossibile metterlo in discussione, ma la natura stessa dell'aborto – l'uccisione cruenta di un essere umano vivo e felice – è ormai quasi ignorata; il bambino non c'è più, è nascosto, dimenticato.

Forte è, quindi, la tentazione di condurre battaglie parziali. 
Ma si può davvero – ad esempio – spingere per una maggiore presenza dei Centri di Aiuto alla Vita negli ospedali senza contestualmente ribadire l'iniquità della legge? Oppure il patto tacito è quello di non contestare l'ingiustizia della legge (fino all'eccesso di zelo di qualcuno che ha definito la legge la "migliore possibile")?
Il criterio non può che essere quello della verità integrale, sulla legge e sull'aborto: solo se affermo pubblicamente che è ingiusto che la legge permetta alla donna incinta di scegliere liberamente di uccidere il proprio figlio e che, quindi, questa legge deve essere spazzata via, allora potrò davvero aiutare la donna a "scegliere" di non uccidere, indicandole la natura dell'atto che la legge le permette di compiere.
Molte battaglie parziali – una fra tutte: quella contro la RU486 contrapposta all'aborto chirurgico – sembrano talvolta voler nascondere la verità intera: quasi che si voglia parlare d'altro per distrarre il popolo prolife dall'obiettivo – l'unico vero obiettivo che si debba perseguire: il divieto dell'aborto volontario, la negazione del principio di autodeterminazione.

Ecco perché la Marcia per la Vita – cui il Comitato Verità e Vita aderisce con entusiasmo – è quasi un miracolo: ha permesso di rimettere al centro la verità integrale sull'aborto e la verità integrale sulla legge 194, senza riserve, senza frasi lasciate a metà, senza eccessiva preoccupazione per i timori dei politici "amici" (che, ormai lo abbiamo capito, diranno sempre che "non è il momento", che "si rischia di peggiorare la legge" e che "bisogna lasciar fare a loro" …).

L'unica strategia del mondo prolife è la verità tutta intera: e così dovremo tutti imparare a dire che – come la matrigna legge 194 – la legge 40 è "integralmente iniqua" e che la fecondazione in vitro deve essere, senza se e senza ma, vietata dalla legge, così come l'aborto volontario.

Attenzione: la battaglia sull'eutanasia sta per riprendere! 
Davvero il mondo cattolico e prolife vuole ripetere l'errore fatto per la fecondazione artificiale con la legge 40? Davvero – come è successo nella precedente legislatura, in cui siamo arrivati ad un passo dall'approvazione di una legge sulle DAT "cattolica" (!) – rinunceremo a dire che un anziano, un disabile o un neonato prematuro sono uccisi se vengono lasciati morire, anche se, tempo prima, hanno lasciato scritto qualcosa o i genitori hanno deciso così; e che l'unica legge giusta per queste uccisioni è la norma penale sull'omicidio volontario?


Giacomo Rocchi

Belgio, casi di eutanasia aumentati di oltre il 700 per cento in 11 anni. Oggi sono cinque al giorno (almeno), 29 maggio 2014, http://www.tempi.it/

Nel 2013 nel paese sono state uccise 1.816 persone con la pratica della “buona morte”, nel 2003 erano 235. E i numeri sono certamente sottostimati.

eutanasia-dottore-olandaNel 2013 in Belgio sono state uccise 1.816 persone con l’eutanasia. I numeri pubblicati dal Le Soir evidenziano un aumento rispetto al 2012 del 26,8%, essendosi verificati in quell’anno 1.432 casi. In Belgio quindi si contano 150 casi di eutanasia al mese, cinque al giorno.
NUMERI PARZIALI. I numeri sono però parziali perché riguardano solo i casi regolarmente riferiti alla Commissione di controllo dell’eutanasia, creata in Belgio nel 2002 quando è stata approvata la legge con l’incarico di monitorare e punire gli abusi della norma (qui un elenco). In 10 anni la Commissione non ha mai riscontrato neanche un caso di irregolarità, anche perché il suo presidente è il pioniere dell’eutanasia Wim Distelmans, ma questo non significa che non ce ne siano.
Un famoso medico in Belgio, il dottor Cosyns, già nel 2007 dichiarava pubblicamente: «Io non consulto mai un secondo medico» nei casi di eutanasia, cosa richiesta dalla legge. Nel 2013, invece, ha detto davanti al Senato che l’ha chiamato per discutere l’estensione dell’eutanasia ai minori, poi approvata: «È dal 2011 che non riporto più alla Commissione i casi di eutanasia».

«BANALIZZAZIONE DELLA MORTE». In Olanda inoltre, dove la legge sull’eutanasia è molto simile a quella del Belgio, secondo uno studio di Lancet il 23 per cento di tutti i casi di eutanasia non viene riportato. Ma anche se aggiornati con questo difetto, i dati riferiti dalla Commissione belga impressionano se si pensa che dal 2003 le persone uccise con l’eutanasia nel paese sono aumentate di oltre il 700 per cento. Nel 2003, come mostra la tabella in alto, i casi erano 235 contro i 1.816 del 2013.
Le cifre, inoltre, sono cresciute in modo costante a conferma dell’allarme lanciato dai medici belgi: «La legge sull’eutanasia sta portando alla banalizzazione della morte».
@LeoneGrotti

martedì 27 maggio 2014

Perché si festeggia la mamma? Hadjadj: «La maternità è il luogo del mistero contro la tecnocrazia dell’utero in affitto», Maggio 26, 2014, http://www.tempi.it/


Ieri in Francia si è celebrata la “Festa della mamma”, in un clima sociale che tende a stravolgerne la figura. Il filosofo Hadjadj ironizza: «Vogliono imporci la “festa delle madri surrogate” e “dell’utero artificiale”»Fabrice_Hadjadj.
Ieri non è stato solo il giorno delle elezioni europee a Parigi. I francesi hanno infatti celebrato la “Festa della mamma” in un clima sociale dove si cerca di sminuire il ruolo della maternità e della donna con l’utero in affitto, quello della famiglia con il matrimonio gay e quello del concepimento con la fecondazione assistita. Secondo il filosofo Fabrice Hadjadj, intervistato per l’occasione dal Le Figaro, questa ricorrenza viene festeggiata in un momento storico in cui in Francia la «commercializzazione tecno-liberale» vorrebbe imporre «nuove “feste” gioiose per il 21esimo secolo: dopo i padri e i nonni, la “festa delle madri surrogate”, la “festa dell’utero artificiale”, la “festa dei papà-senza-mamma-grazie-agli-ingegneri-della-compassione”, eccetera».


PERCHÉ FESTEGGIARE LA MAMMA. Non solo. «Nel frattempo – continua il filosofo – per festeggiare la sua mamma malata, il nostro governo sembra orientarsi verso nuove idee-regalo grazie alla legalizzazione dell’eutanasia». Davanti a tutti questi «stravolgimenti», «perché festeggiare ancora?». Per Hadjadj, «ogni festa è prima di tutto una celebrazione della vita. Una festa per essere tale presuppone che l’esistenza sia giustificata, che la nascita non sia solamente un regalo dei vermi». E non a caso uno «dei comandamenti più antichi dice “Onora il padre e la madre”, precedendo il “Non uccidere”. Viene prima perché significa: “Ama la vita che hai ricevuto”. Se la vita non fosse una cosa buona in sé, perché non distruggerla? Non ha senso dire “non uccidere”, se prima non si onorano i genitori che ci hanno dato la vita».
La maternità, dunque, «è questa situazione originaria dove una persona fa spazio all’altro nel suo proprio corpo, fino alla deformazione, fino a consentire una certa aggressione (nausee, dolori). Questa non è negazione di sé, ma dono della vita. Bisogna quindi festeggiare la maternità non solo perché è la nostra matrice, ma anche perché è modello di generosità, una speranza in atto».

UTERO IN AFFITTO MASCHILISTA. Ma qual è il ruolo della maternità nella Francia di oggi, in cui anche le femministe appoggiano l’ipotesi di legalizzare l’utero in affitto? Per il filosofo è un controsenso, visto che «la maternità è il potere più specifico del femminile: è ciò che fa dipendere l’uomo dalla donna per la possibilità di avere un avvenire. L’utero in affitto, che si potrebbe concepire come un accessorio di liberazione femminile, permette piuttosto di confermare il dominio degli uomini o almeno la logica maschile sulla nascita. Un femminismo che va contro la maternità diventa rapidamente una rivendicazione di uguaglianza che si appiattisce sul livello del maschio, che vuole arrogarselo. [La maternità surrogata] sarebbe la rinuncia della donna al suo potere più singolare e proprio, quello che permette di porre fine al mondo bellicoso dei maschi».

MISTERO DELLA MATERNITÀ. Con la legalizzazione del matrimonio e dell’adozione gay, il governo socialista ha aperto la strada alla possibilità di creare famiglie strutturalmente mancanti della figura del padre o della madre. «L’uomo è un intreccio di carnale e spirituale. Fino ad oggi – ragiona Hadjadj – le generazioni sono sempre discese dall’unione di un uomo e una donna. Non si diventa madri senza un padre. Adesso però si può decidere di uscire dall’umano: si può negare alla carne la sua spiritualità, ridurla a un materiale, accoppiarsi in un laboratorio e fabbricare Ogm a base di homo sapiens sapiens».
Questa possibilità, però, non distruggerà mai «la maternità», che «si rapporta alla gestazione e la gestazione consiste nell’accogliere in sé un processo oscuro, misterioso, che comporta l’apparire di un altro. La tecnica si rapporta invece alla fabbricazione e la fabbricazione consiste nel produrre qualcosa esterno a sé (questa è la sola possibilità maschile), in un processo controllato e trasparente: in vitro. Ecco perché non dirò che il mistero della maternità è minacciato dalle nuove tecnologie ma che la maternità è il luogo stesso del mistero e rappresenta una resistenza radicale, più efficace di mille discorsi, all’impresa tecnocratica. Solo la maternità può garantire che un bambino resti un avvenimento e non il risultato di un programma».

lunedì 26 maggio 2014

“BACHECA DI BIOETICA”: NOTIZIE PRO-LIFE - La verità sulla legge 40 - di Giacomo Rocchi


Francesco D'Agostino, su Avvenire del 15 aprile, con l'articolo "L'etica essenziale" commentava la sentenza della Corte Costituzionale che ha spazzato via il divieto di fecondazione eterologa posto dalla legge 40 del 2004 e l'episodio di scambio di embrioni avvenuto all'Ospedale "Pertini". L'autorevole autore osservava che i commenti eludono il "cuore della questione", vale a dire "l'essenza del problema della procreazione assistita, che non è sanitario, né giuridico, ma etico". 

