martedì 28 febbraio 2012


Avvenire.it, 28 febbraio 2012 – INTERVISTA - Valadier, i filosofi del post-umano di Lorenzo Fazzini

«Si è tentatiti di riprendere la formula di Gaston Fessard a proposito della Francia minacciata dall’ideologia nazista: Umanità, preoccupati di non perdere la tua anima! La perdita di sè mediante la dissoluzione animista avviene quando si rifiuta il pensiero che crea la grandezza umana e ci "distingue" dall’insieme del reale». Paul Valadier, gesuita, filosofo del Centre Sèvres, la facoltà della Compagnia di Gesù a Parigi, risponde con puntiglio all’offensiva postumanista che attraversa il pensiero filosofico contemporaneo. Nel suo recente L’exception humaine (Cerf) traccia la rotta per difendere l’uomo da ogni decostruzione e fuga in avanti verso un umanità postumana.

Professor Valadier, sono numerosi i pensatori che lei critica sotto accusa in quanto precursori o sostenitori del post-umanesimo: Michel Foucault, Judith Butler, Jean-Marie Schaeffer. Perché questa pervicace volontà di superare la persona?
«I pensatori che propugnano il postumanesimo vogliono distruggere l’umanesimo. Ma per sostituirvi cosa? All’orizzonte non si vede nessuna proposta. La mia tesi è la seguente: l’eccezionalità umana va preservata. L’uomo si caratterizza per la sua vulnerabilità; egli però non deve vivere nell’orgoglio della sua specificità all’interno del cosmo. Ritengo che le posizioni di quanti vogliono decostruire l’umano siano pericolose. Quel che si deve costruire è un nuovo umanesimo».

Su quali basi?
«Penso alla celebre definizione di Pascal sulla grandezza e la miseria dell’uomo. La ragione non condanna l’essere umano al dominio della natura. Essa deve puntare alla previsione: l’uomo è vulnerabile, perciò bisogna prevedere le medicine per curarlo; possono esserci carestie, bisogna accumulare cibo in previsione di quei periodi di difficoltà; ci saranno tempi di gelo, bisogna prevedere la costruzione di case. Questo non significa un’attitudine dispotica: la ragione umana - come sosteneva il filosofo belga Jean Ladrière - non è solo dominio. Eppure siamo "obbligati" ad essa dalla nostra natura. Certo, la ragione può diventare folle: lo vediamo nella distruzione ecologica attuale, ma non per questo dobbiamo buttar via (come si suol dire) il bambino con l’acqua calda».

Lei denuncia anche come oggi i postumanisti mettano "il cristianesimo alla sbarra degli accusati". L’anti-cristianesimo di questi pensatori è essenziale o un tratto derivato del loro pensiero?
«Schaeffer lo dice esplicitamente: il dominio forsennato dell’uomo sulla natura, con le conseguenze negative in termini ecologici, proviene dalla Bibbia. E quindi l’elemento ebraico-cristiano deve essere abbattuto. Io invece sostengo qualcosa di diverso: se si legge davvero la Genesi, si vede come l’uomo sia anzitutto vulnerabile e separato dalla natura, che egli deve governare ma non in modo dispotico. In fin dei conti, dietro la posizione decostruzionista, io rintraccio un certo buddismo edulcorato, per cui l’uomo si confonde con la natura e quindi dovremmo tornare alla visione di una Terra Madre (Gea). Qui s’annida un’idea che risale al pensiero di Schopenauer, il quale si diceva cristiano, ma in realtà il suo pensiero era buddhista. Egli propugnava un annullamento del soggetto umano per far spazio alla natura. Tale posizione schopenaueriana è arrivata a noi con gli strutturalisti e ora con i postumanisti. In realtà la tradizione biblica, che è ebraico-cristiana, suppone che il soggetto umano sia diverso dall’universo, ma al tempo stesso che non ne sia il distruttore tirannico».

Quindi, il postumanesimo va sia contro il cristianesimo sia contro la classicità greco-romana e il pensiero occidentale…
«In questa linea di pensiero esiste una critica al razionalismo filosofico, ma allo stesso tempo un sentimento anticristiano spiccato: non dimentichiamo che Cartesio si diceva cristiano! Nei postumanisti troviamo il rifiuto dell’intero universo biblico. Nel mio libro parto dall’immagine della creazione di Adamo dipinta da Michelangelo nella Cappella Sistina: orbene, è l’uomo che trova il proprio volto in quello di Dio, non la formica! Che io sappia Dio non si è rivelato agli insetti, ma all’uomo! L’essere umano è il vero volto di Dio sulla terra».

Il pensiero teologico è all’altezza della sfida dei postumanisti?
«Penso che la teologia, soprattutto cattolica, oggi non sia sufficientemente attrezzata. Noto inoltre un certo paradosso: da un lato la teologia si ripiega su se stessa in maniera identitaria, dall’altro gli ultimi due Papi sottolineano molto il ruolo importante della ragione. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno ribadito che la fede si deve confrontare con la razionalità e la ragione deve restare aperta a ciò che la fede suggerisce. Comunque, grazie all’insistenza dei pontefici, cresce la consapevolezza che non possiamo fare a meno di una teologia che si confronti con il pensiero contemporaneo».

Lei "salva" Cartesio e Hans Jonas nella sfida con i postumanisti: oggi quali pensatori "laici" considera alleati?
«Senza consacrarlo come teologo cattolico, penso che Jürgen Habermas sia un interlocutore decisamente interessante e un grande filosofo. Così come un suo discepolo "infedele" (come sono tutti i discepoli …), il tedesco Axel Honneth, abbia molto da dirci».

E i veri "nemici" dell’umanesimo?
«Mi preoccupa la visione decostruzionista di Jacques Derrida. E poi la teoria del genere suscita in me preoccupazione: Butler è una filosofa molto intelligente, ma le sue idee (al di là della giusta denuncia di un certo machismo nel pensiero occidentale e del suo allarme ecologico) sono fuorvianti: seguendola, non si sa più chi è l’uomo e la donna, non esiste più un’identità chiara della persona».

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