venerdì 16 gennaio 2015

Il Comitato "Sì alla Famiglia" si oppone a matrimoni e adozioni omosessuali "anche mascherati da unioni civili" - 16 gennaio 2015 - http://www.siallafamiglia.it/testo-unico-sui-diritti-dei-conviventi/

Sì alla famigliaTESTO UNICO SUI DIRITTI DEI CONVIVENTI

 Sì alla famiglia ha presentato a Roma in una riunione con parlamentari di diversi partiti, e propone con un comunicato del 16 gennaio, un testo unico sui diritti dei conviventi. Il testo elenca e ribadisce quanto l’ordinamento italiano già prevede, esplicitamente o implicitamente, per le persone impegnate in convivenze. Tra questi l’assistenza del partner in ospedale e in carcere e la successione nei contratti di locazione. Il testo ribadisce che il partner di fatto ha titolo, a determinate condizioni, al risarcimento del danno subito dall’altro partner e all’indennizzo che spetta al partner vittima di delitti di mafia o di terrorismo. Tutto questo per le convivenze tra persone sia di sesso diverso, sia dello stesso sesso.
Lo scopo è quello di distinguere con estrema chiarezza il cosiddetto “matrimonio” omosessuale, con la conseguente possibilità di adottare figli, cui siamo assolutamente contrari anche qualora lo si nasconda pudicamente sotto il nome di “unioni civili”, dal riconoscimento dei diritti e doveri che derivano dalle convivenze. Per questo, a differenza di quanto fa il disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili, non parliamo di unioni civili – una sigla che in tutta Europa significa qualcosa di analogo in tutto al matrimonio tranne che nel nome – e non prevediamo né l’adozione né la riserva di legittima per la successione né la reversibilità delle pensioni, che sono cose tipiche dei matrimoni o almeno di simil-matrimoni. Sì alla Famiglia ricorda che non sono oppositori del disegno di legge Cirinnà sulle unioni civili o delle proposte annunciate da Renzi a sostenere che le unioni civili sono matrimoni sotto altro nome. Lo ha affermato in un’intervista a «Repubblica» del 16 ottobre 2014 lo stesso sottosegretario Scalfarotto, dichiarando che «l’unione civile non è un matrimonio più basso, ma la stessa cosa. Con un altro nome per una questione di realpolitik». E se anche si costruisse un istituto presentato come “la stessa cosa” del matrimonio senza adozioni, è certo che le adozioni, com’è avvenuto in Germania e in altri Paesi, sarebbero rapidamente introdotte dalla Corte Costituzionale in nome del principio di uguaglianza.
Questo testo, che rende maneggevoli e coordina disposizioni che l’ordinamento italiano già comprende , permetterà ai parlamentari di schierarsi e agli elettori di comprendere le loro posizioni. Chi vuole il “matrimonio” omosessuale, completo di adozioni subito o tra qualche anno, potrà votare le unioni civili della Cirinnà o di Renzi. Chi vuole ribadire che ai conviventi, dello stesso sesso o di sessi diversi, sono riconosciuti i diritti e i doveri relativi alla sanità, alle carceri, alla locazione, ai risarcimenti, ma vuole chiudere la porta al “matrimonio” e alle adozioni, ora ha un testo su cui convergere.


Testo unico dei diritti riconosciuti
ai componenti di una unione di fatto


Capo 1- Regolamento anagrafico
Art. 1 – Convivenze e iscrizione anagrafica
1. Ai sensi degli articoli 1, 4, 6 e 13 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989 n. 223, l’anagrafe della popolazione residente è la raccolta sistematica dell’insieme delle posizioni relative, fra le altre, ai componenti di una convivenza che hanno  fissato nel comune la propria residenza.
2. L’anagrafe è costituita da schede individuali, di famiglia e di convivenza. In tali schede sono registrate le posizioni anagrafiche desunte dalle dichiarazioni degli  interessati, dagli accertamenti d’ufficio e dalle comunicazioni degli uffici di stato civile.
3. Agli effetti anagrafici, per convivenza si intende l’unione fra due persone legate da stabili vincoli affettivi, coabitanti e aventi dimora abituale nel medesimo comune, insieme con i familiari di entrambi che condividano la dimora.
4. Ciascun componente della convivenza come sopra definita è responsabile per sé e per le persone sulle quali esercita la potestà o la tutela delle dichiarazioni anagrafiche di cui al comma 5. Ciascun componente può rendere inoltre le dichiarazioni  relative alle mutazioni delle posizioni degli altri componenti del nucleo di convivenza.
5. Le dichiarazioni anagrafiche di cui al comma precedente concernono i seguenti fatti: a) trasferimento di residenza da altro comune o dall’estero ovvero trasferimento di residenza all’estero; b) costituzione di nuova  convivenza, ovvero mutamenti intervenuti nella composizione della convivenza; c) cambiamento di abitazione.
6. La vigilanza sulla corretta tenuta degli adempimenti anagrafici, anche per la parte riguardante le dichiarazioni riguardanti le convivenze e la verifica della loro rispondenza al vero, e le relative sanzioni, sono regolate dagli articoli da 51 a 56 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989 n. 223.