Il prof. D'Agostino ammoniva: "di etica dobbiamo parlare, perché l'etica non trova le sue radici nelle sentenze dei giudici, ma nella verità delle cose".

La "verità delle cose": un richiamo forte per me, chiamato alla presidenza del Comitato Verità e Vita al posto di Mario Palmaro, che definiva la nostra associazione "una piccola compagnia di gente che non si prefigge di cambiare il mondo a colpi di male minore e di compromessi, ma affermando qui e ora tutta la verità, pur sapendo che è messa in minoranza dall'opinione pubblica"!

Ma quale è l'essenza della fecondazione in vitro, la "verità delle cose"? 
"La procreazione assistita non è terapia, ma artificio; realizza sì, il desiderio genitoriale, ma col sacrificio di un numero spropositato di vite umane embrionali, create appositamente in provetta; altera i vincoli familiari (…); fa venire al mondo esseri umani per i quali la domanda identitaria fondamentale ("di chi sono figlio?") può arrivare a non avere risposta alcuna". 
D'Agostino concludeva richiamando ancora – due volte in una sola frase! – la verità: "La verità è che, fondandosi sul sistematico occultamento della verità generativa, la procreazione artificiale fa violenza a tutte le persone coinvolte in questa procedura".

"È consentito il ricorso alla procreazione medicalmente assistita": l'essenza della legge 40 del 2004 sta in questo periodo dell'art. 1: di fronte all'alternativa tra vietare e permettere quelle pratiche, la scelta fu la seconda: "è consentito".
Certo: quella scelta era circondata da finalità ("Al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana, è consentito …"), da limiti ("è consentito … alle condizioni e secondo le modalità previste dalla presente legge") e da garanzie ("la presente legge … assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito"). Sono i "paletti", caduti velocemente uno ad uno: nessun collegamento vincolante con i problemi di sterilità di coppia, sovrapproduzione degli embrioni, diagnosi preimpianto e selezione, congelamento selvaggio, nessun diritto per gli embrioni, tutti i diritti per i desideri degli adulti (mancano alcuni paletti: ma come sperare che anch'essi non saranno travolti?); soprattutto, il sacrificio di centinaia di migliaia di embrioni creati appositamente in provetta.
Ecco che i veli cadono e la verità sulla legge 40 appare con nitidezza: una legge che non solo permette, ma riconosce come diritto garantito e finanziato dallo Stato una pratica di violenza sugli esseri umani, che si fonda sulla menzogna, presentando come terapia pratiche che – con la morte programmata di innumerevoli esseri umani – servono a soddisfare ad ogni costo i desideri – qualunque desiderio! – degli adulti.

Giunti a questo punto, una domanda provocatoria: possiamo parlare di strategie? 
Beh, direi che dobbiamo parlare di strategie, visto che la legge 40 è stata ideata, approvata e difesa, sotto la spinta del principale Movimento prolife del nostro Paese, dal mondo cattolico ufficiale, che ha ritenuto la legge sulla fecondazione artificiale "un primo passo nella giusta direzione" e che ha esclamato: "finalmente è finito il far west della provetta!".
Il fallimento della strategia è un fatto oggettivo, di cui non si può che prendere atto: il "far west della provetta" è stato in realtà legalizzato e reso definitivo. 
Le previsioni fatte da chi ha sostenuto la legge sono state oggettivamente smentite: basta leggere le risposte ad alcune domande del Presidente del Movimento per la Vita, nel libro pubblicato subito dopo l'approvazione[1]: "La legge è anticostituzionale? No, assolutamente. È una legge antieuropea? Al contrario. Da dove risulta che la diagnosi preimpianto è vietata? Lo stesso art. 13 alla lett. b) del terzo comma vieta ogni forma di selezione a scopo eugenetico e il primo comma vieta la soppressione di embrioni".

Il fallimento di una strategia – in ambiti diversi dal nostro – provocherebbe dimissioni o pentimenti pubblici; ma qui interessa piuttosto capireperché quella strategia è fallita e perché le previsioni erano sbagliate. 
Davvero possiamo rifugiarci dietro le toghe dei "magistrati cattivi e politicizzati"? 
Per quanto tempo potrà essere utilizzato il "far west" per giustificare, a decenni di distanza dall'approvazione della legge, il disastro che vediamo, il fenomeno che il prof. D'Agostino definisce di "una società che cammina a grandi passi verso la propria auto-dissoluzione"?
E tra questi "grandi passi" verso la autodissoluzione non c'è forse quel "primo passo" che – ahimè – non era affatto "nella giusta direzione"?

Due risposte possibili alle domande sui motivi del fallimento.
La prima: la legge 40 è stata frutto di una strategia ingenua, che riteneva di essere in grado di piegare a finalità "buone" (la cura della infertilità delle coppie coniugate, quindi stabili, eterosessuali, disponibili all'accoglienza dei bambini) una tecnica di origine zootecnica, sviluppata per la selezione e che quindi porta in sé sovrapproduzione, congelamento, diagnosi preimpianto, distruzione, sperimentazioni sugli embrioni. Un'ingenuità pagata a caro prezzo, con la caduta di tutti i paletti, travolti dalla potenza economica, scientifica e mediatica della fecondazione artificiale, un business enorme in tutto il mondo, capace di convincere, in un modo o nell'altro, chiunque …

La seconda: fu approvata a tutti i costi una legge di compromesso, con la consapevolezza degli effetti dell'applicazione delle tecniche - primo fra tutti: la morte di innumerevoli embrioni - nell'indifferenza verso l'obiettivo della difesa integrale della vita e della famiglia. 
Lo si fece per vincere una singola battaglia politica, disinteressandosi dell'esito della guerra.
Che questa sia la risposta esatta (che non esclude un buon tasso di ingenuità) si coglie da tanti aspetti: ad esempio dal fatto che, da molti anni, un gruppo di sinceri prolife aveva pubblicamente ammonito che "la fecondazione umana extracorporea (omologa ed eterologa) è eticamente inaccettabile in quanto viola il diritto alla vita e la dignità della persona umana; (essa) comporta la decisione di ricercare la nascita di un figlio mediante l'intervento di tecnici estranei, pur nella consapevolezza del sacrificio di embrioni fratelli; non è un trattamento terapeutico perché non cura né rimuove le cause della sterilità"[2], continuando, fino all'approvazione della legge 40, a ribadire che "il riconoscimento del diritto alla vita fin dalla fecondazione è intrinsecamente impossibile usando la tecnica FIVET,  non importa se omologa o eterologa. L'aborto entro tempi in genere brevissimi di ogni concepito-in-provetta è infatti un aborto procurato, volontario e, in ultima analisi, premeditato"[3]. 

Il Comitato Verità e Vita è stato costituito subito dopo l'approvazione della legge 40 per continuare ad affermare queste verità.

Eppure la scelta fu di permettere la fecondazione in vitro omologa e di vietare quella eterologa; disciplina giustificata con una distinzione artificiosa, non a caso oggi esplicitamente sconfessata dal prof. D'Agostino: da una parte vi sarebbe una distruzione programmata e premeditata di embrioni derivante dalla loro sovrapproduzione, congelamento e selezione, dall'altra la morte – non procurata direttamente, né programmata – della stragrande maggioranza di embrioni prima e dopo il trasferimento in utero. 
Si giunse addirittura a sostenere che "una volta che gli embrioni sono trasferiti in utero essi sono affidati alla natura. Molti muoiono anche nel caso di fecondazione naturale e comunque manca una programmazione diretta e premeditata della distruzione di nuovi esseri umani"[4]: un artificio semantico, che cancellava dallo scenario centinaia di migliaia di embrioni morti dopo la produzione, ritenendo "uccisi" solo pochi di essi.
L'ipocrisia di tale posizione – che giungeva a presentare il ricorso alla fecondazione in vitro omologa nell'ambito della legge 40 come un problema di "morale cattolica" – era ben rappresentata dal numero massimo, fissato dalla legge, di embrioni producibili: tre; da esso si deduceva che uno o due embrioni prodotti erano comunque destinati alla morte. Sarebbe stata la Corte Costituzionale a svelare l'ipocrisia, individuando nella legge "un limite alla tutela apprestata all’embrione, poiché anche nel caso di limitazione a soli tre del numero di embrioni prodotti, si ammette comunque che alcuni di essi possano non dar luogo a gravidanza"[5].
Che dire poi del congelamento degli embrioni, deprecato in pubblico e permesso esplicitamente dall'art. 14, comma 3 della legge? E del mancato espresso divieto della diagnosi genetica preimpianto, tecnica ampiamente conosciuta all'epoca di approvazione della legge 40? E dell'esplicita "salvezza" delle norme della legge 194 sull'aborto anche per i (pochissimi) embrioni che fossero riusciti ad impiantarsi nell'utero materno?

Il fallimento della strategia che ha portato all'approvazione della legge 40 del 2004, a mio parere, ha una vera ed unica causa: il tradimento della verità. 
Si fingeva di voler autorizzare le tecniche di fecondazione artificiale per casi limitati e solo per scopi "buoni"; in realtà si accettava la logica della fecondazione in vitro e le inevitabili conseguenze che essa portava. Le sentenze dei giudici e della Corte Costituzionale sono, quindi, commentate con indignazione apparente da chi aveva previsto (o almeno: non poteva non averlo fatto) l'evoluzione in atto.
Eppure, con il Manifesto Appello del 28/2/2004, il Comitato Verità e Vita denunciava che "senza sacrificare embrioni umani non è possibile fare la FIVET omologa. Il diritto alla vita degli embrioni dei quali sia avvenuto l’impianto è violato a favore del principio di autodeterminazione della madre, in forza della confermata vigenza della legge 194/78. (La FIVET)  riduce l’uomo-embrione a oggetto da usare come mezzo per ottenere una gravidanza; incoraggia la selezione eugenetica dei concepiti per l’eliminazione dei difettosi; crea le premesse per l’uccisione dei gemelli con l’aborto selettivo – legale in forza della legge 194/78 – nel caso di gravidanze plurime. Inoltre, non è oggettivamente possibile garantire una effettiva tutela giuridica a un embrione umano che si trovi fuori del corpo della madre"[6].

