Delle questioni relative a leggi ingiuste degli Stati in materia di famiglia e matrimonio il Papa non parla, o parla molto raramente, ma vuole che siano i vescovi a parlare. L’esortazione apostolica «Evangelii gaudium» spiega che «non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori». Le note dell’esortazione apostolica forniscono esempi d’interventi «opportuni» di episcopati locali precisamente in materia di famiglia, fra cui due documenti, uno dei vescovi americani e uno di quelli francesi, che prendono posizione contro il «matrimonio» omosessuale. A prescindere da ogni valutazione su questa scelta strategica di Papa Francesco, (che si può certamente discutere, senza mancare di rispetto al Pontefice), si può osservare che, da un punto di vista fattuale, la strategia funziona dove i vescovi la capiscono e la attuano.
È certamente il caso degli Stati Uniti, dove, forse dopo un breve momento iniziale di disorientamento, i vescovi sono scesi in campo con coraggio contro il «matrimonio» omosessuale e l’ideologia di genere. Anzi, per la prima volta, i vescovi non si sono limitati a pubblicare documenti, ma in un caso che riguarda il tentativo del governo centrale d’imporre il «matrimonio» omosessuale a due Stati che non lo vogliono, Utah e Oklahoma, sono intervenuti direttamente nella causa federale, ora in arrivo davanti alla Corte Suprema, con una loro memoria, assicurandosi anche la collaborazione di altre confessioni e religioni.
In questi giorni assistiamo a un nuovo capitolo di questa saga dove i vescovi americani applicano la «strategia Francesco»: non attendono che intervenga il Papa, anzi danno per scontato che non parli (quando poi ritenesse la misura colma, Francesco potrà sempre intervenire, come fa sempre più spesso in materia di aborto) e, di fronte a leggi ideologiche e ingiuste, prendono subito posizione loro.
Il 21 giugno il presidente Obama ha firmato un ordine esecutivo, che ha forza di legge, secondo cui chiunque lavori per il governo federale, vinca appalti dal governo federale o da questo riceva sussidi non può praticare discriminazioni fra i propri dipendenti sulla base dell’«orientamento sessuale» o dell’«identità di genere». Questo significa, in pratica, che se un’università cattolica che lavora sulla cura del cancro non vuole perdere gli aiuti governativi (s’intende, ove ne riceva) dovrà dimostrare di non discriminare nell’assunzione degli insegnanti non solo chi ha un «orientamento» omosessuale, ma anche chi ha una «identità» omosessuale ostentata in modo militante, con annessa propaganda. E lo stesso vale per chiunque abbia rapporti con il governo o ne riceva finanziamenti. I giuristi ritengono che la norma influenzi anche i cosiddetti casi delle toilette, che possono far sorridere, ma finiscono spesso in tribunale: un transessuale che si sente donna chiede al datore di lavoro di usare le toilette femminili, suscitando spesso l’opposizione delle dipendenti donne così che il povero imprenditore è costretto a riservare una terza toilette al solo transessuale.
Tempestivamente, lo stesso 21 luglio, la Conferenza Episcopale Americana, tramite i presidenti delle Commissioni per la Libertà religiosa, l’arcivescovo di Baltimora William Lori, e di quella su Matrimonio e famiglia, il vescovo di Buffalo Richard Malone, ha diffuso una nota in cui contesta duramente la norma emanata dal presidente Obama. La nota afferma che l’ordine esecutivo di Obama «è senza precedenti ed estremo, e rende obbligatoria l’opposizione. Con il pretesto di vietare la discriminazione, l’ordine organizza la discriminazione. Con un tratto di penna, mette il potere economico del governo al servizio di una nozione della sessualità umana profondamente difettosa, alla quale i cattolici fedeli e molte altre persone di fede non potranno mai dare il loro consenso». In pratica, persone e aziende saranno escluse da qualunque rapporto con il governo «a causa della loro fede religiosa», con una gravissima violazione della libertà di religione.
L’ordine non distingue fra l’«esperienza di un’inclinazione omosessuale», cui la Chiesa si accosta con compassione e rispetto, e «la condotta sessuale fuori del matrimonio, che è l’unione di un uomo e di una donna». Mentre la Chiesa non favorisce certo la discriminazione sulla base di semplici inclinazioni, rivendica il diritto delle sue istituzioni (e di ogni datore di lavoro che ne condivida la morale) a tenere conto della condotta delle persone che assumono. Inoltre, l’ordine, parlando di «identità di genere», secondo i vescovi adotta e impone l’ideologia di genere, «la falsa idea che il “genere” è solo una costruzione sociale o una realtà psicologica che potrebbe essere scelta a prescindere dal proprio sesso biologico».
La nota fa riferimento anche ai fin troppo famosi casi delle toilette, spiegando che come effetto dell’ordine di Obama «un dipendente biologicamente maschio avrà diritto a usare le toilette o gli spogliatoi femminili messi a disposizione dal datore di lavoro se questo dipendente maschio si auto-identifica come donna». La nota rileva che alcuni Stati, è vero, hanno già una normativa per prevenire discriminazioni sull’orientamento sessuale, e che il Senato ha votato l’Enda, una norma federale anti-discriminazione proposta dallo «stesso partito del presidente», il Partito Democratico.
Benché a loro volta problematiche, queste normative includono tutte una clausola che protegge la libertà religiosa. L’ordine esecutivo di Obama, «immediatamente in vigore» (c’era davvero tutta questa urgenza?) non prevede nessuna esenzione religiosa o obiezione di coscienza. Va dunque combattuto in tutte le sedi opportune. Il caso finirà probabilmente ancora una volta alla Corte Suprema. Verosimilmente, il Papa continuerà a non parlarne e i vescovi americani a battersi, perfino più vigorosamente rispetto all’epoca in cui Benedetto XVI affrontava direttamente questi problemi. È la «strategia Francesco». Discutiamone pure. Ma intanto suggeriamo a certi episcopati europei di prendere esempio dai Paesi dove funziona.
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