Capo 2 – Assistenza socio-sanitaria e per i detenuti
Articolo 2 – Convivenze e assistenza sanitaria
In presenza di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1, ciascun convivente ha diritto di assistere l’altro in ospedali, case di cura o strutture sanitarie, nel rispetto delle disposizioni interne a tali strutture.
Ciascun convivente può delegare l’altro perché, nei limiti delle norme vigenti:  a) adotti le decisioni necessarie sulla salute in caso di malattia da cui derivi incapacità di intendere e di volere; b) riceva dal personale sanitario le informazioni sulle opportunità terapeutiche; c) decida in caso di decesso sulla donazione di organi, sul trattamento del corpo e sulle celebrazioni funebri, in assenza di previe disposizioni dell’interessato.
La delega di cui al comma 2 avviene con atto scritto autenticato ovvero, nel caso di impossibilità, con volontà comunicata a un pubblico ufficiale che forma un processo verbale.
La revoca, anche parziale, della delega avviene con le medesime modalità di cui al comma 3.
Articolo 3 – Convivenze e accesso alla cartella clinica
Ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196, in presenza di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1, ciascun convivente ha accesso ai dati personali del convivente contenuti nella cartella clinica della struttura sanitaria nella quale è stato ricoverato, e dei documenti che a essa si riferiscono, se il paziente è incapace di intendere e di volere o è deceduto.
                            Articolo 4 – Convivenze e congedi per salute
1. Ai sensi dell’articolo 4 della legge 8 marzo 2000 n. 53, in presenza di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1, il permesso retribuito di tre giorni lavorativi all’anno è riconosciuto alla lavoratrice e al lavoratore in caso di documentata grave infermità del convivente ovvero di decesso.
2. In casi di documentata grave infermità, il lavoratore e la lavoratrice concordano con il datore di lavoro diverse modalità di espletamento dell’attività lavorativa.
Articolo 5 – Convivenze e accesso ai servizi dei consultori
Ai sensi dell’art. 1 della legge 29 luglio 1975, n. 405, l’assistenza psicologica e sociale per la preparazione alla maternità ed alla paternità responsabile e per i problemi della coppia e della famiglia sono garantiti anche ai componenti di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1.

Articolo 6 – Convivenze e colloqui con i detenuti

Ai sensi dell’art. 18 della legge 26 luglio 1975, n. 354, in presenza di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1, i colloqui e la corrispondenza telefonica sono permesse con la persona con la quale prima della detenzione sussisteva la convivenza, a parità delle condizioni previste per i familiari.
Articolo 7 – Convivenze e permessi per i detenuti
Ai sensi dell’art. 30 della legge 26 luglio 1975, n. 354, in presenza di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1 e nel caso di imminente pericolo di vita del convivente, i condannati e gli internati ricevono dal magistrato di sorveglianza il permesso di recarsi a visitare il convivente infermo, nei limiti e con le cautele previste dal regolamento penitenziario.
 Analoghi permessi possono essere concessi per eventi eccezionali di particolare gravità.
Capo 3 – Filiazione, interdizione, inabilitazione, adozione, procreazione medicalmente assistita
Articolo 8 – Convivenze e filiazione
Ai sensi dell’articolo 315 del codice civile, tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico, indipendentemente dalla esistenza di un rapporto di coniugio fra i genitori.
Articolo 9 – Convivenze e tutela, curatela e amministrazione di sostegno
Ai sensi dell’art 408 comma 1 del codice civile, il giudice tutelare, nella scelta dell’amministratore di sostegno, preferisce, ove possibile, il coniuge che non sia separato legalmente, la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, il figlio o il fratello o la sorella, il parente entro il quarto grado.
Ai sensi dell’’art. 410, comma 3, del codice civile l’amministratore di sostegno non è tenuto a continuare nello svolgimento dei suoi compiti oltre dieci anni, ad eccezione dei casi in cui tale incarico è rivestito dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dagli ascendenti o dai discendenti.
Ai sensi dell’art. 411, comma 3, del codice civile sono in ogni caso valide le disposizioni testamentarie e le convenzioni in favore dell’amministratore di sostegno che sia parente entro il quarto grado del beneficiario, ovvero che sia coniuge o persona che sia stata chiamata alla funzione in quanto con lui stabilmente convivente.
Ai sensi dell’’art. 417 del codice civile, in materia di interdizione e inabilitazione, le relative istanze possono essere promosse anche dalla persona stabilmente convivente.
Ai sensi dell’art. 426 comma 1 del codice civile nessuno è tenuto a continuare nella tutela dell’interdetto o curatela dell’inabilitato oltre i 10 anni, ad eccezione del coniuge, della persona stabilmente convivente, degli ascendenti o dei discendenti.
Articolo 10 – Convivenze e idoneità all’adozione
1. Ai sensi dell’articolo 6, comma 4, della legge 4 maggio 1983 n. 184, il requisito della stabilità del rapporto ai fini della determinazione della idoneità della coppia si ritiene realizzato anche quando i coniugi hanno convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni, nel caso in cui il tribunale per  i  minorenni  accerti  la continuità e la stabilità della convivenza, avuto riguardo a  tutte le circostanze del caso concreto.
Articolo 11 – Convivenze e adozione
1. Ai sensi dell’articolo 44, comma 3, della legge 4 maggio 1983 n. 184, l’adozione dei minori e’ consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato, se si tratta di persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando  il minore sia orfano di padre e di madre, ovvero quando il minore si trova nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992 n. 104 e sia orfano di padre e di madre, ovvero quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.
Articolo 12 – Convivenze e procreazione medicalmente assistita
1. Ai sensi dell’articolo 5 della legge 19 febbraio 2004 n. 40, l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è permessa anche a due maggiorenni di sesso diverso fra loro conviventi.
Capo 4 – Contrasto degli abusi nell’ambito della convivenza
Articolo 13 – Convivenza e protezione contro gli abusi nell’ambito di essa.
Ai sensi dell’articolo 342-bis del codice civile, quando la condotta del convivente è causa di grave pregiudizio per l’integrità fisica o morale ovvero per la libertà dell’altro convivente, il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all’articolo 342-ter.
Articolo 14 – Convivenza e ordine di allontanamento
Ai sensi dell’articolo 342-ter del codice civile, col decreto di cui all’articolo 342-bis il giudice ordina al convivente che ha tenuto la condotta pregiudizievole, la cessazione della stessa condotta e dispone l’allontanamento dalla casa familiare del convivente che ha tenuto la condotta pregiudizievole prescrivendogli altresì, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall’istante, ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d’origine, ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia, salvo che questi non debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze di lavoro. Valgono per il convivente tutte le disposizioni contenute nel medesimo articolo 342-bis del codice civile.
 Articolo 15 – Convivenza e decadenza della potestà di genitore
Ai sensi dell’articolo 330 del codice civile il giudice può pronunziare la decadenza dalla responsabilità genitoriale quando il genitore viola o trascura i doveri a essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio. In tal caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore.