E allora: quale strategia è necessaria? Lo vedremo nel prossimo articolo.

Giacomo Rocchi



[1] Carlo Casini, La legge sulla fecondazione artificiale. Un primo passo nella giusta direzione, Cantagalli, Siena, 2004
[2] Un annuncio doveroso, Studi Cattolici, novembre 1998
[3] Lettera alla Conferenza Episcopale italiana e a tutti i vescovi italiani, 1/1/2002
[4] Movimento per la Vita Italiano, Primo Rapporto al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 40, Si alla Vita, Agosto 2007
[5] Corte Costituzionale, sentenza n. 151 del 2009
[6] Manifesto Appello, Una legge gravemente ingiusta: la verità sulla fecondazione artificiale in vitro, http://www.comitatoveritaevita.it/pub/nav_Manifesto_Appello.php

Figli tolti alla famiglia e affidati a coppia gay di Lorenzo Schoepflin, 26-05-2014, http://www.lanuovabq.it/

Una decisione della sezione che si occupa di diritto familiare dell’Alta Corte di giustizia inglese rischia di diventare una pietra miliare sulla strada dell’equiparazione della famiglia omosessuale a quella naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. 
Alta Corte di Giustizia
Riepiloghiamo i fatti così come si possono apprendere dalle cronache locali (ne hanno parlato, tra gli altri, Bbc, The Independent e Daily Mail). Ad una coppia Rom di origine slovacca vengono sottratti i figli di due e quattro anni. La ragione di questa decisione risiede nel fatto che i genitori hanno non solo trascurato i due bambini, ma anche esagerato con le punizioni. Dalle testimonianze raccolte sono emersi episodi di percosse da parte del padre e sono state riscontrate condizioni di incuria, sporcizia e scarsa frequenza scolastica. Un degrado generale che ha dunque portato il Consiglio della Contea del Kent, che tra i suoi compiti ha anche quello di occuparsi degli interessi dei minori, a decidere per l’adozione dei due fratelli. 

Il Consiglio ha individuato in una coppia omosessuale, composta da due uomini, la “famiglia” a cui affidare i due bambini. Il ricorso avverso a questa scelta non si è fatto attendere e i due genitori si sono rivolti all’Alta Corte manifestando tutta la loro contrarietà. In particolare, come si evince non solo dai racconti degli organi di informazione, ma anche dalla sentenza stessa, la protesta della coppia è fondata su ragioni religiose (i due sono cattolici praticanti) e culturali (i genitori insistono molto sull’importanza delle loro origini). Innanzitutto va precisato che dalla sentenza emerge che la coppia ha da sempre respinto ogni osservazione circa il loro modo di fare i genitori, tanto da appellarsi anche alla Corte europea dei diritti umani. Corte che ha rigettato, nel dicembre del 2013, i ricorsi presentati separatamente da padre e madre. 

Ovviamente, a tutto ciò, si aggiunge la sorpresa per la scelta di una coppia gay per l’affidamento dei loro figli. Durante le audizioni, delle quali ampi stralci virgolettati sono riportati nella sentenza, i genitori dei due bambini hanno sottolineato che tale scelta è molto diversa da quella ragionevolmente prevedibile, soprattutto perché irrispettosa delle origini slovacche e della loro religione: «La Slovacchia non riconosce le unioni tra persone dello stesso sesso», hanno ricordato i due, e i bambini rischiano di crescere in una situazione conflittuale con quella fede cattolica che solo nell’unione sponsale tra uomo e donna riconosce il luogo naturalmente deputato alla trasmissione della vita e all’educazione dei figli.  

Nell’opporsi alla decisione, i genitori hanno dipinto uno scenario inquietante ma certamente non lontano dalla realtà dei fatti: «Questa è ingegneria sociale ed è uno sforzo cosciente e deliberato del Consiglio della Contea di Kent per trasformare i nostri figli da bambini slovacchi rom in bambini della classe media inglese». 

Questo il contesto in cui l’Alta Corte, nella persona del giudice James Munby, ha deciso di non accogliere il ricorso dei genitori, confermando così l’affidamento dei due fratelli alla coppia gay. Munby si è espresso nei seguenti termini: «Il fatto è che […] devo giudicare le questioni secondo la legge dell’Inghilterra e con riferimento alle norme di uomini e donne ragionevoli nella società inglese contemporanea. Le opinioni dei genitori, siano esse religiose, culturali, laiche o sociali, hanno diritto al rispetto, ma non possono essere determinanti».

L’esito di questa storia serve da lezione e ammonimento per una serie di ragioni, tra loro stesse intrecciate, che proviamo ad elencare in ordine sparso.

Primo: il riconoscimento del matrimonio omosessuale è il primo varco, impossibile da richiudere, per le adozioni di bambini da parte di coppie dello stesso sesso. E’ una ferita insanabile che mina direttamente il diritto di un bambino ad avere un padre e una madre. La rivendicazione dei diritti che sarebbero negati alle coppie omosessuali – presunta lacuna giuridica che secondo la lobby omosessuale è colmabile solo col riconoscimento pubblico delle unioni tra persone dello stesso sesso – è solo propedeutica all’ottenimento del via libera ad adottare un figlio. Proprio l’Inghilterra di Elton John ne è l’esempio lampante.

Secondo: culturalmente, ormai, l’educazione che una coppia omosessuale può impartire ad un bambino è ritenuta uguale – se non addirittura migliore, come nel caso specifico – a quella di una coppia eterosessuale. Si ritiene quindi che, per un bambino, crescere con un padre e una madre, con due padri o con due madri sia indifferente. Il modello di famiglia omosessuale non ha più niente di diverso da quello di famiglia naturale.

Terzo: da ciò discende che la tutela del miglior interesse del bambino – che si suppone sia la bussola che orienta le decisione di un organo istituzionale – può coincidere con la sua adozione da parte di una coppia omosessuale. In questo caso, siamo in un certo senso già oltre il figlio ottenuto da fecondazione eterologa ed utero in affitto commissionato da lesbiche o gay. Si tratta dell’affidamento a due uomini di un bambino nato e cresciuto nella propria famiglia naturale. Per il suo bene.

Quarto: la legge dello Stato annulla la legge naturale. Se uno Stato sceglie di riconoscere nel proprio ordinamento le unioni tra persone dello stesso sesso, non esiste più la possibilità di opporsi in nome dell’ovvia considerazione che in natura un bambino nasce da un uomo e una donna e che quindi ha bisogno di un padre e di una madre. Occorre adeguarsi allo standard legislativo e le proprie convinzioni culturali e religiose, seppur fondate sulla natura delle cose, vengono derubricate a opinioni personali rispettabili ma non vincolanti. 

Quinto: da ciò deriva che lo Stato ha il diritto di invadere la sfera educativa propria dei genitori, arrogandosi il diritto di scegliere per il figlio qualcosa che non rispecchia la loro volontà – orientata al bene del bambino, seppur in un quadro familiare poco limpido – e spingendosi fino a quelli che giustamente i due genitori rom hanno definito esperimenti di «ingegneria sociale». In ossequio alla teoria del gender, babbo e mamma devono fare un passo indietro.  

Per tutto questo, la decisione dell’Alta Corte inglese rischia di costituire un precedente che non riguarda solo la questione inerente la propaganda Lgbt. La quale, col ddl anti-omofobia alle porte, resta comunque il pericolo più immediato per la famiglia naturale e la libertà di educazione e di opinione. 

venerdì 23 maggio 2014

Ai medici italiani vietata la coscienza, di Renzo Puccetti e Stefano Alice, 22-05-2014, http://www.lanuovabq.it/


MediciNon sappiamo se i lettori, soprattutto i colleghi medici, leggendo il testo sfornato al termine della tre giorni torinese della Federazione degli ordini dei Medici (che verrà presentato ufficialmente il 23 maggio) ne ricaveranno la nostra stessa impressione; annunciato come una rivoluzione, un fuoco pirotecnico d'innovazione che avrebbe dovuto dare risposte all'evoluzione della medicina, ai bisogni di salute, ai progressi delle scienze biotecnologiche, ai cambiamenti di prospettiva dei valori, eravamo lì ad attendere il nuovo codice deontologico dei medici come quelli che nelle calde notti estive stanno immobili a bocca aperta e il naso all'insù per ammirare l'ultimo, indimenticabile botto pirotecnico. 

E invece? E invece l'impressione, sarà forse solo nostra e magari sbagliata, ma comunque la nostra impressione è che il risultato di tanti superesperti sia né più né meno che una fetecchia. Era stato annunciato che sarebbe scomparso il paziente, che tutti sarebbero diventate persone assistite e ora si scopre che si è pazienti se ci si cura, mentre per la prevenzione si è persone assistite. Ma se ci capiterà davanti qualcuno col diabete lo dovremo chiamare paziente quando prescriviamo l'ipoglicemizzante e persona assistita quando, una ricetta dopo, prescriviamo l'antiaggregante? Misteri della nuova deontologia. 

Più seria la cosa che si legge all'articolo 3, quello che tratta dei doveri del medico. Da un lato si obbliga il medico ad esercitare la professione limitando il suo sapere alle nozioni apprese durante il corso di studi, operazione assai ideologica di chiara impostazione riduzionista tecno-scientifica. Siamo medici, ma non smettiamo di essere uomini, portatori di un bagaglio di esperienze che di gran lunga eccede il cursus studiorum riflettendosi nel modo personale di esercitare quella che infatti con ragione è e rimane l'arte medica. Siamo noi medici che dovremmo spiegare ai docenti che cosa insegnare agli studenti per farne dei buoni medici e non il contrario, come ora è stato scritto. 

Nello stesso articolo si è poi voluto incatenare l'esercizio medico alle “innovazioni organizzative e gestionali in sanità”. Si tratta di un'espressione che può apparire innocua, ma invece è assai grave, perché vincola l'operato del medico a decisioni che possono essere estranee ed addirittura configgenti con l'interesse di tutela della salute della persona che gli siede davanti ed in lui ha riposto la propria fiducia. 

