La Conferenza delle Regioni fissa l’importo del ticket: dai 400 ai 600 euro a coppia. Ma lo Stato dovrà mettercene altri 14.000. Ma limitarsi al solo aspetto economico lascia nel limbo dell’incertezza (e del business) altre questioni.
Due articoli apparsi in questi giorni sulla stampa meritano di essere segnalati per la loro lucidità. Il primo è apparso oggi sulle pagine di Avvenire con la firma di Francesco Ognibene, il secondo ieri sul Corriere della sera e l’autore è Giovanni Belardelli. Il tema è il medesimo: la fecondazione eterologa, di cui si parla molto dopo la sentenza della Corte Costituzionale e l’iniziativa delle Regioni che, eccezion fatta per la Lombardia che non l’ha previsto, faranno pagare un ticket tra i 400 e i 600 euro.
Ieri la Conferenza delle Regioni ha raggiunto un accordo sul ticket che, come ha detto il presidente Sergio Chiamparino, si pagherà «per gli esami necessari ad accedere a queste prestazioni, secondo modalità con cui viene già erogata la fecondazione omologa». Cioè, appunto, una spesa che varia tra i 400 e i 600 euro. L’accordo è “politico” e non giuridico che significa che chi, come la Lombardia, ha deciso di non emettere il ticket, ma di far pagare per intero l’eterologa alle coppie che la richiedono, non incorre in alcuna sanzione. Da notare che tale accordo riguarda solo l’aspetto economico e non si è entrati nel merito di come andranno gestite le donazioni, l’anonimato, il “costo” dei gameti. Ognuno farà come vuole (già, come?) fino a che non interverrà una nuova legge dello Stato.
I COSTI. Ognibene su Avvenire svela la prima ipocrisia dell’accordo che è stato, appunto, quello di limitarsi al “costo” del figlio, senza entrare nel merito di una materia che è «un ginepraio di monumentali interrogativi tra biologia, diritto e psicologia», lasciando tutto «nel limbo dell’incertezza».
Ma anche per quel che riguarda il “costo” del figlio, a voler guardare bene, i problemi ci sono. Infatti le Regioni hanno riconosciuto che per tali pratiche la spesa da sostenere è esorbitante. Per l’eterologa con seme da donatore in vitro si parla di 3.500 euro e per quella con ovociti provenienti da donatrici di 4.000 euro. «La tecnica delle fecondazione in provetta con gameti di altre persone garantisce una media approssimata del 25 per cento di successi, ovvero quattro cicli per ottenere un figlio. C’è chi sostiene che gli esiti positivi sarebbero di più, ma già così il calcolo pare in realtà generoso: per la fecondazione omologa – dati 2012 – il rapporto è di 93.634 tentativi e 11.974 “figli in braccio”, cioè un tasso di successi pari al 12,8 per cento. Ma pure assumendo per l’eterologa il rapporto di uno a quattro, il “costo” di un bambino è di circa 16 mila euro, nel caso – il più frequente – di ricorso a ovociti donati. A questa cifra va sottratto il ticket, tra 400 e 600 euro, secondo l’accordo di ieri: dunque una media di 2.000 euro per il totale di tutti e quattro i tentativi necessari per una riuscita (è chiaro che alcune coppie centreranno l’obiettivo subito, altre purtroppo mai)».
Scrive il giornalista di Avvenire: così facendo, per evitare la discriminazione «tra “sterili” e “fecondi” se ne introduce una molto più vistosa. La sterilità è infatti oggi solo una delle cause che impediscono agli italiani di procreare, e l’eterologa solo una delle soluzioni».
Ma se lo Stato ci deve mettere 14 mila euro per garantire un figlio ad ogni coppia, non sarebbe quindi giusto utilizzare quella stessa cifra per aiutare le coppie che volgiono avere figli ma non posso per motivi di origine economica? «Alle prime coppie sì e alle altre no? Non è forse questo diverso trattamento una forma di discriminazione tra tutti coloro che nutrono il medesimo desiderio di mettere al mondo un bambino, e hanno – per dirla con la Corte Costituzionale – lo stesso diritto “incoercibile” di avere figli?». E visto che l’eterologa è un percorso alternativo all’adozione «risulta platealmente iniquo il diverso trattamento delle coppie che davanti all’identica diagnosi scelgono la provetta con gameti donati (potendo contare sui suddetti 14 mila euro) e chi invece si inoltra nell’avventura dell’adozione senza un centesimo di sostegno pubblico e, anzi, dovendo dar fondo ai risparmi per spese di decine di migliaia di euro».
LA DONAZIONE. Il commento di Belardelli mette in rilievo un altro aspetto della questione: la cosiddetta «donazione». Che tale non è, come ci testimonia la stessa realtà che ci racconta che i cosiddetti donatori non esistono. La ragione è semplice: per “donare” i gameti occorre sottoporsi a stimolazioni ormonali, due iniezioni sottocutanee al giorno per dodici giorni, cinque ecografie, prelievi del sangue, anestesia generale e ricovero in day hospital. Ora, potrà anche accadere che qualcuno con un atto di generosità estremo di sottoponga a tutto ciò per “fare un regalo” a chi è sterile, ma come è facile intuire e come ci dice l’esperienza dei paesi esteri in cui c’è l’eterologa, sarà molto più diffusa la donazione “a pagamento” (con tutto ciò che comporta…).
«Il termine donazione – scrive Belardelli – è un espediente lessicale che utilizziamo per sfuggire alla contraddizione che, nell’uso di un gamete femminile estraneo alla coppia (per gli uomini, come è ovvio, le cose sono diverse), si produce tra due principi fondamentali della nostra cultura: da una parte la libertà individuale di chi cerca di avere un figlio, dall’altra il divieto di sfruttare un altro essere umano. Quest’ultimo non è altro che il divieto contenuto nell’imperativo kantiano “agisci in modo di trattare l’umanità, nella tua come nell’altrui persona, sempre come fine mai come mezzo”».
L’ANONIMATO. E che dire poi dell’anonimato del donatore? Qui, il problema è insolubile. Nelle linee guida delle Regioni si dice che «il nato non potrà conoscere l’identità del donatore». E si capisce perché: nessun donatore vuole in futuro avere a che fare – sia per ragioni psicologiche, sia per ragioni legali ed economiche – coi figli nati dai suoi gameti. Se non garantisci l’anonimato, la banale conseguenza sarà di non avere donatori. Solo che tale decisione confligge con il diritto del nato a sapere chi è il suo genitore biologico. «Non a caso – prosegue Belardelli – in altri Paesi quel divieto non esiste o – come in Gran Bretagna nel 2005 – è stato abolito (e alcuni esponenti del Pd hanno già presentato una proposta di legge in tal senso). La difficoltà di avere donatori e la questione dell’anonimato segnalano il fatto che la fecondazione eterologa è qualcosa di sostanzialmente diverso, e non soltanto una variante “tecnicamente differente”, rispetto alla fecondazione omologa. Ma di tutto questo poco si parla, anche per la difficoltà a sviluppare una discussione che superi le tradizionali divisioni tra destra e sinistra e tra laici e cattolici. Una discussione che sia in grado di affrontare anzitutto la questione fondamentale di fronte alla quale la fecondazione eterologa ci pone: tutto ciò che è tecnicamente possibile deve anche essere fatto? Dobbiamo lasciare che sia la tecnoscienza e non più l’etica a dirci ciò che è lecito e ciò che non lo è? Proprio il grande sviluppo, presente e futuro, delle biotecnologie è destinato a rendere questi interrogativi sempre più rilevanti e ineludibili».
Nessun commento:
Posta un commento