Capo 5 – Accesso all’abitazione e tutela civilistica

Articolo 16 – Convivenza e successione nella locazione
Ai sensi dell’articolo 6 della legge 27 luglio 1978 n. 392, come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale del 7 aprile 1988 n. 404, in presenza di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1, succede nella titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente ovvero colui che abbia cessato la convivenza si vi è prole naturale nata dalla loro unione.
Articolo 17 – Convivenza e assegnazione degli alloggi economici-popolari
Ai sensi dell’articolo 13 comma 2 del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008 n. 133, gli accordi raggiunti in sede di Conferenza unificata Stato-regioni ed enti locali aventi ad oggetto la semplificazione delle procedure di alienazione degli immobili di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, tengono conto, fra gli altri, del criterio del riconoscimento del diritto di opzione all’acquisto in favore dell’assegnatario unitamente al proprio coniuge, qualora risulti in regime di comunione dei beni, ovvero, in caso di rinunzia da parte dell’assegnatario, in favore del coniuge in regime di separazione dei beni, o, gradatamente, del convivente, purché la convivenza duri da almeno cinque anni, dei figli conviventi, dei figli non conviventi.
Articolo 18 – Convivenza e impresa familiare
Ai sensi dell’articolo 230 bis del codice civile, in presenza di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1, le prestazioni lavorative svolte nell’ambito di essa non hanno il requisito della subordinazione se è dimostrata la comunanza di vita e di interessi tra i conviventi che dia luogo alla partecipazione, effettiva ed equa, del convivente alle risorse della famiglia di fatto.
Articolo 19 – Convivenza e risarcimento per fatto illecito
Ai sensi degli articoli 2043 e 2059 del codice civile, in presenza di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1, il convivente ha diritto al risarcimento del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale in caso di morte dell’altro convivente provocata dal fatto ingiusto altrui.
Articolo 20 – Convivenza e contratti di assicurazione
Ai sensi dell’articolo 5 comma 4 bis del decreto-legge 31 gennaio 2007 n. 7, convertito nella legge 2 aprile 2007 n. 40, in presenza di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1, l’impresa di assicurazione, in tutti i casi di stipulazione di un nuovo contratto, relativo a un ulteriore veicolo della medesima tipologia, acquistato dalla persona fisica già titolare di polizza assicurativa o dal suo convivente, non può assegnare al contratto una classe di merito più sfavorevole rispetto a quella risultante dall’ultimo attestato di rischio conseguito sul veicolo già assicurato.

Capo 6 – Tutela penalistica
Articolo 21 – Convivenza e circostanze aggravanti dei reati
Ai sensi dell’articolo 61 del codice penale, l’aggravante per chi abbia commesso il fatto con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione, o di ospitalità si applica anche in presenza di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1.
Articolo 22 – Convivenza e casi di non punibilità
Ai sensi dell’articolo 384 del codice penale, l’espressione “prossimo congiunto” deve ritenersi estesa anche coloro che compongono una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1.
Articolo 23 – Convivenza e rapporto di parentela penalmente rilevante
Ai sensi dell’articolo 540 del codice penale, l’espressione “rapporto di parentela” include anche il legame di convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1.
Articolo 24 – Convivenza e violazione degli obblighi di assistenza familiare
Nell’articolo 570 del codice penale dopo l’espressione “qualità di coniuge” va inserita “o di componente di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1”.
Articolo 25 – Convivenza e reato di maltrattamento
Ai sensi dell’articolo 572 del codice penale il reato di maltrattamenti in famiglia o verso i congiunti sussiste anche nei riguardi di una persona che compone una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1.
Articolo 26 – Reati commessi da un convivente in danno dell’altro convivente
 1. Nell’articolo 649 del codice penale, dopo l’espressione “coniuge non legalmente separato” va inserita “e del componente di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1” della presente legge.

Capo 7 – Tutela processualpenalistica
Articolo 27 – Convivenza e obbligo di testimoniare
Ai sensi dell’articolo 199 comma 1 del codice procedura penale fra i prossimi congiunti dell’imputato devono ritenersi inclusi coloro che compongono una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1.
Ai sensi dell’art. 199 comma 3 del codice procedura penale il testimone ha facoltà di astenersi dalla testimonianza limitatamente ai fatti verificatisi o appresi dall’imputato durante la convivenza se, pur non essendo coniuge dell’imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso.
Articolo 28 – Convivenza e ordine di allontanamento dalla casa comune
Ai sensi dell’articolo 282 bis comma 3 del codice procedura penale, il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può ingiungere all’imputato cui rivolge il provvedimento di allontanamento dalla casa familiare il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto della misura cautelare disposta, rimangano prive di mezzi adeguati.
Ai sensi dell’articolo 282 bis comma 6 del codice procedura penale, se si procede per uno dei delitti previsti dagli articoli 570, 571, 600 bis, 600 ter, 600 quater, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies e 609 octies del codice penale, commesso in danno del convivente, la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’articolo 280 del codice di procedura penale.
Articolo 29 – Convivenza e domanda di grazia
Ai sensi dell’articolo 681 comma 1 del codice procedura penale, la domanda di grazia, diretta al presidente della Repubblica, può essere sottoscritta anche da colui che compone una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1.
Articolo 30 – Convivenza e indagini antimafia
Ai sensi dell’articolo 19 del decreto legislativo 6 settembre 2011 n. 159, le indagini finalizzate all’applicazione di misure di prevenzione riguardanti il tenore di vita, le disponibilità finanziarie e il patrimonio dei soggetti nei cui confronti possa essere proposta la misura di prevenzione della sorveglianza speciale della pubblica sicurezza, e quelle riguardanti l’attività economica facente capo agli stessi soggetti allo scopo anche di individuare le fonti di reddito, sono effettuate anche nei confronti di coloro che nell’ultimo quinquennio hanno convissuto con i soggetti indicati al comma 1 dello stesso articolo 19 nonché nei confronti delle persone fisiche o giuridiche, società, consorzi od associazioni, del cui patrimonio i soggetti medesimi risultano poter disporre in tutto o in parte, direttamente o indirettamente.

