Brain Imaging per la comunicazione dei pazienti in stato vegetativo di
Cristina Gandola, GIOVEDÌ 25 MARZO 2010 18:16 - http://www.scienzenews.it
E' possibile che le persone in
stato vegetativosiano più coscienti di quanto si pensasse. Recenti studi hanno
usato la risonanza magnetica funzionale per mettere in evidenza che alcuni tra
questi pazienti sono in realtà capaci di pensare e di comunicare. Si aprono
quindi nuove opportunità per tutti i malati prima considerati totalmente
incoscienti.
Lo studio, pubblicato sulla
rivista New England Journal of Medicine (NEJM), è stato condotto da due team di
ricercatori presso Cambridge in Inghilterra e Liegi in Belgio che hanno
dimostrato come alcuni pazienti in stato vegetativo riuscissero a pensare in
risposta ad uno stimolo. In particolare uno tra questi pazienti è stato capace
di rispondere “si o no” in modo corretto ad una serie di domande.
L'interpretazione delle risposte
è stata possibile grazie all'impiego delle tecniche di brain imaging.
Il brain imaging o neuroimaging
include tutte le tecniche di analisi del cervello sia in caso di stati
patologici sia durante il suo normale funzionamento.
Le tecniche non sono invasive e
permettono di ottenere immagini "in vivo" quindi rappresentano un
valido strumento sia per la prevenzione e la diagnosi delle patologie
neurologiche sia per il miglioramento delle conoscenze mediche e scientifiche.
Le tecniche di brain imaging
includono ad esempio latomografia ad emissione di singolo fotone (single photon
emission computerized tomography - SPECT), latomografia ad emissione di
positroni (positron emission tomography - PET), la risonanza magnetica
funzionale(functional magnetic resonance imaging - fMRI) e
lamagnetoencefalografia (magnetoencephalography – MEG).
I pazienti in stato vegetativo
sono spesso difficili da trattare principalmente perché non sono disponibili
strumenti diagnostici adeguati per queste particolari condizioni cliniche. La
diagnosi differenziale di questo tipo di disturbi porta spesso ad errori con
una percentuale pari al 40% di diagnosi sbagliate.
I recenti sviluppi delle
tecnologie in ambito medico risultano quindi fondamentali per migliorare la capacità
diagnostica e di conseguenza la qualità della vita dei pazienti in stato di
incoscienza. Si tratta di nuovi metodi che andranno ad affiancare gli attuali
strumenti diagnostici in tutti quei casi in cui il malato mostra esteriormente
una ridotta capacità di effettuare comportamenti coscienti.
Numerose condizioni di
incoscienza vengono spesso confuse con uno stato di coma. In realtà il coma
dura in genere alcuni giorni o settimane, dopo questo periodo il paziente si
sveglia oppure entra in uno stato di minima coscienza – in cui può
occasionalmente ridere o piangere e rispondere a semplici domande – oppure in
unostato vegetativo – in cui è totalmente inconsapevole di ciò che accade.
La diagnosi viene formulata dopo
aver eseguito una serie di test atti a verificare il livello di coscienza e
consapevolezza di ciò che accade nell'ambiente circostante.
Questo studio ha coinvolto 54
pazienti in stato di minima coscienza e in stato vegetativo. I ricercatori si
sono avvalsi dellarisonanza magnetica funzionale (MRI) per verificare sia la
capacità di generare pensieri neuroanatomicamente specifici sia i livelli di
ossigenazione del sangue delle diverse aree durante i test.
Ai soggetti è stato chiesto di
immaginare di giocare a tennis (esercizio motorio) o di camminare in un luogo
noto come la propria casa (esercizio spaziale).
L'esercizio coinvolge anche la
sfera cognitiva poiché il paziente deve capire la richiesta, ricordarla durante
il test e portare a temine la visualizzazione nel suo immaginario.
I ricercatori hanno verificato
che 5 dei 54 soggetti con diagnosi di presunto stato vegetativo erano capaci di
controllare volontariamente la loro attività cerebrale, suggerendo che, sebbene
sia raro, alcuni pazienti mostrano segnali misurabili di coscienza.
I 5 pazienti in stato vegetativo
che riuscivano a rispondere ai test proposti nello studio avevano tutti subito
lesioni cerebrali da trauma e questo fa pensare che i soggetti colpiti da tali
lesioni abbiano maggiore probabilità di guarigione.
Tre di questi 5 pazienti
mostravano lievi segni di coscienza durante i test tradizionali mentre gli
altri due non avevano dato alcun segnale durante questi test clinici.
Uno tra i 5 pazienti, un
ventiduenne in stato vegetativo in seguito ad incidente automobilistico,
risultava particolarmente reattivo ai nuovi test proposti dai ricercatori:
l'esercizio richiesto era di immaginare di giocare a tennis nel caso in cui
voleva rispondere “si” alla domanda e di immaginare la sua casa se voleva
rispondere “no”. Il paziente è riuscito a rispondere a 5 domande su 6 e tutte
le risposte erano corrette. All'ultima domanda, al posto di dare una risposta
sbagliata, il paziente non ha mostrato attività cerebrale; l'ipotesi formulata
dai ricercatori è che si sia addormentato o che abbia deciso di non rispondere.
Prima dei test effettuati dal
team di ricercatori belgi e inglesi, nessuno era stato in grado di comunicare
con il paziente ventiduenne.