Questo codice tricchetracche non dice nulla sulla gerarchia di interessi da tutelare quando le esigenze di budget confliggono con la migliore cura per il paziente. Con due paroline buttate là il piatto è servito: la persona malata che vedrà il camice bianco avvicinarsi al suo letto d'ospedale non potrà più essere certa di distinguere il medico dal contabile. Si tratta di una rivoluzione così eclatante da indurre ben 10 ordini a votare contro il nuovo codice (Milano, Bologna, Lucca, Ferrara, Piacenza, Latina, Massa, Potenza). 

L'Ordine di Milano (26mila iscritti) e quello di Bologna (9852 tra medici ed odontoiatri) hanno altresì annunciato di volere continuare a fare riferimento al vecchio codice, oppure ad un codice emendato; si annunciano ricorsi, insomma il capolavoro dell'attuale dirigenza di essere riuscita a fare un patatrac dell'unità deontologica dei medici italiani è nei fatti. 

Per la prima volta accadrà che medici di diverse parti d'Italia seguono codici deontologici diversi, un unicum con implicazioni di enorme rilevanza per la categoria. Basta pensare alla ostinata volontà di volere cambiare l'articolo 22, quello che disciplina la clausola di coscienza. Se i colleghi di Milano, quando sarà loro richiesta una prestazione in contrasto con la coscienza dovranno dare solo le informazioni che ritengono lecite, a chi scrive e alla maggioranza dei colleghi italiani sarà fatto obbligo di fornire anche quelle “per consentire la fruizione della prestazione”.

Detto in altri termini noi obiettori all'aborto dovremmo indicare alla donna dove può andare per abortire, obbligandoci ad una collaborazione materiale diretta ad un'azione verso cui proviamo una repulsione totale. 

Questi sono solo alcuni dei tantissimi punti critici di questo documento che ci sembra fare acqua da tutte le parti, l'analisi è appena agli inizi. Quando per primi la scorsa estate lanciammo l'allarme dalle pagine di questo quotidiano fummo buoni profeti. Trovammo orecchie attente in molte realtà, a partire dagli amici e colleghi dei Medici Cattolici e di Scienza & Vita che per mesi hanno lavorato in modo approfondito riuscendo ad ottenere un indubbio miglioramento di un testo che nella sua prima versione si presentava come una sbobba venefica. Dispiace che tanto impegno e tanta saggezza abbiano trovato interlocutori così ideologicamente ostinati.

ECCO IL CODICE DELLA DISCORDIA
22-05-2014 
Codice di deontologia medica

CODICE DI DEONTOLOGIA MEDICA

TESTO FINALE CONSIGLIO NAZIONALE 

(Torino, 16-17-18 maggio 2014)





TITOLO I

CONTENUTI E FINALITA

Art. 1 
Definizione 

Il Codice di deontologia medica identifica le regole, ispirate ai principi di etica medica, che disciplinano l’esercizio professionale del medico chirurgo e dell’odontoiatra - di seguito indicati con il termine “medico” - iscritti ai rispettivi albi professionali.

Il Codice, in armonia con i principi etici di umanità e solidarietà e civili di sussidiarietà, impegna il medico nella tutela della salute individuale e collettiva vigilando sulla dignità, sul decoro, sull’indipendenza e sulla qualità della professione.

Il Codice regola anche i comportamenti assunti al di fuori dell’esercizio professionale quando ritenuti rilevanti e incidenti sul decoro della professione. 

Il medico deve conoscere e rispettare il Codice e gli indirizzi delle note allegate.

Il medico deve prestare il giuramento professionale che è parte costitutiva del Codice stesso.

Art. 2 
Potestà disciplinare

L’inosservanza o la violazione del Codice, anche se derivante da ignoranza, costituisce illecito disciplinare valutato secondo le procedure e nei termini previsti dall’ordinamento professionale. 

Il medico segnala all’Ordine ogni iniziativa tendente a imporgli comportamenti in contrasto con il Codice. 



TITOLO II

DOVERI E COMPETENZE  DEL MEDICO

Art. 3 
Doveri generali e competenze del medico

Doveri del medico sono la tutela della vita, della salute psico-fisica, il trattamento del dolore e il sollievo della sofferenza, nel rispetto della libertà e della dignità della persona, senza discriminazione alcuna, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera.

Al fine di tutelare la salute individuale e collettiva, il medico esercita attività basate sulle competenze, specifiche ed esclusive, previste negli obiettivi formativi degli Ordinamenti didattici dei Corsi di Laurea in Medicina e Chirurgia ed Odontoiatria e Protesi dentaria, integrate e ampliate dallo sviluppo delle conoscenze in medicina, delle abilità tecniche e non tecniche connesse alla pratica professionale, delle innovazioni organizzative e gestionali in sanità, dell’insegnamento e della ricerca. 

La diagnosi a fini preventivi, terapeutici e riabilitativi è una diretta, esclusiva e non delegabile competenza del medico e impegna la sua autonomia e responsabilità.

Tali attività, legittimate dall’abilitazione dello Stato e dall’iscrizione agli Ordini professionali nei rispettivi Albi, sono altresì definite dal Codice deontologico.



Art. 4 
Libertà, indipendenza della professione e autonomia, responsabilità del medico 

L’esercizio professionale del medico è fondato sui principi di libertà, indipendenza, autonomia e responsabilità.

Il medico ispira la propria attività professionale ai principi e alle regole della deontologia professionale senza sottostare a interessi, imposizioni o condizionamenti di qualsiasi natura.  



Art. 5 
Promozione della salute, ambiente e salute globale 

Il medico, nel considerare l'ambiente di vita e di lavoro e i livelli di istruzione e di equità sociale quali determinanti fondamentali della salute individuale e collettiva, collabora all’attuazione di idonee politiche educative, di prevenzione e di contrasto alle disuguaglianze alla salute e promuove l'adozione di stili di vita salubri, informando sui principali fattori di rischio. 

Il medico, sulla base delle conoscenze disponibili, si adopera per una pertinente comunicazione sull’esposizione e sulla vulnerabilità a fattori di rischio ambientale e favorisce un utilizzo appropriato delle risorse naturali, per un ecosistema equilibrato e vivibile anche dalle future generazioni. 



Art. 6
Qualità professionale e gestionale 

Il medico fonda l’esercizio delle proprie competenze tecnico-professionali sui principi di efficacia e di appropriatezza, aggiornandoli alle conoscenze scientifiche disponibili e mediante una costante verifica e revisione dei propri atti.

Il medico, in ogni ambito operativo, persegue l’uso ottimale delle risorse pubbliche e private salvaguardando l’efficacia, la sicurezza e l’umanizzazione dei servizi sanitari contrastando ogni forma di discriminazione nell’accesso alle cure.

Art. 7 
Status professionale 

In nessun caso il medico abusa del proprio status professionale.

Il medico che riveste cariche pubbliche non può avvalersene per vantaggio professionale.  

Il medico valuta responsabilmente la propria condizione psico-fisica in rapporto all’attività professionale. 



Art. 8 
Dovere di intervento 

Il medico in caso di urgenza, indipendentemente dalla sua abituale attività, deve prestare soccorso e comunque attivarsi tempestivamente per assicurare idonea assistenza.



Art. 9 
Calamità 

Il medico in ogni situazione di calamità deve porsi a disposizione dell'Autorità competente.



Art. 10 
Segreto professionale 

Il medico deve mantenere il segreto su tutto ciò di cui è a conoscenza in ragione della propria attività professionale.

 La morte della persona assistita non esime il medico dall’obbligo del segreto professionale. 

Il medico informa i collaboratori e discenti dell’obbligo del segreto professionale sollecitandone il rispetto. 

La violazione del segreto professionale assume maggiore gravità quando ne possa derivare profitto proprio o altrui, ovvero nocumento per la persona assistita o per altri. 

La rivelazione è ammessa esclusivamente se motivata da una giusta causa prevista dall’ordinamento vigente o dall’adempimento di un obbligo di legge.

Il medico non deve rendere all’Autorità competente in materia di giustizia e di sicurezza testimonianze su fatti e circostanze inerenti al segreto professionale.

La sospensione o l’interdizione dall’esercizio professionale e la cancellazione dagli Albi non dispensano dall’osservanza del segreto professionale. 



Art. 11 
Riservatezza dei dati personali

Il medico acquisisce la titolarità del trattamento dei dati personali previo consenso informato dell’assistito o del suo rappresentante legale ed è tenuto al rispetto della riservatezza, in particolare dei dati inerenti alla salute e alla vita sessuale.

Il medico assicura la non identificabilità dei soggetti coinvolti nelle pubblicazioni o divulgazioni scientifiche di dati e studi clinici.

Il medico non collabora alla costituzione, alla gestione o all’utilizzo di banche di dati relativi a persone assistite in assenza di garanzie sulla preliminare acquisizione del loro consenso informato e sulla tutela della riservatezza e della sicurezza dei dati stessi. 



Art. 12 
Trattamento dei dati sensibili 

Il medico può trattare i dati sensibili idonei a rivelare lo stato di salute della persona solo con il consenso informato della stessa o del suo rappresentante legale e nelle specifiche condizioni previste dall’ordinamento. 



Art. 13 
Prescrizione a fini di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione. 

La prescrizione a fini di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione è una diretta, specifica, esclusiva e non delegabile competenza del medico,  impegna la sua autonomia e responsabilità e deve far seguito alla diagnosi circostanziata o a un fondato sospetto diagnostico.

La prescrizione deve fondarsi sulle evidenze scientifiche disponibili, sull’uso ottimale delle risorse e sul rispetto dei principi di efficacia clinica, di sicurezza e di appropriatezza. 

Il medico tiene conto delle linee guida diagnostico-terapeutiche accreditate da fonti autorevoli e indipendenti quali raccomandazioni e ne valuta l’applicabilità al caso specifico. 

L’adozione di protocolli diagnostico-terapeutici o di percorsi clinico-assistenziali impegna la diretta responsabilità del medico nella verifica della tollerabilità ed efficacia sui soggetti coinvolti.

Il medico è tenuto a un’adeguata conoscenza della natura e degli effetti dei farmaci prescritti, delle loro indicazioni, controindicazioni, interazioni e reazioni individuali prevedibili e delle modalità di impiego appropriato, efficace e sicuro dei mezzi diagnostico-terapeutici. 

Il medico segnala tempestivamente all’Autorità competente le reazioni avverse o sospette da farmaci e gli eventi sfavorevoli o sospetti derivanti dall’utilizzo di presidi biomedicali. 