Capo 8 – Tutela delle vittime di reati
Articolo 31 – Convivenza ed elargizioni alle vittime di terrorismo e di criminalità organizzata
Ai sensi dell’articolo 4 della legge 20 ottobre 1990 n. 302, in presenza di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1, il convivente ha diritto alla elargizione di cui al comma 1 del menzionato articolo 4, alla condizioni e secondo l’ordine di precedenza ivi indicati.
Articolo 32 – Convivenza ed elargizioni alle vittime di racket e di usura
Ai sensi dell’articolo 8 della legge 23 febbraio 1999 n. 44 se, in conseguenza dei delitti previsti dagli articoli 3, 6 e 7 della menzionata legge n. 44, i soggetti ivi indicati perdono la vita, l’elargizione è concessa, nell’ordine, ai soggetti di seguito elencati a condizione che la utilizzino in un’attività economica, ovvero in una libera arte o professione, anche al di fuori del territorio di residenza: a) coniuge e figli; b) genitori; c) fratelli e sorelle; d) convivente more uxorio e soggetti, diversi da quelli indicati nelle lettere a), b) e c), conviventi nei tre anni precedenti l’evento a carico della persona.
Articolo 33 – Convivenza e protezione dei collaboratori di giustizia
Ai sensi dell’articolo 9 comma 5 della legge 13 febbraio 2001 n. 45 le speciali misure di protezione di cui al comma 4 possono essere applicate anche a coloro che convivono stabilmente con le persone indicate nel comma 2 nonché, in presenza di specifiche situazioni, anche a coloro che risultino esposti a grave, attuale e concreto pericolo a causa delle relazioni intrattenute con le medesime persone.
Relazione

   On. Colleghi! Da tempo – per lo meno della metà degli anni 1980 – si discute sulla necessità di introdurre nell’ordinamento italiano una legge che disciplini le c.d. unioni di fatto. Quasi sempre la discussione trascura che i diritti che sono già riconosciuti ai componenti di una coppia di fatto, per via di intervento legislativo o giurisprudenziale, sono numerosissimi; una disamina attenta e oggettiva fa scoprire, per esempio (si riprende una delle voci evocate con maggiore frequenza), che non vi è nessun ostacolo all’assistenza in qualunque struttura sanitaria del convivente nei confronti del proprio partner. Addirittura – quando il paziente non è in condizioni di decidere e in assenza di coniuge – in base a una legge del 1999, il convivente viene informato e può decidere un’operazione di trapianto di organo. Norme di parificazione del convivente al coniuge, derivanti dalla legge ordinaria o dalla giurisprudenza, ci sono in tema di assistenza da parte dei consultori, di interdizione e inabilitazione, di figli, di successione nella locazione e nell’assegnazione di un alloggio popolare; il partner di fatto ha titolo, a determinate condizioni, al risarcimento del danno subito dall’altro partner; perfino la legislazione sulle vittime di mafia o terrorismo equipara il convivente al coniuge. Tutto ciò accade perché, a partire dagli anni 1980, ogniqualvolta la legge ordinaria ha sancito un diritto per il coniuge, di regola lo ha previsto anche per il convivente; questo modo di procedere è stato affiancato, in parallelo, da numerose sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione intervenute nella materia. E questo accade sia che la convivenza riguardi persone di sesso diverso sia che riguardi persone del medesimo sesso.
Alla fine, è più facile elencare quello che resta ancora fuori: a) la riserva di legittima per la successione; b) la possibilità per i conviventi di adottare figli; c) una parte delle disposizioni penali e processualpenalistiche che toccano le relazioni familiari (se si considerano una per una, esse però non giustificano la costruzione di un modello alternativo di famiglia, bensì – al più – un più modesto intervento di estensione di garanzie e di tutele: ciò che viene fatto in questo testo unico); d) un regime pensionistico di reversibilità in favore del convivente.
La premessa di questo testo è che, a differenza di quanto prevede qualche disegno di legge già in fase di avanzata discussione – si pensi al “d.d.l. Cirinnà” pendente in Commissione Giustizia al Senato, che nella sostanza parifica il regime delle unioni civili a quello matrimoniale –, la tutela che l’articolo 29 della Costituzione riserva alla “famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” è più specifica rispetto a quella che l’articolo 2 della stessa Carta fondamentale riserva alle “formazioni sociali intermedie”, fra le quali la giurisprudenza colloca le convivenze. Il buon senso, il senso di realtà e la Costituzione non possono equiparare in tutto e per tutto istituti che pari non sono, come il matrimonio e l’unione di fatto.
Lo scopo di questo testo, composto da 33 articoli suddivisi in 8 capi, è far emergere tutto ciò che l’ordinamento già prevede, esplicitamente o implicitamente, in tema di tutela dei diritti dei conviventi: lo raccoglie e lo rende ordinato, fino a costituire un vero e proprio statuto della convivenza, sulla scorta di ciò che è già diritto vivente, o può diventarlo con leggeri aggiustamenti. Il dibattito sulle unioni civili sarà certamente meno ideologizzato se resterà ancorato ai testi in vigore e avrà piena consapevolezza del tanto che già esiste.
 1. Collegamento con il regolamento anagrafico. Ogni disposizione di questo testo unico contiene un espresso richiamo a una norma vigente, che ovviamente non si riporta per intero, bensì solo per la parte che fa riferimento alle convivenze, e un espresso aggancio alla convivenza come definita dall’articolo 1. Con quattro deroghe: a) si afferma in esplicito il diritto all’assistenza del partner nelle strutture sanitarie, certamente contenuto nel sistema, per quanto osservato prima, ma non espresso in una norma di legge; b) in taluni articoli del testo unico si interviene ex novo per estendere al convivente norme del codice penale e del codice di procedura penale riguardanti i rapporti fra imputati e gli stretti familiari; b) in altri articoli, quando la relazione di convivenza vale in quanto inserita in un ordine di preferenza che comprende altri familiari, si preferisce riportare l’intera sequela, per evitare confusioni; c) per alcuni specifici interventi legislativi – per es., in tema di risarcimenti alle vittime dei reati – si prevede un periodo più lungo di convivenza; si è ritenuto di lasciarlo inalterato perché risponde a logiche proprie di quel tipo di legislazione.
Il punto di partenza, all’articolo 1, è l’aggancio del rapporto di convivenza al regolamento anagrafico: rimodulando gli articoli 1, 4, 6 e 13 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989 n. 223, Approvazione del nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente, dopo aver ricordato che “l’anagrafe della popolazione residente è la raccolta sistematica dell’insieme delle posizioni relative, fra le altre, ai componenti di una convivenza che hanno  fissato nel comune la residenza”, e che “l’anagrafe è costituita da schede individuali, di famiglia e di convivenza. In tali schede sono registrate le posizioni anagrafiche desunte dalle dichiarazioni degli  interessati, dagli accertamenti d’ufficio e dalle comunicazioni degli uffici di stato civile”, si fornisce la definizione anagrafica di convivenza, adattando – tenuto conto degli effetti che produce – quella dell’originaria stesura del d.p.r.: “per convivenza si intende l’unione fra due persone legate da stabili vincoli affettivi, coabitanti e aventi dimora abituale nel medesimo comune, insieme con i familiari di entrambi che condividano la dimora”. Non è individuato il tempo minimo di coabitazione idoneo a qualificare la convivenza come “stabile”, poiché ci si affida all’accertamento che è chiamato a svolgere ciascun Comune sulla base di elementi di fatto, il cui apprezzamento non è preventivabile in modo eguale per tutti.
Sono pienamente operative le disposizioni del d.p.r. e delle norme secondarie e regolamentari a esso collegate, in ordine agli accertamenti della veridicità delle dichiarazioni rese. Al comma 6 si richiamano in proposito gli articoli da 51 a 56 del d.p.r., riguardanti la vigilanza sulla corretta tenuta degli adempimenti anagrafici, anche per la parte delle dichiarazioni di convivenza e per la loro rispondenza al vero, con le relative sanzioni. I precedenti commi 4 e 5 descrivono i soggetti abilitati a rendere le dichiarazioni anagrafiche e il contenuto di esse.

