venerdì 23 agosto 2013

Usa, la Corte Suprema apre alle nozze gay di Gianfranco Amato 27-06-2013 - http://www.lanuovabq.it/

Usa, i gay festeggiano la sentenza

Con una doppia sentenza la Corte Suprema degli Stati Uniti ha aperto ieri sera la strada al riconoscimento dei matrimoni tra persone dello stesso sesso. Sebbene con un leggerissimo scarto (5 voti contro 4 in entrambi i casi), la Corte Suprema ha bocciato la legge che riconosce solo il matrimonio tra persone di sesso diverso (Defense of Marriage Act, conosciuto con il suo acronimo Doma), considerandola discriminatoria nei confronti di coppie gay; e hanno deciso di non discutere della legge californiana nota come Proposition 8, un divieto alle nozze gay arrivato con un referendum nel 2008: la Corte ha dichiarato di non avere l'autorità per decidere, ma così rimanda alla sentenza di un tribunale dello Stato che aveva già deciso per la cancellazione del Doma.

Inesorabile quanto scontato è giunto il verdetto della Corte Suprema degli Stati Uniti che apre la strada ai matrimoni omosessuali. Un verdetto che poco ha a che fare con il diritto e molto con la politica. Il battage mediatico mondiale parla di una sentenza storica. E’, infatti, lo è, nel senso che per la prima volta la Supreme Court of the United States ha voluto rinnegare il patrimonio giuridico bimillenario ereditato dallo jus civile. Così l’Occidentale, dopo aver ripudiato le radici culturali cristiano-giudaiche, adesso disconosce persino il rapporto che lo lega alla civiltà greco-romana. 

Quella civiltà, infatti, pur dimostrando un’assoluta tolleranza nei confronti dell’omosessualità (ritenuta un orientamento sessuale tutto sommato accettabile), ha sempre riconosciuto il matrimonio solo ed esclusivamente come il conubium tra un masculus pubes ed una foemina potens. Secondo il celebre giurista romano Eneo Domizio Ulpiano il matrimonio poteva definirsi «iustum» solo «si inter eos qui nuptias contrahunt conubium sit, et tam masculus pubes quam femina potens sit» (Digesta V 1-2). 

Nella società greco-romana si era ancora in grado di distinguere tra i vizi privati e le pubbliche virtù. Lo stato riconosceva giuridicamente il matrimonio tra un uomo ed una donna, in quanto capace di garantire l’«ordo generationum» grazie alla capacità procreativa dei coniugi, come appare evidente, del resto, nella stessa radice etimologica del termine costituito dalla parola «mater» (madre, genitrice) e «munus» (compito, dovere). Per questo un matrimonio senza una «mater» resta una contraddizione in termini.

La sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti rappresenta un’ulteriore conferma del grave errore in cui si incorre nell’affrontare questo delicato tema, quando si sostituisce la ferrea logica razionale del diritto a valutazioni di carattere politico, o, peggio, quando si cede alle irresistibili pressioni delle potenti lobby omosessualiste. 

L’errore è costituito dal disconoscimento della differenza esistente tra il comportamento omosessuale come fenomeno privato, e lo stesso comportamento quale relazione sociale legalmente prevista e approvata, fino a diventare una delle istituzioni dell’ordinamento giuridico. Lo stato viene meno al proprio dovere istituzionale di tutelare il bene comune nel momento in cui riconosce pubblicamente il matrimonio tra persone dello stesso sesso, nel quale sono del tutto  assenti quegli elementi biologici e antropologici che potrebbero fondare ragionevolmente tale riconoscimento. Nei cosiddetti matrimoni omosessuali, in realtà, è del tutto inesistente la dimensione coniugale costituita dalla forma umana ed ordinata delle relazioni sessuali, capace di assicurare adeguatamente la procreazione e la sopravvivenza della specie umana. Inoltre, l’assenza della bipolarità sessuale crea ostacoli allo sviluppo normale dei bambini eventualmente inseriti all’interno di tali matrimoni, in cui manca l’essenziale esperienza della maternità o della paternità. Lo stato non può disconoscere, nel momento in cui attribuisce determinati diritti pubblici, che la società deve la propria sopravvivenza alla famiglia fondata sul matrimonio. 

Un altro errore fondamentale che sta dietro la citata sentenza della Corte Suprema americana, è quello di ritenere modificabile per legge la definizione di matrimonio, fino al punto da poter far perdere a tale istituto l’essenziale riferimento ai fattori collegati alla eterosessualità, come ad esempio il compito procreativo ed educativo. In realtà, il matrimonio e la famiglia rappresentano una realtà prepolitica, di cui lo stato può semplicemente limitarsi a prendere atto, tutelare e valorizzare. 

Lo spiega bene la nostra Costituzione quando all’art. 29, per esempio, sancisce che la Repubblica «riconosce», e non “definisce”, i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Opinare il contrario significherebbe consentire ad un’assemblea legislativa la possibilità di stabilire attraverso disposizioni normative la natura stessa dell’istituto matrimoniale. Nulla vieterebbe, a quel punto, di ritenere legittimo non solo il matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma anche quello tra una donna e due uomini, tra due uomini e due donne, tra due uomini e quattro donne, e così via. Se poi in futuro, uno dei criteri da adottare per la definizione fosse quello dell’orientamento sessuale e dell’affetto, non si vede perché escludere il matrimonio tra una donna e il proprio cane, visto che la zoofilia rappresenta, in effetti, un riconosciuto orientamento sessuale. 

Si potrebbero aprire scenari inquietanti, qualora dovesse cadere anche il tabù della pedofilia (il 2 aprile 2013 in Olanda la Corte d’appello di Arnhem-Loivarnten ha stabilito che non può essere sciolto il gruppo Stitching Martijn che propone la liberalizzazione dei contatti sessuali tra adulti e minori) e dell’incesto (al Senato della Repubblica italiana il 14 ottobre 2008 è stato depositato il disegno di legge S. 1155 avente per oggetto l’abrogazione del reato di incesto e dei reati contro la morale familiare, a firma dei senatori radicali Donatella Poretti e Massimo Perduca). A proposito di orientamenti sessuali, occorre segnalare anche l’oggettofilia: è noto il caso di Eija-Riitta Berliner-Mauer la donna svedese di Liden, fisicamente e sessualmente attratta dagli oggetti, che si innamorò del Muro di Berlino, pretendendo di sposarlo. All’epoca non fu presa molto sul serio, ma se passasse il principio – oggi recepito anche dalla Corte Suprema americana – che il matrimonio può essere definito per legge, il futuro potrebbe davvero riservare delle sorprese inimmaginabili.

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