venerdì 31 agosto 2012


Le contraddizioni della Corte Europea sulla legge 40, di Alfredo De Matteo, 30 agosto 2012, http://www.corrispondenzaromana.it

Oltre alle bugie anche i compromessi sui temi etici hanno le gambe corte: la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha accolto il ricorso di una coppia fertile portatrice sana della fibrosi cistica cui era stato negata la possibilità di accedere alla diagnosi preimpianto degli embrioni (un test genetico che si effettua su una cellula dell’embrione dopo tre giorni dalla fecondazione per verificare eventuali malattie genetiche), secondo quanto prescrive la legge 40/2004.

L’argomentazione addotta dai due coniugi romani riguarda la violazione dell’articolo della Convenzione dei diritti umani che garantisce il rispetto della vita privata e familiare della coppia, in quanto obbligati dalla legge a seguire la via del concepimento naturale e dell’eventuale aborto.  Un gioco da ragazzi per i giudici di Strasburgo rilevare la clamorosa incoerenza del sistema legislativo italiano, secondo cui non è possibile accedere alla tecnica della fecondazione assistita se la coppia che ne fa richiesta ha un’alta probabilità di trasmettere una malattia genetica alla prole, mentre le è consentito accedere alla cosiddetta interruzione volontaria della gravidanza qualora, a seguito di un’amniocentesi, venisse riscontrata una malattia genetica nell’embrione. In altre parole, per la legge italiana è ammessa l’uccisione di un essere umano innocente con l’aborto volontario, disciplinato dalla legge 194/1978, anche ad uno stadio molto avanzato del suo sviluppo intrauterino, mentre ciò non è consentito se questi ha poche ore di vita!

Tuttavia, occorre sottolineare come la Corte Europea tenda ad equiparare due tecniche, la diagnosi prenatale e la diagnosi preimpianto, in realtà diverse nelle finalità: mentre la prima non ha come sbocco inevitabile la distruzione del figlio malato (in realtà è utilissima per predisporre cure efficace sull’embrione anche dopo la gravidanza), la seconda sì. Dunque, il fatto che una coppia portatrice sana di una malattia genetica non possa accedere alla tecnica della fecondazione artificiale costituisce una, seppur minima, tutela dell’embrione malato altrimenti destinato a morte certa.

Inoltre, con tale sentenza, che di fatto mette al primo posto il diritto dei coniugi ad avere un figlio sano a scapito del diritto alla vita, la Corte smentisce un suo precedente pronunciamento datato 18 ottobre 2011 quando, chiamata a pronunciarsi sulla brevettabilità circa l’utilizzo degli embrioni umani a fini di industriali e di ricerca, sentenziò che «fin dalla fase della sua fecondazione qualsiasi ovulo umano deve essere considerato come un embrione umano, e quindi va ritenuto un essere umano, pur se è a uno stadio iniziale di sviluppo». Pertanto, le contraddizioni sono molte e non solo quelle insite nel disastroso panorama legislativo italiano in tema di aborto volontario e fecondazione assistita.

D’altra parte, nel tempo la legge 40 è stata più volte messa in discussione, malgrado nel 2005 venne confermata dalla volontà popolare con la schiacciante vittoria dell’astensionismo ad un referendum abrogativo, fino a quando, nel 2008, il ministro della Salute Livia Turco dell’allora governo Prodi modificò i connotati della legge riscrivendone le linee guide e allargandone ancora di più le già lacerate maglie normative. Sebbene la legge 40 sia ingiusta, incoerente e facilmente aggirabile, il nemico, che non accetta compromessi né gioca al ribasso al contrario dei suoi avversari, ha lavorato alacremente per abbatterla.

C’è da rilevare che mentre i giudici di Strasburgo e gli esponenti politici idolatri del laicismo spinto non fanno altro che compiere il loro (sporco) lavoro, ciò non si può dire per la parte del mondo cattolico e pro-life che ha voluto, sostenuto e difeso la legge 40 come se fosse una buona legge o, addirittura, una legge cattolica. 

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