 2. Assistenza sanitaria e per i detenuti. Le norme che seguono il capo 1 sono raccolte per voci. Quella che interessa il capo 2 attiene a uno degli argomenti maggiormente utilizzati per sostenere la necessità di costruire un regime para-matrimoniale delle convivenze: l’assistenza sanitaria e ai detenuti. È un argomento che – come e più degli altri – si infrange di fronte al diritto vigente: come prima si ricordava, l’articolo 3 della legge 1 aprile 1999, n. 91, Disposizioni in materia di trapianti e di prelievi di organi e di tessuti, prevede che, “all’inizio del periodo di osservazione ai fini dell’accertamento di morte (…), i medici (…) forniscono informazioni sulle opportunità terapeutiche per le persone in attesa di trapianto nonché sulla natura e sulle circostanze del prelievo al coniuge non separato o al convivente more uxorio”. E’ uno degli esempi del coinvolgimento di quest’ultimo nelle decisioni in ordine alla salute del partner: riguarda una materia impegnativa e complessa, e ben può orientare, per analogia, il comportamento dei responsabili degli ospedali e delle case di cura a proposito dell’assistenza al malato ivi ricoverato da parte del convivente. Premesso che oggi nessuna disposizione di legge impedisce al partner di fatto di fare visita e/o di assistere il compagno mentre è degente (non si ha notizia di Carabinieri che allontanino i conviventi dalle stanze di ospedale; è più frequente che cerchino i familiari che mancano!), la circostanza che il convivente diventa parte di decisioni di tale peso, come quelle relative ai trapianti, a fortiori lo legittima a qualsiasi forma di vicinanza al convivente durante il ricovero.
Per eliminare qualsiasi dubbio, l’articolo 2, sul presupposto di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1, stabilisce che ciascun convivente ha diritto di assistere l’altro in ospedali, case di cura o strutture sanitarie, nel rispetto delle disposizioni interne a tali strutture. Viene altresì individuato lo strumento della delega con la quale ciascun convivente può disporre che l’altro adotti le decisioni necessarie sulla salute in caso di malattia da cui derivi incapacità di intendere e di volere, e riceva dal personale sanitario le informazioni sulle opportunità terapeutiche. Ciò nei limiti delle norme vigenti: non è ammissibile alcuna delega, per es., per interventi eutanasici o per impedire un soccorso medico quando ci sono margini di successo. Oggetto della delega può essere anche la scelta in caso di morte sulla donazione di organi, sul trattamento del corpo e sulle celebrazioni funebri, se l’interessato non ha impartito disposizioni. La forma della delega è quella, semplice e garantita, di un atto scritto autenticato ovvero, nel caso di impossibilità, di comunicazione a un pubblico ufficiale che forma un processo verbale. La delega può essere ovviamente revocata, in tutto o in parte.
Restando sul fronte sanitario, l’articolo 3 trasforma in norma una deliberazione del Garante per la protezione dei dati personali del 17 settembre 2009 sulla disponibilità dei dati contenuti nella cartella clinica e nei documenti che a essa si collegano; sul presupposto che il paziente sia incapace di intendere e di volere o sia deceduto, si prevede che il convivente abbia accesso ai dati in questione.
L’articolo 4 del testo unico riprende l’articolo 4 della Legge 8 marzo 2000 n. 53, Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città, che riconosce il permesso retribuito di tre giorni lavorativi all’anno alla lavoratrice e al lavoratore in caso di documentata grave infermità del convivente ovvero di decesso, e prevede pure l’accordo col datore di lavoro per modalità differenti di svolgimento della prestazione in casi di documentata grave infermità del medesimo convivente.
L’articolo 5 richiama la disciplina sui consultori familiari, di cui alla legge 29 luglio 1975, n. 405, Istituzione dei consultori familiari, per ribadire che l’assistenza psicologica e sociale per la preparazione alla maternità ed alla paternità responsabile e per i problemi della coppia e della famiglia sono garantiti anche ai componenti di una convivenza.
La parte relativa al rapporto col convivente detenuto include la possibilità di colloqui e di corrispondenza telefonica, alle stesse condizioni stabilite per i familiari (articolo 6), e il rilascio di permessi in caso di imminente pericolo di vita e in altre ipotesi di particolare gravità (articolo 7): ciò sulla scorta di quanto stabilito dagli articoli 18 e 30 della legge 26 luglio 1975 n. 354, Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà.