Il medico può prescrivere farmaci non ancora registrati o non autorizzati al commercio oppure per indicazioni o a dosaggi non previsti dalla scheda tecnica, se la loro tollerabilità ed efficacia è scientificamente fondata e i rischi sono proporzionati ai benefici attesi; in tali casi, motiva l’attività, acquisisce il consenso informato scritto del paziente e valuta nel tempo gli effetti.

Il medico può prescrivere, sotto la sua diretta responsabilità e per singoli casi, farmaci che abbiano superato esclusivamente le fasi di sperimentazione relative alla sicurezza e alla tollerabilità, nel rigoroso rispetto dell’ordinamento.

Il medico non acconsente alla richiesta di una prescrizione da parte dell’assistito al solo scopo di compiacerlo.

Il medico non adotta né diffonde pratiche diagnostiche o terapeutiche delle quali non è resa disponibile idonea documentazione scientifica e clinica valutabile dalla comunità professionale e dall’Autorità competente.

Il medico non deve adottare né diffondere terapie segrete.



Art. 14 
Prevenzione e gestione di eventi avversi e sicurezza delle cure. 

Il medico opera al fine di garantire le più idonee condizioni di sicurezza del paziente e degli operatori coinvolti, promuovendo a tale scopo l'adeguamento dell'organizzazione delle attività e dei comportamenti professionali e contribuendo alla prevenzione e alla gestione del rischio clinico attraverso: 

- l’adesione alle buone pratiche cliniche;

- l’attenzione al processo di informazione e di raccolta del consenso, nonché alla comunicazione di un evento indesiderato e delle sue cause;

- lo sviluppo continuo di attività formative e valutative sulle procedure di sicurezza delle cure; 

-  la rilevazione, segnalazione e valutazione di eventi sentinella, errori, “quasi-errori” ed eventi avversi valutando le cause e garantendo la natura riservata e confidenziale delle informazioni raccolte.



Art. 15 
Sistemi e metodi di prevenzione, diagnosi e cura non convenzionali

Il medico può prescrivere e adottare, sotto la sua diretta responsabilità, sistemi e metodi di prevenzione, diagnosi e cura non convenzionali  nel rispetto del decoro e della dignità della professione.

Il medico non deve sottrarre la persona assistita a trattamenti scientificamente fondati e di comprovata efficacia.

Il medico garantisce sia la qualità della propria formazione specifica nell’utilizzo dei sistemi e dei metodi non convenzionali, sia una circostanziata informazione per l’acquisizione del consenso.

Il medico non deve collaborare né favorire l’esercizio di terzi non medici nelle discipline non convenzionali riconosciute quali attività esclusive e riservate alla professione medica. 



Art. 16 
Procedure diagnostiche e interventi terapeutici non proporzionati 

Il medico, tenendo conto delle volontà espresse dal paziente o dal suo rappresentante legale e dei principi di efficacia e di appropriatezza delle cure, non intraprende né insiste in procedure diagnostiche e interventi terapeutici clinicamente inappropriati ed eticamente non proporzionati, dai quali non ci si possa fondatamente attendere un effettivo beneficio per la salute e/o un miglioramento della qualità della vita.

Il controllo efficace del dolore si configura, in ogni condizione clinica, come trattamento appropriato e proporzionato.

Il medico che si astiene da trattamenti non proporzionati non pone in essere in alcun caso un comportamento finalizzato a provocare la morte.



Art. 17 
Atti finalizzati a provocare la morte

Il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire atti finalizzati a provocarne la morte.



Art. 18 
Trattamenti che incidono sull’integrità psico-fisica 

I trattamenti che incidono sull’integrità psico-fisica sono attuati al fine esclusivo di procurare un concreto beneficio clinico alla persona.



Art. 19 
Aggiornamento e formazione professionale permanente 

Il medico, nel corso di tutta la sua vita professionale, persegue l’aggiornamento costante e la formazione continua per lo sviluppo delle conoscenze e delle competenze professionali tecniche e non tecniche, favorendone la diffusione ai discenti e ai collaboratori.  

Il medico assolve agli obblighi formativi.

L’Ordine professionale di appartenenza certifica i crediti acquisiti nei percorsi formativi e valuta le eventuali inadempienze.



 TITOLO III

RAPPORTI CON LA PERSONA ASSISTITA



Art. 20 
Relazione di cura 

La relazione tra medico e paziente è costituita sulla libertà di scelta e sull’individuazione e condivisione delle rispettive autonomie e responsabilità. 

Il medico nella relazione persegue l’alleanza di cura fondata sulla reciproca fiducia e sul mutuo rispetto dei valori e dei diritti e su un’informazione comprensibile e completa, considerando il tempo della comunicazione quale tempo di cura.



Art. 21 
Competenza professionale 

Il medico garantisce impegno e competenze nelle attività riservate alla professione di appartenenza, non assumendo compiti che non sia in grado di soddisfare o non sia legittimato a svolgere.



Art. 22 
Rifiuto di prestazione professionale  

Il medico può rifiutare la propria opera professionale quando  vengono richieste prestazioni che contrastino con la propria coscienza o con i propri convincimenti tecnico-scientifici, a meno che il rifiuto non sia di grave e immediato nocumento  per la salute della persona, fornendo comunque ogni utile informazione e chiarimento per consentire la  fruizione della prestazione.



Art. 23
Continuità delle cure 

Il medico garantisce la continuità delle cure e, in caso di indisponibilità, impedimento o del venir meno del rapporto di fiducia, assicura la propria sostituzione informando la persona assistita. 

Il medico che si trovi di fronte a situazioni cliniche alle quali non sia in grado di provvedere efficacemente, indica al paziente le specifiche competenze necessarie al caso in esame.


Art. 24 
Certificazione 

Il medico è tenuto a rilasciare alla persona assistita certificazioni relative allo stato di salute che attestino in modo puntuale e diligente i dati anamnestici raccolti e/o i rilievi clinici direttamente constatati od oggettivamente documentati.



Art. 25 
Documentazione sanitaria

Il medico deve, nell’interesse esclusivo della persona assistita, mettere la documentazione clinica in suo possesso a disposizione della stessa o dei suoi legali rappresentanti o di medici e istituzioni da essa indicati per iscritto.

Il medico, nei casi di arruolamento in un protocollo di ricerca, registra i modi e i tempi dell’informazione e del consenso informato anche relativamente al trattamento dei dati sensibili. 



Art. 26 
Cartella clinica 

Il medico redige la cartella clinica, quale documento essenziale dell’evento ricovero, con completezza, chiarezza e diligenza e ne tutela la riservatezza; le eventuali correzioni vanno motivate e sottoscritte.  

Il medico riporta nella cartella clinica i dati anamnestici e quelli obiettivi relativi alla condizione clinica e alle attività diagnostico-terapeutiche a tal fine praticate; registra il decorso clinico assistenziale nel suo contestuale manifestarsi o nell’eventuale pianificazione anticipata delle cure nel caso di paziente con malattia progressiva, garantendo la tracciabilità della sua redazione. 

Il medico registra nella cartella clinica i modi e i tempi dell’informazione e i termini del consenso o dissenso della persona assistita o del suo rappresentante legale anche relativamente al trattamento dei dati sensibili, in particolare in casi di arruolamento in protocolli di ricerca. 



Art. 27
Libera scelta del medico e del luogo di cura 

La libera scelta del medico e del luogo di cura costituisce diritto della persona. 

È vietato qualsiasi accordo tra medici tendente a influenzare la libera scelta della persona assistita, essendo consentito indicare, se opportuno e nel suo esclusivo interesse, consulenti o luoghi di cura ritenuti idonei al caso. 



Art. 28
Risoluzione del rapporto fiduciario 

Il medico, se ritiene interrotto il rapporto di fiducia con la persona assistita o con il suo rappresentante legale, può risolvere la relazione di cura con tempestivo e idoneo avviso, proseguendo la sua opera sino alla sostituzione con altro collega, cui sono trasmesse le informazioni e la documentazione utili alla continuità delle cure, previo consenso scritto della persona assistita.



Art. 29
Cessione di farmaci 

Il medico non può cedere farmaci a scopo di lucro. 



Art. 30 
Conflitto di interessi

Il medico evita qualsiasi condizione di conflitto di interessi nella quale il comportamento professionale risulti subordinato a indebiti vantaggi economici o di altra natura.

Il medico dichiara le condizioni di  conflitto di interessi riguardanti aspetti economici e di altra natura che possono manifestarsi nella ricerca scientifica, nella formazione e nell’aggiornamento professionale, nella prescrizione diagnostico-terapeutica, nella divulgazione scientifica, nei rapporti individuali e di gruppo con industrie, enti, organizzazioni e istituzioni, o con la Pubblica Amministrazione, attenendosi alle linee di indirizzo allegate.



Art. 31
Accordi illeciti nella prescrizione 

Al medico è vietata ogni forma di prescrizione concordata che possa procurare o procuri a se stesso o a terzi un illecito vantaggio economico o altre utilità.



Art. 32 
Doveri del medico nei confronti dei soggetti fragili 

Il medico tutela il minore, la vittima di qualsiasi abuso o violenza e la persona in condizioni di vulnerabilità o fragilità psico-fisica, sociale o civile in particolare quando ritiene che l’ambiente in cui vive non sia idoneo a proteggere la sua salute,  la dignità e qualità di vita.

Il medico segnala all’Autorità competente le condizioni di discriminazione, maltrattamento fisico o psichico, violenza o abuso sessuale.

Il medico, in caso di opposizione del rappresentante legale a interventi ritenuti appropriati e proporzionati, ricorre all’Autorità competente. 

Il medico prescrive e attua misure e trattamenti coattivi fisici, farmacologici e ambientali nei soli casi e per la durata connessi a documentate necessità cliniche, nel rispetto della dignità e della sicurezza della persona.



TITOLO IV

INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE

CONSENSO E DISSENSO

Art. 33 
Informazione e comunicazione con la persona assistita

Il medico garantisce alla persona assistita o al suo rappresentante legale un’informazione comprensibile ed esaustiva sulla prevenzione, sul percorso diagnostico, sulla diagnosi, sulla prognosi, sulla terapia e sulle eventuali alternative diagnostico-terapeutiche, sui prevedibili rischi e complicanze, nonché sui comportamenti che il paziente dovrà osservare nel processo di cura. 

