Sentenza storica e senza precedenti per l’Italia tanto che già il ricorso era stato inserito nel massimario della CEDU. È, però, impossibile restituire loro il bimbo, perché ha sviluppato un forte legame con la famiglia affidataria dall’aprile 2013. La maternità surrogata, anche dopo la pronuncia n. 162/2014 della Consulta, continua ad essere vietata. La giurisprudenza italiana si è sempre divisa sul riconoscimento del suo status di figlio dei committenti. La Cassazione, con la decisione n. 24001/2014, in un identico caso, lo ha dichiarato figlio di nessuno ed adottabile: «l’ordinamento italiano, per il quale la madre è colei che partorisce, contiene un espresso divieto, rafforzato da sanzione penale, della surrogazione di maternità». Per la CEDU questa è un’extrema ratio e per vari motivi non c’è stato un equo bilanciamento degli interessi in gioco, soprattutto quello supremo del bimbo ad avere un legame familiare (parentale, genetico od altro) con i genitori committenti. Sono stati risarciti con € 30.000 oltre oneri accessori.
La CEDU, sez. II, nel caso Paradiso e Campanelli c. Italia del 27 gennaio 2015 ha il merito di aver risolto molte ambiguità dato che la giurisprudenza interna e delle corti UE è divisa sul punto (Tribunale di Trieste, GUP del 4/10/13,CDA Bari 169/09 ed EU:C: 2014:159 e 169), essendo rilevante la disomogeneità delle legislazioni europee in materia: si devono tutelare la c.d. vita familiare di fatto ed il benessere del minore.
Il caso. I genitori avevano procreato il figlio (nato nel 2011), anch’esso ricorrente, con l’utero in affitto di una donna russa. La madre committente, infatti, è sterile e dopo il fallimento dei vari tentativi di fecondazione omologa, dato che l’eterologa era ancora vietata, ricorsero a questa pratica usando i gameti del marito e l’ovulo della gestante, sì che sull’atto di nascita del minore, redatto ed annotato a Mosca ex Convenzione dell’Aja del 1961, risulta figlio dei ricorrenti che ne chiesero la trascrizione in Italia, ma il Consolato italiano a Mosca, sospettando la maternità surrogata, anziché l’asserita eterologa e, quindi, un’alterazione di stato circa il vero nominativo dei genitori, aveva già trasferito il relativo fascicolo al P.G. di Campobasso. Da qui è sorto un caso giudiziario affrontato anche dal competente Tribunale dei minori conclusosi con la dichiarazione dello stato di abbandono e di adottabilità del minore (art. 8 l. n. 40/2004). I genitori ricorrenti, infatti, non solo avevano violato i divieti di maternità surrogata, di commercializzazione degli ovuli (la pratica era stata curata da un’agenzia locale specializzata cui avevano versato circa €.50000), ma per il Tribunale «il bambino era lo strumento con cui soddisfare il loro desiderio narcisistico di esorcizzare il problema di coppia. A parere del Tribunale, questo comportamento solleva dubbi sulle capacità educative ed emotive dei due ricorrenti. L’allontanamento del bambino è pertanto nel suo interesse». Dal test del DNA era risultato, poi, che il marito non era il padre genetico, sì che furono accusati ex art. 72 l. n. 184/1983, il bimbo è stato messo in una casa famiglia ai sensi degli artt. 8 e 10, non avendo più contatti con i genitori esclusi dall’adozione ex lege. Sorse anche un problema amministrativo: il minore, essendo senza identità, seppur provvisoria, non poteva iscriversi a scuola, fare le vaccinazioni etc. Si contestava l’applicabilità dell’art. 33 l. n. 218/1995, escludendo l’eterologa e considerando illegale la surrogazione di maternità: era legittimo il rifiuto della trascrizione perché contraria all’ordine pubblico (d.P.R. n. 396/2000).Fu aperta, poi, una nuova procedura di adottabilità e gli fu attribuita una nuova identità sconosciuta ai ricorrenti, ribadendone l’impossibilità di adottarlo (5 giugno 2013). Ergo sono ricorsi alla CEDU anche per una violazione dell’art. 6 Cedu.