3.Rapporti con i figli. Questo capo del testo unico si apre, all’articolo 8, col riferimento all’articolo 315 del codice civile, che non pone distinzioni nello stato giuridico dei figli, qualunque sia la forma del rapporto fra i genitori, e quindi anche se essi siano conviventi e non uniti in matrimonio. L’articolo 9 tiene conto di un settore ordinariamente non considerato quando si parla di unioni di fatto, anche perché la gravosità dei doveri da espletare normalmente supera i diritti dei quali si può immaginare di godere. La legge 9 gennaio 2004, n. 6, Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all’istituzione dell’amministrazione di sostegno e modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizioni e di inabilitazione, nonché relative norme di attuazione, di coordinamento e finali, è intervenuta, a proposito della protezione delle persone prive di autonomia, su vari articoli del codice civile, realizzando una estensione dei soggetti interessati alla tutela o alla curatela. Fra essi, per il discorso che qui interessa, vanno ricordati: a) l’art. 408, in base al quale, al comma 1, il giudice tutelare, nella scelta dell’amministratore di sostegno, “preferisce, ove possibile, il coniuge che non sia separato legalmente, la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, il figlio o il fratello o la sorella, il parente entro il quarto grado (…)”; b) l’art. 410, comma 3, per il quale “l’amministratore di sostegno non è tenuto a continuare nello svolgimento dei suoi compiti oltre dieci anni, ad eccezione dei casi in cui tale incarico è rivestito dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dagli ascendenti o dai discendenti”; c) l’art. 411, comma 3: “sono in ogni caso valide le disposizioni testamentarie e le convenzioni in favore dell’amministratore di sostegno che sia parente entro il quarto grado del beneficiario, ovvero che sia coniuge o persona che sia stata chiamata alla funzione in quanto con lui stabilmente convivente”; d) l’art. 417, in materia di interdizione e inabilitazione, il quale prevede, al comma 1, che le relative istanze possono essere promosse anche “dalla persona stabilmente convivente”; e) l’art. 426 che, al comma 1, in merito alla “durata dell’ ufficio” di tutore o di curatore, dispone che “nessuno è tenuto a continuare nella tutela dell’interdetto o curatela dell’inabilitato oltre i 10 anni, ad eccezione del coniuge, della persona stabilmente convivente, degli ascendenti o dei discendenti”.
Gli articoli 10 e 11 trattano del rapporto fra convivenze e adozione. La legge 4 maggio 1983 n. 184, Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, valorizza la convivenza sotto due aspetti: in base all’articolo 6, comma 4, della stessa legge, l’avere i coniugi convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni integra il requisito della stabilità del rapporto ai fini della determinazione della idoneità della coppia; in base all’articolo 44, comma 3, l’adozione dei minori e’ consentita anche a chi non è coniugato in presenza di determinate condizioni: deve trattarsi di persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, quando  il minore sia orfano di padre e di madre, ovvero quando il minore si trova è portatore di disabilità e sia orfano di padre e di madre, ovvero quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.
Il capo della filiazione si completa, all’articolo 12, col richiamo alla legge 19 febbraio 2004 n. 40 Norme in materia di procreazione medicalmente assistita, che all’articolo 5 permette l’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita anche a due maggiorenni di sesso diverso se sono fra loro conviventi.
 4.Contrasto degli abusi nell’ambito della convivenza. Questa voce non ha un peso marginale, pur non essendo ordinariamente considerata nelle varie proposte riguardanti le unioni di fatto. La legge 4 aprile 2001, n. 154, Misure contro la violenza nelle relazioni familiari, ha introdotto nel codice civile gli articoli 342 bis e ss., e ha esteso ai conviventi le forme di protezione contro gli abusi familiari. Ha così previsto il ricorso al giudice “quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’ integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente”. Ha aggiunto (articolo 342 ter) la possibilità di ottenere a vantaggio del convivente, vittima della condotta pregiudizievole, l’allontanamento dalla casa familiare del convivente che ha tenuto quella condotta; nell’ipotesi in cui la vittima sia sprovvista di adeguati mezzi propri, a ciò si aggiunge la fissazione di un assegno di mantenimento periodico, da porsi a carico del convivente allontanato. In tema di abusi familiari, la legge 28 marzo 2001 n. 149 Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori ha modificato diverse disposizioni del codice civile: fra esse gli articoli 330, comma 2, e 333, comma 2, che prevedono, a tutela del minore, l’allontanamento del genitore o del convivente che maltratta o abusa del minore medesimo. Tutto ciò è ripreso dagli articoli 13, 14 e 15 del presente testo unico.
 5.Tutela civilistica. Il capo 5 si apre con un’altra voce frequentemente evocata a sostegno di una legge sulle unioni civili: quella della successione nella locazione. È una questione che ha trovato soluzione da oltre un quarto di secolo, da quando – cioè – la Corte Costituzionale, con sentenza n. 404 del 7 aprile 1988 ha riconosciuto al convivente more uxorio il diritto di succedere nel contratto di locazione in caso di morte del compagno conduttore dell’immobile, ma anche quando costui si sia allontanato dall’abitazione per cessazione del rapporto di convivenza, in presenza di prole naturale. Lo ha fatto dichiarando costituzionalmente illegittimo l’articolo 6, comma 1 della legge 27 luglio 1978 n. 392 (la legge c.d. sull’equo canone), nella parte in cui non prevede tale possibilità di successione. Il riferimento per la determinazione della convivenza è il regolamento anagrafico prima ricordato. Per la Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. III, 25/05/1989, n. 2524) nell’ipotesi di allontanamento, per qualsiasi motivo, del conduttore dall’immobile locato, il diritto di succedere nel contratto per la convivente more uxorio che rimanga nell’immobile stesso con la prole nata dalla loro unione, persiste anche se la convivenza è sorta nel corso della locazione, e senza che il locatore ne abbia avuto conoscenza. Sempre per la Cassazione (Cass. civ., sez. III, 08/06/1994, n. 5544), in caso di morte del conduttore, il convivente succede nel contratto di locazione, a prescindere dalla situazione familiare del titolare del contratto di locazione e dalla presenza di eredi legittimi. L’articolo 16 del presente testo unico fa stato di tale giurisprudenza.