Il medico adegua la comunicazione alla capacità di comprensione della persona assistita o del suo rappresentante legale, corrispondendo ad ogni richiesta di chiarimento, tenendo conto della sensibilità e reattività emotiva dei medesimi, in particolare in caso di prognosi gravi o infauste, senza escludere elementi di speranza.

Il medico rispetta la necessaria riservatezza dell’informazione e la volontà della persona assistita di non essere informata o di delegare ad altro soggetto l’informazione, riportandola nella documentazione sanitaria.

Il medico garantisce al minore elementi di informazione utili perché comprenda la sua condizione di salute e gli interventi diagnostico-terapeutici programmati, al fine di coinvolgerlo nel processo decisionale. 



Art. 34
Informazione e comunicazione a terzi 

L’informazione a terzi può essere fornita previo consenso esplicitamente espresso dalla persona assistita, fatto salvo quanto previsto agli artt. 10 e 12, allorché sia in grave pericolo la salute o la vita del soggetto stesso o di altri.

Il medico, in caso di paziente ricoverato, raccoglie gli eventuali nominativi delle persone indicate dallo stesso a ricevere la comunicazione dei dati sensibili.



Art. 35 
Consenso e dissenso informato 

L’acquisizione del consenso o del dissenso è un atto di specifica ed esclusiva competenza  del medico, non delegabile.

Il medico non intraprende né prosegue in procedure diagnostiche e/o interventi terapeutici senza la preliminare acquisizione del consenso informato o in presenza di dissenso informato.

Il medico acquisisce, in forma scritta e sottoscritta o con altre modalità di pari efficacia documentale il consenso o il dissenso del paziente, nei casi previsti dall’ordinamento e dal Codice e in quelli prevedibilmente gravati da elevato rischio di mortalità o di esiti che incidano in modo rilevante sull’integrità psico-fisica. 

Il medico tiene in adeguata considerazione le opinioni espresse dal minore in tutti i processi decisionali che lo riguardano. 



Art. 36
Assistenza d’urgenza e di emergenza

Il medico assicura l’assistenza indispensabile, in condizioni d’urgenza e di emergenza, nel rispetto delle volontà se espresse o tenendo conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento se manifestate. 



Art. 37 
Consenso o dissenso del rappresentante legale 

Il medico, in caso di paziente minore o incapace, acquisisce dal rappresentante legale il consenso o il dissenso informato alle procedure diagnostiche e/o agli interventi terapeutici. 

Il medico segnala all'Autorità competente l’opposizione da parte del minore informato e consapevole o di chi ne esercita la potestà genitoriale a un trattamento ritenuto necessario e in relazione alle condizioni cliniche procede comunque tempestivamente alle cure ritenute indispensabili e indifferibili.



Art. 38 
Dichiarazioni anticipate di trattamento 

Il medico tiene conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento espresse in forma scritta, sottoscritta e datata da parte di persona capace e successive a un’informazione medica di cui resta traccia documentale. 

La dichiarazione anticipata di trattamento comprova la libertà e la consapevolezza della scelta sulle procedure diagnostiche e/o sugli interventi terapeutici che si desidera o non si desidera vengano attuati in condizioni di totale o grave compromissione delle facoltà cognitive o valutative che impediscono l’espressione di  volontà attuali. 

Il medico, nel tenere conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento, verifica la loro congruenza logica e clinica con la condizione in atto e ispira la propria condotta al rispetto della dignità e della qualità di vita del paziente, dandone chiara espressione nella documentazione sanitaria. 

Il medico coopera con il rappresentante legale perseguendo il migliore interesse del paziente e in caso di contrasto si avvale del dirimente giudizio previsto dall’ordinamento e in relazione alle condizioni cliniche procede comunque tempestivamente alle cure ritenute indispensabili e indifferibili.



Art. 39 
Assistenza al malato con prognosi infausta o con definitiva compromissione dello stato di coscienza

Il medico non abbandona il malato con prognosi infausta o con definitiva compromissione dello stato di coscienza ma continua ad assisterlo e se in condizioni terminali impronta la propria opera alla sedazione del dolore e al sollievo dalle sofferenze tutelando la volontà, la dignità e la qualità della vita.

Il medico, in caso di definitiva compromissione dello stato di coscienza del malato, prosegue nella terapia del dolore e nelle cure palliative, attuando trattamenti di sostegno delle funzioni vitali finché ritenuti proporzionati, tenendo conto delle dichiarazioni anticipate di trattamento.



TITOLO V

TRAPIANTI DI ORGANI, TESSUTI E CELLULE

Art. 40 
Donazione di organi, tessuti e cellule 

Il medico promuove la cultura della donazione di organi, tessuti e cellule, collaborando all’informazione dei cittadini e sostenendo donatori e riceventi. 



Art. 41 
Prelievo di organi, tessuti e cellule a scopo di trapianto

Il prelievo da cadavere di organi, tessuti e cellule a scopo di trapianto terapeutico è praticato nel rispetto dell’ordinamento vigente garantendo la corretta informazione dei familiari.

Il prelievo da vivente è aggiuntivo e non sostitutivo del prelievo da cadavere e il medico nell’acquisizione del consenso informato scritto si adopera per la piena comprensione dei rischi da parte del donatore e  del ricevente.

Il medico non partecipa ad attività di trapianto nelle quali la disponibilità di organi, tessuti e cellule abbia finalità di lucro. 



TITOLO VI

SESSUALITÀ, RIPRODUZIONE E GENETICA

Art. 42 
Informazione in materia di sessualità, riproduzione e contraccezione 

Il medico, al fine di tutelare la salute individuale e collettiva, e la procreazione cosciente e responsabile, fornisce ai singoli e alla coppia  ogni idonea informazione in materia di sessualità, riproduzione e contraccezione. 



Art. 43 
Interruzione volontaria di gravidanza 

Gli atti medici connessi all’interruzione volontaria di gravidanza operati al di fuori dell’ordinamento vigente, sono vietati e  costituiscono grave infrazione deontologica tanto più se compiuti a scopo di lucro. 

L’obiezione di coscienza si esprime nell’ambito e nei limiti dell’ordinamento vigente e non esime il medico dagli obblighi e dai doveri inerenti alla relazione di cura nei confronti della donna.



Art. 44 
Procreazione medicalmente assistita 

Le indicazioni e le correlate procedure diagnostiche e  trattamenti terapeutici relativi alla procreazione medicalmente assistita sono di esclusiva competenza del medico che opera in autonomia e responsabilità e nel rispetto dell’ordinamento vigente.  

Il medico prospetta alla coppia le opportune soluzioni fondate su accreditate acquisizioni scientifiche e informa sulle possibilità di successo nei confronti dell’infertilità, sui rischi per la salute della donna e del nascituro e sulle adeguate e possibili misure di prevenzione. 

E’ vietata ogni pratica di procreazione medicalmente assistita a fini di selezione etnica o genetica; non è consentita la produzione di embrioni ai soli fini di ricerca e ogni sfruttamento commerciale, pubblicitario, industriale di gameti, embrioni e tessuti embrionali o fetali. 

Sono fatte salve le norme in materia di obiezione di coscienza, senza esimere il medico dagli obblighi e dai doveri inerenti alla relazione di cura nei confronti della coppia.



Art. 45 
Interventi sul genoma umano 

Il medico prescrive ed attua interventi sul genoma umano per esclusivi fini di prevenzione, diagnosi e cura di condizioni patologiche o a queste predisponenti e per la ricerca di nuovi trattamenti diagnostico-terapeutici appropriati ed efficaci. 

Il medico garantisce idonea informazione sui rischi connessi alle procedure e alle loro possibilità di successo acquisendo il consenso scritto. 



Art. 46
Indagini predittive 

 Il medico prescrive o esegue indagini predittive con il consenso scritto del soggetto interessato o del suo rappresentante legale, che sono gli unici destinatari dei dati e delle relative informazioni.

Il medico informa la persona interessata sul significato e sulle finalità dell’indagine, sull’effettiva probabilità di attendibile predizione, sulla fattibilità di interventi terapeutici disponibili ed efficaci e sulla possibilità di conseguenze negative sulla qualità della vita conseguenti alla conoscenza dei risultati.

Il medico non prescrive né esegue test predittivi richiesti e prodotti a fini meramente assicurativi od occupazionali. 

Le indagini predittive in gravidanza, destinate alla tutela della salute della donna e del nascituro, sono consentite se autorizzate in forma scritta dalla gestante, successivamente ad idonea informazione. 



TITOLO VII

RICERCA E SPERIMENTAZIONE

Art. 47 
Sperimentazione scientifica 

Il medico nell’attività di sperimentazione persegue il progresso della medicina fondandolo sulla ricerca scientifica il cui obiettivo primario è quello di migliorare le conoscenze, gli interventi preventivi, diagnostici e terapeutici ai fini della tutela della salute e della vita.

 La ricerca scientifica si avvale anche della sperimentazione umana e animale, programmata e attuata nel quadro dell’ordinamento.

Il medico incentiva modelli alternativi a quelli umani e animali, purché siano fondatamente equivalenti nei profili di efficacia sperimentale. 

Il medico sperimentatore si attiene inoltre agli indirizzi allegati al presente articolo. 



Art. 48
Sperimentazione umana 

Il medico attua sull’uomo le sperimentazioni sostenute da protocolli scientificamente fondati e ispirati al principio della salvaguardia della vita, dell'integrità psico-fisica e nel rispetto della dignità della persona.

La sperimentazione sull’uomo è subordinata al consenso informato scritto del soggetto reclutato e alla contestuale e idonea informazione del medico curante indicato dallo stesso.

Il medico informa il soggetto reclutato in merito agli scopi, ai metodi, ai benefici prevedibili e ai rischi, fermo restando il diritto dello stesso di interrompere la sperimentazione in qualsiasi momento, garantendo in ogni caso la continuità assistenziale.

Nel caso di minore o di persona incapace, la sperimentazione è ammessa solo per finalità preventive o terapeutiche relative alla condizione patologica in essere o alla sua evoluzione.

Il medico documenta la volontà del minore e ne tiene conto. 



Art. 49 
Sperimentazione clinica 

Il medico propone e attua protocolli sperimentali clinici a fini preventivi o diagnostico-terapeutici su volontari sani e malati se sono scientificamente fondati la loro sicurezza e il razionale della loro efficacia.

