giovedì 4 aprile 2013

ABORTO/ Il medico: ci vogliono primari "illuminati" per non finire in carcere - giovedì 4 aprile 2013 - http://www.ilsussidiario.net/

E' una storia complessa, delicata e che mostra quanto sia difficile per un medico trovarsi a fare i conti con la propria coscienza. Una dottoressa obiettrice di coscienza è stata condannata a un anno di reclusione per non aver voluto prestare soccorso a una donna che dopo aver abortito si era sentita male. La condanna è arrivata perché secondo la Cassazione la legge 194 che riconosce il diritto all'obiezione di coscienza, obbliga però a non astenersi dall'assistenza antecedente o conseguente all'intervento. Cioè il medico obiettore non può rifiutarsi di prestare assistenza prima o dopo l'aborto se ce ne sia bisogno: deve comunque assicurare la tutela della salute e della vita di una donna anche se si trova in quelle condizioni per aver praticato un aborto. Secondo il dottor Gianluigi Parenti contattato da ilsussidiario.net, "tutto dipende molto da come il primario gestisce il suo rapporto con i medici obiettori. Se possibile, cioè, evita loro di entrare in tutta la cosiddetta catena dell'aborto, che vuol dire anche prestazioni successive all'aborto stesso". Ma poi aggiunge, "ovviamente, bisogna anche considerare la forza medica a disposizione. Certo un medico non può rifiutarsi di prestare soccorso a un paziente, e questo caso dimostra la situazione difficile e delicata in cui vivono i medici obiettori". 
Questo caso apre ovviamente molte questioni difficili da interpretare. Lei che idea si è fatto? Diciamo intanto che il medico obiettore di coscienza non entra in quella che si definisce "catena dell'aborto" e questo lo garantisce la legge 194. Non ci entra con la certificazione, non ci entra con le visite mediche e non ci entra ovviamente con la metodica dell'aborto. Tuttavia, anche se può evitare di fare le dimissioni, ma non è sempre facile non rientrare nel "punto finale" della catena.
Perché? Tendenzialmente se il primario ha un certo tipo di attenzione verso il medico obiettore sta attento a non far rientrare l'obiettore stesso in tutta la dinamica, appunto nella catena dell'aborto. Naturalmente se c'è un problema di salute della paziente dopo l'aborto - per esempio un rischio di sanguinamento - oppure altre complicanze è chiaro che uno che è un medico ed è di guardia deve intervenire sulla metodologia precisa. E' chiaro cioè che non interviene sulla metodica e sulla catena che portano all'aborto. Non conosco esattamente i particolari di come sia avvenuta l'astensione della prestazione della collega ma tendenzialmente se dopo che è finito tutto l'arco dell'aborto e la donna ha dei problemi un medico anche obiettore non può esimersi dal prestare soccorso.
E' evidente che la vostra situazione non sia facile. Vi trovate davanti a eventi che pongono molte domande. Dipende molto da con chi si deve lavorare. Ci sono persone - chiamiamole "illuminate" - ad esempio il mio primario, che ha una forte attenzione rispetto alla mia obiezione e permette a noi obiettori di astenerci del tutto dal rapporto medico con chi pratica l'aborto. Ma non sempre è così e non tutti i primari sono uguali.
Si tratta di agire davanti a problematiche morali, di fatto si è costretti a essere sempre posti davanti a una scelta.

Non è così facile decidere quanto un medico possa entrare o no nella catena dell'aborto. Però ripeto: se una donna è ricoverata e sta male, il medico deve prestare soccorso.  
Lei ritiene che possa succedere che un medico si trovi da solo senza un punto di riferimento, un sostegno da parte di altri medici tanto da arrivare a situazioni come quella del caso in questione? Spesso ti trovi a dover prendere decisioni rapide di prestazione sanitaria. Bisogna allora decidere moralmente come muoversi, ti chiedi se fai bene o fai male dal punto di vista morale. C'è poi il rischio di subire anche delle denunce e oggi viviamo in una società abituata a "pensare male" di tutti e che cerca sempre risarcimenti in denaro, sia a torto che a ragione. Hai sempre gli occhi puntati addosso, se ti muovi o non ti muovi rischi sempre di sbagliare qualcosa. C'è un carico di tensione umana notevole e lo dico anche per i non obiettori. Un medico ha sempre paura di muoversi nel modo sbagliato e di subirne le conseguenze legali. A questo aggiungiamo il grande problema morale che abbiamo noi medici obiettori. 
Medici in prima linea, è proprio il caso di dirlo. Dipende anche da come è il reparto in cui ti trovi a lavorare. Come dicevo prima, dipende molto da come il primario imposta l'obiezione di coscienza e se ha forze mediche sufficienti per evitare che un obiettore debba essere costretto a intervenire comunque nella catena dell'aborto in qualsiasi momento. Ci sono reparti dove non è possibile rimanere fuori almeno dalla dimissioni. Ci sono poi zone d'ombra, ma è una questione delicata che riguarda soprattutto i consultori. Dipende anche molto dall'attenzione che i tuoi colleghi hanno nei tuoi confronti.

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