“Questo significa che il paziente
non può produrre comportamenti che si manifestano con le normali funzioni
cognitive sebbene sia chiaramente capace di sentire e di capire un discorso,
inoltre riesce ad immaginare cose e situazioni. Questi sono tutti comportamenti
abbastanza complessi” spiega Martin Monti ricercatore del Medical Research
Council (MRC) e autore dello studio.
"Si tratta solo del primo
caso, ma ci permette di capire che gli sviluppi tecnologici stanno migliorando
le possibilità di diagnosi. Sono convinto che dovremmo adattare le tipologie di
cura, le nostre regole di etica e le norme di legge in base a queste nuove
scoperte dettate dal progresso tecnologico” afferma Steven Laureys a capo del
gruppo di “scienza del coma” presso l'Università di Liegi in Belgio e coautore
di questo studio.
Per il momento i ricercatori
hanno portato avanti la sperimentazione solo su un paziente, gli altri 4 con
buone capacità di immaginazione mentale devono ancora essere sottoposti ad
indagini a causa dell'estrema difficoltà nel condurre questo tipo di test.
Nel 2006 Adrian Owen, neurologo
del Medical Research Council di Cambridge in Inghilterra, pubblicò un lavoro
sulla risonanza magnetica funzionale (fMRI) come strumento per misurare in modo
indiretto l'attività cerebrale, e mostrò che un paziente privo di segni
visibili di coscienza era capace di rispondere mentalmente ad una serie di
comandi complessi quasi come può farlo una persona in piena salute.
Lo studio di Laureys dimostra che
il paziente di Owen non era un caso isolato e che il brain imaging può realmente
essere impiegato come strumento efficace per comunicare con i pazienti in stato
di incoscienza.
I ricercatori stanno ora cercando
di sviluppare metodi alternativi per misurare l'attività cerebrale dei pazienti
in stato vegetativo.
La tecnica fMRI è molto costosa,
richiede molto tempo ed è complessa dal punto di vista tecnico mentre
l'elettroencefalografia, tecnica che misura l'attività elettrica del cervello
mediante l'impiego di sensori posti sulla superficie del cuoio capelluto, è
decisamente meno costosa e più pratica rispetto agli scanner MRI perciò
potrebbe essere lo strumento migliore per proseguire gli studi.
I ricercatori stanno sviluppando
anche una serie di interfacce cognitive con lo scopo di facilitare
l'interazione tra i pazienti in stato vegetativo e il mondo esterno. Si tratta
di sistemi molto simili a quelli in fase di sviluppo per i pazienti gravemente
paralizzati.
“Spero che questi strumenti
vengano realizzati in tempi brevi. Desideriamo fortemente sapere quanto questi
pazienti siano capaci di comunicare perciò dobbiamo fornire loro più metodi
differenti affinché la comunicazione risulti più semplice” spiega Nicholas
Schiff che conduce una ricerca simile presso il Weill Cornell Medical College
di New York.
I risultati dello studio, seppur
parziali, aprono nuove e interessanti prospettive: alcuni dei pazienti in stato
vegetativo potrebbero essere capaci di compiere decisioni riguardo alle cure
mediche a cui sottoporsi. Tale possibilità implica il superamento di un gran
numero di problemi scientifici, etici e legali.
I ricercatori ad esempio non
hanno chiesto al paziente se sentiva dolore, si sono limitati a domande
semplici le cui risposte potevano essere facilmente confermate da amici e
parenti del malato.
“Prima di sollevare questioni
importanti come il dolore, il tipo di trattamenti medici, il fine vita, ci sono
molti aspetti che richiedono una seria discussione da parte della comunità
medica” spiega Laureys.
Quanto siano coscienti questi
pazienti in stato vegetativo rimane ancora da scoprire.
I soggetti in stato di minima
conoscenza tendono a mostrare livelli di attenzione molto fluttuanti e
rispondono in modo poco attendibile a semplici domande o richieste.
Bisogna infatti considerare che i
pazienti che hanno subito lesioni cerebrali possono risultare severamente
compromessi dal punto di vista cognitivo.
“Anche se questi pazienti
riescono a rispondere si o no a semplici domande, non sappiamo se le loro
capacità cognitive permettano di rispondere a domande più complesse” afferma
Martin Monti.
Questa ricerca dimostra che, in
una piccola percentuale di pazienti, lo stato vegetativo o di minima coscienza
non preclude la capacità dell'individuo di comunicare con il mondo esterno,
infatti, grazie all'impiego delle opportune tecnologie per lo studio del
cervello, è possibile verificare un'attività cerebrale che permette di
ipotizzare un certo livello di coscienza.
Nel prossimo futuro, studi
clinici più approfonditi permetteranno di riclassificare questi pazienti e
l'impiego delle tecniche di brain imaging sarà utile per stabilire una
comunicazione di base con il paziente in tutti quei casi in cui si ha una
mancata risposta dagli altri test.
Lo sviluppo tecnologico ha
permesso di oltrepassare quello che veniva considerato il limite tra coscienza
e incoscienza, sarà quindi necessario prendere in considerazione nuove
questioni etiche per ridefinire “lo stato di coscienza” di un individuo. Questi
temi andranno affrontati in modo pacato valutando sia gli aspetti scientifici e
medici sia quelli morali e religiosi, ricordando sempre l'importanza della
“libera scelta” a cui ogni persona ha diritto.
“Questo lavoro di ricerca è un
passo avanti negli studi di neurologia e scienze cognitive, probabilmente
rappresenterà la base su cui sviluppare una più ampia e consapevole discussione
su ciò che significa veramente essere coscienti” afferma Allan Ropper,
neurologo del Brigham and Women's Hospital di Boston.