mercoledì 22 febbraio 2012


Riforme a costo zero per snellire la sanità (guadagnandoci in salute), di Marcello Crivellini, Il Foglio, 22/02/2012

Per ragionare e decidere sulla spesa sanitaria va fatta una premessa: nei paesi industrializzati, aumentare la spesa sanitaria non significa affatto ottenere un miglioramento di salute. La sanità è infatti solo uno dei determinanti della salute e tutti gli studiosi concordano che il suo effetto è minore rispetto agli altri (stile di vita, ambiente socio-economico, patrimonio genetico).
Per un paese avanzato come l’Italia con una spesa sanitaria annua di circa il 9,5 per cento del pil, oltre 140 miliardi di euro - i dati mostrano che aumenti di spesa sanitaria garantiscono solo le logiche interne della sanità; hanno effetti trascurabili sulla salute e anzi sono oggettivo ostacolo alle esigenze di cambiamento, garantendo l’assetto vigente, cioè una composizione dimensionata su vecchie esigenze di salute e sulla tutela di corporazioni e interessi concentrati.
La situazione richiama quella dei forestali della Calabria, che sono presenti nella maggior concentrazione al mondo senza che la tutela dei boschi ne abbia risentito in modo positivo: invece di essere la soluzione si sono trasformati nel problema.
Per costringere il sistema sanitario a cambiare e per tutelare salute e diritti dei cittadini è necessario che non si dia un euro in più alla spesa sanitaria ma che sia rivista la sua allocazione nei vari settori secondo le sole esigenze di salute. Recenti ricerche del centro studi Cerm hanno quantificato in oltre 10 miliardi di euro annui il risparmio di spesa sanitaria ottenibile se tutte le regioni adottassero comportamenti mediamente efficienti (italiani, non svedesi!).
D’altra parte basta osservare che le regioni italiane che producono i maggiori deficit sanitari sono quelle che offrono i servizi più scadenti: spendere e fare deficit non tutela la salute, anzi la minaccia. E in quelle regioni (praticamente dal Lazio in giù) c’è un esodo di centinaia di migliaia di profughi sanitari che cercano di sbarcare in strutture sanitarie decenti di altre regioni; non sono poveracci ma i più ricchi o i meglio informati.
Cosa fare per tutelare contemporaneamente i soldi dei contribuenti e la salute dei cittadini? Subito le seguenti cose:
1) Portare la spesa ospedaliera dal 48 al 40 per cento della spesa sanitaria totale (come molti altri paesi) e investire in centri e servizi di cure primarie e di assistenza extraospedaliera aperti dalle 8 alle 20. Nel 2008, su oltre 22,4 milioni di accessi al Pronto soccorso solo per il 16 per cento è seguito il ricovero; anche altre indagini mostrano che circa l’80 per cento degli accessi al Pronto Soccorso è inappropriato. Il patologico e assurdo intasamento dei Pronto Soccorso deriva dal fatto che non ci sono alternative all’ospedale: è come organizzare il trasporto merci con auto di F1. Contestualmente restituire gli ospedali per acuti alla loro originaria funzione, evitando milioni di ricoveri "inappropriati" e inutili, che rendono difficili quelli "veri e necessari".
2) Impedire che i partiti (di destra e di sinistra) considerino i Direttori generali delle Aziende sanitarie come i veri "segretari di partito" sul territorio, per il controllo di nomine, appalti, assunzioni: una gioiosa macchina da guerra per il consenso e contro la salute dei cittadini. Un esempio? Il numero di medici per abitanti nel nostro paese è alto, il 50-100 per cento in più di altri paesi (Francia, Giappone, Stati Uniti, Canada). Basterebbe una semplice legge nazionale che preveda che titoli e graduatoria dei candidati a Dg siano fissati dalle maggiori società internazionali di selezione del personale.
3) Stabilire che siano nominati commissari per la sanità delle regioni in forte deficit non i maggiori responsabili del disastro (cioè i presidenti di regione e le loro maggioranze) ma esperti che non abbiano avuto incarichi da almeno 10 anni nella regione; da tempo è in corso una gara per decine di miliardi di euro a chi ha il deficit e il debito più grandi fra i presidenti di Lazio, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia etc. E’ come affidare il giudizio su un crimine al maggiore imputato.
4) Attuare un sistema di valutazione dei principali servizi e strutture sanitarie e renderne disponibili i risultati, in modo che i cittadini possano scegliere responsabilmente, decretando successi e fallimenti e costringendo il sistema a cambiare alla luce del sole. Valutare per conoscere; conoscere per scegliere; scegliere per tutelare la propria salute e governare il sistema.
Anche l’obbligo di certificazione dei bilanci sanitari è norma semplice e di facile realizzazione: quanto meno permetterebbe l’associazione della quantità del deficit al nome del responsabile.

Quanto costano queste riforme? Niente, anzi fanno risparmiare miliardi di euro l’anno e, cosa non trascurabile, difendono la salute dagli interessi di questa gestione della sanità. Sanità e salute sono due concetti diversi, così come politica e partiti. Finanziare senza regole i secondi non significa assicurare buone politiche per il paese, ma alimentare il debito pubblico.

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