E l'Onu decide: Gay Pride per tutti di Lorenzo Schoepflin - 13-08-2013 - http://www.lanuovabq.it/
E’ partita a fine luglio l’offensiva delle Nazioni Unite in tema di diritti delle persone Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transessuali). «Free & Equal» («Liberi e uguali») è una campagna pubblica che ha come scopo principale il contrasto di omofobia e transfobia. Alla base dell’impegno dell’Ufficio Onu per i diritti umani c’è l’ ideologia del gender: non a caso, nel documento di 64 pagine che costituisce il vademecum per la campagna, intitolato «Born free and equal», già nel sottotitolo di parla di identità di genere e orientamento sessuale. L’ambizione è quella di condurre una vera e propria campagna educativa prima ancora che politica, come ha affermato Navi Pillay, l’altro commissario Onu per i diritti umani. Ma, inevitabilmente, all’aspetto culturale si associano indicazioni di tipo legale: tra gli strumenti necessari per la lotta alla discriminazione, secondo quanto si afferma nel documento delle Nazioni Unite, ci sarebbe il riconoscimento da parte degli Stati delle coppie dello stesso sesso. La parola «matrimonio» non viene mai usata – ed anzi si sottolinea come il diritto internazionale nell’ambito dei diritti umani non renda obbligatorio varare leggi relative al matrimonio omosessuale – ma contemporaneamente si invita a riservare alle coppie dello stesso sesso il trattamento garantito alle coppie eterosessuali conviventi, attraverso una forma di riconoscimento legale.
Questo dice quanto pericolosa possa rivelarsi l’apertura alle cosiddette «unioni civili» (termine usato anche nel documento), che costituirebbero inevitabilmente il primo passo verso il riconoscimento giuridico del valore pubblico delle coppie gay e il grimaldello col quale scardinare l’impianto della famiglia naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Analizzando le conclusioni del documento, datato 2012 ed oggi rilanciato con vigore, non si può fare a meno di notare – ed è lo stesso documento ad affermarlo – che in buona parte lo sforzo globale proposto dall’Onu si sia già concretizzato. Il favore con cui vengono viste leggi ad hoc che introducano reati legati ad omofobia e transfobia si declina oggi in tentativi di approvazione di provvedimenti che minano le fondamenta della libertà religiosa e di pensiero (i lettori della Nuova Bussola Quotidiana sanno bene che tipo di rischi si stiano configurando col testo in discussione al nostro Parlamento).
Il riconoscimento delle coppie omosessuali sta trovando ampio riscontro in molti Stati (come già detto, si pensi ad esempio a quanto accaduto in Francia, le cosiddette unioni civili sono l’anticamera del matrimonio omosessuale). L’auspicio che ai trans sia garantito l’ottenimento di documenti d’identità che rispecchino il loro «genere preferito», in ossequio alla teoria del gender, non è più un miraggio (la Nuova Bussola Quotidiana ha raccontato il caso del Tribunale di Rovereto che ha concesso ad un uomo di iscriversi all’anagrafe come donna senza sottoporsi ad operazione chirurgica). L’implementazione di progetti educativi che riguardino personale scolastico, carceri e operatori sociali è cosa fatta (si ricordi il documento del Dipartimento delle pari opportunità, intitolato “Verso una Strategia nazionale per combattere le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere” di cui la Nuova Bussola Quotidiana ha parlato a maggio scorso).
Tra i promotori della campagna dell’Onu c’è il celebre cantante Ricky Martin, che nel 2008 dichiarò la propria omosessualità, dopo aver presentato al mondo i suoi due gemelli, avuti grazie alla maternità surrogata. Nel 2011, intervistato da Vanity Fair, Martin affermò di aver scelto su internet la madre dei propri figli e di aver intenzione di averne un terzo, magari seguendo la strada dell’adozione. Il cantante, ambasciatore dell’Unicef che sul sito dedicato a «Free & Equal» viene presentato come un campione dei diritti dei minori (evidentemente, per Martin e per la stessa Onu, avere una madre non rientra tra questi diritti), nella stessa intervista affermò che il matrimonio omosessuale è questione di «diritti umani». Una scelta non casuale, dunque, quella dell’artista latinoamericano quale testimonial dell’impegno delle Nazioni Unite contro omofobia e transfobia, che appare inequivocabilmente orientata a proporre un ben determinato modello socio-culturale.
Una nota merita anche il quinto capitolo di «Born free and equal», che riguarda la libertà di espressione, associazione e pubblica manifestazione. In tale capitolo, la questione viene analizzata esclusivamente dal punto di vista della «propaganda omosessuale» e della «promozione pubblica dell’omosessualità». Il problema, secondo l’Onu, risiederebbe in quegli Stati che impediscono lo svolgimento di manifestazioni come il Gay Pride ed in generale limitano la libertà degli attivisti gay, basandosi su considerazioni di moralità pubblica. Non si capisce perché l’omosessualità debba essere necessariamente meritevole di «promozione pubblica» – questione ben diversa dalla tutela della dignità di qualsiasi persona, omosessuali compresi – e neppure il motivo per il quale considerazioni circa il normale decoro non si possano applicare alle manifestazioni Lgbt. Ma ciò che desta grandissima preoccupazione è che per l’Onu, mentre si discute di leggi bavaglio come quella italiana e in Francia si schiera la polizia a controllare pacifiche manifestazioni di uomini, donne e bambini, l’unica libertà da garantire sia quella di esibire la propria omosessualità e farne ragione di lobby che pervada ogni angolo della società.
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