Quadro normativo. L’art. 33 l n. 218/1995 (diritto internazionale privato) sancisce che la filiazione è regolata dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita. La l. n. 184/1983 disciplina l’adozione, sancendone casi particolari all’art.44 (potenzialmente applicabile al nostro caso; Trib. min. Roma 299/14 sul primo caso di step adoption italiano). L’art. 72 punisce penalmente chi introduce sul nostro suolo un minore straniero in violazione della legge per procurarsi denaro od altri benefici e per affidarlo definitivamente ad una coppia italiana. Lo stato di adottabilità, essendo revocabile o modificabile, esclude il ricorso speciale ex art. 111 Cost. innanzi alla S.C. (Cass. n. 17916/2012). La legge russa consente la maternità surrogata e riconosce come genitori i committenti, imponendo stringenti limiti e non richiedendo alcun legame genetico tra questi ed il neonato. Infine il Comitato ad hoc sui progressi della biomedicina, nel 1989, ha pubblicato una serie di principi e tra questi uno in cui si vietava la maternità surrogata, salvo che i singoli stati la consentano in via eccezionale purché la madre decida di tenere il bambino o sia totalmente gratuita.
Illecito rifiuto della trascrizione del certificato di nascita. C’è stata un’illecita interferenza dello Stato che arbitrariamente ha negato la trascrizione anche se era dovuta ai sensi della Convenzione dell’Aja del 1961 e dell’art.33 l. n. 218/1995, tanto più che la legge russa, come detto, non richiede alcun legame genetico tra genitori e figlio nato con l’utero in affitto. Infine rileva un no sense giuridico: allora la nostra legge vietava l’eterologa e la maternità surrogata, ma consentiva il c.d. turismo della procreazione, ossia di concepire un figlio con queste tecniche all’estero. Si noti che anche dopo la la pronuncia n. 162/2014 della Consulta si continua ad importare gameti ed ovuli da banche genetiche estere autorizzate (v. amplius, G. Milizia, Fecondazione eterologa tra scienza, etica e diritto dopo la sentenza della Corte Costituzionale 162/2014). Doveva essere trascritto in base agli accordi bilaterali tra Russia ed Italia che avevano consentito l’adozione di 781 minori solo nel 2011 e poi la coppia non aveva commesso reati in Russia, sì che l’atto era valido e legale, avendo valore di pubblicità e non di attestazione di uno status giuridico.
Vita familiare di fatto. La CEDU, nell’esplicare il campo di azione dell’art.8, introduce questo concetto per sottolineare come si possano creare forti legami, anche se la legge non considera valido od esistente il rapporto familiare tra genitori e figlio: rinvia ai casi Wagner e J.M.W.L. c. Lussemburgo del 28 gennaio 2007 e Moretti e Benedetti c. Italia del 27 aprile 2010. C’è un vincolo di fatto dovuto alla convivenza col minore prima di rientrare in patria e di chiederne l’adozione o la trascrizione dell’atto come nel nostro caso. In breve l’art. 8 non tutela il mero desiderio di famiglia, ma tutti quei legami ad essa assimilabili: non solo quelli sorti col matrimonio, ma anche quelli connessi alla convivenza/coabitazione. «Ai sensi dell’art. 8 esiste una famiglia laddove c’è un legame familiare che si può sviluppare come quello tra il padre ed il figlio nato fuori dal matrimonio o dalla relazione nata da un’adozione legale e non fittizia» (Pini ed altri contro Romania del 2004). Non vi è dubbio che sussista anche nella fattispecie, dato che il certificato attesta la filiazione e che il curatore del minore, nominato dal Tribunale, aveva chiesto la revoca della patria potestà.
Violazione della privacy. Il DNA è un dato sensibilissimo ed il test ha violato la privacy del padre, rivelando una verità imbarazzante e che ha messo in discussione il legame col figlio con impatto devastante sulla vita di entrambi. Indiscutibile la sua buona fede, ma le certezze sono state sgretolate dal test. L’art. 8 presuppone una stretta connessione tra serenità familiare e privacy, da qui la deroga sotto il duplice profilo.
Bilanciamento degli interessi. In questi casi è sempre difficile, ma deve sempre prevalere quello del minore, tanto più che era stata rispettata la legge russa e l’agenzia li aveva aiutati solo ad ottenere il certificato. Le decisioni delle corti interne erano legittime, necessarie e proporzionate alla tutela dell’ordine pubblico, ma esso non può essere usato come passpartout per legittimare possibili arbitri e tali interferenze. Infatti è palese come tutto ciò, la dichiarazione d’adottabilità del minore ed il suo affidamento ad una nuova famiglia, dovevano esser misure estreme: era nell’interesse supremo del minore avere un legame con il padre sia esso genetico, di parentela od altro, ricevere affetto, un’educazione, ma gli è stato negato (Zhou c. Italia del 21 gennaio 2014). Per tutti questi motivi non c’è stato un equo bilanciamento degli interessi e l’interferenza dell’Italia è stata illecita.
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