La redazione del rapporto finale di una sperimentazione è una competenza esclusiva e non delegabile del medico sperimentatore.

Il medico garantisce che il soggetto reclutato non sia sottratto a consolidati trattamenti indispensabili al mantenimento o al ripristino dello stato di salute. 



Art. 50 
Sperimentazione sull’animale 

Il medico attua la sperimentazione sull'animale nel rispetto dell’ordinamento vigente e persegue l’impiego di metodi e mezzi idonei a evitare inutili sofferenze.

Sono fatte salve le norme in materia di obiezione di coscienza. 



TITOLO VIII

TRATTAMENTO MEDICO 

E LIBERTÀ PERSONALE

Art. 51 
Soggetti in stato di limitata libertà personale

Il medico che assiste una persona in condizioni di limitata libertà personale è tenuto al rigoroso rispetto dei suoi diritti. 

Il medico nel prescrivere e attuare un trattamento sanitario obbligatorio, opera sempre nel rispetto della dignità della persona e nei limiti previsti dalla legge.



Art. 52 
Tortura e trattamenti disumani 

Il medico in nessun caso collabora, partecipa o presenzia a esecuzioni capitali, ad atti di tortura, violenza o a trattamenti crudeli, disumani o degradanti. 

Il medico non attua mutilazioni o menomazioni non aventi finalità diagnostico-terapeutiche anche su richiesta dell’interessato. 



Art. 53 
Rifiuto consapevole di alimentarsi

Il medico informa la persona capace sulle conseguenze che un rifiuto protratto di alimentarsi comporta sulla sua salute, ne documenta la volontà e continua l’assistenza, non assumendo iniziative costrittive né collaborando a procedure coattive di alimentazione o nutrizione artificiale. 



TITOLO IX

ONORARI PROFESSIONALI, INFORMAZIONE E PUBBLICITÀ SANITARIA

Art. 54 
Esercizio libero professionale. Onorari e tutela della responsabilità civile 

Il medico, nel perseguire il decoro dell’esercizio professionale e il principio dell’intesa preventiva, commisura l’onorario alla difficoltà e alla complessità dell’opera professionale, alle competenze richieste e ai mezzi impiegati, tutelando la qualità e la sicurezza della prestazione.

Il medico comunica preventivamente alla persona assistita l’onorario che non può essere subordinato ai risultati della prestazione professionale. 

In armonia con le previsioni normative, il medico libero professionista provvede a idonea copertura assicurativa per responsabilità civile verso terzi connessa alla propria attività professionale. 

Il medico può effettuare visite e prestare gratuitamente la sua opera purché  tale comportamento non rivesta una connotazione esclusivamente commerciale e non  costituisca concorrenza sleale o sia finalizzato  a un indebito accaparramento di clientela. 



Art. 55 
Informazione sanitaria

Il medico promuove e attua un’informazione sanitaria accessibile, trasparente, rigorosa e prudente, fondata sulle conoscenze scientifiche acquisite e non divulga notizie che alimentino aspettative o timori infondati o, in ogni caso, idonee a determinare un pregiudizio dell’interesse generale.

Il medico, nel collaborare con le istituzioni pubbliche o i soggetti privati nell’attività di informazione sanitaria ed educazione alla  salute, evita la pubblicità diretta o indiretta della propria attività professionale o la promozione della richiesta di proprie prestazioni. 



Art. 56
Pubblicità informativa sanitaria

La pubblicità informativa sanitaria del medico e delle strutture sanitarie pubbliche o private, nel perseguire il fine di una scelta libera e consapevole dei servizi professionali, ha per oggetto esclusivamente l’attività professionale, i titoli professionali e le specializzazioni, le caratteristiche del servizio offerto e l’onorario relativo alle prestazioni.

La pubblicità informativa sanitaria, con qualunque mezzo diffusa, rispetta nelle forme e nei contenuti i principi propri della professione medica, dovendo sempre essere prudente, trasparente, veritiera, obiettiva, pertinente e funzionale all’oggetto dell’informazione, mai equivoca, ingannevole e denigratoria ed è verificata dall’Ordine professionale competente per territorio.

Al medico e alle strutture sanitarie pubbliche e private non sono consentite forme di pubblicità comparativa delle prestazioni.

Il medico non deve divulgare notizie su avanzamenti nella ricerca biomedica e su innovazioni in campo sanitario, non ancora validate e accreditate dal punto di vista scientifico in particolare se tali da alimentare infondate attese e speranze illusorie. 



Art. 57
Divieto di patrocinio a fini commerciali 

Il medico singolo o componente di associazioni scientifiche o professionali non concede patrocinio a forme di pubblicità promozionali finalizzate a favorire la commercializzazione di prodotti sanitari o di qualsivoglia altra natura. 



TITOLO X

RAPPORTI CON I COLLEGHI

Art. 58 
Rapporti tra colleghi 

Il medico impronta il rapporto con i colleghi ai principi di solidarietà e collaborazione e al reciproco rispetto delle competenze tecniche e funzionali ed economiche, nonché delle correlate autonomie e responsabilità.

Il medico affronta eventuali contrasti con i colleghi nel rispetto reciproco e salvaguarda il migliore interesse della persona assistita, ove coinvolta.

Il medico assiste i colleghi prevedendo solo il ristoro delle spese. 

Il medico, in caso di errore professionale di un collega, evita comportamenti denigratori e colpevolizzanti.



Art. 59 
Rapporti con il medico curante 

Il medico curante e i colleghi operanti nelle strutture pubbliche e private devono assicurare un rapporto di consultazione, collaborazione e informazione reciproca. 

Il medico che presti la propria opera per competenza specialistica o in situazioni di urgenza è tenuto, previo consenso del paziente o del suo rappresentante legale, a comunicare al medico indicato dagli stessi, gli indirizzi diagnostico-terapeutici attuati e le valutazioni cliniche relative. 

Il medico fa pervenire la relazione clinica o la lettera di dimissione al medico indicato dal paziente stesso. 



Art. 60
Consulto e consulenza

Il medico curante, previo consenso dell’interessato o del suo rappresentante legale, propone il consulto con altro collega ovvero la consulenza presso strutture idonee, ponendo gli adeguati quesiti e fornendo la documentazione in suo possesso.

Il medico che non condivida una richiesta di consulto o di consulenza formulata dalla persona assistita o dal suo rappresentante legale, può astenersi dal parteciparvi, ma fornisce comunque tutte le informazioni e la documentazione clinica relative al caso. 

Lo specialista o consulente che visiti un ammalato in assenza del curante deve fornire una dettagliata relazione diagnostica e l’indirizzo terapeutico consigliato, debitamente sottoscritti.



Art. 61
Affidamento degli assistiti

i medici coinvolti nell’affidamento degli assistiti, in particolare se complessi e fragili, devono assicurare il reciproco scambio di informazioni e la puntuale  e rigorosa trasmissione della documentazione clinica.



TITOLO XI

ATTIVITÀ MEDICO LEGALE

Art. 62
Attività medico legale

L’attività medico legale, qualunque sia la posizione di garanzia nella quale viene esercitata, deve evitare situazioni di conflitto di interesse ed è subordinata all’effettivo possesso delle specifiche competenze richieste dal caso.   

L’attività medico legale viene svolta nel rispetto del Codice; la funzione di consulente tecnico e di perito non esime il medico dal rispetto dei principi deontologici che ispirano la buona pratica professionale essendo in ogni caso riservata al giudice la valutazione del merito della perizia. 

Il medico legale, in casi di responsabilità medica, si avvale di un collega specialista di comprovata competenza nella disciplina interessata; in analoghe circostanze, il medico clinico si avvale di un medico legale.

Il medico, nel rispetto dell’ordinamento, non può svolgere attività medico-legali quale consulente d’ufficio o di controparte nei casi nei quali sia intervenuto personalmente per ragioni di assistenza o di cura, o a qualunque altro titolo, né nel caso in cui intrattenga un rapporto di lavoro di qualunque natura giuridica con la struttura sanitaria coinvolta nella controversia giudiziaria. 

Il medico consulente di parte assume le evidenze scientifiche disponibili interpretandole nel rispetto dell’oggettività del caso in esame e di un confronto scientifico rigoroso e fondato, fornendo pareri ispirati alla prudente valutazione della condotta dei soggetti coinvolti.



Art. 63
Medicina fiscale

Nell’esercizio delle funzioni di controllo, il medico fa conoscere al soggetto sottoposto all'accertamento la propria qualifica e la propria funzione.

Il medico fiscale e il curante, nel rispetto reciproco dei propri ruoli, non devono esprimere valutazioni critiche sul rispettivo operato.



TITOLO XII

RAPPORTI INTRA E INTERPROFESSIONALI

Art. 64
Rapporti con l’Ordine professionale

Il medico deve collaborare con il proprio Ordine professionale nell’espletamento delle funzioni e compiti ad esso attribuiti dall’Ordinamento. 

Il medico comunica all’Ordine tutti gli elementi costitutivi dell’anagrafica, compresi le specializzazioni e i titoli conseguiti, per la compilazione e tenuta degli Albi, degli elenchi e dei registri e per l’attività di verifica prevista dall’ordinamento.

Il medico comunica tempestivamente all’Ordine il cambio di residenza, il trasferimento in altra provincia della sua attività, la modifica della sua condizione di esercizio ovvero la cessazione dell’attività.

Il medico comunica all’Ordine le eventuali infrazioni alle regole di reciproco rispetto, di corretta collaborazione tra colleghi e di salvaguardia delle specifiche competenze. 

I Presidenti delle rispettive commissioni di albo, nell’ambito delle loro funzioni di vigilanza deontologica, possono convocare i colleghi iscritti in altra sede ma esercenti la professione nella provincia di loro competenza, informando l’Ordine di appartenenza al quale competono le eventuali valutazioni disciplinari.  

Il medico eletto negli organi istituzionali dell'Ordine svolge le specifiche funzioni con diligenza, imparzialità, prudenza e riservatezza.



Art. 65
Società tra professionisti

Il medico comunica all’Ordine territorialmente competente ogni accordo, contratto o convenzione privata per lo svolgimento dell’attività professionale, per tutelarne i profili di autonomia e indipendenza. Il medico che esercita la professione in forma societaria notifica all’Ordine d’iscrizione l’atto costitutivo della società, l’eventuale statuto, tutti i documenti relativi all’anagrafica della società stessa nonché ogni successiva variazione statutaria e organizzativa.

