Non occorre una laurea in medicina per intuire che un farmaco ideato allo scopo di impedire una gravidanza se assunto prima di un rapporto sessuale si chiama contraccettivo ma quando viene assimilato subito dopo diventa per forza di cose potenzialmente abortivo, visto che la sua azione è orientata a impedire l’annidamento dell’ovulo eventualmente fecondato e quindi di causare la morte della vita umana appena sbocciata. Eppure il concetto è tutt’altro che condiviso.
Dopo la modifica del foglietto illustrativo del Norlevo – la «pillola del giorno dopo», definita con un singolare neologismo «contraccettivo d’emergenza» – a opera dell’Agenzia italiana del farmaco, che il 17 dicembre 2013 aveva accolto la richiesta dell’azienda produttrice (la francese Hra Pharma) per togliere dal "bugiardino" l’avvertimento sulla sua potenziale abortività, ora è la magistratura a intervenire affermando che «recenti studi hanno dimostrato che il farmaco Norlevo non è causa di interruzione di gravidanza».
Il motivo dell’intervento è il ricorso al Tar del Lazio per sospendere gli effetti della delibera Aifa (operativa dal 4 febbraio) avanzato il 1° aprile da cinque associazioni d’ispirazione cattolica: Giuristi per la vita, Farmacisti cattolici, Forum delle famiglie, Ginecologi cattolici e Pro Vita. Senza dettagliare quali siano questi «recenti studi», quanto siano autorevoli e soprattutto ignorando altre 119 ricerche di cui erano stati messi al corrente dai ricorrenti con un corposo dossier, i giudici amministrativi hanno deciso giovedì di respingere l’istanza cautelare salvando il discusso foglietto che per anni aveva chiarito che il Norlevo (da assumere entro 72 ore dal rapporto "a rischio" di gravidanza) «potrebbe anche impedire l’impianto» dell’embrione.
«È vero che l’ordinanza del Tar riguarda la fase cautelare del procedimento e che occorre attendere la sentenza – commenta Gianfranco Amato, presidente dei Giuristi per la vita –, però questa decisione rischia di apparire come un pesante ostacolo per l’esercizio del diritto di obiezione di coscienza in tema di interruzione volontaria della gravidanza da parte degli operatori sanitari». Le cinque associazioni, aggiunge Amato, «stanno comunque valutando l’opportunità di proporre appello al Consiglio di Stato contro l’ordinanza».
La partita dunque non è finita, ma occorre che i giudici siano disponibili a una valutazione degli esatti termini scientici della questione, o almeno valutino più attentamente il «principio di precauzione» che, secondo il farmacologo dell’Università di Torino Mario Eandi, dovrebbe valere in un caso come questo nel quale la comunità scientifica è ancora divisa. «Gli argomenti contro l’abortività del farmaco sono discutibili – spiega Eandi –, se non altro perché nessuno può seriamente escludere allo stato delle conoscenze che Norlevo possa essere abortivo vista la sua interazione sul trasporto e l’annidamento della nuova vita nell’utero materno.
Su questioni scientifiche la magistratura dovrebbe essere più prudente, come insegna il caso Stamina». Di «scienza manipolata» parla senza mezzi termini il presidente dei ginecologi cattolici Giuseppe Noia: «L’efficienza del farmaco – aggiunge – dipende dai tempi di assunzione: quanto più ci si avvicina al termine delle 72 ore, e a maggior ragione dopo averle superate, tanto più cresce la probabilità che si registri una gravidanza. Dunque, è persino banale concludere che se c’è stato un concepimento il farmaco è abortivo».
Alla base del nuovo bugiardino c’è però «l’idea che l’inizio della vita non coincida col concepimento ma con l’impianto dell’embrione nell’utero. Per sostenerlo si è fatto ricorso negli anni ad autentiche invenzioni prive di fondamento scientifico, come il pre-embrione e l’ootide, ma la realtà non si può cambiare con artifici concettuali».
Francesco Ognibene
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