Approvando una propria legge anti-omofobia la Provincia di Trento gioca d’anticipo. Un po’, cambiando quel che c’è da cambiare, come fa in queste ore il sindaco di Bologna col registro delle trascrizioni dei matrimoni fra persone dello stesso sesso contratti fuori dall’Italia, o come ha provato a fare tre mesi fa il presidente della Regione Lazio con misure limitative all’obiezione del medico all’aborto. Questi provvedimenti sono legati dall’impazienza per le determinazioni del Parlamento: il legislatore nazionale va posto di fronte al fatto compiuto. Dunque, perché attendere i comodi del Senato sul disegno di legge “Scalfarotto” quando da subito si possono piantare degli efficaci paletti?
Emergono due interrogativi. Il primo: la pur ampia autonomia della Provincia ha confini così estesi da permettere che si vari una legge in questa materia? Il secondo è distinto, ma non separato: quale emergenza sociale esiste nel Trentino per far approvare tale legge provinciale? Ve ne è la reale necessità? Non si corre il rischio – al di là delle intenzioni – che le nuove norme diventino essere stesse discriminatorie? La lettura del testo unificato all’esame dell’assemblea provinciale fa capire che i proponenti si sono posti la prima questione: si coglie lo sforzo perché il testo non invada la sfera di competenze dello Stato. È però innegabile che in più d’un passaggio si proceda lungo il confine: lo si oltrepassa? Sì, a mio modesto avviso. L’art. 9, per es., prescrive che, «per la salvaguardia del diritto di ogni persona alla libera espressione e manifestazione del proprio orientamento sessuale o della propria identità di genere, la Provincia (…) adotta modalità linguistiche e comportamentali ispirate alla considerazione e al rispetto dei principi di questa legge»; e aggiunge che «le sanzioni disciplinari previste dai contratti collettivi» sono aggravate «se le violazioni evidenziano una discriminazione fondata in particolare sul genere, sull'orientamento sessuale, sull'identità di genere e sull'intersessualità». Evocando «modalità linguistiche», è evidente che il riferimento non è al bilinguismo, bensì a una sorta di neo-lingua “gendericamente corretta” cui tutti, in primis i dipendenti della Provincia, sarebbero chiamati ad attenersi, pena l’aggravamento delle sanzioni disciplinari. Chiedo: quando si stabiliscono criteri di carattere generale per colpire disciplinarmente si è ancora nella sfera della competenza di una Provincia autonoma?
Per restare sullo stesso articolo – ma il testo ne contiene altri, altrettanto discutibili –, e passando al merito: quali sarebbero i parametri del rispetto di «modalità linguistiche» non discriminatorie, e chi ne sarebbe l’arbitro? Se Caio ingiuria Tizio o lo diffama è sanzionato dalle norme del codice penale; se ne lede nella dignità in quanto omosessuale la pena è aggravata dal medesimo codice, che punisce in modo più pesante chi agisce per motivi abietti o futili, o profittando di una minore difesa. Sul presupposto dell’accertamento penale, Caio non sfuggirà poi alla sanzione disciplinare. Questa è la legge in vigore, nel Trentino come nel resto d’Italia; quale è allora il senso di stabilire «modalità linguistiche» vincolanti a pena di sanzione disciplinare? Sarà punito chi sosterrà che la famiglia è quella costituita da un uomo e da un donna uniti in matrimonio, o – peggio ancora – che la famiglia in tal senso intesa ha una utilità sociale superiore a quella di altre unioni?
Non è un quesito privo di senso; basta guardare quanto accade in ordinamenti con norme simili a queste. In Canada – pure questo è un es. fra i tanti – agli studenti di un prestigioso campus di Vancouver, la Trinity West University, viene chiesto di sottoscrivere all’ingresso l’impegno a non accedere a siti pornografici utilizzando il wi-fi dell’università, a non assumere alcool nel campus, e ad astenersi «da forme di intimità sessuale che violino la sacralità del matrimonio tra un uomo e una donna». La Conferenza dei Presidi delle Facoltà di Legge canadesi ha avviato un procedimento amministrativo contro l’università e ha chiesto agli Ordini degli Avvocati di non ammettere alla pratica forense i laureati di quell’ateneo perché “omofobi”. In quel codice di comportamento l’omofobia sta nel riferimento alla «sacralità del matrimonio tra un uomo e una donna» e al fatto che sia menzionato solo questo matrimonio, e non quello fra omosessuali. È il caso di rischiare assurdità del genere anche dalle nostre parti?
Da ultimo. Pur essendo meridionale, conosco le strade e i sentieri del Trentino fin da bambino. Nel corso dei decenni ho sempre apprezzato, con le bellezze della natura, la cortesia e l’ospitalità degli abitanti. Non sono mai stato sfiorato dal pensiero che una terra e delle persone tanto benedette da Dio fossero animate da impulsi omofobi, sì da non potersi attendere le decisioni del Parlamento nazionale, e da dover intervenire con una legge provinciale. Esiste veramente un’emergenza del genere?
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