L’articolo 17 affronta la questione dell’assegnazione degli alloggi economici-popolari, la cui competenza è in capo alle Regioni e agli enti locali, ricordando che l’articolo 13 comma 2 del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008 n. 133, pone un criterio di priorità nell’ambito degli accordi raggiunti in sede di Conferenza unificata Stato-regioni ed enti locali aventi ad oggetto la semplificazione delle procedure di alienazione degli immobili di proprietà degli Istituti autonomi per le case popolari. Tali accordi devono tenere conto, fra gli altri, del diritto di opzione all’acquisto in favore dell’assegnatario unitamente al convivente, purché la convivenza duri da almeno cinque anni.
L’articolo 18 pone in relazione la convivenza con l’impresa familiare. L’introduzione dell’art. 230 bis nel codice civile ha eliminato il principio di gratuità in precedenza previsto, in virtù del vincolo affettivo, a proposito della remunerazione del familiare per la prestazione di lavoro resa nell’impresa familiare. Questa disposizione può essere utilizzata a favore del convivente: per la Corte di Cassazione (Cass. civ., Sez.lav., 13/12/1986, n.7486) “Al fine di stabilire se le prestazioni lavorative, svolte nell’ambito di una convivenza more uxorio, diano luogo ad un rapporto di lavoro subordinato oppure siano riconducibili ad una diversa relazione, dalla quale esuli il requisito della subordinazione, il giudice (…) può escludere l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato solo in presenza della dimostrazione rigorosa di una comunanza di vita e di interessi tra i conviventi (famiglia di fatto), che non si esaurisca in un rapporto meramente spirituale, affettivo e sessuale, ma, analogamente al rapporto coniugale, dia luogo anche alla partecipazione, effettiva ed equa, della convivente more uxorio alle risorse della famiglia di fatto”.
L’articolo 19 ricorda che anche il convivente ha diritto al risarcimento del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale in caso di morte dell’altro convivente provocata dal fatto ingiusto altrui, in base agli articoli 2043 e 2059 del codice civile. Ciò accade sulla base di una esegesi della Corte di Cassazione (cf. Cass. Civ., sez. III, 28 marzo 1994, n. 2988), che ha riconosciuto al convivente la risarcibilità del danno patrimoniale in caso di morte del partner provocata dal fatto ingiusto altrui. In particolare, “ritenuto che nell’ipotesi della c.d. famiglia di fatto (ossia di una relazione interpersonale, con carattere di tendenziale stabilità, di natura affettiva e parafamiliare, che si esplichi in una comunanza di vita e di interessi e nella reciproca assistenza materiale e morale) la morte del convivente provocata da fatto ingiusto altrui fa nascere nel “partner” il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. (per un “patema” analogo a quello che si ingenera nell’ambito della famiglia legittima) e del danno patrimoniale ex art. 2043 c.c. (per la perdita del contributo patrimoniale e personale apportato in vita, con carattere di stabilità, dal convivente defunto, irrilevante rimanendo, invece, la sopravvenuta mancanza di elargizioni meramente episodiche o di mera ed eventuale aspettativa), tanto l’art. 2043, quanto l’art. 2059 c.c. ricomprendono nell’ambito dell’obbligazione risarcitoria il danno risentito in modo immediato e diretto, sotto forma di deminutio patrimonii o di danno morale, da altri soggetti legati alla persona direttamente ed immediatamente lesa da rapporti di natura familiare o parafamiliare ed in quanto tali pregiudicati dall’altrui fatto ingiusto”. Ciò ha un riflesso anche sul piano processuale, se è vero che la stessa Cassazione (cf. Cass. Pen., sez. I, 4 febbraio 1994, De felice), ha ritenuto ammissibile la costituzione di parte civile del convivente della vittima del reato. La convivenza costituisce, infatti, secondo tale sentenza, esercizio di un diritto di libertà, attribuito direttamente dalla Costituzione, e, come tale, di carattere assoluto e tutelabile erga omnes, senza interferenze da parte dei terzi.
Agli effetti della legitimatio ad causam del soggetto che convive con la vittima del reato commesso dal terzo, viene in considerazione non il rapporto interno tra i conviventi di fatto, ma l’aggressione che tale rapporto ha subito a opera del terzo. La pronuncia della Cassazione precisa, tuttavia, che a rilevare non è qualunque convivenza, anche solo occasionale, bensì quella che abbia avuto un carattere di stabilità, tale da far ritenere ragionevolmente che essa sarebbe continuata nel tempo, ove non fosse intervenuta la condotta delittuosa. Sulla medesima linea, la Cassazione (Cass. Pen. sez. IV, 8 luglio 2002, n. 33305) aggiunge che “la lesione di qualsiasi forma di convivenza, purché dotata di un minimo di stabilità, tale da non farla definire episodica, ma idonea a ragionevole presupposto per un’attesa di apporto economico futuro e costante, costituisce legittima causa petendi di una domanda di risarcimento danni proposta di fronte al giudice penale chiamato a giudicare dell’illecito che tale lesione ha causato”. L’articolo 19 recepisce tali orientamenti.
Infine, sul punto della tutela civilistica, l’articolo 20 riprende l’articolo 5 comma 4 bis del decreto-legge 31 gennaio 2007 n. 7, convertito nella legge 2 aprile 2007 n. 40: è precluso all’impresa di assicurazione, in tutti i casi di stipulazione di un nuovo contratto relativo a un ulteriore veicolo della medesima tipologia, acquistato dalla persona fisica già titolare di polizza assicurativa o dal suo convivente, di assegnare al contratto una classe di merito più sfavorevole rispetto a quella risultante dall’ultimo attestato di rischio conseguito sul veicolo già assicurato.