Il medico non può partecipare a intese dirette o indirette con altre professioni sanitarie o categorie professionali per svolgere attività di impresa industriale o commerciale o di altra natura che ne condizionino la dignità, l’indipendenza e l’autonomia professionale. 

Il medico che opera a qualsiasi titolo nell'ambito delle forme societarie consentite per l’esercizio della professione, garantisce sotto la propria responsabilità:

- l’esclusività dell’oggetto sociale relativo all’attività professionale di cui agli albi di appartenenza;

- il possesso di partecipazioni societarie nel rispetto dell’ordinamento;

- la diretta titolarità dei propri atti e delle proprie prescrizioni sempre riconducibili alle competenze dell’albo di appartenenza;

- il rifiuto di qualsiasi tipo di condizionamento sulla propria autonomia e indipendenza professionale.



Art. 66
Rapporto con altre professioni sanitarie

Il medico si adopera per favorire la collaborazione, la condivisione e l’integrazione fra tutti i professionisti sanitari coinvolti nel processo di assistenza e cura, nel rispetto delle reciproche competenze, autonomie e correlate responsabilità. 

Il medico sostiene la formazione interprofessionale, il miglioramento delle organizzazioni sanitarie nel rispetto delle attività riservate e delle funzioni assegnate e svolte e l’osservanza dei principi deontologici comuni.



Art. 67
Prestanomismo e favoreggiamento all’esercizio abusivo della professione

Al medico è vietato collaborare a qualsiasi titolo o di favorire, fungendo da prestanome o omettendo la dovuta vigilanza, chi eserciti abusivamente la professione.

Il medico che venga a conoscenza di prestazioni effettuate da non abilitati alla professione di medico, o di casi di favoreggiamento dell’abusivismo, è obbligato a farne denuncia all’Ordine territorialmente competente.



TITOLO XIII

RAPPORTI CON LE STRUTTURE SANITARIE PUBBLICHE E PRIVATE



Art. 68
Medico operante in strutture pubbliche e private

Il medico che opera in strutture pubbliche o private, concorre alle finalità sanitarie delle stesse ed è soggetto alla potestà disciplinare dell’Ordine indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto di lavoro.    

Il medico, in caso di contrasto tra le norme deontologiche e quelle della struttura pubblica o privata nella quale opera, sollecita l'intervento dell'Ordine di appartenenza al fine di tutelare i diritti dei pazienti e l’autonomia professionale.

 In attesa della composizione del contrasto, il medico assicura il servizio, salvo i casi di grave violazione dei diritti delle persone a lui affidate e del decoro e dell’indipendenza della propria attività professionale.

Il medico che all’interno del rapporto di lavoro con il servizio pubblico esercita la libera professione, evita comportamenti che possano indebitamente favorirla.



Art. 69
Direzione sanitaria e responsabile sanitario 

Il medico che svolge funzioni di direzione sanitaria nelle strutture pubbliche o private ovvero di responsabile sanitario di una struttura privata  garantisce il possesso dei titoli e il rispetto del Codice e tutela l’autonomia e la pari dignità dei professionisti all’interno della struttura in cui opera, agendo in piena autonomia nei confronti del legale rappresentante della struttura a cui afferisce. 

Inoltre deve essere in possesso dei titoli previsti dalla vigente normativa per l’esercizio della professione ed essere adeguatamente supportato per le competenze relative ad entrambe le professioni di cui all’art. 1 in relazione alla presenza delle stesse nella struttura.

Il medico  comunica tempestivamente all’Ordine di appartenenza il proprio incarico nonché l’eventuale rinuncia collaborando con quello competente per territorio nei compiti di vigilanza sulla  sicurezza  e qualità di servizi erogati e  sulla correttezza del materiale informativo che deve riportare il suo nominativo. 

Il medico che svolge funzioni di direzione sanitaria o responsabile di struttura non può assumere incarichi plurimi, incompatibili con le funzioni di vigilanza attiva e continuativa. 



Art. 70
Qualità ed equità delle prestazioni

Il medico non assume impegni professionali che comportino un eccesso di prestazioni tale da pregiudicare la qualità della sua opera e la sicurezza della persona assistita.

Il medico deve esigere da parte della struttura in cui opera ogni garanzia affinché le modalità del suo impegno e i requisiti  degli ambienti di lavoro non incidano negativamente sulla qualità e sicurezza del suo lavoro, e sull’equità delle prestazioni.





TITOLO XIV

MEDICINA DELLO SPORT

Art. 71
Valutazione dell’idoneità alla pratica sportiva  

La valutazione dell’idoneità alla pratica sportiva è finalizzata esclusivamente alla tutela della salute e dell’integrità psico-fisica del soggetto.

Il medico esprime con chiarezza il relativo giudizio in base alle evidenze scientifiche disponibili e provvede a un’adeguata informazione al soggetto sugli eventuali rischi che la specifica attività sportiva può comportare.



Art. 72
Valutazione del mantenimento dell’idoneità all’attività sportiva agonistica

Il medico fa valere, in qualsiasi circostanza, la propria responsabilità a tutela dell’integrità psico-fisica, in particolare valutando se un atleta possa proseguire la preparazione atletica e l’attività agonistica.

Il medico, in caso di minore, valuta con particolare prudenza che lo sviluppo armonico psico-fisico del soggetto non sia compromesso dall’attività sportiva intrapresa.

Il medico si adopera affinché la sua valutazione sia accolta, denunciandone tempestivamente il mancato accoglimento all’Autorità competente e all'Ordine professionale.



Art. 73
Doping 

Il medico non consiglia, favorisce, prescrive o somministra trattamenti farmacologici o di altra natura non giustificati da esigenze terapeutiche, che siano finalizzati ad alterare le prestazioni proprie dell'attività sportiva o a modificare i risultati dei relativi controlli. 

Il medico protegge l'atleta da pressioni esterne che lo sollecitino a ricorrere a siffatte pratiche, informandolo altresì delle possibili gravi conseguenze sulla salute.



TITOLO XV

TUTELA DELLA SALUTE COLLETTIVA

Art. 74
Trattamento sanitario obbligatorio e denunce obbligatorie

Il medico deve svolgere i compiti assegnatigli dalla legge in tema di trattamenti e accertamenti sanitari obbligatori e deve curare con la massima diligenza e tempestività l’informativa alle autorità sanitarie giudiziarie e ad altre autorità nei modi, nei tempi e con le procedure stabilite dalla legge, ivi compresa, quando prevista, la tutela dell'anonimato.



Art. 75 
Prevenzione, assistenza e cura delle dipendenze fisiche o psichiche

Il medico si adopera per la prevenzione, la cura, il recupero clinico e il reinserimento sociale della persona affetta da qualsiasi forma di dipendenza fisica o psichica, nel rispetto dei diritti della stessa, collaborando con le famiglie, le istituzioni socio-sanitarie pubbliche o private e le associazioni di protezione sociale.



TITOLO XVI

MEDICINA POTENZIATIVA ED ESTETICA

Art. 76
Medicina potenziativa ed estetica 

Il medico, quando gli siano richiesti interventi medici finalizzati al potenziamento delle fisiologiche capacità psico-fisiche dell’individuo, opera, sia nella fase della ricerca che nella pratica professionale, secondo i principi di precauzione, proporzionalità e rispetto dell’autodeterminazione della persona, acquisendo il consenso informato in forma scritta.

Il medico, nell’esercizio di attività diagnostico-terapeutiche con finalità estetiche, garantisce il possesso di idonee competenze e nell’informazione preliminare al consenso scritto, non suscita né alimenta aspettative illusorie, individua le possibile soluzioni alternative di pari efficacia e opera al fine di garantire la massima sicurezza delle prestazioni erogate. 

Gli interventi diagnostico-terapeutici con finalità estetiche rivolti a minori o a incapaci si attengono all’ordinamento.



TITOLO XVII

MEDICINA MILITARE

Art. 77
Medicina militare

Il medico militare, nell’ambito dei propri compiti istituzionali, ha una responsabilità che non muta in tutti gli interventi di forza armata sia in tempo di pace che di guerra.

Il medico militare, al fine di garantire la salvaguardia psico-fisica del paziente in rapporto alle risorse materiali e umane a disposizione, assicura il livello più elevato di umanizzazione delle cure praticando un triage rispettoso delle conoscenze scientifiche più aggiornate, agendo secondo il principio di “massima efficacia” per il maggior numero di individui.

È dovere del medico militare segnalare alle superiori Autorità la necessità di fornire assistenza a tutti coloro che non partecipano direttamente alle ostilità (militari che abbiano deposto le armi, civili feriti o malati) e denunciare alle stesse i casi di torture, violenze, oltraggi e trattamenti crudeli e disumani tali da essere degradanti per la dignità  della persona.

In ogni occasione, il medico militare orienterà le proprie scelte per rispondere al meglio al conseguimento degli obiettivi e degli intendimenti del proprio comandante militare, in accordo con i principi contenuti nel presente Codice, fermo restando il rispetto dei limiti imposti dalle normative nazionali e internazionali nonché da eventuali regole di ingaggio che disciplinano l’operazione militare.



TITOLO XVIII

INFORMATIZZAZIONE 

E INNOVAZIONE SANITARIA

Art. 78
Tecnologie informatiche

Il medico, nell’uso degli strumenti informatici, garantisce l’acquisizione del consenso, la tutela della riservatezza, la pertinenza dei dati raccolti e, per quanto di propria competenza, la sicurezza delle tecniche. 

Il medico, nell’uso di tecnologie di informazione e comunicazione di dati clinici, persegue l’appropriatezza clinica e adotta le proprie decisioni nel rispetto degli eventuali contributi multidisciplinari, garantendo la consapevole partecipazione della persona assistita.

Il medico, nell’utilizzo delle tecnologie di informazione e comunicazione a fini di prevenzione, diagnosi, cura o sorveglianza clinica, o tali da influire sulle prestazioni dell’uomo, si attiene ai criteri di proporzionalità, appropriatezza, efficacia sicurezza, nel rispetto dei diritti della persona e degli indirizzi applicativi allegati. 



Art. 79
Innovazione e organizzazione sanitaria

Il medico partecipa e collabora con l’organizzazione sanitaria al fine del continuo miglioramento d