giovedì 30 agosto 2012


Perché la grammatica può mettere d’accordo filosofia e neuroscienze - Le affinità tra Ruggero Bacone e Noam Chomsky. - Teorie del linguaggio simili al cielo stellato - Andrea Moro, 30 agosto 2012, http://www.corriere.it/

Ammettiamolo: tutti noi abbiamo una nostra teoria del linguaggio. Non è come in fisica o in chimica dove un certo timore reverenziale per la natura dei fenomeni osservati ci trattiene dal formulare spiegazioni avventate. Con il linguaggio, le cose vanno diversamente. Forse per il semplice fatto che tutti parliamo, forse per la grande facilità nell’ottenere dei dati, fatto sta che ci sentiamo autorizzati ad avere una «spiegazione» naturale di questo fenomeno. Questo stato di cose, inoltre, non caratterizza solo noi come individui ma anche la cultura dominante di un periodo storico, praticamente lungo tutto il percorso culturale della nostra civiltà. Il risultato è una sovrabbondanza unica nella storia del pensiero: praticamente ogni epoca, ogni cultura hanno espresso una teoria dominante sulla natura del linguaggio umano, a tal punto che seguendo lo sviluppo di queste riflessioni specifiche possiamo avere un campione dello «spirito del tempo», cioè della visione generale della realtà, come se la riflessione sul linguaggio costituisse una specie di «questione omerica» della storia dell’uomo. Il linguaggio è stato di volta in volta spiegato come fatto prevalentemente culturale, sociale, divino o biologico. Siamo certamente di fronte a una situazione speciale e non è facile capire cosa sappiamo oggi di più sul linguaggio umano rispetto al passato. Sempre che se ne sappia di più.

La situazione è simile a quella alla quale ci troviamo di fronte quando guardiamo un cielo stellato dove le stelle sono le opinioni che nel corso degli anni si sono formate sul linguaggio. Istintivamente, non possiamo fare a meno di congiungere tra loro le stelle che più risaltano: se non siamo particolarmente esperti, o comunque condizionati, ognuno di noi si costruisce le proprie costellazioni, alcune ovvie altre più ardite, altre implausibili. Ma il cielo notturno ha anche un’altra particolarità. Sappiamo infatti che non tutte le stelle che vediamo sono necessariamente ancora attive: la luce che ci arriva è una luce antica, che potrebbe essere ancora in viaggio quando la stella è già morta. Il cielo è dunque contemporaneamente simile a un museo di storia naturale e a uno zoo: accanto ad animali vivi vediamo l’impronta di quelli che non ci sono più. Dunque le nostre costellazioni non solo sono fondamentalmente arbitrarie, ma sono anche in qualche modo dei miraggi che possono anche essere fatti di fantasmi di stelle. Lo stesso accade per le teorie sul linguaggio. Ci sono tantissime opinioni: alcune attuali, altre decadute, altre ricorrenti; ma spesso non ce ne accorgiamo e anche per il linguaggio, come per il cielo stellato, ognuno si costruisce la costellazione preferita.



Xu Bing (1955), particolare dell’installazione «A book from the sky» (1987-1991), Pechino, China Art Gallery
Un esempio lampante di come le idee sul linguaggio possano essere difficili da interpretare e talvolta sorprendentemente ingannevoli è dato da questa citazione: «La grammatica è la stessa in tutte le lingue come conseguenza di ciò che la costituisce, anche se possono esserci variazioni accidentali». A che epoca corrisponde? Senza una data precisa, questo pensiero potrebbe benissimo essere attribuito a un linguista contemporaneo, di quelli che appartengono al filone inaugurato nella seconda metà del Novecento negli Stati Uniti da Noam Chomsky: da allora, infatti, sappiamo che, se facciamo astrazione dell’arbitrarietà con la quale si abbinano suoni e significati, la struttura delle lingue non può variare a piacimento, ma è vincolata dall’architettura neurobiologica del nostro cervello, del quale è espressione. Eppure il pensiero che sta alla base di questa citazione non si basa affatto su dati sperimentali ma è il frutto di una deduzione fondata su riflessioni filosofiche e, soprattutto, teologiche. Si tratta infatti di una frase tratta da un’opera di Ruggero Bacone, francescano, filosofo tanto famoso ed eccellente da meritarsi il titolo di «Doctor Mirabilis», attivo a Parigi verso la metà del Duecento. Secondo Bacone esiste una sola lingua perché la lingua rifletterebbe la struttura della realtà e, ovviamente, esiste una sola realtà. Secondo Chomsky, invece, esiste una sola lingua perché le lingue sarebbero espressioni di un progetto biologicamente determinato. Le regole di due lingue apparentemente diversissime sarebbero solo l’effetto macroscopico di alcuni (pochi) gradi di libertà microscopici delle quali sono dotate le lingue. Un fatto che stupisce senza dubbio, ma non di più di quanto stupisca il fatto che la differenza tra un maiale e una libellula sta nel numero e nella disposizione di quattro basi azotate lungo la catena del polimero di Dna. Due vie diversissime, dunque, quella neurobiologica e quella teologica, praticamente incommensurabili, eppure convergenti. Ma a seconda del percorso che si è fatto per arrivare alla stessa conclusione si aprono scenari diversissimi. Ad esempio, l’ipotesi biologica di Chomsky costituisce oggi di fatto la base teorica per la ricerca di tipo neurobiologico sul linguaggio, che sta dando risultati sorprendenti e, per certi versi, destabilizzanti.
Questo stato di cose, niente affatto isolato nel pensiero linguistico, ci costringe ad una riflessione inaspettata: nella scienza come altrove il percorso che porta ad una conclusione è decisivo quanto la conclusione stessa, perché è in base al percorso che decidiamo i passi successivi. E siccome la scienza è un percorso continuo, saranno i percorsi aperti da una teoria — le nuove domande, cioè — a qualificarne il valore non i punti d’arrivo. Come dire: non tutte le costellazioni che disegniamo sono utili per tracciare una rotta. La bontà della scelta si può alla fine misurare solo con la risposta della realtà; anche per il linguaggio umano.

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