 6.Tutela penalistica. Punto di partenza di questo capo, all’articolo 21,  è l’estensione alla situazione della convivenza dell’aggravante di cui all’articolo 61 n. 9 del codice penale, che riguarda chi abbia commesso il reato con abuso di autorità o di relazioni domestiche. L’articolo 22 riconosce al convivente la non punibilità di cui all’articolo 384 del codice penale: si tratta della norma che rende esenti da responsabilità penale condotte di favoreggiamento, falsa testimonianza, omessa denuncia, et similia, quando l’autore è stato costretto dalla necessità di evitare un grave danno a un prossimo congiunto; l’espressione “prossimo congiunto” viene intesa come comprendente coloro che compongono una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1. Il menzionato articolo 384 del codice penale recita testualmente: “Nei casi previsti dagli articoli 361, 362, 363, 364, 365, 366, 369, 371 bis, 372, 373, 374 e 378, non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare se medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà e nell’onore. Nei casi previsti dagli articoli 371 bis, 372 e 373, la punibilità è esclusa se il fatto è commesso da chi per legge non avrebbe dovuto essere richiesto di fornire informazioni ai fini delle indagini o assunto come testimonio, perito, consulente tecnico o interprete ovvero avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di astenersi dal rendere informazioni, testimonianza, perizia, consulenza o interpretazione”. La Corte Costituzionale, chiamata ad esprimersi sulla conformità alla Costituzione di tale ultima norma, ha dichiarato infondata la questione di legittimità, affermando che l’estensione delle cause di non punibilità implica un giudizio di ponderazione proprio del legislatore (Corte Cost., sent. n. 8 del 1996, e prima ancora nn. 352 del 1989 e 237 del 1986). Derogando alla natura meramente compilativa di questo testo unico, si ritiene opportuna l’estensione medesima.
 Considerazioni analoghe vanno svolte per la pluralità di norme del codice penale, nelle quali rilevano i rapporti familiari, e precisamente per gli articoli 540, Rapporto di parentela; 570, Violazione degli obblighi di assistenza familiare; 572, Maltrattamenti contro familiari e conviventi; 649, Non punibilità e querela della persona offesa, per fatti commessi a danno di congiunti. L’articolo 23, a proposito dell’articolo 540 del codice penale, include nell’espressione “rapporto di parentela” anche il legame di convivenza. L’articolo 24, a proposito dell’articolo 570 del codice penale aggiunge alla espressione “qualità di coniuge” la seguente: “o di componente di una convivenza dichiarata all’anagrafe ai sensi dell’articolo 1”. L’articolo 25 precisa, quanto all’articolo 572 del codice penale, che il reato di maltrattamenti in famiglia o verso i congiunti sussiste anche nei riguardi di una persona che compone una convivenza. Infine, l’articolo 26 estende la non punibilità per i reati commessi in ambito familiare all’ipotesi in cui responsabile e parte offesa siano un convivente in danno dell’altro convivente (articolo 649 del codice penale).
  7.Tutela processualpenalistica. Questo capo affronta anzitutto la questione del disagio e del conflitto interiore che agita i prossimi congiunti dell’imputato chiamati a testimoniare; e pertanto all’articolo 27 include il convivente nella categoria prevista dall’articolo 199 comma 1 del codice procedura penale, mentre già adesso l’art. 199 comma 3 del codice procedura penale riconosce al testimone la facoltà di astenersi dalla testimonianza limitatamente ai fatti verificatisi o appresi dall’imputato durante la convivenza se, pur non essendo coniuge dell’imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso.  L’articolo 28 affronta, con riferimento ai conviventi, le conseguenze e i casi di applicazione del provvedimento col quale il giudice penale dispone l’allontanamento dalla casa comune, mentre l’articolo 29 ricorda la legittimazione del convivente alla presentazione di una domanda di grazia in favore dell’altro convivente. Infine, l’articolo 30 riprende la più recente disciplina in tema di indagini patrimoniali antimafia per sottolineare come l’attività economica tale da far individuare le fonti di reddito è anche quelle di chi nell’ultimo quinquennio ha convissuto con i soggetti destinatari delle misure di prevenzione.
 8.Vittime di reati. L’ultimo capo riguarda l’estensione la legislazione per le vittime di mafia o terrorismo. La legge 20 ottobre 1990, n. 302, Norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, ha esteso anche al convivente more uxorio il diritto di richiedere le provvidenze accordate per le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata. All’articolo 4, dopo aver fissato l’entità del beneficio (comma 1), precisa (comma 2) che “L’elargizione di cui al comma 1 è corrisposta altresì a soggetti non parenti né affini, né legati da rapporto di coniugio, che risultino conviventi a carico della persona deceduta negli ultimi tre anni precedenti l’evento ed ai conviventi more uxorio; detti soggetti sono all’uopo posti, nell’ordine stabilito dal citato articolo 6 della legge 13 agosto 1980, n. 466, dopo i fratelli e le sorelle conviventi a carico”. A tale norma fa riferimento l’articolo 31 del presente testo unico.
Una disposizione analoga si trova nella legge 23 febbraio 1999, n. 44, Disposizioni concernenti il fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura, che all’art. 8 ha inserito nell’ambito dei soggetti aventi diritto alle elargizioni previste per le vittime di richieste estorsive e dell’usura i conviventi: “Se, in conseguenza dei delitti previsti dagli articoli 3, 6 e 7, i soggetti ivi indicati perdono la vita, l’elargizione è concessa, nell’ordine, ai soggetti di seguito elencati a condizione che la utilizzino in un’attività economica, ovvero in una libera arte o professione, anche al di fuori del territorio di residenza: a) coniuge e figli; b) genitori; c) fratelli e sorelle; d) convivente more uxorio e soggetti, diversi da quelli indicati nelle lettere a), b) e c), conviventi nei tre anni precedenti l’evento a carico della persona”. L’adattamento di tale disposizione si trova all’articolo 32 del presente testo unico.
La legge 13 febbraio 2001, n. 45, che innova il decreto legge 15 gennaio 1991, n. 8, Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonché per la loro protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia, prevede che siano utilizzate le medesime misure di protezione dei collaboratori e dei testimoni di giustizia sia nei confronti del coniuge che del convivente. Così recita l’art. 9, comma 5: “Le speciali misure di protezione di cui al comma 4 possono essere applicate anche a coloro che convivono stabilmente con le persone indicate nel comma 2 nonché, in presenza di specifiche situazioni, anche a coloro che risultino esposti a grave, attuale e concreto pericolo a causa delle relazioni intrattenute con le medesime persone. Il solo rapporto di parentela, affinità o coniugio, non determina, in difetto di stabile coabitazione, l’applicazione delle misure”. È ripreso nell’articolo 33.

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